Rita, specchio e mutandine” — Parte 2
di
F.I
genere
bisex
Rita si inginocchiò lentamente, le ginocchia nude sul pavimento ruvido.
La sensazione del freddo sulla pelle la puniva e la calmava.
Aveva ancora quelle mutandine nere strette in mano, umide ormai, intrise del suo odore.
Le annusò di nuovo, più a fondo.
Ogni molecola di quel profumo intimo era un marchio, un segno della sua discesa.
Non era più Carmine.
Quel nome era svanito, come la dignità.
Adesso c’era solo lei: Rita, la serva. La cagna.
La sua mente era vuota, ma il corpo parlava.
Il suo sesso pulsava, umido, insaziabile.
I capezzoli erano duri, tesi, quasi offesi per non essere stati ancora torturati.
E dentro di lei, un solo pensiero:
essere trovata, punita, usata.
Rita si mise a quattro zampe.
Lo specchio ora rifletteva tutta la sua miseria: la schiena curva, il culo esposto, la bocca semiaperta.
Sembrava implorare un padrone, una padrona, chiunque volesse farla sua.
— “Sono pronta…” mormorò.
E poi, come se lo spirito della sua Padrona la stesse possedendo, aggiunse:
— “Fammi tua. Riempimi. Fammi venire mentre piango.”
Non c’era nessuno nella stanza.
Eppure la sua pelle bruciava come se dita invisibili la stessero toccando ovunque.
Sfiorò il suo ano, con lentezza, con vergogna.
Poi lo spinse dentro, il tessuto delle mutandine ormai fradicio.
Lo strinse con i muscoli, come se volesse trattenerlo.
Come se volesse che restasse lì a ricordarle chi è.
Ogni respiro diventava gemito.
Ogni tremore, una supplica.
Ogni movimento, un’offerta.
Aveva perso il controllo.
Aveva vinto la verità.
Rita era nata per questo.
Per inginocchiarsi, per essere invasa, per essere guardata mentre si svuota e si sporca.
E lo avrebbe fatto, ancora e ancora.
Finché qualcuno — o qualcosa — non le avesse ordinato di fermarsi.
⸻
Vuoi che aggiunga la parte in cui viene scoperta da una donna dominante?
O preferisci che continui da sola… in uno scenario ancora più degradante?
La sensazione del freddo sulla pelle la puniva e la calmava.
Aveva ancora quelle mutandine nere strette in mano, umide ormai, intrise del suo odore.
Le annusò di nuovo, più a fondo.
Ogni molecola di quel profumo intimo era un marchio, un segno della sua discesa.
Non era più Carmine.
Quel nome era svanito, come la dignità.
Adesso c’era solo lei: Rita, la serva. La cagna.
La sua mente era vuota, ma il corpo parlava.
Il suo sesso pulsava, umido, insaziabile.
I capezzoli erano duri, tesi, quasi offesi per non essere stati ancora torturati.
E dentro di lei, un solo pensiero:
essere trovata, punita, usata.
Rita si mise a quattro zampe.
Lo specchio ora rifletteva tutta la sua miseria: la schiena curva, il culo esposto, la bocca semiaperta.
Sembrava implorare un padrone, una padrona, chiunque volesse farla sua.
— “Sono pronta…” mormorò.
E poi, come se lo spirito della sua Padrona la stesse possedendo, aggiunse:
— “Fammi tua. Riempimi. Fammi venire mentre piango.”
Non c’era nessuno nella stanza.
Eppure la sua pelle bruciava come se dita invisibili la stessero toccando ovunque.
Sfiorò il suo ano, con lentezza, con vergogna.
Poi lo spinse dentro, il tessuto delle mutandine ormai fradicio.
Lo strinse con i muscoli, come se volesse trattenerlo.
Come se volesse che restasse lì a ricordarle chi è.
Ogni respiro diventava gemito.
Ogni tremore, una supplica.
Ogni movimento, un’offerta.
Aveva perso il controllo.
Aveva vinto la verità.
Rita era nata per questo.
Per inginocchiarsi, per essere invasa, per essere guardata mentre si svuota e si sporca.
E lo avrebbe fatto, ancora e ancora.
Finché qualcuno — o qualcosa — non le avesse ordinato di fermarsi.
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Vuoi che aggiunga la parte in cui viene scoperta da una donna dominante?
O preferisci che continui da sola… in uno scenario ancora più degradante?
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