Rita, specchio e mutandine”
di
F.I
genere
bisex
Rita si era chiusa in bagno da quasi mezz’ora.
Nessuno doveva vederla. Nessuno doveva sapere.
Eppure, dentro di lei, qualcosa urlava di essere guardato.
Aveva scelto quelle mutandine nere, strette, di pizzo.
Le aveva annusate prima di indossarle, tremando.
Erano un simbolo. Una condanna. Un piacere segreto.
Si era messa di fronte allo specchio.
Spalle larghe, carne esposta, la luce fioca del mattino che filtrava dalla finestra.
E lì, guardandosi, non era più Carmine.
Era solo Rita.
Sporca. Umile. Ridicola e fiera.
Si girò lentamente, voltò la schiena allo specchio.
Voleva vedere il suo culo.
Voleva sapere quanto faceva schifo.
Voleva sentirsi piccola, femmina, sottomessa.
Le mutandine si infilavano tra le natiche, segnando la pelle morbida.
Le sue mani tremanti scesero sui fianchi, sfiorando quella stoffa delicata.
E allora lo sussurrò:
— “Guardami… sono solo una cagna. Una cagna che vuole essere usata.”
La voce le morì in gola.
Il cuore batteva forte.
Era in piedi, sudata, eccitata, umiliata.
Non c’era nessuno nella stanza, eppure si sentiva posseduta dagli occhi di una Padrona invisibile.
Come se qualcuno la stesse osservando.
E poi lo fece.
Con lentezza, abbassò le mutandine.
Se le tolse. Le baciò.
Le infilò tra le labbra. Non quelle della bocca. Quelle di sotto.
E rimase ferma, in silenzio. A tremare.
Aveva voglia di leccarsi. Di assaggiarsi.
Di inginocchiarsi lì sul pavimento freddo, come una serva inutile.
E offrire tutto di sé, anche il suo sudore, anche la sua vergogna.
Perché Rita non era nata per comandare.
Era nata per servire.
Nessuno doveva vederla. Nessuno doveva sapere.
Eppure, dentro di lei, qualcosa urlava di essere guardato.
Aveva scelto quelle mutandine nere, strette, di pizzo.
Le aveva annusate prima di indossarle, tremando.
Erano un simbolo. Una condanna. Un piacere segreto.
Si era messa di fronte allo specchio.
Spalle larghe, carne esposta, la luce fioca del mattino che filtrava dalla finestra.
E lì, guardandosi, non era più Carmine.
Era solo Rita.
Sporca. Umile. Ridicola e fiera.
Si girò lentamente, voltò la schiena allo specchio.
Voleva vedere il suo culo.
Voleva sapere quanto faceva schifo.
Voleva sentirsi piccola, femmina, sottomessa.
Le mutandine si infilavano tra le natiche, segnando la pelle morbida.
Le sue mani tremanti scesero sui fianchi, sfiorando quella stoffa delicata.
E allora lo sussurrò:
— “Guardami… sono solo una cagna. Una cagna che vuole essere usata.”
La voce le morì in gola.
Il cuore batteva forte.
Era in piedi, sudata, eccitata, umiliata.
Non c’era nessuno nella stanza, eppure si sentiva posseduta dagli occhi di una Padrona invisibile.
Come se qualcuno la stesse osservando.
E poi lo fece.
Con lentezza, abbassò le mutandine.
Se le tolse. Le baciò.
Le infilò tra le labbra. Non quelle della bocca. Quelle di sotto.
E rimase ferma, in silenzio. A tremare.
Aveva voglia di leccarsi. Di assaggiarsi.
Di inginocchiarsi lì sul pavimento freddo, come una serva inutile.
E offrire tutto di sé, anche il suo sudore, anche la sua vergogna.
Perché Rita non era nata per comandare.
Era nata per servire.
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