Nascita di una famiglia incestuosa Cap. 1
di
Piggy 4
genere
incesti
Capitolo 1
-Cara, dove hai messo il mio accappatoio?-
-E’ fuori ad asciugare, tesoro-
-Perché non me lo hai detto prima che entrassi in bagno a farmi la doccia?-
-Pensavo avresti notato che non c’era appeso al muro, scusa-
-Va bene, non è la fine del mondo…io però adesso come esco senza bagnare a terra?-
-Papà, se vuoi usa il mio, dovrebbe essere lì appeso- - intervenne Giulia, mia figlia, che passava davanti la porta del bagno
-Ecco, tieni- - fece lei porgendomi il suo accappatoio una volta entrata in bagno
-Grazie amore, la prossima volta starò attento a controllare che ci sia il mio prima di entrare in doccia-
-Oh dai papà, come se ci fosse qualche problema per me che tu usi la mia roba- - ammiccò lei strizzandomi l’occhio
-Eh eh lo so-
Era l’inizio di una delle giornate tipo della mia famiglia. Sveglia, doccia, colazione e poi a lavoro. Non mi sono mai lamentato della mia vita, e d’altronde non ne avrei avuto i motivi, ma se penso a com’era prima di incontrare Laura, mia moglie, mi vengono i brividi solo a pensarci.
Avevo compiuto da poco 18 anni, ed ero reduce da una delle esperienze di vita più forti che esistano, di quelle che non augureresti mai a nessuno, la perdita dei miei genitori in un incidente. Fu un evento che mi tolse tutte le certezze che avevo fino allora. Di colpo mi ero trovato solo, a vivere con i miei nonni materni e con la scuola ancora da finire. L’unico briciolo di fortuna era che mancavano solo 4 mesi al termine della scuola e avrei preso la maturità, così poi avrei cercato un lavoro e avrei cercato di andare avanti con la mia vita, altrimenti fossi stato più piccolo non so se sarei riuscito a reagire dopo quella notizia.
Ai più potrebbe sembrare strano che mia figlia entrasse in bagno mentre mi stavo facendo la doccia e ammiccasse accennando a certi non precisati eventi occorsi tra noi in passato in questo modo, ma è qualcosa che se ci penso bene tiene unita la nostra famiglia ancora di più. E tutto iniziò quando incontrai Laura. Dopo la scuola mi cercai subito qualcosa da fare, per iniziare anche un lavoretto estivo mi sarebbe andato bene, ma volevo far fruttare sin da subito il diploma da perito informatico che avevo appena conseguito. Così mi recai alla sede di una delle aziende di automazione della città per lasciare un mio curriculum, sebbene non credevo che mai mi avrebbero preso così presto. Fu quindi già una sorpresa quando il giorno dopo mi chiamarono per un colloquio e ancor di più quando una settimana dopo mi comunicarono di volermi assumere in apprendistato. Ero felicissimo, potevo iniziare già a mettere in pratica ciò che avevo imparato a scuola grazie ad una convenzione che il titolare dell’azienda aveva fatto con il comune dalla mia città, con il quale si impegnava a valutare le capacità dei giovani usciti dalle scuole permettendo loro di imparare da persone con più esperienza.
Ero stato affiancato ad uno degli impiegati, Marco, un uomo sulla cinquantina, semi-brizzolato, fisico asciutto e un modo di fare complessivamente molto più giovanile dell’età che aveva. Andavamo molto d’accordo, e mi aveva insegnato tante cose riguardo al lavoro, per le quali gli sono sempre stato grato.
-Un giorno mi piacerebbe offrirti una cena, a te e alla tua famiglia. Devo sdebitarmi in qualche modo dell’aiuto che mi stai dando- gli dissi un giorno.
-Io ti ringrazio, ma sai, non c’è bisogno. Lo sai che l’ho sempre fatto volentieri. Alla tua età ho dovuto imparare tutto da solo e avrei apprezzato molto se ci fosse stato qualcuno che mi avesse insegnato il mestiere, per cui è un piacere per me-
-Grazie. Beh comunque se il capo decide di assumermi definitivamente considerati invitato. Ci tengo-
-E va bene testa dura. Lo sai, i tuoi genitori sarebbero orgogliosi di te-
-Già…chissà! Sai, penso ancora spesso a loro, anche se è passato quasi un anno. Mi mancano molto.-
-E’ normale che sia così. Ma vedrai che il tempo chiuderà queste tue ferite. Non dico che le guarirà perché non voglio illuderti, so bene che non è così. La cicatrice rimarrà sempre lì, a ricordarti dei bei tempi passati insieme a loro. Sai, anche io ho perso i miei genitori molto presto.-
-Davvero? Non me l’avevi mai detto prima-
-Sì, mio padre lavorava come cavatore in una cava di marmo. Era un gran lavoratore, sai, dopo la guerra c’era bisogno di ricostruire e lui dopo aver combattuto al fronte per due anni veniva visto con un occhio di riguardo dalle imprese che man mano nascevano. Così trovò subito questo lavoro, anche perché aveva un fisico atletico, adatto a trasportare carichi e fare lavori pesanti. Si spezzò la schiena per più di 10 anni senza pensare ad altro. Infatti conobbe mia madre abbastanza tardi, lavorava già da 5 anni. Era il 1951 e mio padre aveva 26 anni ma nonostante le cose andassero bene tra loro lui non ne volle sapere di sposarla. Doveva mettere ancora qualcosa da parte, diceva, affinché i suoi figli non patissero gli stenti che aveva affrontato lui. Mia madre lo amava molto, e accettò suo malgrado quella situazione, sebbene erano tempi in cui una donna della sua età non ancora maritata era oggetto di pettegolezzi. Nel 1956 finalmente mio padre si decise a chiederla in sposa, ed ebbero 5 figli, di cui io sono l’ultimo nato. Quando nacqui io mio padre era già abbastanza avanti con l’età per i canoni dell’epoca, aveva 44 anni. Forse nemmeno lui aveva programmato di avere 5 figli quindi non smise mai di lavorare, ma l’età avanzava e lui quel lavoro di cavatore non riusciva a farlo come aveva sempre fatto prima. Gli dicevamo di cercarsi un lavoro più tranquillo per il suo fisico ma lui era un uomo d’altri tempi. Era severo, autoritario e se diceva che quello era l’unico mestiere che sapeva fare non c’era verso di fargli cambiare idea. Ma questo errore gli fu fatale. Era il 1979, ed era il giorno del mio decimo compleanno. Non posso mai dimenticare quel giorno. Di solito ad ogni mio compleanno o a quello dei miei fratelli riusciva a chiedere una mezza giornata di permesso per festeggiare insieme. Quella mattina andò a lavorare, ma dopo pranzo attendemmo che rincasasse per più di due ore invano. Mia madre cercava di rassicurarci dicendoci che probabilmente doveva esserci stato un contrattempo al lavoro e l’avevano trattenuto. Era già capitato altre volte, e non esistendo i telefoni cellulari non poteva avvertirci dalla cava. Dopo aver atteso due ore, arrivò la telefonata. “Ecco vostro padre” disse mia madre, sollevata, perché anche se cercava di nasconderlo capivamo benissimo che in realtà non era tranquilla. E invece non era lui. Era il suo capo che ci avvertiva che mio padre aveva avuto un malore, che avevano tentato di rianimarlo, che avevano chiamato un’ambulanza ma il tragitto tra la cava e l’ospedale più vicino era di circa mezzora, per cui era arrivato in ospedale un’ora dopo il suo malore in coma. Circa un’ora dopo era deceduto. I medici dissero che si era trattato di un infarto dovuto alla troppa fatica fisica. Fu straziante per tutti noi, specialmente per mia madre-
-Mi dispiace tanto, è una storia molto triste. Eri anche più piccolo di me e avevi già dovuto affrontare una cosa così devastante. Ma mi chiedo se il suo capo non potesse evitare di farlo sforzare in quella maniera, data la sua età-
-E’ quello che pensammo anche noi dopo il suo decesso. Avevamo pensato di fargli causa, ma avendo anche per testimoni i colleghi di mio padre capimmo che non fu colpa sua. Che anzi, lui aveva cercato di farlo smettere, ma mio padre, orgoglioso com’era, diceva che si sarebbe sentito un fallito. Che nessuno avrebbe preso un uomo di 54 anni senza forze con una famiglia e 5 figli da sfamare, e che anche l’avessero fatto non credeva di poter imparare un altro mestiere. Fu lui ad obbligarsi ad andare avanti e capimmo che nessuno avrebbe potuto farlo desistere da questa sua convinzione-
-Ma tu eri solo un bambino, cosa ricordi di tuo padre?-
-Beh, come ti ho accennato prima lui era un uomo d’altri tempi, molto austero e serio, però ricordo che con noi bambini ci giocava volentieri. Ricordo quando mi portava al parco ad insegnarmi a portare la bicicletta, quando mi comprava il gelato. E non ci ha mai fatto mancare niente.-
-E tua madre? Hai detto che hai perso anche lei da giovane-
-Sì, fu una conseguenza della morte di mio padre. Mia madre cadde in depressione perché non lavorava e aveva 4 figli da sfamare. Solo Luca, mio fratello più grande che aveva 23 anni aveva già trovato un lavoro stabile, ma noi altri dipendevamo ancora in tutto e per tutto da mia madre. Il conto in banca per quanto bastasse per tirare avanti per un po’ non sarebbe stato infinito e bisognava trovare una soluzione, anche se mio fratello Luca cercava di aiutarla, ma ormai aveva una compagna e viveva con lei per conto suo e più di tanto non poteva fare. Sai, anche per lei a 54 anni e non avendo mai lavorato in vita sua è stato difficile trovare un lavoro. Per alcuni mesi si alternava tra cucinare per una mensa scolastica e rammendare vestiti in casa. Era ciò che sapeva fare ma tutto ciò la portò a stare quasi sempre fuori casa, e presto cadde in depressione. Non avevamo altra famiglia oltre lei per cui prese una decisione difficile, quella di mandarci in una casa famiglia. Noi non fummo contenti ma capimmo la sua decisione. Ma questo la faceva stare male ancor di più, e a poco a poco si lasciò andare. Morì nel giro di un anno. I miei fratelli restarono nella casa famiglia dove tutto sommato si trovavano bene, anche perché erano abbastanza grandi da non dover essere adottati, nel giro di 2 o 3 anni tutti loro avrebbero raggiunto la maggiore età e avrebbero iniziato a vivere per conto proprio. Io che ero il più piccolo, non avendo ancora 14 anni, ero destinato ad essere adottato da una famiglia ma la cosa non mi piaceva. Così mio fratello Luca decise di accogliermi in casa sua, e ci sono rimasto fino ai miei 18 anni, quando poi, preso lo stesso diploma che hai preso tu, venni assunto in questa azienda. Poi ho conosciuto mia moglie…e il resto lo conosci-
-Caspita che storia triste. Questo mi fa rivalutare un po’ la mia situazione. Non ho fratelli o sorelle e almeno ho l’appoggio dei nonni su cui contare-
-Per quel che vale hai anche il mio di appoggio, per quanto mi sarà possibile-
-Sul serio? Ti ringrazio tanto, sei una brava persona e non dimenticherò ciò che stai facendo per me-
Quel discorso lo ricordo sempre con piacere. Anche se si parlava di cose tristi funzionò un po’ da collante tra me e Marco. Dopo di quella sera diventammo sempre più amici e una volta mi invitò a cena da lui con la sua famiglia. Mi aveva anticipato, di lì a poco sarei stato assunto in maniera definitiva e lo avrei fatto io. E fu lì che incontrai sua figlia, Laura, colei che oggi è il faro che illumina la mia esistenza. Mia moglie.
-Cara, dove hai messo il mio accappatoio?-
-E’ fuori ad asciugare, tesoro-
-Perché non me lo hai detto prima che entrassi in bagno a farmi la doccia?-
-Pensavo avresti notato che non c’era appeso al muro, scusa-
-Va bene, non è la fine del mondo…io però adesso come esco senza bagnare a terra?-
-Papà, se vuoi usa il mio, dovrebbe essere lì appeso- - intervenne Giulia, mia figlia, che passava davanti la porta del bagno
-Ecco, tieni- - fece lei porgendomi il suo accappatoio una volta entrata in bagno
-Grazie amore, la prossima volta starò attento a controllare che ci sia il mio prima di entrare in doccia-
-Oh dai papà, come se ci fosse qualche problema per me che tu usi la mia roba- - ammiccò lei strizzandomi l’occhio
-Eh eh lo so-
Era l’inizio di una delle giornate tipo della mia famiglia. Sveglia, doccia, colazione e poi a lavoro. Non mi sono mai lamentato della mia vita, e d’altronde non ne avrei avuto i motivi, ma se penso a com’era prima di incontrare Laura, mia moglie, mi vengono i brividi solo a pensarci.
Avevo compiuto da poco 18 anni, ed ero reduce da una delle esperienze di vita più forti che esistano, di quelle che non augureresti mai a nessuno, la perdita dei miei genitori in un incidente. Fu un evento che mi tolse tutte le certezze che avevo fino allora. Di colpo mi ero trovato solo, a vivere con i miei nonni materni e con la scuola ancora da finire. L’unico briciolo di fortuna era che mancavano solo 4 mesi al termine della scuola e avrei preso la maturità, così poi avrei cercato un lavoro e avrei cercato di andare avanti con la mia vita, altrimenti fossi stato più piccolo non so se sarei riuscito a reagire dopo quella notizia.
Ai più potrebbe sembrare strano che mia figlia entrasse in bagno mentre mi stavo facendo la doccia e ammiccasse accennando a certi non precisati eventi occorsi tra noi in passato in questo modo, ma è qualcosa che se ci penso bene tiene unita la nostra famiglia ancora di più. E tutto iniziò quando incontrai Laura. Dopo la scuola mi cercai subito qualcosa da fare, per iniziare anche un lavoretto estivo mi sarebbe andato bene, ma volevo far fruttare sin da subito il diploma da perito informatico che avevo appena conseguito. Così mi recai alla sede di una delle aziende di automazione della città per lasciare un mio curriculum, sebbene non credevo che mai mi avrebbero preso così presto. Fu quindi già una sorpresa quando il giorno dopo mi chiamarono per un colloquio e ancor di più quando una settimana dopo mi comunicarono di volermi assumere in apprendistato. Ero felicissimo, potevo iniziare già a mettere in pratica ciò che avevo imparato a scuola grazie ad una convenzione che il titolare dell’azienda aveva fatto con il comune dalla mia città, con il quale si impegnava a valutare le capacità dei giovani usciti dalle scuole permettendo loro di imparare da persone con più esperienza.
Ero stato affiancato ad uno degli impiegati, Marco, un uomo sulla cinquantina, semi-brizzolato, fisico asciutto e un modo di fare complessivamente molto più giovanile dell’età che aveva. Andavamo molto d’accordo, e mi aveva insegnato tante cose riguardo al lavoro, per le quali gli sono sempre stato grato.
-Un giorno mi piacerebbe offrirti una cena, a te e alla tua famiglia. Devo sdebitarmi in qualche modo dell’aiuto che mi stai dando- gli dissi un giorno.
-Io ti ringrazio, ma sai, non c’è bisogno. Lo sai che l’ho sempre fatto volentieri. Alla tua età ho dovuto imparare tutto da solo e avrei apprezzato molto se ci fosse stato qualcuno che mi avesse insegnato il mestiere, per cui è un piacere per me-
-Grazie. Beh comunque se il capo decide di assumermi definitivamente considerati invitato. Ci tengo-
-E va bene testa dura. Lo sai, i tuoi genitori sarebbero orgogliosi di te-
-Già…chissà! Sai, penso ancora spesso a loro, anche se è passato quasi un anno. Mi mancano molto.-
-E’ normale che sia così. Ma vedrai che il tempo chiuderà queste tue ferite. Non dico che le guarirà perché non voglio illuderti, so bene che non è così. La cicatrice rimarrà sempre lì, a ricordarti dei bei tempi passati insieme a loro. Sai, anche io ho perso i miei genitori molto presto.-
-Davvero? Non me l’avevi mai detto prima-
-Sì, mio padre lavorava come cavatore in una cava di marmo. Era un gran lavoratore, sai, dopo la guerra c’era bisogno di ricostruire e lui dopo aver combattuto al fronte per due anni veniva visto con un occhio di riguardo dalle imprese che man mano nascevano. Così trovò subito questo lavoro, anche perché aveva un fisico atletico, adatto a trasportare carichi e fare lavori pesanti. Si spezzò la schiena per più di 10 anni senza pensare ad altro. Infatti conobbe mia madre abbastanza tardi, lavorava già da 5 anni. Era il 1951 e mio padre aveva 26 anni ma nonostante le cose andassero bene tra loro lui non ne volle sapere di sposarla. Doveva mettere ancora qualcosa da parte, diceva, affinché i suoi figli non patissero gli stenti che aveva affrontato lui. Mia madre lo amava molto, e accettò suo malgrado quella situazione, sebbene erano tempi in cui una donna della sua età non ancora maritata era oggetto di pettegolezzi. Nel 1956 finalmente mio padre si decise a chiederla in sposa, ed ebbero 5 figli, di cui io sono l’ultimo nato. Quando nacqui io mio padre era già abbastanza avanti con l’età per i canoni dell’epoca, aveva 44 anni. Forse nemmeno lui aveva programmato di avere 5 figli quindi non smise mai di lavorare, ma l’età avanzava e lui quel lavoro di cavatore non riusciva a farlo come aveva sempre fatto prima. Gli dicevamo di cercarsi un lavoro più tranquillo per il suo fisico ma lui era un uomo d’altri tempi. Era severo, autoritario e se diceva che quello era l’unico mestiere che sapeva fare non c’era verso di fargli cambiare idea. Ma questo errore gli fu fatale. Era il 1979, ed era il giorno del mio decimo compleanno. Non posso mai dimenticare quel giorno. Di solito ad ogni mio compleanno o a quello dei miei fratelli riusciva a chiedere una mezza giornata di permesso per festeggiare insieme. Quella mattina andò a lavorare, ma dopo pranzo attendemmo che rincasasse per più di due ore invano. Mia madre cercava di rassicurarci dicendoci che probabilmente doveva esserci stato un contrattempo al lavoro e l’avevano trattenuto. Era già capitato altre volte, e non esistendo i telefoni cellulari non poteva avvertirci dalla cava. Dopo aver atteso due ore, arrivò la telefonata. “Ecco vostro padre” disse mia madre, sollevata, perché anche se cercava di nasconderlo capivamo benissimo che in realtà non era tranquilla. E invece non era lui. Era il suo capo che ci avvertiva che mio padre aveva avuto un malore, che avevano tentato di rianimarlo, che avevano chiamato un’ambulanza ma il tragitto tra la cava e l’ospedale più vicino era di circa mezzora, per cui era arrivato in ospedale un’ora dopo il suo malore in coma. Circa un’ora dopo era deceduto. I medici dissero che si era trattato di un infarto dovuto alla troppa fatica fisica. Fu straziante per tutti noi, specialmente per mia madre-
-Mi dispiace tanto, è una storia molto triste. Eri anche più piccolo di me e avevi già dovuto affrontare una cosa così devastante. Ma mi chiedo se il suo capo non potesse evitare di farlo sforzare in quella maniera, data la sua età-
-E’ quello che pensammo anche noi dopo il suo decesso. Avevamo pensato di fargli causa, ma avendo anche per testimoni i colleghi di mio padre capimmo che non fu colpa sua. Che anzi, lui aveva cercato di farlo smettere, ma mio padre, orgoglioso com’era, diceva che si sarebbe sentito un fallito. Che nessuno avrebbe preso un uomo di 54 anni senza forze con una famiglia e 5 figli da sfamare, e che anche l’avessero fatto non credeva di poter imparare un altro mestiere. Fu lui ad obbligarsi ad andare avanti e capimmo che nessuno avrebbe potuto farlo desistere da questa sua convinzione-
-Ma tu eri solo un bambino, cosa ricordi di tuo padre?-
-Beh, come ti ho accennato prima lui era un uomo d’altri tempi, molto austero e serio, però ricordo che con noi bambini ci giocava volentieri. Ricordo quando mi portava al parco ad insegnarmi a portare la bicicletta, quando mi comprava il gelato. E non ci ha mai fatto mancare niente.-
-E tua madre? Hai detto che hai perso anche lei da giovane-
-Sì, fu una conseguenza della morte di mio padre. Mia madre cadde in depressione perché non lavorava e aveva 4 figli da sfamare. Solo Luca, mio fratello più grande che aveva 23 anni aveva già trovato un lavoro stabile, ma noi altri dipendevamo ancora in tutto e per tutto da mia madre. Il conto in banca per quanto bastasse per tirare avanti per un po’ non sarebbe stato infinito e bisognava trovare una soluzione, anche se mio fratello Luca cercava di aiutarla, ma ormai aveva una compagna e viveva con lei per conto suo e più di tanto non poteva fare. Sai, anche per lei a 54 anni e non avendo mai lavorato in vita sua è stato difficile trovare un lavoro. Per alcuni mesi si alternava tra cucinare per una mensa scolastica e rammendare vestiti in casa. Era ciò che sapeva fare ma tutto ciò la portò a stare quasi sempre fuori casa, e presto cadde in depressione. Non avevamo altra famiglia oltre lei per cui prese una decisione difficile, quella di mandarci in una casa famiglia. Noi non fummo contenti ma capimmo la sua decisione. Ma questo la faceva stare male ancor di più, e a poco a poco si lasciò andare. Morì nel giro di un anno. I miei fratelli restarono nella casa famiglia dove tutto sommato si trovavano bene, anche perché erano abbastanza grandi da non dover essere adottati, nel giro di 2 o 3 anni tutti loro avrebbero raggiunto la maggiore età e avrebbero iniziato a vivere per conto proprio. Io che ero il più piccolo, non avendo ancora 14 anni, ero destinato ad essere adottato da una famiglia ma la cosa non mi piaceva. Così mio fratello Luca decise di accogliermi in casa sua, e ci sono rimasto fino ai miei 18 anni, quando poi, preso lo stesso diploma che hai preso tu, venni assunto in questa azienda. Poi ho conosciuto mia moglie…e il resto lo conosci-
-Caspita che storia triste. Questo mi fa rivalutare un po’ la mia situazione. Non ho fratelli o sorelle e almeno ho l’appoggio dei nonni su cui contare-
-Per quel che vale hai anche il mio di appoggio, per quanto mi sarà possibile-
-Sul serio? Ti ringrazio tanto, sei una brava persona e non dimenticherò ciò che stai facendo per me-
Quel discorso lo ricordo sempre con piacere. Anche se si parlava di cose tristi funzionò un po’ da collante tra me e Marco. Dopo di quella sera diventammo sempre più amici e una volta mi invitò a cena da lui con la sua famiglia. Mi aveva anticipato, di lì a poco sarei stato assunto in maniera definitiva e lo avrei fatto io. E fu lì che incontrai sua figlia, Laura, colei che oggi è il faro che illumina la mia esistenza. Mia moglie.
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