+grandi
di
Dora
genere
sentimentali
Vorrei non desiderare le attenzioni degli uomini più grandi ma è quello che ho fatto entrando al circolo Arci.
Sudaticcia
perché in preda a un movimento concitato
perché in ritardo
perché non trovavo parcheggio,
ho incrociato qualche sguardo, mi sono chiesta se qualcuno mi trovasse carina.
Ho smesso di pensarci, mi sono concentrata sulla presentazione del libro, si parlava di sostanze stupefacenti e riduzione del danno e controculture. Anche se ero sola
anche se tutto ciò che vedevo era un pilastro e il via vai dalla porta del bagno
mi sentivo intellettualmente a casa. Ero tra la mia gente,
ma potevo davvero dirmi “alternativa” vestita così? Camicetta e maglione azzurri, pantaloni in velluto a coste gialli, cappotto lungo.
Non la classica gotica culona, non una raver,
David Byrne con la seconda di reggiseno? Sono quel tipo di stramba, credo. Il lato abissale, dark, non me l’ero portato addosso quella sera, neanche un po’ di matita sugli occhi.
Alcuni tabagisti sono usciti fuori. Ho trovato una sedia. Ho visto l’autore e il suo sorriso, gli occhi scuri, i capelli neri un po’ grigi. Ho visto almeno altri due uomini tra i 28 e i 45 che trovavo attraenti. E ascoltavo lo scrittore parlare delle sostanze, di un approccio non giudicante e proibizionista, che può aiutare molto più di quello che abbiamo già.
Il tema mi interessava già da prima, in quel momento mi affascinava molto anche lui.
Ed è quello che non vorrei:
ammirare la sicurezza e la disinvoltura nel parlare in pubblico, la consapevolezza della propria esperienza, l’esperienza stessa;
il desiderio di condivisione, di rassicurazione, di confronto;
mi fanno pensare “forse ho un problema con la figura paterna”, ai discorsi delle mie amiche sul fatto “che se un uomo va con le ragazzine c’è qualcosa che non va in lui”, di conseguenza c’è qualcosa che non va anche in me, perché non potrei mai avere una relazione normale da ventenne con qualcuno tra i 30 e i 40.
Mi dico che per gli uomini sono solo la ragazzina con un corpo nel pieno della sua vitalità con cui avere un’avventura. Una ragazzina che per puro se passano i B52’s alla radio li riconosce pure lei e puoi farle i complimenti per la cultura musicale.
Eppure nelle viscere sento il desiderio di una persona rassicurante, con le mani grandi sui miei fianchi. Mi piace sentirmi piccola, non per sminuirmi. Essere piccola mi dà la possibilità di essere grande. Di essere sensibile, impulsiva, responsabile, dionisiaca, illuminata, perversa e anche pura. Vuol dire far pesare la mia moltitudine sui palmi di quelle mani?
E poi mi piacciono le gratificazioni e i nomignoli. “Brava, sei brava”. Mi piacciono le dita in bocca da succhiare avidamente.
Mi piacerebbe trovare la stessa devozione anche nei miei confronti.
E a quel punto condividere canzoni e film. Tornare a disegnare e tracciare linee del suo corpo nudo. Cantare, andare ai concerti, passeggiare, bere birra, andare all’Arci e nei centri sociali. Ridere tanto di un umorismo solo nostro. Inventare storie e fargli leggere le mie poesie. Ascoltare pensieri e idee e angosce reciproche. Abbracciarsi stretti stretti nei giorni tristi.
Sentire ancora carezze sulle cosce e sussurri rassicuranti, mi dicono di fare piano, mentre sopra di lui accolgo lentamente il suo cazzo dentro di me.
Forse il focus non è davvero l’età, forse si tratta di altre mille caratteristiche e atteggiamenti, qualcosa che può avere anche qualcuno che ha due o tre anni più di me.
Il problema sono io, perché mi piacciono le attenzioni, mi piace il sesso e non mi vergogno quasi più a parlarne in gruppo, con gli amici, con i conoscenti a volte.
Il problema è che mi piacciono i vagabondi che vanno in giro per il mondo ma io sto ferma qui.
Il problema è che non mi piace il coinquilino del mio migliore amico. Un caro ragazzo, un aspirante cantautore. Logorroico ma dolce. Eppure quel qualcosa dentro non fa click.
«Dopo questi discorsi sento che non avrò il coraggio di parlare con una ragazza per un po’»
«Tranquillo, non sono tutte come me, io sono una delle peggiori».
I miei amici lo sanno, rigo dritto, basta ragazzi almeno fino a maggio. Mi concentro sullo studio. Mi masturbo quando la voglia è forte. Sempre furtivamente, sul letto in mezzo ai libri, vestita, con la mano nelle mutandine. Masturbazioni d’impeto, senza mai il tempo e la privacy per spogliarsi e accarezzarsi per intero.
Ho perfino il lusso di scordarmi delle mestruazioni, di non controllare quando verranno perché comunque verranno. E allora non mi spiego il cattivo umore, la malinconia, Elliott Smith, “I Don’t Belong” dei Fontains D.C.
Non mi spiego perché non sopporto i miei amici che cantano ubriachi, perché continuo ad avere maledetti desideri di intimità, perché mi imbambolo a guardare ragazzi con i baffi o uomini inglesi in vacanza seduti a bere.
E quando torno a casa, appena all’una, salutando gli altri in anticipo perché “non mi sto sopportando”, spero che la spiegazione sia quel sangue viscoso e scuro che vedo sulle mutandine e non il sacco di ciarpame e insicurezze che mi trascino appresso, non il fatto che continuo a sperare di trovare l’amore all’Arci...
Sudaticcia
perché in preda a un movimento concitato
perché in ritardo
perché non trovavo parcheggio,
ho incrociato qualche sguardo, mi sono chiesta se qualcuno mi trovasse carina.
Ho smesso di pensarci, mi sono concentrata sulla presentazione del libro, si parlava di sostanze stupefacenti e riduzione del danno e controculture. Anche se ero sola
anche se tutto ciò che vedevo era un pilastro e il via vai dalla porta del bagno
mi sentivo intellettualmente a casa. Ero tra la mia gente,
ma potevo davvero dirmi “alternativa” vestita così? Camicetta e maglione azzurri, pantaloni in velluto a coste gialli, cappotto lungo.
Non la classica gotica culona, non una raver,
David Byrne con la seconda di reggiseno? Sono quel tipo di stramba, credo. Il lato abissale, dark, non me l’ero portato addosso quella sera, neanche un po’ di matita sugli occhi.
Alcuni tabagisti sono usciti fuori. Ho trovato una sedia. Ho visto l’autore e il suo sorriso, gli occhi scuri, i capelli neri un po’ grigi. Ho visto almeno altri due uomini tra i 28 e i 45 che trovavo attraenti. E ascoltavo lo scrittore parlare delle sostanze, di un approccio non giudicante e proibizionista, che può aiutare molto più di quello che abbiamo già.
Il tema mi interessava già da prima, in quel momento mi affascinava molto anche lui.
Ed è quello che non vorrei:
ammirare la sicurezza e la disinvoltura nel parlare in pubblico, la consapevolezza della propria esperienza, l’esperienza stessa;
il desiderio di condivisione, di rassicurazione, di confronto;
mi fanno pensare “forse ho un problema con la figura paterna”, ai discorsi delle mie amiche sul fatto “che se un uomo va con le ragazzine c’è qualcosa che non va in lui”, di conseguenza c’è qualcosa che non va anche in me, perché non potrei mai avere una relazione normale da ventenne con qualcuno tra i 30 e i 40.
Mi dico che per gli uomini sono solo la ragazzina con un corpo nel pieno della sua vitalità con cui avere un’avventura. Una ragazzina che per puro se passano i B52’s alla radio li riconosce pure lei e puoi farle i complimenti per la cultura musicale.
Eppure nelle viscere sento il desiderio di una persona rassicurante, con le mani grandi sui miei fianchi. Mi piace sentirmi piccola, non per sminuirmi. Essere piccola mi dà la possibilità di essere grande. Di essere sensibile, impulsiva, responsabile, dionisiaca, illuminata, perversa e anche pura. Vuol dire far pesare la mia moltitudine sui palmi di quelle mani?
E poi mi piacciono le gratificazioni e i nomignoli. “Brava, sei brava”. Mi piacciono le dita in bocca da succhiare avidamente.
Mi piacerebbe trovare la stessa devozione anche nei miei confronti.
E a quel punto condividere canzoni e film. Tornare a disegnare e tracciare linee del suo corpo nudo. Cantare, andare ai concerti, passeggiare, bere birra, andare all’Arci e nei centri sociali. Ridere tanto di un umorismo solo nostro. Inventare storie e fargli leggere le mie poesie. Ascoltare pensieri e idee e angosce reciproche. Abbracciarsi stretti stretti nei giorni tristi.
Sentire ancora carezze sulle cosce e sussurri rassicuranti, mi dicono di fare piano, mentre sopra di lui accolgo lentamente il suo cazzo dentro di me.
Forse il focus non è davvero l’età, forse si tratta di altre mille caratteristiche e atteggiamenti, qualcosa che può avere anche qualcuno che ha due o tre anni più di me.
Il problema sono io, perché mi piacciono le attenzioni, mi piace il sesso e non mi vergogno quasi più a parlarne in gruppo, con gli amici, con i conoscenti a volte.
Il problema è che mi piacciono i vagabondi che vanno in giro per il mondo ma io sto ferma qui.
Il problema è che non mi piace il coinquilino del mio migliore amico. Un caro ragazzo, un aspirante cantautore. Logorroico ma dolce. Eppure quel qualcosa dentro non fa click.
«Dopo questi discorsi sento che non avrò il coraggio di parlare con una ragazza per un po’»
«Tranquillo, non sono tutte come me, io sono una delle peggiori».
I miei amici lo sanno, rigo dritto, basta ragazzi almeno fino a maggio. Mi concentro sullo studio. Mi masturbo quando la voglia è forte. Sempre furtivamente, sul letto in mezzo ai libri, vestita, con la mano nelle mutandine. Masturbazioni d’impeto, senza mai il tempo e la privacy per spogliarsi e accarezzarsi per intero.
Ho perfino il lusso di scordarmi delle mestruazioni, di non controllare quando verranno perché comunque verranno. E allora non mi spiego il cattivo umore, la malinconia, Elliott Smith, “I Don’t Belong” dei Fontains D.C.
Non mi spiego perché non sopporto i miei amici che cantano ubriachi, perché continuo ad avere maledetti desideri di intimità, perché mi imbambolo a guardare ragazzi con i baffi o uomini inglesi in vacanza seduti a bere.
E quando torno a casa, appena all’una, salutando gli altri in anticipo perché “non mi sto sopportando”, spero che la spiegazione sia quel sangue viscoso e scuro che vedo sulle mutandine e non il sacco di ciarpame e insicurezze che mi trascino appresso, non il fatto che continuo a sperare di trovare l’amore all’Arci...
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