Un fine settimana a Venezia, ovvero un braccialetto di agata.

Scritto da , il 2022-09-02, genere etero

Sono nuda e distesa davanti allo specchio. Nuda e in calore. Mio marito mi ha appena scopata. Appena... una decina di minuti fa. Sto ancora finendo di riprendermi, ma il mio pensiero sta lì, sempre di più. Dovremmo già esser fuori a cercare fra i ristoranti quello che ci ispira di più. Dobbiamo pur nutrirci, fra una scopata e l'altra, dopo aver girato per tutta la mattina e fino a metà pomeriggio per le strette calli, quelle non frequentate dalla folla. Era stato bello quando mi ha infilata in un andito e mi ha sgrillettata: una mano sulla bocca e due dita sulla figa. Era un pezzo che mi strusciavo su di lui che faceva l'indifferente. Ma alla fine la differenza l'ho fatta io.
Mi alzo e mi guardo. Penso a che cosa indossare, lui è in bagno a lavarsi i capelli. Sì, i capelli, mica l'uccello che mi ha trapanata poco fa. Lo sa, mi piace nature, soprattutto dopo che abbiamo scopato. No, sempre e tanto. Guardo i miei piercing. Rifletto sulla mia immagine riflessa. È il compleanno di mio marito. Un fine settimana lungo a Venezia, come nei sogni di due innamoratini. Ah, sì! Innamorati lo siamo e lo lasciamo vedere. Ci facciamo invidiare. Dopo dieci anni di matrimonio, uno abbondante di convivenza, quasi due di “fidanzamento” dopo che da quasi tre ci conoscevamo (e scopavamo tutte le volte che c'incontravamo), la nostra unione continua a fiorire. Anche ciò che potrebbe sembrare scontato riesce ad essere un'emozione. Non che sia tutto una fiaba: i problemi e le incomprensioni ci sono anche nella vita quotidiana. Penso che sono la sua troia. Guardo nel borsone cosa mettermi addosso. Non che mi sia portata dietro un guardaroba, si tratta soltanto di tre giorni di chiese e musei, di palazzi e di canali. E sesso, ma questo non è una variazione al ritmo quotidiano. Però un po' di scelta c'è, quattro cose sportive, nulla di elegante. Non mi va di girare coi tacchi alti per calli, campielli, salizade, sotoporteghi e ponti. Presto o tardi finirei in un canale. Presto piuttosto che tardi. Ma non ho pensato a qualcosa per compiacerlo: a lui piacciono le donne un po' esibizioniste (“È per questo che mi piaci tanto”). È stato lui che mi ha strappato via di dosso tutte le inibizioni e mi ha messo di fronte a ciò che non sapevo di essere, nonostante tutto. E allora... può andar bene la gonna viola, corta e ampia, col top rosa che mi lascia scoperto l'ombelico; un paio di infradito. Ma voglio il tocco speciale, l'idea. Provo. Prendo il braccialetto di agata e lo appendo al piercing del clitoride. Appena lo lascio pendere sento una trazione evidente e leggermente fastidiosa. Decisamente positiva: farei già a meno di cenare, nonostante l'appetito, perché un diverso appetito mi riporta a quando, poco fa, ero a novanta a subire i suoi graditi inesorabili squassanti assalti. Comunque faccio a tempo ad occultare questo piccolo segreto prima che lui torni in camera. Mi basta fare i tre passi per indossare i sandali per capire che gli ci vorrà poco per scoprirlo, questo mio segreto. Lo scoprirà e se ne approfitterà di certo. Giocherà con me come il gatto col topo. Qualcuno penserà che sarei più precisa se avessi utilizzato la parola “topa”. Spero comunque che non mi passi le dita sulla passera subito. O magari sì, però la cena salterebbe di sicuro. Non voglio questo. Comunque si cenerebbe a tarda sera. Una dose di detestabile attesa, lo so, mi rende ancora più porca, e questo a lui piace. Anche a me.
Provo a camminare nella stanza. Sento il rumore dell'asciugacapelli. Lo perdo in pochi secondi: sento il bracciale dondolare fra le mie gambe. Mi sfugge un mugolio, quasi una preghiera. Tre passi verso lo specchio e sono pronta. Non ad uscire, per questo non serve nulla. Sono pronta per esser legata, a novanta, con lui che fa di me ciò che gli pare, cioè quello che mi esalta, che esalta le mie doti canore, il mio esser maiala. So di essere stonata inverosimilmente, ma quando sono colta dalla passione nel modo giusto... neanche la Regina della Notte.
Invece cammino al suo fianco, sorretta da lui che ha capito tutto, che poi ha visto ciò che adesso mi condanna. Mi giro per vedere alle mie spalle. Che cosa? Se lascio una scia di gocce, novello Pollicino, che tuttavia non mi serviranno per ritrovare la via dell'albergo. Non sarà per la loro probabile evaporazione, bensì perché sono stravolta al punto che non riconoscerei una gondola da una nave da crociera. Neanche fra questi stretti canali, meno bagnati di me. Entriamo in un ristorante. Mi guardo attorno: sala piena. Un cameriere mellifluo ci accoglie e ci dice che di sopra c'è posto. Penso che voglia condurmi alla toilette e fottermi come ho bisogno. Se non fosse così grottescamente servizievole glielo proporrei io. La necessità di uno sfogo è enorme. Il braccialetto continua ad oscillare indifferente al proprio effetto. Ho le gambe molli. Una volta sopra ci accompagna a un tavolo e mi porge una sedia, Ci chiede se gradiamo un aperitivo mentre scegliamo. Ritorna la mia consueta gaffe: negroni. Lui pensa al cocktail. Non capisce un cazzo, per fortuna. O non mi ha visto bene in faccia? Ma almeno da seduta il mio clitoride è lasciato in pace. Non abbastanza perché io trovi requie.
Ceniamo con soddisfazione. Il conto è veneziano. Ci alziamo per uscire. Distratta dal cibo mi alzo di scatto ed immediatamente mi ricordo di che cosa ho tra le gambe. Mi sfugge un gridolino che fa girare mezzo locale verso di me. Mi sembra di essere una lampadina rossa accesa nel buio totale. Quando siamo fuori spero che mi riporti in albergo. Non ho idea da che parte si debba andare. Lui mi conduce per calli strette. Ondeggia il braccialetto di agata fra le mie cosce, indifferente al proprio effetto. Di qui siamo già passati: ci siamo persi? Mio marito ride. Gli leggo in faccia il divertimento mentre la sua testa si muove accompagnando il riso. Lui conosce bene la città, lo so. Pochi passi e mi spinge in un angolo buio, mi solleva la gonna e tocca il braccialetto. Non so se riesco a riconoscere un intervallo fra le sue mosse e i miei schizzi. Mi reggo a stento. Sento le caviglie bagnate qua e là. Ripartiamo. La chiazza per terra riflette la luce di un lampione. Ho ancora il respiro affannato e le gambe mi sembrano liquide. È lui che mi sorregge trascinandomi. Mi abbraccia e mi fa sentire il contatto col suo uccello, eretto, duro, grosso come mai m'era sembrato. Il braccialetto mi tortura di stimoli e di voglie. Ma perché ho avuto quest'idea? Perché ho anche voluto realizzarla? Il mondo sta vorticando. Pochi passi, voltiamo un una calle più larga e compare l'ingresso al nostro albergo. Sono dispersa nel deserto e vedo confusamente un'oasi. In più, per fortuna, non si tratta di un miraggio.
Entriamo nella nostra stanza. Sono già nuda mentre lui sta chiudendo la porta. Mi metto a pecora sul letto. A novanta non riuscirei a reggermi. La figa cola senza dignità. Lo imploro di sbattermi a morte. Poi c'è soltanto il pacifico senso della devastazione. Fra un colpo e l'altro strillo come una troia. Esce dalla figa ed entra nel culo slabbrato; esce di qui e torna nella figa... una catena di anelli senza limite, senza rispetto, senza pietà, senza fine. Mi sentiranno fino a Chioggia e Jesolo? Si sappia pure che godo. Traete ispirazione, imitatemi, imitateci. Mi piace, Venezia. Bisognerebbe venirci più spesso.

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