Espiazione VII

Scritto da , il 2022-08-29, genere pulp

Quando riapro gli occhi l’abate è davanti a me, mentre due frati cercano di rianimarmi scuotendomi e gettandomi addosso dell’acqua fredda, non c’è che dire proprio il risveglio che tutti vorrebbero vivere dopo una notte come la mia. Mi alzo semi cosciente sostenuta dai frati, mi sorreggono perché non mi mantengo in piedi. Il priore si avvicina alla mia faccia e scuote la testa in segno di disapprovazione, ma non dice una parola. Mi liberano dalle catene e vengo portata fuori dalla stanza del peccato, ho gli occhi semichiusi e la luce che passa dai grandi finestroni nel corridoio mi acceca, dopo un breve tratto mi ritrovo nella mia prima cella di permanenza, riconosco dapprima le sbarre e poi l’ambiente austero. Mi adagiano sul mio scomodo giaciglio e senza dire una parola mi abbandonano nella cella. Non sto bene, mi gira la testa e ho un gran sonno, infatti mi addormento e dormo per parecchio tempo. Apro gli occhi quando ormai dalla finestrella non passano più i raggi del sole, ho la gola secca, cerco dell’acqua in quel tugurio buio, ma ovviamente non la trovo, rimango nel mio letto, non sono ancora pronta a rimettermi in piedi. Non ho un buon odore, e devo aver continuato a sudare anche quando non ero cosciente le fodere che rivestono il mio giaciglio sono intrise di sudore, inoltre ho le ginocchia e i piedi neri per via della polvere che ho raccolto per la cella la scorsa notte. Il cigolio del cancello cattura la mia attenzione e mi volto verso l’inferriata mentre questa si apre, entra un frate alto e abbastanza corpulento con una sedia e la posiziona al centro della mia stalla. Con fatica schiaccio la schiena contro il muro alle mie spalle, lui rimane in piedi a fissarmi in silenzio per qualche istante. Mi copro istintivamente i seni nudi. Sento con silenzioso imbarazzo i suoi occhi scrutare ogni parte più intima del mio corpo

:- Provi vergogna?

Rispondo di si con un cenno del capo, mentre lui mi osserva senza scomporsi.

:- Ti vergogni di farti guardare da un uomo, ma non ti vergogni di mischiare il tuo corpo con quello di una tua simile. Ho esaminato il tuo fascicolo personale e purtroppo mia indegna tu non sei mai guarita dalla tua latente deviazione e possessione demoniaca, hai bisogno di essere sottoposta ad un trattamento di recupero speciale.

Lo guardo terrorizzata, ma non posso parlare, ho molta sete e vorrei tanto dell’acqua. Continuo ad essere mortificata per la mia natura bestiale e vengo accusata di aver tradito Dio con la mia immoralità. Ho le lacrime agli occhi e non riesco più a gestire la situazione mi getto sul materasso e singhiozzo disperata, lo sento avvicinarsi e prendere posto affianco a me. Mi accarezza, ma allo stesso tempo mi umilia invocando il nome della Maddalena. Poi avvicinandosi all’orecchio mi sussurra:

:- Maddalena, ti posso aiutare e mettere fino a tutto ciò. Vinceremo la tua natura, dovrai solo fidarti, se ti fidi di me eviteremo il rito di purificazione. Ma questo dipende da te, mia indegna …

Con un sorriso scellerato tira fuori dalla sua tunica un documento in cui era richiesta la mia firma, con esso avrei messo fine al mio libero arbitrio su tutto e sarei divenuta un burattino nelle mani della chiesa che mi avrebbe utilizzato a suo piacimento, in pratica una schiava. Sottoscrivendo quel foglio sarei divenuta “un’ubbidiente”, cioè una figura costretta ad accettare, anche fisicamente, tutto ciò che secondo l'istituzione clericale sarebbe stato meglio per la chiesa. Leggo il documento con le poche forze rimastemi, quel tanto che basta per oppormi risoluta a quanto proposto, e getto il documento sul pavimento. Lui mi guarda ostile per qualche istante e poi svelto raccoglie la pergamena vicino ai suoi piedi. Prima di uscire mi getta un ultimo sguardo e ammette candido:

:- Te ne pentirai!

La porta si richiude alle sue spalle e io mi abbandono sul mio giaciglio scomposto e maleodorante. Dopo un lungo periodo di tempo, la cella si apre nuovamente e fa la sua comparsa un frate per comunicarmi che a sera verrò sottoposta al rito di purificazione. La comunicazione è breve e lapidaria. Chiedo se fosse possibile avere dell’acqua. L’uomo mi si avvicina e con apparente gentilezza mi fa un cenno con la testa, lo ringrazio. Mi ordina di scendere dal letto e lo faccio coprendo con le mani, per quello che posso, i seni nudi, ma una volta in piedi davanti a lui, mi costringe ad abbassare le mani lungo i fianchi. Mi esamina e si lecca le labbra rosee e morbide contornate dalla lunga barba, mentre le mie sono disidratate e piene di piccole crosticine che sento sfaldarsi per la sete. Poi si avvicina e la sua mano tocca la spalla destra. Mi ritiro leggermente, ma non serve, subito avverto la sua mano fiondarsi sul resto del corpo, corre giù e poi passa tra le mani incrociate con cui copro il mio petto, poi procede velocemente sulla pancia dove si ferma, palpandomi con interesse, per poi poggiarsi e accarezzare tutta la cintura che mi protegge la fica. Fisso il pavimento non riesco a guardarlo, anzi non voglio guardarlo, mi fa schifo, le sue mani proseguono e accarezzano nuovamente la mia carne, senza fretta si sofferma sulle mie cosce. Sono agitata e ho ripreso a sudare. Mi sento una puttana in gabbia, le sue carezze si fanno più insistenti e ora sento le sue mani palpare pesantemente e con gusto l’interno delle mie lerce cosce. Lo fa con forza e mi fa male, molto male. Stringe le cosce, le ginocchia e i polpacci con forza fino ad arrivare alla pianta dei piedi, dove si sofferma per carezzare le sudice dita dei miei piedi. Mi ritraggo meccanicamente, ma percepisco tutta la sua disapprovazione, tuttavia in qualche modo riesco a farlo smettere e finalmente si allontana per poi arrestarsi all’improvviso al centro della cella dove è ancora ancorata la sedia. Si siede e i nostri sguardi si incontrano, divento rossa per la vergogna, lui invece è molto a suo agio e il mio arrossire lo lusinga incentivandolo a riprendere le molestie. Ordina di sedere sul letto, lo faccio, e lo guardo sollevare la tunica fin sopra il suo uccello. Lo stringe tra le mani e inizia a scappellarselo in avanti e indietro. Il suo membro presto cresce di intensità, mi impone di osservare mentre si sega per alcuni minuti, poi deciso ordina di inginocchiarmi davanti a lui alla svelta. Lo faccio e vengo abbrancata per la nuca e sbattuta con la bocca sul suo puzzolente cazzo. Me lo sbatacchia sulle labbra con forza, finché non sono costretta ad aprirle e accogliere la sua virilità dentro di me. Non dura molto e dopo pochi secondi mi ritrovo ad ingoiare un acidulo quantitativo di sborra. Lo sento ragliare animalescamente, mentre le mie fauci vengono liberate dal suo membro. Si riveste, lasciandomi profanata ancora in ginocchio, poi senza dire una parola imbocca l’uscita. Tra le lacrime supplico il mio carnefice di fornirmi dell’acqua, lui si ferma e torna sui suoi passi, mi si avvicina e agguanta il catino sistemandolo per terra proprio avanti a me in corrispondenza del mio mente, poi si abbassa il cordolo del saio e tira ancora una volta fuori la sua natura ordinando di bere alla sua fonte, lo supplico senza forze di non farlo, ma devo obbedire, apro la bocca e l’essere viscido mi piscia sulla faccia, ho sete e quindi sono costretta a trangugiare la sua urina puzzolente per dissetarmi. Fa schifo è calda ed è rancida, ma ho bisogno di liquidi, bevo tutto quello che posso, anche se inevitabilmente il suo piscio scola ovunque.

:- Bevi troia, dissetati!

Finito di abbeverarmi, e svuotatosi completamente la vescica, si ricopre e va via lasciandomi sudicia della sua lercia urina.

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