Vacanze Istriane - di Joe Cabot 2

di
genere
voyeur

continuano le vacanze istriane. Le trovate in anteprima sul nuovissimo blog: http://raccontiviola.wordpress.com/

2. Domenica sera
L’albergo era un edificio che risaliva al periodo d’oro di Rovigno, di quando la città fortificata era una delle roccaforti di Venezia in Istria. Ora era stato ristrutturato rispettandone la storia anche se, come scoprii mentre mi infilavo i pantaloni pensando alla cena, c’erano sempre piccole riparazioni da fare. Sentii qualcosa di pesante cadere a terra in bagno e Lia, che era ancora di là, emise uno dei suoi “mapporc’!” che erano il massimo di invettiva concessole della sua rigida educazione. Mi affacciai e la vidi intenta a chiedersi da dove era caduto quel pezzo di compensato smaltato.
– Ma guarda tu, – dissi. In un angolo del bagno si era aperta una finestrella, larga non più di una spanna. Presi una sediola dalla camera e la usai per vedere se era possibile rimettere tutto a posto ma subito vidi che le viti, probabilmente a causa dell’umidità, si erano prima arrugginite poi spezzate: senza attrezzi non c’era nulla da fare. D’un tratto mi accorsi che la finestrella dava sulla camera di Bruno e Rachele. Dal buco che un tempo era servito chissà a cosa, ora si vedeva la loro camera da letto con Bruno di spalle che si sistemava la camicia. Rachele, a giudicare dalla luce accesa, doveva essere in bagno. Mi venne l’impulso di fare qualche verso a Bruno per impaurirlo ma poi, scendendo feci cenno a Lia di stare zitta e di venire a vedere. Lei mi guardò incuriosita, poi salì sulla sedia e spiò dal buco. La vidi guardare incuriosita, poi mi lanciò uno sguardo divertito e scese sghignazzando. Trovò la cosa così divertente che non volle nemmeno farmi chiamare alla reception per la riparazione.

Scesi poco dopo al bar dove avrei atteso l’arrivo delle ragazze davanti ad un qualche aperitivo. Davanti al bancone trovai Bruno già da un po’ accomodato. Rigirava il ghiaccio di un martini con la ciliegina e pareva assorto. Feci un sospiro e mi avvicinai.
Rachele era una ragazza di quelle che adoravano far tirar di matto i propri uomini. Del resto non era mica rossa di capelli per nulla. Minore di anno rispetto a Lia, era la sua versione leggermente più piccolina e con varie curve in più, soprattutto sul davanti. Curve lentigginose che amava piazzare in faccia ai propri interlocutori maschili fino a farli strippare. Io non sono il tipo da cadere in certi tranelli, ma c’è da dire che quando sfoggiava il suo ben di dio di décolleté lampeggiando con i suoi occhioni verdi incorniciati dai vaporosi capelli rosso vivo, magari raccolti in due trecce da squaw indiana, sapeva davvero d’inferno senza ritorno. Per quanto riguardava Bruno, c’avrei scommesso che Rachele non vedeva l’ora di farsi sbattere per bene da quel ragazzotto dal fisico da rugbista almeno quanto lui voleva scoparsi la sorellina tutta fuoco della mia lady, ma il farlo rosolare fino a farlo impazzire era, per lei, già parte dei preliminari. Rachele era fatta così. Non sapendo come consolare lo stallone, lo salutai con una pacca sulla spalla e gli chiesi come andava la camera. Dopo un quarto d’ora d’attesa (mi chiesi se le due ragazze stessero facendo a gara per farsi aspettare) scese Lia. Aveva un vestitino corto, nero, che le metteva in risalto la chiarezza del viso e le belle gambe appena evidenziate da tacchi non troppo pronunciati. Calze nere: molto arrapante. Subito dopo scese le scale Rachele ed io sussurrai a Bruno di farsi coraggio facendo ridere Lia. Aveva una camicetta rossa, sfiancata, con ben pochi bottoni allacciati e insufficienti a nasconderle gli orli del reggiseno nero. Una gonna nera, lunga, ma con uno spacco che pareva fatto apposta per dare il tormento.
– Beh?, andiamo? – chiese quando fu vicina rivolta a me e Lia.
– Sei meravigliosa – tentò di dirle Bruno mentre lei già si dirigeva verso l’uscita chiacchierando con la sorella del fatto che l’indomani dovevano fare shopping. Rachele aveva i tacchi belli alti, e camminando ondeggiava il culo divinamente. Sentii che mi montava dentro una nuova erezione e distolsi lo sguardo.

A cena ebbi una nuova conferma di quanto le donne possano essere troie. Rachele continuò ad ignorare Bruno che non faceva che correrle dietro spostandole la sedia per farla accomodare e cose del genere. Non bastasse lei, mentre aspettavamo i secondi, anche Lia iniziò a sfottere con domande crudeli il povero Bruno man mano che emergeva che di passera non doveva averne vista granché. Gli chiedeva cose come quante fidanzatine avesse avuto per il solo gusto di vederlo arrossire e riderne con la sua satanica complice. L’apice lo raggiunsero dopo il dolce quando l’orchestrina del locale iniziò un orripilante lento pop italiano di qualche anno fa.
– Ti ricordi Jaco, – disse Lia, – quanto lo abbiamo ballato?
Ciò non era mai successo. Io la guardai perplesso chiedendomi dove volesse arrivare.
– Non ricordi quanto ti piaceva? ti chiederei di portarmi a ballare se solo non avessi questo maledetto mal di testa – disse toccandosi la fronte.
– Ma se ti piace tanto, Jaco, puoi ballare con me, no? – disse Rachele civettando senza ritegno. – Posso, vero Lia?
Insomma mi ci misero in mezzo e dovetti portare a ballare Rachele che subito mi si incollò addosso facendo sghignazzare la sorella al tavolo. Bruno aveva in faccia l’espressione di un toro con una corda stretta attorno alle palle.
– Piantatela ora – dissi a Rachele. – Tutte e due. Lo state tormentando.
– Ma no, che dici, – mi rispose con una faccia da angioletto appena smascherata dalle labbra rosse appena socchiuse e dagli occhi verdi. – Guarda che io volevo solo farti ballare un po’, mio caro Jaco.
– Ma piantala. È solo che ci godi a far sclerare quel poveretto.
– E tu che ne sai di che cosa godo, caro?
Mi si strusciava davvero troppo adesso. Troppo perché là sotto tutto rimanesse tranquillo.
– Finiscila, cazzo. Lia ci guarda.
– E già sei il suo ragazzo. Peccato….
– Smettila, – le dissi guardando verso Lia, che se la rideva ancora. – Smettila con queste idiozie che io non sono Bruno.
– Va bene, come vuoi tu. Cambiamo argomento. Com’è Lia a letto?
– Oh, finiscila.
Mi staccai da lei proprio mentre finiva la canzone. Tornai al tavolo scuotendo la testa con le ragazze che sghignazzavano. Bruno pareva essersi inghiottito la lingua in un tentativo di suicidio ninja, lì al tavolo. Poco dopo si fece coraggio e chiese a Rachele se voleva ballare. Lei rispose che non ne aveva alcuna voglia.

Lia si faceva condizionare molto dal posto in cui ci trovavamo per quanto riguarda il sesso e quella sera fu veramente magnifica. Era come tutta un brivido, e ovunque la toccassi gemeva come se la stessi frustando. Dopo il rapido servizietto del pomeriggio volle cavalcarmi finché non venne mordendomi il collo come volesse sbranarmi. Quindi ebbe il coraggio di afflosciarsi al mio fianco dicendo di essere stanca per il viaggio. Io non volli sentire ragioni e le fui sopra prendendola da dietro e godendo della sua passività. Mi avvinghiai a lei stringendole i capezzoli finché sentii che era rientrata nella partita. Continuai a prenderla finché iniziò a chiedermi di venire in maniera sconcia, dicendomi che poi me l’avrebbe succhiato. Come sempre il pensiero del suo viso chino sul mio cazzo mi fece esplodere. Rotolai di fianco, lei mi baciò piano, poi posò il capo sulla mia spalla e ci addormentammo.

Certe cose che sto raccontando le ho viste in prima persona, altre le ho ricostruite in seguito assieme ai miei compagni di viaggio. Ad esempio quella notte, quando mi svegliai e Lia non era a letto, rimasi non poco stupito. Tesi le orecchie finché non sentii dei gemiti venire dal bagno. Mi alzai e mi avvicinai in silenzio con la sola luce che filtrava dalle finestre. La porta del bagno era socchiusa. Sbirciai dentro e vidi la mia lady. Nuda. In piedi sulla sedia. Guardava dal buco nella camera di Rachele. Aveva una mano tra le cosce. Evidentemente si stava frullando il sesso.
D’improvviso parve percorsa da un brivido. Era uno di quei brividi. Poi un altro. Spalancò la bocca e parve una muta che grida, inarcò il corpo reggendosi alla parete con la mano che non usava per masturbarsi. Quindi si ripiegò su se stessa e scivolò fino a sedere sulla sedia. Era tutta sudata e quando la vidi tremare mi decisi a rivelarmi.
Lei mi guardò impaurita, come se l’avessi colta in fallo. Io le sorrisi in silenzio facendo la caricatura di un maestro severo. Le misi un accappatoio sulle spalle e la portai a letto. Lei si infilò sotto le lenzuola e si raggomitolò su se stessa. Chiusi la porta del bagno attento a non fare rumore e solo allora le parlai.
– Non crederai che sia finita così, – le dissi scivolando anch’io sotto le lenzuola.
– Cosa devo fare?
– Beh, raccontami tutto, per iniziare.
– Mi vergogno.
Era tipico di Lia provare senso di colpa dopo le sue migliore godute. La coccolai un po’ finché non si mise a raccontare.
Era accaduto che quella sera, dopo che ognuno se ne era andato nella propria stanza, Bruno finalmente ne aveva avuto abbastanza di permettere a Rachele di passeggiargli sui maroni. Non appena soli in camera, prima che lei potesse meditare una nuova tortura da destinargli, lui le aveva lanciato uno sguardo ormai privo di qualsiasi dubbio o possibile ripensamento. Le si era avvicinato con quello sguardo dopo aver chiuso a doppia mandata la porta e, mentre lei lo guardava con curiosità e un soffio di timore, lui prima l’aveva tirata a sé per un focoso bacio, che lei aveva ricambiato dopo un finta resistenza, quindi l’aveva spinta sul letto a gambe all’aria. Lo spacco della gonna finalmente le si era aperto a rivelare il bordo delle autoreggenti e lei si era trovata a gestire un brivido intensissimo per il modo con cui lui le aveva guardato morbosamente le gambe risalendo con lo sguardo veloce lungo le cosce fino alla carne lasciata scoperta dalle calze. La sua bramosia le aveva fatto finalmente perdere un po’ di orientamento tanto che si era sentita talmente esposta che una mano era corsa a ricomporre la gonna. Lui aveva riso in un modo che lei non conosceva, poi si era tolto la camicia quasi strappandola e la stessa sorte era toccata ai pantaloni. L’uccellone che aveva sfoderato aveva provocato un gemito dalla ragazza che era un misto di stupore e paura. Bruno però non si era lasciato ammirare a lungo ma subito le aveva afferrato le caviglie con mani avide, le stesse mani che poco dopo ne avevano risalite le cosce scostando l’inutile protezione offerta dalla gonna. Senza nemmeno sfilarle le mutandine le era salito sopra e, scostandone appena il sottile tessuto di pizzo, si era immerso in lei trovandola già fradicia. Aveva preso a pomparla come un ossesso, ritrovando finalmente l’uso della parola.
– Sei una puttana, – aveva grugnito affondando il viso nei capelli rossi di Rachele, – una maledetta troia. E ora avrai ciò che meriti, ora ti insegno come si trattano le troie.
Rachele si era sentita riempire tanto da non trovare più il fiato e più lui l’incalzava e le dava della puttana, più lei gemeva forte e lo incitava a scoparla. Aveva sentito l’orgasmo montarle dentro incalzato dalle spinte di lui che la aprivano tanto da farla scoppiare e quando era venuta glielo aveva gridato in faccia.
Allora lui le aveva detto che ora le avrebbe mostrato come si scopano le troie e così dicendole l’aveva messa a quattro zampe. L’aveva presa di nuovo a quel modo, dopo averle calato le mutandine nere fino a metà coscia, facendoglielo sentire anche di più. Lei aveva ancora i vestiti addosso, ma la camicetta era stata aperta dalle sue ruvide carezze fino a rivelarne i grossi seni che ora, strabordati dal reggiseno, ballonzolavano sotto di lei per le spinte di lui o erano stretti dalle sue carezze, mentre la gonna era sollevata sulla sua schiena per offrire il suo bel culo alla vista e alle mani di Bruno. Ben presto Rachele si sentì di nuovo venire e poco dopo lui si sfilò da lei.
– E adesso me lo succhi, puttana, – le disse, ottenendo subito la bocca obbediente della ragazza, ora seduta sul bordo del letto, che si aprì ad accogliere e inghiottire il suo seme. Bruno le posò una mano sul capo e così prese a scoparla in bocca fino a riempirle le labbra di sborra tanto che una certa quantità le era uscita lungo il mento fino ai seni.
Quando fu venuto del tutto la lasciò andare e si buttò sul letto cadendo addormentato, ormai privo di interesse per il corpo che gli stava vicino, ancora caldo e ansimante. Rachele si era alzata esterrefatta per il trattamento subito. Aveva dato un ultimo sguardo alla schiena muscolosa del ragazzo, che l’aveva posseduta magnificamente ed in modo tanto inaspettato, e quindi aveva iniziato a svestirsi in modo lento, ancora un po’ rintronata da tutto il cazzo che le era appena stato dato.
Completamente nuda, era andata in bagno e aveva guardato allo specchio il proprio volto dal trucco sbavato, con i segni del piacere di Bruno ancora ben visibili sul suo mento.
Si era lavata il viso con acqua fredda, struccata e quindi si era fatta una lunga doccia. Tornata in camera, si era infilata una camicetta da notte in maglia trasparente, e si era stesa sul letto. La doccia le aveva messo un umore languido, bisognoso di carezze, senza farle peraltro scordare il piacere appena provato. Si era sfiorata attraverso la camicetta i capezzoli ancora inturgiditi ai limiti dell’irritazione. Poi la stessa mano era scesa fino al proprio sesso ancora aperto e pieno del miele lasciatole dall’amplesso. Le sue dita erano penetrate senza difficoltà alcuna, non appena ebbero scostato le sue labbra, scivolando nel suo scrigno, inumidendosi via via. Quindi erano risalite fino alla clitoride per lubrificarne l’ingranaggio che presero a far scorrere piano, come amava fare spesso Rachele da quando aveva scoperto quel piacere solitario. Lo faceva piano però, sempre più piano fino a prendere sonno, ricordando una sensazione particolare di quando era bambina, e dormiva nella sua prima cameretta.
Fu proprio mentre Rachele si distendeva accanto all’uomo nudo che Lia aveva preso a spiarla. Si era alzata per andare in bagno, mi raccontò, e non aveva resistito alla tentazione di dare un’occhiata alla camera della sorella. La luce era poca, filtrava dalle tapparelle appena un po’ di luce lunare. Ma Lia aveva chiaramente intuito il movimento della mano di Rachele che dal seno si portava al sesso, dopo aver sollevato la camicetta quel tanto che bastava. Vide chiaramente il dito della sorella immergersi nei propri umori.
– Dai raccontami…– dovetti insistere.
– Ma… mi vergogno….
Non fu facile far sì che si aprisse ma appena ebbe superato il primo scoglio prese a raccontarmi ogni particolare, a partire da un lontano ricordo di infanzia.
– Sai, tu conosci i miei genitori. Sono fatti a modo loro. Da piccole io e Lia non avevamo altri bambini con cui giocare, soprattutto non maschi. Giocavamo tra di noi e avevamo una grande confidenza, tra sorelle, anche… fisica. Non quello che credi, tu, credimi, solo che… insomma fin da quando eravamo piccolissime, Rachele, che era più piccola, aveva iniziato a venire a dormire nel mio letto non appena i miei ci davano la buona notte. E al mattino, appena li sentivamo arrivare, ci svegliavamo e tornavamo nei nostri letti. Non che pensassimo di fare qualcosa di male, ma non volevamo che mamma e papà lo sapessero.
– E poi, – esitò, – non so come iniziammo (ma questo sapevamo che non si doveva fare). Scoprimmo che solo mamma e papà potevano baciarsi sulla bocca, ecco. Ma noi, che vuoi?, bambine, subito abbiamo provato. Di nascosto ci davamo un bacetto sulle labbra e poi ridevamo come matte. Era un giochetto, capisci, ma un giochetto tutto nostro. Nulla a che fare con il sesso.
– Ma… – intervenni io, – lo fate ancora?!
– No certo. Una volta Arianna, una nostra cugina stronza, ci ha fatto la spia. Ha detto a mia madre del nostro gioco ed è venuta fuori una tragedia. La cosa peggiore fu che ci misero in due camerette separate e ricordo che per molte notti sentii Rachele piangere nella camera di là. Chissà che si immaginavano, avrò avuto 12 anni.
Qui Lia si fermò, come se avesse ancora cose da chiarirsi prima di raccontarmele. Io mi avvicinai e le baciai una guancia, comprensivo.
– Questa sera, quando l’ho vista di là, che si toccava… il pensiero che quell’uomo se l’era scopata… cavoli… io non so cosa mi è preso. Ho visto che si toccava e mi ha preso una voglia… si toccava piano piano, e mi è venuto in mente (sarà sciocco) dei nostri giochi, e della tenerezza di quando dormivamo strette strette, da piccole. Ma stavolta era più …forte. Mi sono sentita bruciare dentro, poi il fatto che la stavo spiando. Cazzo, mi ha eccitata da morire e non sono riuscita a trattenermi. E anche lei ha iniziato piano ma dopo un po’ le è uscito un gemito che per poco non sono caduta dalla sedia. Sono scesa ed ero confusa volevo tornare a letto ma poi….
– Quando sono risalita lui era sveglio, – continuò Lia, – e pareva che la stesse violentando! Era di schiena, curvo su di lei. Con un mano le teneva i polsi sopra la testa e con l’altra le frugava la fica. Lei cercava di divincolarsi ma non poteva, sbatteva le gambe come un’ossessa e lui pareva morderle il collo. In realtà stava godendo e, accidenti, godevo anch’io come una pazza. Non capivo più se mi sentivo lei presa a quel modo o se… se insomma godevo al pensiero di essere lui e di fare quelle cose a… a mia sorella!
Lia sembrava sul punto di piangere. Le sussurrai che tutto andava bene, che non aveva fatto nulla di male. Lei disse che stava bene, poi mi guardò con gli occhi lucidi e trovò il coraggio di confessarmi tutto.
– Jaco, non capisci? Ad un certo punto lui le ha preso la nuca e l’ha sollevata a sedere e poi… gliel’ha messo in bocca. Vedevo quel grosso cazzo entrare e uscire dalla bocca di mia sorella e intanto io mi toccavo e godevo, godevo perché avrei voluto io quel meraviglioso cazzo da succhiare ma soprattutto mi faceva godere vedere mia sorella che pompava, con la bocca piena. E poi lui si è disteso sulla schiena e gli ha detto, l’ho sentito bene, gli ha detto: “e adesso troia fammi godere”. E lei gli è salita sopra ed ho visto il suo bel cazzo entrarle in fica, nella piccola fica della mia Rachele… che si muoveva e ondeggiava il culo sopra quell’arnese, mentre Bruno le succhiava le tette, o gliele stringeva chiamandola “puttana”.
Lia si era di nuovo ritratta su un fianco dandomi la schiena, con le braccia si stringeva le ginocchia.
– E godevano? – Le chiesi avvicinandomi.
Lei mi rispose con un “mh” a labbra chiuse.
– E anche tu godevi, vero? – Le chiesi di nuovo carezzandole i fianchi con le mani. Di nuovo un “mh” di risposta. La sentivo sconvolta, ma ancora carica di tensione erotica che non trovava una via d’uscita.
– E allora perché credi di aver fatto del male a qualcuno? –
Da dietro, eccitato a mia volta dalle perversioni della mia ragazza, iniziai a spingerle dentro l’uccello. Ben presto, sentii le sue labbra bollenti, così sollecitate quella sera.
– Cosa mi fai, Jaco….
– Ti sto curando, piccola mia. La migliore cura che conosco.
Scivolai in lei dolcemente. Era davvero bagnatissima e mi chiesi se poteva sentire qualcosa in quelle condizioni. Iniziò a muoversi piano, stringendo piano il suo meraviglioso piccolo culo per sentirmi meglio. Passai una mano davanti, alla ricerca della sua clitoride. La trovai.
– Ed era così che ti toccavi? –
Mi rispose con i soliti “mh” da bambina. Ma ora si stava eccitando.
– Più forte – disse. Io finsi di non capire.
– Più forte cosa?
– Mi toccavo più forte.
– Ah sì? Così?
– Sì – rispose. Ora stava godendo. Io le facevo le domande affannato e intanto le cacciavo dentro il cazzo fino in fondo.
– E la tua sorellina che faceva mentre ti toccavi la fighina?
– Si faceva scopare.
– E le piaceva?
– Sì….
– Voglio che tu mi racconti tutto.
– Si faceva scopare, – ora anche lei era in affanno perché la stantuffavo con più foga. – Si faceva scopare e gemeva forte. E si muoveva come un troia, vedevo il suo culo scendere verso il gran cazzo di Bruno e poi risalirlo stringendosi e poi ah… – dovette interrompersi perché tra il mio lavorio di dita e quello d’uccello stava godendo troppo – e poi l’ho sentita che veniva e ah… ha inarcato la schiena e ha quasi urlato e anche lui ah… ah….
Non poté continuare perché il ricordo della sorella fu troppo. Venne di brutto, lo sentii nella sua fica poco prima di riempirla a mia volta stringendola a me.
di
scritto il
2012-08-13
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