Amsterdam - Dressing room

Scritto da , il 2020-07-31, genere etero

– Non pensavo che avresti fatto la troia con la commessa… – mi dice Debbie sulla strada del ritorno a casa. Capirò solo dopo che mi sta prendendo in giro, ora sono troppo tesa per capire la sua ironia.

– Non ho fatto la troia, è che lei mi ha messo l’ovetto – piagnucolo.

Debbie mi cinge la spalla attirandomi a sé, mi fa “ehi, scherzavo…! dai, raccontami delle vacanze con la tua amica… ne avrete combinate di tutti i colori ahahahah”.

Lei non conosce Serena (e soprattutto Serena non immagina cosa sia Debbie per me), ma sa della gara che abbiamo fatto l’anno scorso a chi raggiungeva per prima un metro di cazzo. Per cui, qualche idea se l’è fatta. Ma non le parlo di Serena, le parlo della mia piccola vacanza al Conero con Stefania. Le racconto tutto, ma non è per niente facile. Perché mentre camminiamo sono costantemente eccitata. Anche se non vibra, l’ovetto dentro di me lo sento tantissimo. E’ una sensazione completamente diversa da quella che provavo a Nizza, quando camminavo con il Capo con un plug piantato nel sedere. Qui è quasi come se qualcuno mi stesse facendo un ditalino leggero ma molto molto insistente, costante. E in più ho la vagina talmente dilatata che ho sempre paura che possa slittare fuori e che il perizoma che indosso, ormai praticamente in ammollo, non riesca a contenerlo. Il fatto che mi venga istintivamente da contrarre i muscoli ovviamente peggiora la situazione, e di parecchio. Forse è questa eccitazione continua che mi spinge inconsapevolmente a raccontarle di più di quello che vorrei, a entrare più nei dettagli. Non lo so, a freddo mi sembrerebbe di essere volgare. Ma il caldo che mi sale da dentro ad ogni passo che faccio mi porta a ricordare, a raccontare, a desiderare. E anche Debbie penso che non rimanga indifferente.

– E così l’hai scopata davanti a quel ragazzo? Mentre lui si masturbava?

– E aveva una bestia enorme, Debbie…

Insisto, anche più del voluto direi, sulla bellezza di Stefania. Mi chiede di farle vedere una foto e arrivate praticamente sotto casa sua le mostro quella che Ludovica ci ha scattato sulla spiaggia dicendole “dovresti seguirmi su Instagram, sai?”. Lei per qualche secondo appare estranea, come attratta magneticamente dalla foto di me e Stefy in costume da bagno. “Wow… la prossima volta che vengo a Roma questa ragazza me la devi far conoscere…”. Io ormai sono completamente andata dalla voglia, mi avvicino e le sussurro all’orecchio “te la farò conoscere se adesso fai partire quell’ovetto…”. Mi farei scopare in mezzo alla strada. Debbie mi guarda con una certa aria di sufficienza, apre il portoncino e mi spinge su per le scale incurante dei miei “ti prego, Debbie”, quasi da bambina.

– Annalisa, scegli cosa metterti. Ti porto a cena e poi a ballare… – mi dice una volta entrate in casa.

Mi apre la sua cabina armadio e mi fa cenno di entrare. Ma io non ho nessuna intenzione di rassegnarmi al suo rifiuto. Mi sfilo la mini e mi avvicino a lei, le passo le mani sul petto e le dico “dai, ti prego, accendilo…”. Lei quasi non mi caga di striscio, mi prende delicatamente le mani e me le abbassa. Sorride, ma allo stesso tempo mi dice “vai, che poi mi debbo vestire anche io…” con una certa decisione.

E io invece, che cazzo vi devo dire, mi sono incapriccita. Non è mica una questione di principio, eh? Ma manco per niente! E’ la mia fica che pulsa intorno all’ovetto che mi spinge verso di lei, sono i miei capezzoli che non aspettano altro di essere succhiati e morsi che mi fanno diventare scema.

“Debbie, ti imploro…”, piagnucolo mettendole le mani sulle spalle e strusciando le tette sulle sue. “Ho tanta voglia, non ce la faccio più…”. Il suo errore, forse, è di essere buona. E’ quello di non sapermi allontanare con malagrazia. Il suo errore è quello di poggiare le sue labbra sulle mie. Quando sussurra “dai, Annalisa, preparati” non mi sembra più tanto convinta. Non so se è un mio desiderio o la verità, ma così la sento io. Le metto una mano sul culo e la accarezzo dicendole “lo so che non vedi l’ora anche tu”. Lei chiude gli occhi e sospira, ne approfitto per prenderle la mano e portarla sulle mie mutandine inzuppate. “Lo senti come sono ridotta, Debbie?”. Lei indugia anche troppo per essere disinteressata, anche il suo respiro si fa un po’ più pesante.

– Accendilo, Debbie, voglio essere tua… scopami…

– Smettila, Sletje – dice riportandomi entrambe le mani sui fianchi.

– Ho voglia di teeeee – le sibilo all’orecchio mentre le abbasso la zip del vestito.

– Fermati, resisti e vedrai… – mi dice un po’ incerta.

– Accendilo, Debbie… accendilo e fammi quello che vuoi – le sussurro ancora un attimo prima di leccarle il collo – perché non abbiamo comprato altre cose?

– Cosa volevi? Puttana… – sospira cercando di allontanarmi.

– Quello che volevi tu – rispondo sganciandomi la bralette e rimanendo a seno nudo di fronte a lei – manette… non ti piacerebbe punirmi? Non pensi che sono troppo troia?

Le prendo le mani e me le porto alle tette, Debbie inizia istintivamente a massaggiarmele. Il modo in cui mi strizza dolcemente i capezzoli mi fa semplicemente atterrare su un altro pianeta.

– Oppure quel plug di vetro – sibilo passando la lingua sulle sue labbra – me lo mettevi nel culo e mi portavi in giro così… potevi dire a quelli che incontravamo “questo è il mio giocattolo, fa tutto quello che dico…”. Mi potevi offrire a chiunque… Scopami Debbie, ti prego, sono così arrapata di te…

– Basta Annalisa… – sospira di nuovo Debbie cercando di allontanare le sue mani dalle mie tette. Ma gliele fermo lì e lei, ancora una volta, istintivamente le stringe, mi dà una scossa che mi arriva alla fica.

Porto una mano in basso, sotto la gonna dove so che non indossa nulla. A me sembra anche che allarghi impercettibilmente le cosce, ma davvero non saprei dire. E’ scandalosamente bagnata.

“Lo vedi che lo vuoi anche tu? Lo vedi che lo vuoi anche tu?”, le sussurro all’orecchio facendo scivolare un polpastrello nel solco delle sue labbra intime. Mi sussurra a sua volta “basta, fermati” infilando la lingua nel mio, di orecchio. Ormai i nostri corpi ondeggiano lentamente l’uno contro l’altro. Le sfilo il vestito, che le cade alle caviglie senza che lei faccia nulla per impedirlo. Ci baciamo come se volessimo fondere le nostre lingue, poi torno al suo orecchio e le succhio il lobo. La sento rabbrividire. Subito dopo la infilzo con un dito, senza trovare altra resistenza che la sua acqua tiepida. Miagola di piacere, si appiattisce contro di me e addirittura trema quando le sfilo il dito e glielo faccio slittare sul grilletto.

– Annalisa… Sletje… ferma… teniamoci tutto questo per dopo… – geme piazzandomi le sue mani sul culo e stringendo leggermente.

– Facciamolo Debbie, adesso… – le dico ancora all’orecchio continuando a sgrillettarla piano – voglio leccarti tutta, farti godere… voglio che mi scopi… usciremo dopo… usciamo a fare le troie… ci facciamo rimorchiare da qualcuno… qualcuno con un bel cazzo grosso e le palle piene di sborra, di quelli senza scrupoli che ti vogliono solo sbattere.. ci facciamo scopare… oppure no, Debbie, se vuoi… se vuoi gli puoi dire che sono solo una troietta che non vale niente, che sono la tua bestiolina di sedici anni, vergine… ti leccherò e ti preparerò per lui, lo succhierò fino a farlo diventare duro duro, gli infilerò il preservativo con la bocca… lo so fare, sai? Poi gli dirò “scopatela, è un grandissima troia, scopatela, non vuole altro”… ti asciugherò con la lingua tutto lo sperma che ti spruzzerà addosso… ma adesso, Debbie, adesso siamo solo noi qui… scopami…

Scendo piano con la lingua sul suo collo, abbasso la coppa del reggiseno e vado a leccare e succhiare il suo capezzolo, che lei mi offre con un movimento leggerissimo eppure incredibilmente esplicito. La infilzo nuovamente, ma stavolta con due dita e lei squittisce di piacere e di sorpresa.

– Basta… BASTA! – urla sottraendosi.

Le sue mani smettono di stringermi le natiche e, all’improvviso, su una di esse si abbatte un ceffone così sonoro che mi fa gemere allo stesso tempo di dolore e di piacere. La guardo. Ha ancora gli occhi un po’ stravolti ma dalla sua espressione capisco che ho perso tutto il mio vantaggio. Mi dà un’altra sculacciata, più forte della prima e anche meglio assestata. Stavolta nessun gemito da parte mia. E’ più un verso che potrei fare, per dire, se fossi a pecora e un cazzo rientrasse in me dopo avermi lasciata vuota per qualche secondo. Di colpo, tutto dentro, fino in fondo. Un rantolo animale. Lo spasmo della mia vagina potrebbe anche stritolarlo l’ovetto, per quanto è forte. Sollevo ancora lo sguardo verso Debbie, ansimo forte e credo proprio che sul mio viso ci sia scritta una e una sola parola: “finiscimi”. Le sue labbra invece disegnano un sorrisetto quasi sarcastico.

– Ti piace anche questo…

Non rispondo, non ce la faccio. Cerco un bacio che lei mi concede in modo troppo rapido. Ha recuperato assai rapidamente il suo ruolo, mentre io mi sento quasi disperata.

– Calmati, Sletje… calmiamoci. Te l’ho già detto, avrai tutto, anche questo. Abbiamo due notti e un giorno pieno davanti a noi…Ora entra là dentro e scegliti uno dei miei vestiti.

Entro nella cabina armadio di Debbie ancora piagnucolando e lamentandomi. In realtà è una stanza illuminata da una finestra con una pianta sul davanzale. Non ce ne sarebbe bisogno, ma accendo lo stesso la luce senza chiudere la tendina. Mi eccita pensare che alle finestre dall’altra parte del cortile ci sia qualcuno che si possa godere lo spettacolo di una ragazzina con le sole mutandine indosso e, anche se dubito che da laggiù si vedano, i capezzoli duri come pietre.

Quasi mi perdo in quel ben di dio di scaffali, appendigrucce e cassetti. Provo un vestito dopo l’altro davanti a uno specchio molto grande e simulando anche pose da troia, ogni tanto. Come se volessi far vedere a un ipotetico spettatore che sto verificando se quella camicetta può avere una scollatura anche più profonda o quella gonna può mostrare ancora un po’ di coscia. Alla fine mi tolgo pure il perizoma, ormai diventato fastidioso. Mi metto allo specchio fingendo di coprirmi il seno e il pube, in realtà mi stuzzico un capezzolo e mi masturbo leggermente. Do le spalle allo specchio e mi guardo il culo, lo accarezzo serrando le cosce perché per un momento mi sembra che l’ovetto possa davvero scivolare via. Poi mi rimetto a cercare tra gli scaffali. In realtà non faccio altro che posticipare il momento della scelta. Debbie ha cose bellissime e, direi, anche molto costose, ma mi sembra che nessuna faccia al caso mio. Voglio essere bella e desiderabile, voglio essere troia. Voglio che sia chiaro che sono la sua troia. Vedo una gonna nera, plissettata e molto corta, leggera. Non è, ma sembra seta. La provo e mi sta bene anche se non mi viene in mente nulla da metterci sopra. Ancora una volta mi metto di spalle allo specchio per vedere fin dove la posso far salire senza che si vedano la figa e il culo, mi piego, mi metto anche a sedere su un piccolo puff per vedere quanto mi risale sulle gambe. E qui faccio la cazzata. Perché sto talmente colando e sono talmente inzaccherata tra le cosce che l’ho macchiata, e nemmeno poco. “Cazzo…”, impreco, devo dirlo a Debbie. Poi mi fermo perché penso che magari si incazzerebbe a sapere che anziché vestirmi ho pensato a…

Rimetto a posto la gonna e torno a provarmi un paio di vestiti che avevo scartato, sto davvero rischiando di starci anche più della mezz’ora che Debbie mi aveva concesso. Poi lo vedo, anzi mi domando come abbia fatto a non vederlo prima. E’ un vestitino molto corto e stretto, nero con una trasparenza enorme sulla schiena e degli inserti fluo lime che mi lasciano un po’ perplessa ma che forse qui si usano. Torno da Debbie, che la sua scelta l’ha fatta da un pezzo. Ha indosso una tutina che luccica, grigia e argento, che più corta davvero non si può, praticamente girofiga. Le sue lunghe e belle gambe sono completamente esposte, è una visione che mi fa mozzare il fiato ma credo che manderebbe in apnea almeno la metà della popolazione di Amsterdam.

– Che succede? – domanda. Devo avere un’espressione da idiota.

– Posso… posso prendere questo? – le domando mostrando il vestito.

– Quello? – chiede con un sorrisino – ci mettiamo proprio extra extra eleganti, eh?

– Troppo? Non voglio farti fare brutta figura…

– No, no… anzi… ma perché sei nuda?

– Avevo bagnato troppo le mutandine – le dico vergognandomi un po’, poi mi tolgo l’ovetto. Viene via con una facilità che non avrei mai pensato, glielo allungo chiedendole di metterlo accanto al letto.

– Perché te lo sei tolto? – domanda – non lo devi mica togliere…

– Ma Debbie… andarci in giro mi fa impazzire – piagnucolo – e poi… e poi mi servirebbero delle… cioè io ho solo dei perizomi più piccoli di quello che ho tolto e un filo interdentale… io me lo perdo!

– Hai così tanta voglia che hai paura di perdertelo?

Si avvicina sorridendo con l’ovetto in mano. Me lo porta in mezzo alle gambe, me le fa aprire, me lo infila dentro. A differenza di quanto aveva fatto la commessa ci mette molto più tempo, gioca dentro di me. E quando esce mi dà una sgrillettata che mi fa guaire. Sento nettamente che sto per perdere il controllo un’altra volta.

– Sei davvero in calore, Sletje… ti darò delle culotte ahahah… a proposito, in italiano questo si chiama culo, vero? – domanda accarezzandomelo – è davvero bellissimo, sai? Te l’ho guardato bene, starei ore a baciarlo… vedrai che con quel vestito lo ammireranno tutti…

Mentre cerco di calmarmi per l’ennesima volta va nella cabina armadio e tira fuori da un cassetto delle culotte in pizzo, ridottissime dietro, e dello stesso fluo lime degli inserti del vestito.

– Le hai usate con questo abito? – domando.

– Sì, ma quella sera non ho scopato – replica.

Le infilo davanti a lei, l’ovetto lo sento sempre parecchio ma almeno adesso sono sicura che non farò brutte figure. Mi infilo anche il vestitino, valuto per cinque minuti buoni l’effetto allo specchio. Debbie teme che ci ripensi e mi dice “guarda che dobbiamo andare”, ma non è quello. E’ che mi piace proprio averlo addosso con lei. Ho le cosce praticamente tutte scoperte ma non sembro nemmeno tanto zoccola. Magari una zoccola di classe, ecco. E mi sembra anche che mi faccia sembrare più grande di qualche anno. Mi metto i sandali e sono pronta per uscire, raggiungo Debbie sulla porta. Mi passa in rassegna e mi sento quasi una scolaretta, quando arriva ai piedi fa una smorfia di disgusto.

– Ragazzina mia, le scarpe – mi fa.

– Cosa c’è che non va? – le domando. Ma dentro di me so benissimo cosa c’è che non va. I sandali sono bassi, ecco cosa. Ma io i tacchi non li ho portati mai, o quasi.

Un po’ sbuffando mi molla lì e torna un minuto dopo dicendo “metti questi”. Sono un paio di sandali con il plateau, saranno almeno dieci centimetri. Mi domando come farò a camminarci.

– Non li mettere subito, tienili qui dentro – mi fa porgendomi un sacchetto – e fai attenzione che costano trecento euro. Ora metti queste.

Mi porge un paio di Havaianas che stavano nello stesso sacchetto, non capisco ma eseguo. E poi anche lei si è messa delle ciabatte e ha in mano un sacchetto. Poi finalmente scendiamo, non in strada ma nel cortile. E qui capisco. Debbie mi dice di prendere una bicicletta: “Quella di Anneke, è una mia amica, le scarpe mettile nel cestino”. Le portiamo fuori a spinta fino in strada, mi sento una scema che deve essere guidata passo passo.

Il problema è che una volta fuori mi rendo conto che, decisamente, non ho scelto il vestito giusto per andare in bicicletta, a differenza di Debbie. Che ride, ride come una matta quando cerco di montare senza, per esempio, far vedere le mutande che ho sotto nemmeno fossi un manichino di Yamamay. E che cazzo, sta gonna è troppo stretta, però. Faccio le mie evoluzioni di fronte a un gruppo di persone, immagino turisti, che sembrano molto interessati alla mia personale performance e non fanno nulla per nasconderlo. E vabbè, che cazzo volete, ok devo aprire le cosce. Sì, si vedono, va bene? Ho le mutande color verde evidenziatore, vi piacciono? Ma andatevene affanculo, va, io ci ho pure provato, ma i piedi su sti cazzo di pedali li dovrò pure mettere, no? Che cazzo vi ridete?

Cazzo, Cristo, porca troia, che è stato? A momenti casco, è un miracolo se sono rimasta in sella. Ma la scossa è stata troppo forte. E’ partita dalla fica è mi è arrivata al cervello, poi è… è rimbalzata ovunque, direi, fino alla punta dei piedi… Ho la vista annebbiata e il ventre che mi pulsa sopra il sellino. Mi volto a guardare Debbie, quasi a cercare aiuto.

Lei se ne sta lì, seduta sulla sua bicicletta. Ride. Ride e ha quel cazzo di telecomando dell’ovetto nella mano.

CONTINUA

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