Fidanzate - Neve

Scritto da , il 2020-01-10, genere etero


“Pigrona”. Anche con il caschetto e gli occhiali da sole la riconoscerei. Ma naturalmente riconosco prima la voce. “Eddai, cazzo, avevo una fame….”. “Potevi fare colazione stamattina”. Sì, certo, potevo fare colazione stamattina. Ma a parte il fatto che erano le otto meno un quarto e io, tra una cosa e l’altra, mi sarò addormentata alle quattro la scorsa notte, mi sentivo un po’ scossa. Me lo concederai, no? Mica sono come te che sei cascata come un sasso e stamattina bum: sveglia-colazione-autobus-noleggio degli sci. E vaffanculo, dai. Ma chi cazzo sei? Tra l’altro, lo so benissimo che ci tornerai sopra. E solo quando lo vorrai tu. E questo mi mette ansia.

Non glielo dico, le dico invece “e poi ho già fatto due discese”. “Due mezze discese, semmai, t’ho vista che partivi dall’intermedia”. Sì, ok, è vero, ma come primo giorno è già tanto. E poi mi stanco a sciare, io. No, cazzo, dai, il maestro no. “Sì, il maestro sì. Su, te lo pago io, poi sciamo insieme dopo pranzo”. “Ma non me ne frega un cazzo!”. “Dai risaliamo che forse facciamo ancora in tempo”.

Credete che venti minuti di proteste in cabinovia servano a qualcosa? Non servono a un cazzo. Appena tornate di sopra si infila gli sci e mi fa “dai, vieni”. Ehi aspetta un attimo! Hai idea di come si corra sulla neve con questi cazzo di scarponi? Ah, ok, hai ragione, gli sci me li metto pure io, aspettami.

Che poi, se fossi andata più piano, sarebbe stato meglio. Perché proprio dietro la curva lo troviamo, cazzo, il maestro. Martina mi fa “lui è Peter, gli ho già parlato, fai una prova con il suo gruppo, dovrebbe andare… siete pure pochi, sei fortunata”. Fortunata un corno, siamo in quattro. Se fossimo stati dieci mi sarei potuta imboscare. Peter mi saluta: “Sei Annalisa? Dai che dovevamo già partire, sei fortunata”. Fortunata un corno, appunto.

Ci fa strada e poi ci lascia passare per controllare il nostro stile, poi ritorna davanti. Dopo cinque minuti ci fermiamo al lato di una pista che sarà larga come quattro autostrade messe una accanto all’altra e lo posso osservare bene. Se fosse nato in Texas farebbe il cowboy, in Norvegia probabilmente il boscaiolo. Ma poiché è nato sulle Dolomiti fa il maestro di sci d’inverno e la guida alpina d’estate. Alto, nemmeno male. Ma non è il mio tipo. Sarà sto cazzo di modo di parlare, o la faccia che sembra di cuoio. E soprattutto, te lo dico de core, Peter, sta cazzo di idea di usare me per far vedere agli altri dove e come sbagliamo. Sì, ok, quando piego a sinistra faccio ancora lo spazzaneve, e allora? Che c’è, l’hanno messo fuorilegge? Ok, ok, li unisco. Così va bene? Sì? Ripartiamo?

Devo dire però che ha ragione, eh? La prima curva è quasi perfetta, la seconda anche meglio. Alla terza sono lì che smadonno scivolando lentamente sulla neve ghiacciata prima di fermarmi contro un rete. Che poi non sarebbe nemmeno un dramma, se non fosse per questo cazzo di ragazzino che sghignazza. Avrai undici anni, l’educazione dovresti conoscerla… che cazzo sei? Tedesco? Polacco? Non eri quello che doveva cambiare gruppo perché troppo bravo? Perché domani e non oggi? Perché sprecare la domenica? Ma vaffanculo, va’…

Comunque no, a parte sto stronzetto le cose vanno meglio. E dopo pranzo riesco davvero a sciare un po’ con Martina. A non pesarle più di tanto, insomma. Mentre aspettiamo l’autobus per tornare in albergo mi confessa pure che a un certo punto, mentre passavamo in mezzo al bosco, aveva avuto paura che ci fossimo perse, che saremmo finite proprio da un’altra parte. Io non mi ero accorta di niente, figuriamoci. Però, racconta, quando invece ha capito come ritornare sul pistone principale si è sentita bene, forte, come da tanto non le capitava. Me lo dice con il suo sorriso radioso. Io la guardo e sorrido dentro.

Mi chiede come è andata con Peter e le rispondo “uh, benino, come mai hai chiesto proprio a lui?”. Mi domanda a chi dovesse chiedere di darmi lezioni e le rispondo “ma non lo so, non sono mica io che ho la passione dei maestri di sci…”. Mi dà uno scappellotto per gioco e io protesto facendole “ehi, me l’hai raccontato tu!”. Mi rifila un altro scappellotto, sempre giocoso, ma stavolta le dico “no, cazzo, così mi fai male”, perché senza volerlo mi ha colpita con un anello. Che ovviamente le ha regalato Massimo. Si osserva la mano e si rabbuia. Io penso oh no, cazzo, le dico “non volevo”. Lei fa spallucce. Poi si volta verso di me.

– Perché stanotte mi hai detto quelle cose?

Lo sapevo. Ve l’ho detto che ci sarebbe tornata sopra e l’ha fatto. Lei è così, lo so. Lo so da quando avevo sette anni e lei dodici, da quella volta che scambiai i miei pennarelli esauriti con i suoi quasi nuovi e lei attese una settimana per sputtanarmi davanti a mamma e papà, che già mi stavano rimproverando per non so cosa. Una sputtanata scientifica, eh? Con le prove. Non molla mai, inutile illudersi. Non capisco perché abbia deciso di fare l’avvocato e non il giudice. Anzi, il pubblico ministero. Di quelli che stanno anni dietro un caso e poi scovano il colpevole, lo inchiodano. Perché Martina è così. Alla fine ti incula, ti incula sempre. Inutile illudersi.

– Per dimostrarti che non sono meglio di te, pensavo. Ma ora che me lo chiedi non ne sono più così sicura… – le rispondo dopo averci riflettuto un po’.

– Meglio o peggio non c’entra un cazzo, Anna. Mica siamo nell’ottocento. Però, se mi dici così, forse tu lo pensi davvero che siamo nell’ottocento. Semmai è un problema di reputazione, quella sì che può contare a volte, eccome… Pensa se a studio si sapesse che ho fatto un pompino a quello… Ma per te forse è presto per pensarci.

Vorrei risponderle “beh, insomma, dipende dagli ambienti che frequenti”. Vorrei dirle che per esempio, a scuola, alla fine era quasi diventata una tortura sto fatto che fosse strarisaputo che facessi pompini a chiunque. Che essere segnata a dito dalle ragazze come “la zoccola” ed essere assalita da orde di maschi arrapati, alla fine, non era più così divertente. Ma resto in silenzio, la guardo. Anche perché so perfettamente che non ha terminato.

– Però stronzetta – riprende infatti afferrandomi con forza un braccio – non farti venire più in mente di andare a farti scopare a casa di due decerebrati, come li chiami tu, appena conosciuti. Oppure di finire in un giro di prostituzione e spaccio di droga, ma sei scema? Lo sai che ti puoi rovinare la vita?

– Ma non lo sapevo… – quasi piagnucolo.

– Ci mancava che lo sapessi… l’hai fatto però. E hai pure preso i soldi! Non è un fatto etico, capisci? Non parlo di morale, sticazzi della morale. Ma se sta cosa esce fuori? E se quel cazzo di video va in giro? Magari non succede nulla, ma magari è una rottura di cazzo che ti porti appresso per anni… per non parlare di papà e mamma… Uno vede Youporn e dice “ehi, ma sta troia la riconosco!”, ed è fatta.

– Penso di essermi tutelata – provo ad obiettare.

– Sì, sì… speriamo…

– Marti, tu… tu pensi… pensi che io sia una troia?

– Te l’ho fatta io a te, una volta, sta domanda… – risponde dopo qualche secondo.

– Quando mi hai raccontato che eri stata sulla neve con un tuo fidanzato e ti sei fatta il maestro di sci…

– E quello di Firenze subito dopo… – aggiunge – e al maestro avevo già fatto un pompino in cabinovia… Il punto non è essere troie, il punto è non essere idiote.

Avrà pure ragione, eh? Ma io mi sento un po’ maltrattata. Forse non dovevo farle notare l’anello che le ha regalato Massimo. Forse è il momento di buttarla un po’ sul ridere e fare finta che non mi abbia appena dato dell’idiota.

– Marti, posso chiederti una cosa?

– Uh?

– Ma tu preferisci Youporn o Pornhub?

Si volta con lo sguardo ancora un po’ incazzato. Poi sorride e mi spara un “ma vaffanculo” che è un po’ il segnale che la tensione tra noi si è sciolta.

– E comunque – dice proprio mentre il bus riparte dall’ultima fermata prima della nostra – Youporn.

Ora, non è che avessi proprio voglia di venire, ma devo riconoscere che la settimana sulla neve ha i suoi perché. Ognuno scelga il suo. Il mio è quello di tornare in albergo e farmi una fetta di strudel, salire in camera, riposare un’oretta e cambiarmi per la spa. Chiaro, se non avessi sto cazzo di costume sarebbe meglio. Domani me ne compro un altro. Martina si fa la sauna, io non la sopporto la sauna. La aspetto in piscina, che quando arrivo è quasi vuota. Dopo un po’ appare una famiglia: padre, madre e bambina al seguito, che non ne vuole sapere di stare nella piscina per i piccoli. E non ne vuole sapere nemmeno che io stia lì dove sto, ovvero davanti alle bocchette dell’idromassaggio, ci vuole stare lei. Mi sposto, nonostante la madre la esorti a non darmi fastidio. E’ una bella donna, giovane, sarà intorno ai trentacinque anni. Il marito forse un po’ di più, difficile dire. E’ completamente pelato, ma di quel pelato di uno che ha deciso di tagliarsi i capelli per non apparire stempiato o peggio. Chiaramente palestrato, il tipo che ci ha dato dentro pure troppo. Almeno sulle spalle e sui pettorali, dove non ha certo risparmiato sui tattoo. Completamente glabro e, all’esatto contrario della moglie, con lo sguardo abbastanza scontroso. Passa un altro po’ di tempo e arrivano i due ragazzi bulgari, fratello e sorella, seguiti quasi a ruota da Martina. La ragazza sorride indicando il mio costume. Per prevenire la sua offerta di prestarmene uno, le dico che domani ne compro uno nuovo, oggi soffro un po’. Mentre la mamma cerca di convincere la bambina a non darmi il pilotto, il papà segue con lo sguardo Martina che fa il giro del bordo vasca per venire da me. Dico “sguardo”, ma sarebbe meglio dire “raggi x”, con una certa insistenza sul formidabile sculettamento di mia sorella. La cosa, ammetto, un po’ mi scandalizza. Ma perché è mia sorella. Se fosse toccato a me adesso mi divertirei un sacco a provocarlo a forza di occhiate furtive davanti alla moglie e alla figlia. E’ il mio gioco preferito, metterli in difficoltà.

Un’occhiata furtiva, invece, me la riserva il ragazzo bulgaro. Me ne accorgo, e secondo me non è nemmeno la prima, mentre mi volto verso Martina che entra in acqua. Lui distoglie gli occhi e si mette a parlottare con la sorella. Martina, che di tutto questo gioco di sguardi proprio non si è accorta, riesce solo a dirmi “appena in tempo, cazzo, stavano per entrare dei tedeschi… ma lo sai che qui bisogna stare in sauna nude?”. Poi viene sequestrata dalla bambina, nonostante le proteste della madre che, ci sono voluti cinque minuti a capirlo, non è proprio in grado di imporsi.

Lei no ma Martina sì. Chiede alla piccola peste come si chiami (“Rachele”), le fa altre tre o quattro domande per conquistarne la fiducia poi prende un galleggiante a forma di coniglio e lo butta in acqua, ce la mette sopra e lascia che il getto dell’idromassaggio la spinga verso il centro piscina. La madre capisce l’antifona e da quel momento in poi la fa giocare così. “Tre anni di baby sitter – mi dice compiaciuta – non stamo mica a passà l’aspirapolvere sulla spiaggia…”. Il papà di Rachele ride e ci fa “ma siete di Roma?”, con lo sguardo dritto sul seno di mia sorella.

Loro invece sono di Pistoia e ce li ritroviamo a cena al tavolo accanto al nostro. In realtà siamo noi ad avere cambiato. Anzi, è stato Osvaldo a farci cambiare, “stavate troppo scomode”, dice. Osvaldo è… boh… Cameriere? Maitre? Sommelier? Non saprei, non lo capisco. E’ un paciocco dalla faccia simpatica e dal ventre prominente, non comanda un cazzo e non serve ai tavoli, se non il vino. Ma decide tutto lui ed è un fulmine. Non dopo che hai ordinato, è un fulmine prima che tu abbia ordinato. Anzi, per come te la mette, praticamente l’ordinazione te la fa lui. Abbinamenti di vino compresi. Solo per Martina, però. E quando le porta il calice ci resto un po’ male, anche se senza nemmeno assaggiarlo mia sorella lo spinge verso di me dicendo che non le va di bere. Osvaldo passa di lì a poco e mi rivolge una smorfia tipo “apperò” che me lo fa tornare simpatico. “E’ buonissimo”, gli dico. “A uno delle mie parti, detto da una bella signorina come lei, queste cose riempiono il cuore”. Poiché ha un accento non da tedesco-italiano gli chiedo se sia trentino, lui risponde che è di Treviso. “Cazzo, finalmente”, esclamo. “Anche senza ‘cazzo’ “, mi riprende Martina infastidita. Osvaldo ride e sentenzia che “quando ci vuole ci vuole”. Ma io li ascolto ormai un po’ distratta, perché a una tavolata immensa dalll’altra parte della sala si è appena seduto il sosia di Chris Hemsworth e per qualche secondo tutto il resto scompare.

Nell’ampia sala del dopocena, dove io e Martina ci accomodiamo, siamo assalite da una truppa di tedeschi (o austriaci o svizzeri o vaffanculo se lo so) che fanno un casino indescrivibile. Saranno quindici, cinquanta, mille. Un’orda selvaggia. So solo che è impossibile starci accanto. Ci spostiamo e, mentre prendiamo possesso di due poltrone accanto alla reception, passa la ragazza bulgara che mi vede e agita il pacchetto delle sigarette. Chiedo a Martina il pile che si è portato appresso e la seguo di fuori. Accetto la sigaretta che mi offre promettendole “domani le compro”. “Insieme al costume”, ride lei, e mi fa accendere. Ci presentiamo, si chiama Rada. Mi dice che siamo gli unici giovani dell’albergo – a parte i ragazzi e le ragazze della comitiva tedesca per la quale, concordiamo, l’unica soluzione possibile è il lanciafiamme – e mi chiede se io “e la mia amica” abbiamo voglia di andare a bere qualcosa in paese con lei e suo fratello. Resto un attimo interdetta, poi le dico “ma è mia sorella!”. Lo stupore nei suoi occhi mi fa aggiungere “sì, lo so, siamo molto diverse… ma non siamo adottate, abbiamo gli stessi genitori ahahahahah”.

A Martina, però, non va. Dice che è stanca. Non le credo, temo che stia per risprofondare nelle sue ubbie e mi appresto a dirle ok, resto con te. Lei però mi fa “vai, vai, magari domani sera usciamo” e praticamente mi spinge fuori dall’albergo. Finiamo dentro un posto abbastanza puzzolente dove comunque apprendo due cose. La prima è che fratello e sorella sono due spugne. Io prendo una birra ma loro ci danno sotto con grappa e vodka. La seconda è che i genitori saranno due cafoni arricchiti ma i figli li fanno studiare bene. Rada, che ha un anno più di me, fa fisica a Ginevra. Il fratello Ivan, ventitré anni, si sta laureando in economia a Londra. Gli dico un po’ di noi, di me e di Martina. Rada resta impressionata nell’apprendere che mia sorella è già avvocato. Vuole sapere tutto di lei e ne fa un peana che, a un certo punto, diventa persino imbarazzante. Non che sia gelosa, però, quando sottolinea “e poi è alta…” non posso proprio trattenermi dal dirle “veramente siamo alte uguali, uno e settantasei…”. Ivan ridacchia e dice qualcosa alla sorella, in bulgaro. Lei si rivolge a me e dice “scusa, non volevo offenderti”. Rispondo ”oh, nulla”, ma poi insiste: “E’ che tu sei bionda come me, capisci? Lei invece è proprio… con quei capelli neri e lunghi è proprio… proprio…”. “Io dico sempre che sembra messicana, non so perché”, le rispondo. “No, no… è proprio come mi immagino una bellezza italiana, ma non di qui che sono tutti tedeschi…”. “Sicily?”, domando per scherzo. “No… uh… Naples”, ribatte lei, che invece sembra seria. Ridacchio pensando che questa a Martina gliela debbo proprio raccontare, ma vengo distratta da Ivan che mi dice “in ogni caso anche tu sei molto carina” e poi abbassa immediatamente gli occhi sul bicchiere. Penso che deve essere molto timido. Rada recupera un po’ dicendo “assolutamente” e, mentre gli dico che comunque anche loro sono una bella coppia e anche molto simpatici, mi domanda se sono fidanzata. Le rispondo di no, e nemmeno lei lo è. Indica Ivan con il pollice e mi fa “lui è fidanzato, con una ragazza inglese”. Poi ridendo abbassa la voce e aggiunge “ma è antipatica”. Ivan ride e mi dice di non darle retta, ma un po’ è arrossito. Con Rada usciamo a fumare e, nel gelo, ritorna all’attacco con Martina. Mi chiede se sia fidanzata, sposata… Non mi va di dirle proprio tutto, le rivelo solo che dovevano essere qui lei e il suo ragazzo ma che sono un po’ in crisi, così l’ho accompagnata io. “Un piccolo angelo custode”, mi fa lei sorridendo. Poi aggiunge che ieri sera ha notato come sia rimasta imbambolata davanti all’apparizione di quel figaccione simil-Chris-Hemsworth. Io ridacchio e lei fa una faccia che dice e-chi-può-darti-torto.

Da questo punto in poi, il resto dei giorni fila che è una meraviglia. Il migliore è il mercoledì, per una serie di motivi. Il primo è per il tempo schifo sulle piste, che ci costringe a ritornare dopo pranzo. Nevica fitto, non si vede un cazzo e non è nemmeno divertente. E se lo dice Martina ci potete credere. Ci rifugiamo molto prima del solito in piscina, ma naturalmente non siamo le sole ad avere avuto questa idea, c’è un sacco di gente. Arriva anche Chris Hemsworth in compagnia di una figa pazzesca. Non sembrano in particolare intimità, ma sempre una figa pazzesca rimane. Combattuta tra il delirio e il dispetto, lo vedo mentre entra in acqua sorridente. Nella mia testa scorre il film di lui che mi spiaccica contro un muro e fa di me la guaina morbida e bollente della sua altrettanto bollente urgenza dura come la pietra, mentre mi aggrappo come una naufraga al suo collo, gli allaccio le gambe dietro la schiena, gli soffoco in bocca tutti gli strilli del mondo. Non sarebbe perfetto? Nella nicchietta dietro la doccia, non sarebbe perfetto? Avverto una contrazione e immediatamente dopo la voce di Martina che mi scuote. “A che pensi?”, “Uh? Che apro troppo le gambe…”, “Cioè?”, “Cioè il maestro dice che apro troppo le gambe quando piego a destra”, “La solita pippa…”. Già, la solita pippa, penso rispondendo con un sorriso alla sua risata.

Il secondo motivo per cui questo mercoledì non è niente male è che io, Martina e i ragazzi bulgari andiamo a una festa in un paese qui vicino. Ci ha invitate Peter. O meglio, Peter ha invitato Martina e lei ha chiesto se poteva estendere l’invito anche a noi. Il suo “anche perché senza macchina non potrei venire” è stato decisivo. E la macchina, nelle sere precedenti in cui siamo uscite, ce l’ha messa Ivan. Il terzo motivo che rende simpatico questo mercoledì è che, mentre prenotiamo un massaggio pre-cena, una capricciosissima Rachele vestita di tutto punto sta facendo il diavolo a quattro davanti alla porta dell’hotel. Non vuole uscire, non vuole andare a fare una passeggiata. E non posso darle torto: dove cazzo andate con questo buio e questo freddo? Va verso mia sorella e dice “io voglio stare con Martina!”. E non ci sono cazzi, mi verrebbe da aggiungere, ma non lo faccio. Mia sorella si china verso di lei, le sorride e le chiede che succede. La mamma si avvicina, prova a staccarla, a convincerla. Figuriamoci. Martina le dice “se volete lasciarla con noi non c’è problema, mi fa piacere, solo che tra un’ora dobbiamo tornare alla spa”. La mamma di Rachele guarda il marito, che accenna un “vabbè”, poi si volta e, tra mille scuse, ci ringrazia. C’è però una cosa che Martina non può vedere, perché sta dicendo alla piccola di scendere al kinder club a preparare i pennarelli “che coloriamo un po’ di fate che trasformano i cattivi in animali” (prego? da dove cazzo ti è uscita questa?). Non può vedere lo sguardo che il papà di Rachele lancia alla moglie, né quello di risposta di lei, il sorriso che si apre. E non può vedere nemmeno che, anziché imboccare l’uscita, i due si avviano verso gli ascensori. Dopo che la bimba è schizzata al piano di sotto e noi siamo rimaste sole le sussurro “non sono mica usciti, sono tornati in stanza…”. Lei si stringe nelle spalle e ridacchia furbetta: “Speriamo che non ci mettano davvero un’ora”. “Quello un’ora la passerebbe con te – la sfotto – sapessi come ti guarda…”. “Pensi che non me ne sia accorta?”, risponde. “Magari non ti sei accorta di come ti guarda mentre sculetti”, rido. “Mi sono accorta anche di quello, gli specchi ci sono apposta… dio mio, ci mancava Big Jim… Tu piuttosto pensa a come ti guarda Ivan!”. Rido, ma non penso a Ivan. Penso a come ieri in piscina, sotto il costume bagnato del papà di Rachele seduto a bordo vasca, avevo visto chiaramente disegnata la forma del suo cazzo. E avevo pensato che magari un’erezione vera e propria no, ma che a furia di osservare le tette e il culo di Martina un po’ grosso gli era diventato. E ora se lo gode la moglie. Sarà carico come una molla, buon per lei, no? Se l’è sposato, le piacerà… Mi piacerebbe moltissimo che quello sguardo (e quella reazione) fossero riservate a me. Ma non dal papà di Rachele, da Chris Hemsworth.

Un’altra cosa per cui questo mercoledì merita di essere ricordato, vi dicevo, è la festa. Nulla di che, anche noiosetta. Con Ivan che mi invita a ballare due lenti ma non fa molto di più Se non ci fossero le nostre sorelle, forse potrei spingerlo a essere meno timido: sei anche un bel ragazzo, chissenefrega se sei fidanzato! Ma lascio perdere. Il vero motivo che rende interessante la festa è Bruno. Lo riconosco, è il maestro di sci che ci ha fatto gli skipass in albergo la sera che siamo arrivate. In abiti, diciamo così, civili (senza la tuta da sci addosso, insomma) sta che è un gran figo. Ma davvero molto uaoooooo! Sulla trentina, con quel ciuffo bruno e quegli occhi verdi che ti guardano, a occhio e croce, dall’alto di un metro e novanta. Ovviamente, quando mi saluta, mi abbaglia con il biancore del suo sorriso. Altrettanto ovviamente non mi si caga di striscio e fa il filo a Martina. Quando ritorniamo in albergo è proprio lei che mi dice “lo sai che Bruno mi ha chiesto di uscire venerdì? E’ l’ultima sera… a te dispiacerebbe?”. Le rispondo che chiaramente no, non mi dispiacerebbe per nulla, figurarsi. Ma prima la prendo un po’ in giro indicando la scollatura del suo vestitino: “Te credo, te vesti da troia!”. “Magari potevi anche non metterti in jeans e maglione, per una sera”, risponde. “Che cazzo ne sapevo? Non mi sono portata niente per andare a una festa….”. Scherziamo, ci perculiamo a vicenda. E alla fine la rassicuro dicendo che posso tranquillamente restare in albergo o uscire con Ivan e Rada. “Il problema è che anche Peter mi ha chiesto di uscire”, aggiunge a freddo Martina. “Ahahahah allora dovrai scegliere – rispondo – anche se personalmente io sulla scelta non avrei dubbi”. “Sono indecisa, però potremmo uscire tutti e quattro, che ne dici?”. Le dico che non ci penso proprio. E le dico anche, ridendo, “dammi retta, di’ sì a Bruno, e non solo in quel senso”. Mi sorride attraverso lo specchio mentre si lava i denti e mi fa “troietta”. Io, forse per la prima volta da giorni, osservo bene le sue mani e mi accorgo che non porta più nessuno dei due anelli che le ha regalato Massimo. Immediatamente dopo, e vi assicuro senza nessuna vergogna, penso che se non dormissimo nello stesso lettone io un ditalino pensando al bel Bruno me lo farei proprio.

CONTINUA

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