Non cercarmi più

Scritto da , il 2017-11-25, genere sentimentali

C'era uno spazio immenso in me e solo lei lo ha mai occupato. Lo occupa ancora e lo occuperà sempre. Esiste l'amore, quello che si incontra una volta nella vita? E quanta gente non lo incontra nemmeno quella? Conoscere a memoria il corpo di una donna, ricordare quella piccola cicatrice e subito dopo il neo e poi ogni curva, ogni piega, ogni angolo e riconoscere l'odore, il sapore della sua pelle...
Fremo, tremo ancora al ricordo del suo corpo nella penombra, la fiamma dell'accendino che subito si spegneva e poi il punto rosso della sigaretta che pendeva dalle sue labbra. Era il momento più bello: la calma dopo la passione sessuale, le carezze e i baci che, spento il fuoco del sesso, erano l'espressione dell'amore. Un famoso scrittore diceva che può esserci sesso senza amore ma non amore senza sesso ma io più semplicemente penso che sia l'amore a distinguerci dalle bestie e che guardare un tramonto allacciati insieme non sia meno erotico di un amplesso furioso.
Amavo il suo corpo, certo, ma non l'avrei amato se non fosse stato il suo. Di belle donne ce ne sono tante, di corpi più o meno perfetti possiamo fare collezione, ma persino gli attori dei film porno hanno una casa in cui tornare, una donna in cui penetrare non per lavoro ma per sentimento. Amavo il suo viso, la sua voce. Potrei citarti a memoria interi dialoghi e ricordare in quali giorni furono dette quelle parole, quelle frasi. L'armonia dei nostri corpi, la sincronia del nostro piacere reciproco, la puntualità con cui i nostri orgasmi si incontravano alla fine del rapporto. Non sei un uomo fino a quando non incontri la donna che non finge di provare piacere ma ti vuole veramente per quello che sei e che fai. Ci sono uomini che dopo essersene scopate a centinaia non sono ancora uomini. Tu sei fra questi, vedi, io invece con lei ero un uomo, come tu non sei stato mai.
Quella villetta in mezzo al parco sembrava una casa di bambole, così piccola eppure così fornita di tutto. Non potevo andare a trovarla nella pensione in cui allora viveva né potevo incontrarla altrove se non in qualche squallido motel. Mi stavo separando, ero pieno di problemi, tu fosti molto gentile a metterci a disposizione quella casa di famiglia disabitata; ci andavamo un paio di volte a settimana e per alcune ore ci sembrava di essere in casa nostra. Ricordo soprattutto quando pioveva o faceva freddo ed entravamo fradici e infreddoliti e correvamo ad accendere il camino. Ma a volte io arrivavo più tardi e trovavo già il tepore ad attendermi e trovavo lei che mi scaldava più di qualsiasi camino e le sue forme erano una coperta, i suoi seni dei guanciali. Se non hai vissuto quei momenti allora hai vissuto per niente perché nulla li può eguagliare, mai. C'era un orologio a muro in cucina, nel silenzio dopo l'amore ascoltavamo il ticchettio che a volte si confondeva con quello della pioggia e non so spiegarti che cosa significasse per noi quel rumore. Forse pensavamo che il tempo era tutto nostro, che nessuno ci correva dietro, che saremmo stati insieme per sempre, che avremmo sentito quel battito uniti fino alla morte. Si pensa a queste cose quando si è innamorati, si pensa a un mucchio di sciocchezze, sai.
Eppure non avrei mai pensato che sarebbe stata la donna più importante della mia vita quando la incontrai la prima volta. Non era un momento felice: il mio matrimonio stava andando a rotoli, anche nel lavoro incontravo problemi su problemi. Andare a puttane, regalarmi una mezz'ora con una donna era l'unica cosa che poteva distrarmi. Quel locale sordido in cui le ragazze adescavano i clienti, facendogli prima ordinare bevande costose e sciape e poi conducendoli via, verso chissà quali memorabili imprese erotiche. Così la incontrai una sera: vidi un abito azzurro, un viso truccato, un corpo vistoso e seminudo, una sigaretta fra le labbra color porpora. Mi portò poco lontano, salimmo una rampa di scale ed entrammo in una stanza anonima e pulita, con un letto ricoperto da una trapunta color rosa. Scambiammo poche frasi.
"Vuoi che ti faccia questo?"
"Sì, va bene".
"Se vuoi stare di più, dopo mi fai un regalo?"
"Sì, ti faccio il regalo".
Non so se fosse la sua abilità o la mia voglia ma mi sembrò di essere eccitato come se non lo facessi da anni, entrai in lei con un impeto da adolescente in calore. L'orgasmo fu rapido e violento e mi lasciò con il cuore in gola.
"Riposati" sussurrò lei ed era la prima volta che qualcuno me lo diceva dopo un rapporto. La guardai forse per la prima volta e le chiesi come si chiamasse. Forse me l'aveva già detto e lo avevo dimenticato o forse le chiesi il nome vero perché quello che mi aveva dato era un improbabile nome da pornostar. Pensai fosse assurdo essere stato con qualcuno e non saperne il nome. Le accarezzai il viso e cominciammo a parlare. Non mi raccontò una lacrimosa storia per spiegare come era finita con il fare la puttana, mi disse semplicemente che aveva lasciato la sua città su al nord ed era venuta qui per allontanarsi per sempre dalla sua famiglia. Aveva provato a fare diversi lavori ma alla fine aveva scoperto che era più redditizio prostituirsi. Mi piacque la sua sincerità, il non nascondersi dietro alibi e scappatoie, l'ammettere che in mancanza di un titolo di studio e di particolari capacità aveva fatto quello che le riusciva meglio. Diventai un cliente abituale. Poco a poco fui preso da lei, senza accorgermene. In quei mesi provai ad andare con altre donne ma con esiti imbarazzanti. Così un giorno le dissi: "Ormai ci riesco solo con te".
Mi fissò con quello sguardo diretto che avevo imparato a conoscere così bene ma non disse nulla. La volta successiva, senza guardarmi, buttò là una frase.
"L'altra volta hai detto una cosa...che ormai ci riesci solo con me. E' vero?"
"E' vero".
Restammo in silenzio.
"Ti voglio bene" le dissi dopo un po'.
"Anch'io" rispose.
"Vuoi venire via di qui?"
"Sì".
La misi in una pensione modesta ma pulita. Non potevamo ancora andare a vivere insieme ed era una soluzione provvisoria. Non avevo molti amici ma comunque a quei pochi non mi sembrò il caso di dire chi era e da dove veniva. Non lo dissi nemmeno a te, ricordo di averle inventato un lavoro da commessa o da cameriera o ancora altro. Quando te la presentai sentii un certo gelo tra voi. Parlando separatamente con ognuno ascoltai commenti negativi sull'altro. Tu non le piacevi: troppo arrogante, sicuro di te, forse presuntuoso; lei non ti piaceva: in fondo non era niente di particolare e pensavi che non aveva senso impegnarsi con un'altra donna subito dopo un matrimonio fallito. Sentii una certa rabbia verso di te ma ti riscattasti offrendomi la casetta nel parco e te ne fui molto grato. I tuoi commenti mi scivolarono via senza lasciare traccia: ero felice, tutto il resto non contava.
Fu un bellissimo inverno. Contavo di mettere le cose a posto per l'inizio dell'estate, poi avremmo potuto vivere insieme. Un martedì la vidi per l'ultima volta, ci amammo come sempre, le diedi appuntamento per il venerdì, dovevo assentarmi un paio di giorni per lavoro. Avremmo trascorso il fine settimana in un posto bellissimo, una sorpresa per lei che non c'era mai stata. Tutto sembrava andare per il meglio ma qualcuno disse che non sappiamo il giorno o l'ora in cui qualcuno bussa alla porta. Il venerdì mi recai alla casa sicuro di trovarla; allora c'erano pochissimi cellulari in circolazione e noi non ne avevamo ancora, perciò non avevo modo di chiamarla per sapere se mi stava aspettando. La casa era vuota. Sul tavolo della cucina un biglietto, sopra c'era scritto: Non cercarmi più. La scrittura era la sua, senza dubbio, conoscevo bene quella N maiuscola e quel modo particolare di accentare la u. Se in quel momento una scossa di terremoto avesse sconvolto la terra e avesse fatto crollare tutto attorno a me non me ne sarei accorto nemmeno. Tutto era assurdo, inesplicabile. Mi precipitai alla sua pensione e la padrona mi disse di averla vista partire la mattina con una valigia. Nulla di strano, doveva venire a trascorrere il fine settimana con me e allora perché il biglietto, perché quella crudeltà? Che cosa era successo? Venni da te, sconvolto. Tu eri a letto, avevi la febbre, ma mi mettesti alle strette e io ti confessai la verità su di lei. Dovetti ascoltare i tuoi rimproveri del tipo: che ti eri messo in testa, avevo intuito che qualcosa non andava, quelle non cambiano, sarà tornata a fare la vita. Era troppo, ti gridai di smetterla e me ne andai. Eppure mi avevi messo un tarlo nella mente e corsi al vecchio squallido locale dove le sue ex colleghe si vendevano ancora. Chiesi di lei, ne ricavai battutine e sfottò, ma nessuna la vedeva da mesi. Andai dal suo protettore, lo avevo pagato profumatamente per non avere ostacoli nel portarla via ma anche lui fu sorpreso e mi sembrò sincero. Mi sorrise ironico, mi diede una manata sulla spalla e mi disse: "Amico mio, avrà trovato uno con più quattrini, il mestiere a queste gli rimane nel sangue". Mi scrollai la mano di dosso e scappai. Il giorno dopo ero in viaggio, andavo nella sua città, sapevo il nome e la professione del padre, forse era tornata a casa. Quale casa? Che gente era quella? Che famiglia? Se era andata via da loro come potevo pensare che ne provasse nostalgia? Ne ricavai altre amarezze e umiliazioni che non sto a dire. Tornai sconfortato. Andare dalla polizia? Mi avrebbero riso in faccia, non appena avessi raccontato tutta la storia avrebbero detto anche loro: che ti aspettavi da una puttana? E non potevo nascondere il biglietto e quello era un chiaro addio. Il resto è solo nebbia. Avrei voluto morire? Forse. Probabilmente mi salvasti tu, venisti a cercarmi e mi desti una mano. Mi ripresi un po' ma nulla fu più come prima. La mia vita è andata sempre peggio, la mia ex mi disprezza, i miei figli si vergognano di me, lavoro quel tanto che mi basta a sopravvivere senza chiedere l'elemosina. Non sono più stato capace di costruire un rapporto con una donna, ho sempre avuto per quasi vent'anni il suo viso davanti agli occhi, ho sempre sentito la sua voce dire: "Riposati".

E ora mi dici che l'hai ammazzata. Eri stato anche tu suo cliente e immagino la tua meraviglia e il suo sconcerto quando vi siete rivisti. Tu l'hai cercata, dici che volevi proteggermi, impedirmi di fare una sciocchezza, di rovinarmi la vita per una puttana: volevi allontanarla da me. La tormentavi e posso immaginare in realtà cosa volevi da lei, dimostrarmi che era sempre la ragazza che abbordava i clienti e poi li portava nella stanza in cima alle scale. Perché non mi ha raccontato tutto? Di cosa aveva paura? Quel biglietto lo scrisse a te. Non cercarmi più, lasciami in pace. Quel giorno l'hai raggiunta in quella che era casa tua, sapevi che dovevamo partire. Ammettilo, hai cercato di stuprarla: uno come te può avere una donna solo pagandola o violentandola. Dici che non volevi, che la situazione ti è sfuggita di mano, le hai stretto le mani al collo e poi non respirava più. Sapevi che stavo per arrivare, dovevi fare presto. Nessuno ti ha visto mentre la caricavi sul portabagagli della tua auto ma prima avevi avuto la brillante idea di lasciare il biglietto che qualche giorno prima ti aveva fatto scivolare in tasca senza che me ne accorgessi. L'hai portata qui, in questa pineta vicino a un'altra delle tue tante case e l'hai sepolta con la sua valigia.
Hai finito di raccontare. Un cancro ti sta spegnendo e hai voluto scaricarti la coscienza. Forse speri che io faccia giustizia e ti strozzi come hai fatto tu con lei, ma sarebbe troppo facile, smetteresti di soffrire e io voglio che tu soffra fino all'ultimo. Chiamo la polizia e mi metto ad aspettare.
Non riesco a piangere, non ne sono capace. La ricordo come era, una che sapeva amare.
Gabbiani si levano sopra la mia testa, volteggiano alla ricerca di qualche preda. Poi le loro grida si confondono con le sirene della polizia.

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