Il silenzio del colpevole

Scritto da , il 2018-09-03, genere comici

Jack Mason, lo strangolatore dell'Ohio, fu arrestato, processato e condannato a morte per avere rapito, stuprato e ucciso trentadue donne. Il suo modus operandi, come venne scoperto dagli investigatori, grazie alla testimonianza dell'unica donna superstite e ai travestimenti trovati nella sua abitazione, consisteva nell'ingannare le sue vittime, nel guadagnarsi la loro fiducia e indurle a seguirlo a bordo del suo furgone che utilizzava per i sequestri. Era aiutato dal suo aspetto fisico, assolutamente innocuo: mingherlino, quasi calvo, con occhialini da miope, non era certo il tipo che incute paura se incontrato da solo, di notte. Per accentuare la propria inoffensività ricorreva a vari trasformismi: a volte fingeva di essere invalido, con un braccio ingessato o una stampella, e chiedeva aiuto a volenterose e ingenue ragazze; altre volte recitava la parte del cieco che aveva perso il suo cane, oppure di un poveraccio che stava avendo un infarto; in altre occasioni si travestiva da prete, o da impiegato del gas o da militare o in qualsiasi modo potesse conquistare la fiducia della vittima di turno.
Tutte queste cose la polizia le scoprì perquisendo la casa, trovando l'elenco accurato delle vittime, i souvenirs che il loro uccisore si era tenuto per ricordo, le foto che aveva scattato alle ragazze ancora vive o già morte. Per non parlare della rimessa della sua casa in cui spesso torturava e violentava le sventurate. Insomma, le prove abbondavano ma non ci fu alcun aiuto da parte di Jack che, dal momento dell'arresto, si chiuse in un mutismo che non abbandonò mai. Fu, in un certo senso, uno dei casi più clamorosi e frustranti della storia criminale: l'atteggiamento passivo del protagonista impedì il pieno sviluppo di quella catena medico-scientifica-giornalistica-affaristica che scatta in questi casi. Gli sforzi degli psichiatri incaricati di esaminare il soggetto non riuscirono a farlo parlare più di quanto fossero riusciti i poliziotti; il tentativo di stilare un profilo criminale condito da test intellettivi e ricordi di oscuri episodi infantili restò nell'aria, fatto solo di congetture e basato sulle testimonianze limitate dei pochi parenti o conoscenti di Jack, il quale era stato una persona così riservata e asociale che anche un episodio insignificante come l'avere chiesto scusa a una ragazza urtata per caso divenne simbolo arcano di chissà quali retroscena. I giornalisti non ebbero migliore fortuna e se qualcuno sperava di arricchirsi con un istant-book sullo strangolatore dovette disilludersi, perché mancava la materia prima: la sua vita. Naturalmente a Jack giunsero offerte di interviste esclusive pagate a cifre altissime ma nessuna ebbe mai risposta. Il suo avvocato, nominato d'ufficio, si trovò nella disperante situazione di difendere un cliente che non solo era evidentemente colpevole ma che non diceva nulla al suo legale. L'unica mossa fu quella di richiedere una perizia psichiatrica, i cui risultati furono quelli già descritti.
Per tutta la durata del processo Jack fece scena muta e non rispose nemmeno quando gli chiesero, come al solito, se si dichiarava innocente o colpevole, silenzio che gli costò una condanna per oltraggio alla corte.
La testimonianza più drammatica fu quella di Janet Lawrence, l'unica che fosse riuscita a sfuggirgli. Lo aveva incontrato una sera quando, dopo avere lasciato gli amici, si era incamminata verso casa. Aveva trovato quell'uomo sul ciglio della strada, la faccia insanguinata, che si contorceva per il dolore, accanto a un furgone verde. Le chiese aiuto, affermando di essere appena stato aggredito e rapinato e mentre la ragazza si chinava per aiutarlo a rialzarsi, lui aveva cercato di metterle una salvietta imbevuta di cloroformio sulla bocca. Janet aveva frequentato un corso di autodifesa ed era sempre stata un tipo sportivo: Jack era rotolato per terra mentre la ragazza correva a chiedere aiuto e chiamava la polizia.
"Riconosce il suo aggressore?" chiese la pubblica accusa.
"E' lui!" esclamò la testimone, fra gli applausi del pubblico.
L'ultimo tentativo per strappare Jack al suo mutismo fu mandargli Scarlett Kay, la famosa criminologa, autentica star televisiva per le sue partecipazioni a numerosi programmi. Scarlett, la chioma bionda sciolta al vento, aveva fatto parlare i più famosi maniaci sessuali e serial killer, presentandosi con l'immancabile minigonna e la generosa scollatura.
Con Jack fu tutto inutile: la voce suadente della criminologa-diva non lo turbò più di tanto e dopo un distratto sguardo alle cosce di Scarlett, tornò a tuffarsi nei fumetti che costituivano la sua unica lettura quotidiana.
Il verdetto fu rapido: colpevole per tutti i capi di imputazione. Il giudice disse che non vi era altra pena che quella capitale.
La permanenza di Jack nel braccio della morte fu molto più breve del solito. Non firmò nessuno dei ricorsi che il suo disperato avvocato gli sottoponeva, nemmeno le estreme petizioni o la domanda di grazia. A parte i fumetti, leggeva solo, distrattamente, le numerose lettere che gli giungevano: per la maggior parte contenevano minacce e anatemi, maledizioni e auguri di trovarsi presto all'inferno, ma non mancavano gli ammiratori e nemmeno le solite sceme che si innamorano di chiunque diventi famoso, anche se per avere ucciso un pò di gente. Qualcuna gli scriveva che voleva essere la sua prossima vittima e gli chiedeva come l'avrebbe stuprata prima di strangolarla, se le avrebbe strappato le mutandine per annusarle, se l'avrebbe cosparsa di maionese per poi leccarla tutta o se magari l'avrebbe penetrata con un enorme fallo di gomma e alla fine sarebbe stato difficile dire se era più psicopatico chi scriveva quelle lettere o chi le riceveva.
Venne la sera che precedeva l'esecuzione, fissata per mezzanotte e un minuto.
Jack ricevette la sua ultima cena: pollo fritto, una porzione di gelato e una bottiglia di coca-cola, notizia quest'ultima che fece molto piacere ai rivali della pepsi, dato che l'essere la bibita preferita di un serial killer non è il massimo della pubblicità.
Tre ministri del culto, un pastore battista, un reverendo di una delle tante chiese riformate e un sacerdote cattolico chiesero a Jack, di cui si ignoravano le opinioni religiose, se voleva parlare con uno di loro ma non ricevettero risposta.
Il direttore del carcere venne ad annunciargli che la sentenza doveva essere eseguita e gli chiese se desiderava lasciare disposizioni sulle poche cose che teneva in cella. Jack non rispose, finì di leggere l'ultima pagina del fumetto che aveva in mano, si alzò e si mise a disposizione delle guardie che lo incatenarono e lo condussero nella camera della morte.
Molte persone aspettavano di assistere all'esecuzione. Vi erano alcuni parenti delle sue vittime, sorteggiati perché non c'era posto per tutti, alcuni giornalisti, un senatore, politici locali. Jack venne legato al letto mentre il direttore gli chiedeva se aveva qualcosa da dire prima di morire. La tensione era palpabile in tutti: avrebbe finalmente rotto il silenzio? Avrebbe lasciato delle parole su cui meditare, su cui scrivere fiumi di interpretazioni, parole che sarebbero state ricordate e che avrebbero finito con l'essere citate in libri e film ispirati alla sua storia? Gli attimi passarono ma Jack non disse nulla, come al solito, deludendo per l'ultima volta il carrozzone mediatico.
Allora entrò in scena il boia, il viso coperto da un macabro cappuccio. Afferrò la siringa contenente il miscuglio di farmaci letali preparati da un medico e si avvicinò al letto del condannato.
Fu allora che tutti, sbalorditi, udirono finalmente la voce di Jack.
"Ma l'hai sterilizzata la siringa? Mi vuoi far prendere un'infezione?"

Questo racconto di è stato letto 1 7 5 3 volte

Segnala abuso in questo racconto erotico

commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.