Come fratello e sorella

Scritto da , il 2018-10-05, genere prime esperienze

Quando mia madre e mia sorella volevano rimproverarmi per qualcosa, l'immancabile frase finale era: vedi com'è brava Emma.
Quando tornavo a casa con dei brutti voti, il commento inevitabile era: guarda che bei voti ha Emma.
E quando rispondevo male o facevo lo scostumato, la solita pietra di paragone era lei, Emma.
Così brava, così perfetta, così educata.
Abitavamo da sempre sullo stesso pianerottolo. Lei aveva un anno più di me e tutti la coccolavano, mia madre e mia sorella stravedevano per lei e ad ogni rimprovero nei miei confronti, seguiva un suo elogio.
Da bambini si giocava insieme, per le scale. Se si faceva chiasso, i rimbrotti cadevano quasi sempre su di me. Ci toccavamo e ci mostravamo l'ombelico, poi un giorno lei volle vedere qualcosa di più e venimmo sorpresi nel momento in cui io mi scoprivo il pube. Dissero che ero un porcello e dovevo vergognarmi a scandalizzare quell'angelo di Emma.
Il fatto è che se mi spogliavo da solo ero un maialino, ma intanto non si facevano scrupolo di umiliarmi in sua presenza. Mia sorella un giorno mi fece il bagno davanti a lei che rideva e mia madre una volta, mi scoprì tutto e mi sculacciò sempre davanti a lei, per punirmi dell'ennesimo guaio che avevo combinato.
"Sono cresciuti come fratello e sorella", diceva sua madre, di cui ricordo le turgide tette mentre allattava il vero fratellino della figlia. Per crescere, crescevamo: lei sempre ricoperta di lodi, io sempre ricoperto di rimproveri.
Vennero i tempi delle scuole medie. Io arrancavo, lei conseguì la licenza con il massimo dei voti. Andammo alle superiori, io un anno dopo di lei, e la musica restò la stessa.
Subii l'ennesima umiliazione: mi dava le ripetizioni. Con pazienza mi spiegava le tante cose che non capivo e mia madre ripeteva che se non venivo bocciato, ogni anno, era solo merito di quella perla di ragazza.
Era davvero diventata una perla. Alta, snella ma non esile, con tutte le cose al posto giusto, i bei capelli biondo-castani spesso raccolti a coda di cavallo, vestita semplice, con jeans e maglioni, faceva girare la testa a molti. Lei era amica di tutti ma non dava corda a nessuno e se qualcuno si spingeva troppo in là, lo bloccava immediatamente.
"Che ragazza seria!", commentavano mia madre e le altre comari del palazzo, e i suoi genitori erano fieri del tesoro che si ritrovavano in casa.
Io, che ero molto meno serio di lei, mi chiudevo in bagno e mi masturbavo pensando a lei. Già, perché quell'essere che avrei dovuto odiare, visto che da una vita mi rompevano le palle mettendomelo davanti come esempio, mi piaceva da morire. Il mio carattere selvatico e scontroso si scioglieva come burro quando mi sorrideva o mi chiamava per strada per fare il cammino insieme verso la scuola o al ritorno. Mi eccitavo ricordando i giochetti infantili e le volte che mi aveva visto nudo ma erano frammenti di piacere che mi lasciavano più insoddisfatto di prima. Vedevo le sue mutandine e i suoi reggiseni stesi ad asciugare sul loro balcone e fantasticavo settimane intere su quei pochi centimetri di stoffa.
La fantasia mi trascinava lontano, in mondi sconosciuti. Ero esule in paesi stranieri ma Emma arrivava a salvarmi e a riportarmi in patria. Le più belle attrici si innamoravano di me ma io le rifiutavo perché mi ero promesso solo a lei. Poi un giorno lei si sposava con un granatiere dall'aria soddisfatta ed ebete ma prima di dire sì, si voltava dalla mia parte e diceva a tutti che era sempre stata innamorata di me...
Possedevamo una foto in cui apparivano insieme le nostre famiglie, quando avevamo lei quindici e io quattordici anni. Feci sparire la foto, tagliai via tutti gli altri e lasciai solo noi due, vicini, con lei che mi cingeva le spalle. Poche foto, credo, sono state la causa di tanti piaceri solitari come quelli che mi provocai con quell'immagine ritagliata.
Le altre ragazze non mi dicevano niente e io, d'altra parte, non dicevo molto a loro. Chi avrebbe potuto volermi bene più di una che mi conosceva da sempre?
Arrivammo così alla vigilia dei suoi diciotto anni, nel suo ultimo anno di liceo, penultimo mio.
Forse solo io mi accorsi che c'era qualcosa di nuovo in lei. In apparenza era sempre la solita perla di ragazza e nessuno avrebbe potuto notare niente di diverso ma io che la osservavo da sempre con occhi particolari, non mi ingannavo. La vedevo, ogni tanto, durante le solite ripetizioni che mi dava, perdersi trasognata, lo sguardo ora triste e sommesso, ora più lieto. Negli ultimi tempi, però, una tristezza nuova, struggente, si levava dai suoi bellissimi occhi che sfuggivano i miei. Notai che usciva sempre più spesso, cosa normale in una ragazza quasi maggiorenne, ma mi sembrò un altro segno che qualcosa era cambiato. No, non mi sbagliavo: si era innamorata di qualcuno, era inevitabile che accadesse, in fondo lo avevo sempre saputo che sarebbe successo ma provai lo stesso una gelosia rabbiosa e dolorosa. Chi era il fortunato? Erano già amanti? Eppure non era giusto, nessuno poteva adorarla più di me!
Cominciai a spiarla in modo ancora più ossessivo. La domenica pomeriggio usciva sempre, la sentivo attraverso il muro salutare la madre e dire che andava al cinema con le amiche. Provavo a seguirla, stando attento a scendere pochi istanti dopo di lei ma c'era sempre qualcosa che andava storto: o la perdevo di vista o non riuscivo a starle dietro senza essere scoperto o semplicemente mi vergognavo di quello che facevo e tornavo indietro, salvo poi pentirmene. Ma dopo un mese di buchi nell'acqua, finalmente una domenica, approfittando di una pioggia sottile che consentiva di nascondersi dietro un ombrello, riuscii a pedinarla per un bel pezzo. Eravamo quasi arrivati alla periferia della città, quando la vidi entrare in una cabina telefonica (eh già, era un'altra epoca). Dopo un pò ne uscì e fatti pochi passi la vidi fermarsi: era evidente che aspettava qualcuno, lo stesso a cui aveva telefonato.
Dopo una decina di minuti vidi arrivare un'auto, una Fiat Uno e lei salì a bordo. Non avevo visto il conducente ma non ne avevo bisogno per sapere chi fosse: conoscevo bene l'auto e la sua targa. Il proprietario altri non era che il fascinoso professor De Angelis, l'insegnante di lettere di cui tutte le alunne erano innamorate.
Così brava, così perfetta, così bene educata, ma tutto questo non le impediva di farsi scopare dal suo professore, un uomo che aveva il doppio dei suoi anni.
Schiumavo di rabbia. Dove erano andati? Il professore era sposato, aveva bambini, l'aveva portata in un motel dove fingevano di non accorgersi di una minorenne o in qualche garçonnière scovata appositamente. Fremevo pensando a quello che stavano facendo, mi sentivo vittima di un sopruso o addirittura di un furto.
Pensai al modo di vendicarmi. Rivelare tutto ai genitori di Emma? Scrivere una lettera anonima al preside della scuola? Affrontare la moglie del professore e dirle che la sua rivale era un'allieva del marito?
Come al solito, dopo tutti questi progetti perversi mi sentivo meschino e provavo vergogna.
Che diritto avevo di essere geloso? Mi ero mai dichiarato? E anche se lo avessi fatto avevo delle chances, io stupido e insignificante ragazzetto, contro uno che sembrava la controfigura di Alain Delon nel film La prima notte di quiete?
Potevo consolarmi notando che le lezioni sessuali di De Angelis non le procuravano la gioia che mi sarei aspettato di vedere in una ragazza che ha appena scoperto cos'è un orgasmo.
La vidi via via intristirsi e incupirsi e una volta mi scacciò infastidita quando andai a chiederle il solito aiuto scolastico. Era la prima volta che mi trattava male e ne trassi la convinzione che forse l'avventura era già giunta al termine e che il professore si fosse stancato della ragazzina.


Un mercoledì tornavo da scuola. L'aria era fredda, fu il febbraio più gelido di sempre. Emma da un paio di giorni non veniva a lezione, ufficialmente influenzata.
Avevo salito le scale ed ero arrivato al mio pianerottolo quando la madre di Emma uscì improvvisamente di casa, come se mi avesse aspettato dietro la porta, mi venne addosso e mi mollò due ceffoni in piena faccia.
"Non ti vergogni, piccolo vizioso che non sei altro? Altro che fratello e sorella, questo facevate quando stavate da soli, eh? Ma ti faccio vedere io!"
Mia madre uscì, richiamata dalle urla, e chiese spiegazioni. La signora pensò che non era il caso di mettere in allarme tutto il palazzo e ci spinse in casa nostra, dove disse che Emma era incinta e che ero stato io. Mia madre trasecolò e mi chiese se era vero.
Non sono mai stato un mostro di intelligenza ma quella volta mi fu tutto subito chiaro. La madre si era accorta dello stato della figlia e le aveva chiesto chi era il suo amante. Emma non voleva rispondere la verità, avrebbe rovinato la vita dell'amato: un professore che seduce l'alunna, ancora minorenne, e la mette incinta, allora più di oggi era nei guai fino al collo. Di fronte al suo silenzio la madre si era arrovellata per trovare la risposta e questa si era rivelata nel modo più semplice: non potevo essere che io, viste le tante ore trascorse insieme, anche da soli, quando lei mi faceva lezione. Ed Emma, di fronte all'equivoco preferì non reagire, finendo con il confermarlo con il suo silenzio.
A quel punto stetti zitto anch'io, un pò perché sorpreso dagli eventi non riuscivo a reagire, un pò perché ero convinto che Emma avrebbe detto la verità, liberandomi del sospetto. Mia madre, a sua volta, interpretò male il mio mutismo e mi beccai anche i suoi schiaffoni.
A quel punto le due signore litigarono fra di loro. Mia madre notò che Emma era più grande di me e l'iniziativa non poteva che essere partita da lei, affermazione che provocò una valanga di controaccuse.
La sera ci fu riunione tra i quattro genitori. Le voci, una volta così amiche, si sovrapponevano ostili. Tutto poteva cessare, almeno per me, se Emma si fosse decisa a parlare, ma con mio disappunto si era chiusa in camera sua e non rispondeva ai suoi.
"Se fa una sciocchezza, lo ammazzo", disse la madre, riferendosi a me.
Quella notta non dormii. Andai a scuola come uno zombi, non capivo nulla di ciò che mi dicevano, fui interrogato non so in cosa e mi presi un impreparato. Mi sembrava che tutti sapessero e ridessero di me. Ma che cosa sarebbe stato davvero umiliante? Che pensassero che davvero avevo fatto le cose con Emma o che sghignazzassero perché stavo per diventare padre pur essendo vergine? In realtà nessuno seppe nulla perché il segreto fu ben custodito.
La malattia di Emma durò due settimane; una mattina uscì con la madre e tornò la sera.
Così brava, così perfetta, così pulitina, con il ventre di nuovo libero da visitatori, tornò a essere per gli estranei la ragazza di sempre. Non per i miei: mia madre aveva smesso di elogiarla e riempiva di insulti tutta la sua famiglia. Avevano fatto una cosa orribile, diceva, e gravava tutta sulla loro coscienza, noi non c'entravamo proprio, così diceva a mia sorella, già sposata e incinta per la terza volta. La grande amicizia era finita, per sempre.
Dentro di me montava la rabbia, una rabbia sorda e ossessiva. Vedevo a scuola quel play boy di De Angelis, idolo delle colleghe, delle alunne e delle mamme, così narciso e vanesio che una donna intelligente lo avrebbe trovato insopportabile. Durante una pausa delle lezioni, non visto, ruppi un fanale della sua auto e gli sgonfiai due ruote. Fu una magra soddisfazione. Emma ritornò a scuola, riservata come sempre, un pò dimagrita e fresca d'aborto. Mi ignorava e fingeva che non esistessi e questa fu la cosa che mi fece maggior male; se almeno mi avesse chiesto scusa per avermi coinvolto, se avesse confessato di aver dovuto scegliere il male minore... Ripensai a quando da piccoli eravamo stati sorpresi dopo che mi aveva chiesto di abbassarmi i pantaloncini e aveva lasciato che venissi trattato io da maiale.

Venne la primavera. Stavo male, ero inquieto e insoddisfatto, il mio rendimento scolastico colava a picco e tutto per colpa di quella ipocrita puttanella, come la definiva mia madre. Un pomeriggio ero solo in casa e sapevo, per avere sentito quella megera della mamma che le faceva delle raccomandazioni prima di uscire, che era sola anche lei.
Presi la decisione in un attimo. Ero tranquillo e sicuro quando suonai alla sua porta. Chiese chi era, non risposi, allora socchiuse l'uscio e mi vide. Se per un attimo pensò che desiderassi un chiarimento, non ci mise molto a capire cosa volevo in realtà.
"Hai fatto credere che ero stato io", le dissi, "e non ti ho contraddetto anche se potevo farlo perché so di te e di quel porco di De Angelis."
Diventò ancora più pallida di come era.
"Ora me la merito una ricompensa."
Si riprese e mi guardò quasi con sfida.
"Pensi di esserne capace?"
"Sono cresciuto dall'ultima volta che me lo hai visto..."
Volendo ancora proteggere quello stronzo, non poteva che assecondarmi.
La seguii nella sua stanza. Cominciai a spogliarmi e a toccarla. Devo dire, in verità, che lei rimase fredda e distaccata tutto il tempo, lasciandosi palpare e svestire senza dare nessuna collaborazione. Si sottrasse ai miei baci ma per il resto non resistette ai miei assalti. La sua freddezza avrebbe potuto scoraggiare molti ma non un adolescente che per la prima volta si trovava davanti la ragazza che desiderava da sempre e che per la prima volta scopriva la nudità femminile. La penetrai furiosamente, volevo dimostrarle che non ero da meno di quell'anzianotto di De Angelis, glielo spinsi sempre più a fondo, volevo farle male, molto male, poi, istintivamente, lo tirai fuori un attimo prima che schizzassi una pioggia di sperma che le bagnò tutto il ventre.
"Stavolta non potrai dire che t'ho messo incinta!", esclamai trionfante.
Aveva sopportato tutto ma questo la fece infuriare. Mi mollò uno schiaffo e mi disse che ero solo uno schifoso segaiolo.
"Cosa credi, che non mi ero accorta che sbavavi vicino a me? Ce l'hai anche piccolo."
"Hai saputo? Dicono che De Angelis si fa la prof di scienze..."
"Vattene! Dirò a tutti che sei venuto a molestarmi."
"E io dirò a tutti che ti sei fatta fottere dal tuo insegnante."
"Prendi i tuoi stracci e va' via e non ti azzardare a tornare."
Nei cinque anni che siamo rimasti vicini di casa, non ci siamo più parlati.

Mai fidarsi di un fratello o di una sorella, soprattutto se non sono veri.

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