I Romano 9: Franca Vannucchi e gli Orcomanno (parte prima: Mario detto “il Principino”)

Scritto da , il 2011-02-08, genere sentimentali

I Romano 9: Franca Vannucchi e gli Orcomanno (parte prima: Mario detto “il Principino”)

L'attricetta Franca Vannucchi era entrata nel giro dei Romano grazie alla sua agente, Gina Gherson, che le aveva consigliato di abbordare Beppe Cinghiale. Poi il brutale vice capo famiglia era caduto nella rete di Lina Romano che, d'accordo con il fratello Vito, intendeva servirsi di lui per proteggersi dal nuovo boss: Pietro Orcomanno, detto lo Squalo, l'uomo che, ormai nessuno ne faceva mistero, aveva fatto fuori il padre di Lina e Vito, per prenderne il posto.
Perso il Cinghiale, Franca ebbe la fortuna (la fortuna e un po' di abile seduzione) di gettare il suo lazo su Mario Orcomanno, nientemeno che il figlio dello Squalo.
Mario era sempre stato un tipo strano. Si era sempre tenuto lontano dagli affari di famiglia, aveva studiato, si era laureato in letteratura, e da anni lavorava ad un romanzo. Suo padre l'aveva lasciato fare ma, sotto sotto, l'aveva sempre considerato un po' una mezza sega. Anche il suo soprannome, “il Principino”, gli pareva una presa per il culo, un modo per dargli del finocchio. Franca però, benché fosse una donna cattiva, dopo la brutalità del Cinghiale, era stata ben felice di incontrare questo uomo gentile, che le parlava di cinema, di libri, la portava a teatro e faceva l'amore senza chiederle numeri strani. Dire che se ne era innamorata è eccessivo, ma sotto sotto, lui aveva tutto quel che lei poteva volere da un uomo.
Una volta, erano ancora agli inizi, lui l'aveva portata a Venezia a vedere un mostra del Canaletto. Di fronte a quei quadri le aveva spiegato il metodo della camera ottica e le aveva detto che, secondo lui, quella tecnica anticipava un certo tipo di cinema di un paio di secoli. Per lei il fare l'attrice era stata la conseguenza di due fattori ben chiari: era una bella ragazza e, da quando era un ragazzina, non aveva fatto altro che recitare con tutti. Ora faceva l'attrice perché non sapeva fare altro. Lui invece prendeva la sua idea di fare cinema con molta serietà. Le aveva presentato una sua amica che le aveva proposto un corso di recitazione, la portava al cinema a vedere i film di Woody Allen in cui recitava Scarlett Johansson che, a suo dire, le somigliava moltissimo. Lei lo guardava e gli sorrideva, incapace di dirgli che l'unica scena di “Vicky Cristina Barcelona” che l'aveva davvero colpita era stato il bacio tra la Johansson e Penelope Cruz....
Ma lui non pareva badare a queste cose e la portava a Venezia a vedere il Canaletto e lei lo ascoltava e quasi le veniva da piangere, per quanto sul lui prendesse i suoi sogni sul serio. Sogni che per lei, in realtà, non erano che finzione, un modo per ingannare sé stessa e gli altri. La sera prima, quando erano arrivati in uno dei più lussuosi alberghi barocchi di Venezia, lui aveva preso le due camere migliori, per farle capire che lui non considerava scontato che dormissero insieme. Poi, dopo cena, lei si era lasciata sedurre con garbo, come faceva lui, che la corteggiava come se ogni volta fosse il loro primo incontro. Una volta in camera, sul letto a baldacchino tra ori, sete e profumi d'Oriente, lei si era chinata su di lui e, per la prima volta dopo mesi, aveva preso in bocca il suo sesso. Non era certo la sua prima volta ma quella era stata la prima che lo faceva volentieri e, quando si accorse che lui non pretendeva di sborrarle in bocca come tutti gli altri prima di lui, ma che anzi, si stava quasi vergognando di ciò che stava per farle, lei gli sorrise, gli disse che andava tutto bene, e tornò a chinarsi ancora e ancora, togliendosi da lì solo dopo aver sentito in bocca le prima gocce del suo piacere.
Mario Orcomanno invece era veramente innamorato di lei. Dalla prima volta che l'aveva vista accanto a Beppe Cinghiale, al matrimonio di Rino, era rimasto folgorato da come la rozzezza dell'uomo non aveva alcuna presa sul candore di quella ragazza che si nascondeva dietro uno sguardo cattivo. Cattivo come può esserlo quello di una tigre in gabbia.
In seguito Mario capì che lei poteva capire la sua famiglia, la violenza che la teneva unita, eppure, a differenza delle puttane e delle donne della famiglia, era anche l'unica che potesse condividere il suo desiderio di avere una vita spirituale che andasse al di là degli immondi traffici di suo padre. Lei era intelligente ma non particolarmente colta, e questo gli piaceva perché reagiva ai suoi stimoli in un modo istintivo che lo colpiva, con una purezza di sguardo che non era stupida ingenuità, ma mancanza di condizionamenti e libertà interiore profonda.
A letto invece, all'inizio era stata difficile. Lei “ci sapeva fare”, come si dice, e ci teneva ad essere ricordata come la migliore scopata di tutti i tempi. Però lui certe cose le capiva, e capiva che, soprattutto a letto, lei rimaneva nascosta dietro mille paraventi, che del suo corpo era abituata a concedere tutto, ma che della sua anima non concedeva mai nulla. Quando poi aveva conosciuto la sua agente, era bastato stringerle la sua mano e guardarla negli occhi per capire il resto. Gina Gherson era una donna forte, come lui sulla trentina (Franca ne aveva invece 19), e l'aveva squadrato con uno sguardo indagatore e possessivo.
Franca aveva bisogno di scopare con lui perché era l'unico modo che lei conoscesse per controllare un uomo, e questo Mario lo capiva. Si lasciava fare, quindi, e non certo malvolentieri, ma piano piano, senza che lei se ne accorgesse, le stava iniziando ad insegnare un nuovo modo di scopare: quello che banalmente chiamano “fare l'amore”, ma che in realtà ha più a che fare con il conoscere l'altro e con il lasciarsi conoscere dall'altro, attraverso la conoscenza del proprio e dell'altrui piacere. Lui sapeva che lei non poteva amarlo, perché non amava se stessa, ma sentì anche come il suo corpo, che all'inizio gli comunicava solo il desiderio di dominarlo dominandone i sensi, lentamente stava cominciando a comunicargli una semplice e profonda riconoscenza. Nonostante le grida ed i gemiti di piacere che Franca sapeva così bene simulare, lui sapeva che lei non amava affatto essere penetrata e che, nonostante lei glielo avesse chiesto, la ripugnava essere sodomizzata. Lui, a differenza di Beppe Cinghiale e della gran parte degli amanti che aveva avuto Franca, non aveva mai avuto bisogno di ricorre a prostitute ma, all'opposto, aveva avuto compagne che adoravano il sesso anale e quindi sapeva riconoscerle. Sapeva che Franca non era tra queste e, una volta che lei se l'era fatto infilare là dietro, lui dopo un po' si era ritirato, dopo aver perso l'eccitazione. Lei si era offesa, come se lui non la volesse. Erano seguiti dei malumori incredibili, da parte di Franca, e si erano quasi lasciati. Lui le diceva che non dovevano fare nulla che lei non desiderasse, e lei ribatteva che era già così, e che a lei quella cosa piaceva. Alla fine lui rinunciò e le chiese scusa per aver dubitato di lei. Ma di fatto da allora il suo culetto era stato lasciato in pace.
Quando lui si rese conto che nemmeno con la vagina lei provava piacere, capì anche che non doveva dirle nulla perché così facendo l'avrebbe umiliata. Avrebbe avuto paura di non poterlo più sedurre e, in tal modo controllare, e sarebbe corsa a nascondersi per sempre. Così Mario accettava gli sforzi della donna di dargli piacere, ed essi man mano diventavano gesti di gentilezza e di amicizia, di affetto. Un modo di amare che Franca Vannucchi non aveva mai conosciuto.

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