Rina

Scritto da , il 2010-07-16, genere prime esperienze

Per l’incontro che avrebbe segnato il suo passaggio nel terrificante mondo degli adulti, Leo dovette solo suonare alla porta dei vicini di casa. Studiava lingue straniere, con predilezione per quelle dell’est europeo, e quella notte gli era capitato di rimanere solo nell’appartamentino che divideva con altri studenti. Per lui era stata un’emozione anche se la cosa più trasgressiva che aveva fatto era stata una lunga pippa sulla poltrona della cucina guardando reclame di hot line. Era andato a letto tardi e si era alzato all'una di pomeriggio e aveva scoperto che qualcuno aveva finito il caffè. Maledicendo quel qualcuno aveva suonato alla porta accanto: fu allora che conobbe Rina.
La donna che gli aprì la porta aveva una quindicina d’anni più di lui, ma questo lo scoprì dopo, quando entrarono in confidenza, perché il suo aspetto era tale da farla sembrare sua coetanea. A prima vista infatti sembrava una ragazzina, per via dei capelli nerissimi e sbarazzini, ma soprattutto perché era piuttosto bassa. Sembrava insomma una sedicenne a cui erano da poco esplose delle belle tette. Oltre a ciò aveva un sorriso cordiale.
Portava un camice di quelli con i bottoni davanti, da donna di casa insomma, ma a fiori arancio, sgargiante, che su di lei non stonava dando una bella luce al suo viso mediterraneo, ed un’aria sensuale ai suoi occhi neri.
«Buongiorno sono il nuovo vicino. Sono venuto per chiederle, perché ci siamo trasferiti da poco e non abbiamo ancora tutto, se per caso sarebbe così gentile, da prestarmi un po’ di caffè.»
«Certo caro non preoccuparti. Hai portato qualcosa dove mettere?»
La faccia di Leo rispose che si sentiva un idiota.
«Beh non importa» disse comprendendo il suo imbarazzo, «vieni pure.»
Così il suo corpicino lo aveva preceduto in cucina dove stava stirando. Aveva le ciabatte ed i calzini arrotolati alle caviglie ma camminava come sanno certe ragazze che hanno capito che non serve essere top model per avere portamento. Leo fu subito affascinato da quella tipa che sembrava più giovane di lui e lo chiamava caro.
Non è facile spiegare perché Leo accettò di sedersi a prendere il caffè che lei gli offrì. Avvertiva una strana sensazione di familiarità con quella donna che sfaccendava in casa e che aveva un leggerissimo accento a lui sconosciuto. Mentre la guardava alzarsi in punta di piedi per prendere lo zucchero dalla credenza, si era reso conto di non essersi ancora lavato la faccia e mentre pensava a questo lei si era girata e gli aveva sorriso luminosa. Quella persona così limpida gli dava una strana sicurezza, come se la conoscesse da tanto e alla fine, anche se era rimasto da lei solo per pochi minuti, quell’appuntamento pomeridiano per il caffè era diventato un’abitudine.
Pian piano aveva scoperto che Rina era l’italianizzazione di un nome rumeno e che lei era venuta in Italia per sposarsi con Giovanni, un commerciante di non si sa che cosa con i paesi ex-comunisti. Leo aveva deciso che non era il caso di chiedere alla signora come si erano conosciuti, anche se lei parlava di suo marito con affetto.
In corridoio c’erano alcune foto. Lei gli aveva mostrato una foto scattata in Romania anni prima. Sullo sfondo c’erano campi di grano e alcune casette che sapevano di miseria e abbandono, un po' come quella dei suoi nonni. Nella foto, accanto ad altre due figure alquanto più alte, c’era Rina vestita con un maglioncino ed una gonna a quadri sotto al ginocchio. Aveva stivali orribili. Accanto a lei un uomo sulla cinquantina, ben curato nonostante un po’ di pancia, certo non bello ma dall’aria gioviale. Leo si era stupito vedendolo e Rina, capendone il motivo, si era messa a ridere dicendogli che nemmeno lei era tanto giovane. Poi si era fatta adulare per un po' facendogli indovinare la sua età, cosa che fece arrossire Leo, ed infine lo aveva stupito rivelandogli che aveva passato i 35 anni. Leo affermò che sembrava una ragazza e lei si era schermita chiamandolo “caro” e dicendo che era dolce.
«E questa chi è?»
Accanto ai due c’era una ragazzona di 15-16 anni, decisamente formosetta ma dal viso gradevole, anche se in verità un po’ rovinato dall’acne, bionda o forse castana, dalla foto non si poteva dire.
«Questa è figlia di Giovanni. Sai lui è vedovo. Comunque lei ti piacerebbe ora, è diventata una cara ragazza, fa il liceo e già è andata in Università per chiedere quando può iscriversi a filosofia.»
Giorno dopo giorno aveva imparato a conoscere Rina. Aveva scoperto che era laureata in ingegneria industriale (“come tutti in Romania” aveva sorriso dicendoglielo), e che parlava il russo. Nel passato della donna c’erano aspetti su cui glissava con mezze frasi e brevi accenni. Di Giovanni parlava con affetto, come di una persona educata che la colmava di rispetto lasciandola libera. Da affermazioni del genere Leo comprendeva che il loro era un matrimonio che stupidamente i suoi avrebbero definito “per interesse”, ma che in realtà non era che chiara coscienza dei reciproci limiti. I due non erano certo tipi da credere negli innamoramenti: lui l’aveva portata via dalla Romania nei primi anni ’90 e lei in cambio gli faceva da moglie e si prendeva cura di lui e della figlia. Erano ottimi amici e lui, che quasi non la toccava più, di certo non faceva storie se la sua bella compagna trovava un po’ di felicità tra le braccia di altri uomini.
Questi vissuti erano abbastanza estranei al mondo ben più convenzionale di Leo, ma la naturalezza con cui Rina ne parlava dava alle sue rivelazioni i contorni di cose che accadono, semplicemente, e che vanno prese in quanto tali, e chi pretende di scorgervi regole generali non fa che mettere dei limiti alla propria capacità di comprenderle. Leo in cambio raccontava della sua famiglia, di come vorrebbe che sua madre avesse il coraggio di farsi un amante.
«Magari ce l’ha» l'aveva provocato lei.
«No, non è il tipo» si era rabbuaito lui.
Allora lei gli aveva scompigliato i capelli e ridendo gli disse “è un gioco è solo un gioco”. Rina usava la parola “gioco” sia per “scherzo” che per certi momenti della vita in cui, diceva, non si capisce nulla. “È un gioco,” ripeteva, “un gioco”.

Che loro due potessero far l’amore era per Leo una cosa fuori di discussione. Non ci avrebbe mai provato e poi, come del resto le aveva confidato, lui era vergine.
Invece un giorno finirono proprio a letto. Lui non sapeva che poteva essere così naturale, altrimenti l’avrebbe certo fatto prima, ma un giorno in cui lui era particolarmente euforico perché il suo primo esame era andato bene osò abbracciarla non appena aperta la porta. Lei si era goduta quell’abbraccio sorridendo ma lui ben presto si era accorto di quanto il corpo di lei, ben poco alterato dai camici sottili che usava in casa, lo allettava. Sentì i seni di lei sul proprio petto e le mani appoggiate alla sua vita gli davano conferma di quanto fosse effettivamente esile e desiderabile. Rina, rispettosa dei suoi timori, aspettò che fosse lui ad andare oltre e si limitò ad appoggiare la propria fronte sulla spalla del ragazzo non appena ebbe sentore – i loro corpi erano molto vicini – del desiderio di lui.
Il cuore di Leo batteva la carica quando si decise a staccarsi da Rina quel tanto che serviva per cercarne le sue labbra con le proprie. E mentre la baciava pensò che desiderava farlo dal primo istante in cui l’aveva vista. Desiderava i suoi seni, desiderava infilare le proprie mani fra le sue cosce, desiderava scoprirne il sesso. In verità era dal liceo che non baciava una ragazza, ma non ricordava di averne mai baciata una in quel modo. Rina era la regina dei baci, baciava da togliere il fiato, e quando poi smetteva per mordicchiargli dolcemente le labbra, Leo apriva gli occhi e vedeva quelli di lei socchiusi che cercavano nella sua bocca il punto giusto per farlo impazzire. Oppure gli occhi scuri di lei lo fissavano dal basso verso l’alto, invitanti, terribili, e poi leccava il suo petto che aveva denudato senza fatica.
In camera da letto (a Leo non passò nemmeno in testa che era una donna sposata) il ragazzo quasi inciampò nella furia di togliersi i pantaloni. Lei si abbandonò felice aspettando le sue carezze piene di vigore. Lui le fu subito sopra e lei lo fermò perché almeno le mutandine doveva togliersele. Per il resto Leo le aprì il camice e la prese senza altro indugio scoprendo così quanto può essere calda e fresca un donna colma di desiderio.
Non ci mise molto Leo a venire e allora scoprì i pensieri che vengono dopo, quando la stanchezza ti rende difficile prenderti cura dell’amante, il timore di non averla fatto godere abbastanza. Ma Rina certe cose le sapeva e lo tranquillizzò.
«Non pensare che ti lasci andare così però» gli sussurrò nell’orecchio mentre gli mordicchiava un lobo, e con la mano già accarezzava il suo giovane pene afflosciato e luccicante del piacere di entrambe. Leo non dovette aspettare molto prima che lei si chinasse su di lui, e mentre lei lo stupiva con quel tipo di bacio, finalmente lui trovò il tempo di accorgersi quant’è armonioso il corpo di una donna. Mentre Rina risvegliava il suo desiderio, le sue mani percorsero le curve del sedere abbronzato della donna, le sue dita trovarono la sua apertura ancora fradicia degli umori dell’amplesso di pochi minuti prima, ed iniziarono incerti ad esplorarla. Leo si mosse un po’ sulla schiena per potere guardare colmo di meraviglia le grazie di quella prima femmina che si concedeva in quel modo alla sua vista.
Poco dopo fu lei a prendere dentro di sé il sesso del giovane amico. Con il suo piccolo e agile corpo Rina salì su lui a cavalcioni iniziando l’antica danza, mentre le mani di Leo si riempivano dei suoi seni, dei suoi fianchi, le mani di Leo che parevano cingere completamente le vita dell’amante. Fu Rina ad insegnargli a condurla, fu lei a insegnargli come trattenere il proprio piacere per poterlo condividere, e quando infine con il volto arrossato si abbandonò con un grido strozzato sul suo petto, Leo sentì il suo corpo accaldato e morbido adattarsi al suo, mentre la sua bocca avida di pelle cercava nella sua spalla nuovi luoghi da baciare. Leo finalmente sentì il proprio piacere arrivare al culmine e, come il suo corpo si fece fluido, come sentì il proprio sesso sciogliersi all’interno della donna, allora vide gli occhi di lei brillare di felicità per ogni goccia di piacere che lui stava versando, e sentì che Rina stava accogliendo ogni goccia di sperma che le stava donando come fossero tante piccole dichiarazioni d’amore.

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