Il racconto di un figlio II

di
genere
incesti

RACCONTO DI FANTASIA CON TEMATICHE FORTI.
Secondo capitolo della storia "Il racconto di un figlio".
Ricordo che tutti i personaggi in questa storia sono maggiorenni e consenzienti.
Per tutti i commenti, fantasie o esperienze sul tema che vorreste condividere con me (affinché io possa trarne ispirazione per racconti) potete scrivermi su horzo@atomicmail.io (vi sto leggendo tutti, siete dolcissimi, appena avrò un po' di tempo risponderò a tutti)
Buona lettura!

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Non dormii nemmeno un minuto quella notte. Dopo ore e ore passate a fissare il soffitto mi decisi di spegnere la sveglia e, alle prime luci dell'alba, mi vestii e uscii di casa prima di arrischiarmi ad incrociare mio padre. Durante tutto il tragitto in autobus non riuscivo a dimenticare, come del resto avevo fatto per tutte la veglia notturna, ripensai a ciò che avevo assistito la sera prima. L'immagine di mio padre, furioso e ubriaco, che si lamentava di me penetrando mia madre, mi aveva messo una nausea profonda, un ribrezzo ancora più forte per quell'uomo che già odiavo. Non riuscivo a non pensare a mia madre, che pensavo essere l'unica in famiglia a provare amore genitoriale nei miei confronti, venire scopata come una sottomessa, con ordini deumanizzanti quali "non parlare". Dato il carattere di mia madre, e soprattutto come trattava mio padre, non era per me tanto uno shock il suo comportamento a letto, quanto il fatto che fossi sicuro le piacesse sinceramente. Di tutte le ragazze con cui ero finito a letto, mai nessuna mi aveva chiesto di avere atteggiamenti dominanti e, seppur di mia natura mi definisco passionale, mai mi sono lasciato trasportare tanto.
Arrivato nei pressi degli uffici dove lavoravo con una buona oretta di anticipo, ammazzai il tempo facendo una passeggiata, nella speranza potesse aiutarmi a schiarire le idee, ma fu solo con estrema difficoltà che intrapresi il secondo giorno di lavoro. Mettermi davanti al computer, cercando di imparare il mio compito, fu così faticoso che, arrivato il tramonto, mi resi conto che non avevo sufficienti energie per affrontare la serata a casa. Eppure, timbrando il cartellino, mi resi conto che non presentandomi quella sera sarebbe stato come darla vinta a mio padre: era esattamente quello che voleva. Così mi costrinsi, attingendo a tutta la determinazione che avevo per dirigermi verso quell'inferno di casa. Mio padre, possedendo una macchina, era arrivato prima di me e già si trovava a tavola quando rientrai dalla porta d'ingresso. Mia madre era, come sempre, al suo fianco a versargli un altro bicchiere di vino. Non appariva più tanto arrabbiato, al contrario era tornato a lamentarsi di tutto, senza risparmiarsi della mia persona. Finii per spegnere il cervello e, come un automa, consumare il pasto e tornare in camera mia il più in fretta possibile, cercando di non sentire tutti i poco velati insulti e improperi sulla mio abitare ancora in quel posto gratuitamente.
Quella sera, quando sentii i rumori, attraverso le pareti della mia camera, di mio padre scopare nuovamente mia madre, mi misi a cercare appartamenti in affitto online. Calcolai che per il monolocale meno costoso entro una distanza non eccessiva dal luogo di lavoro, tra affitto, caparra e mobili, mi servivano almeno un paio di mesi di stipendio per avere modo di viverci. Sconsolato mi misi le cuffiette e cercai di mascherare i rumori del sesso con il volume sufficientemente alto di canzoni che, finalmente, mi conciliarono un sonno, anche se molto disturbato.

I giorni successivi si alternavano nella nuova routine del lavoro, scandita da orari pesanti che mi autoimponevo per evitare al minimo i contatti con mio padre. Ero arrivato ad un livello di stanchezza tale da consumare i momenti di sonno più comodi in bus, cullato dal suo dolce rombare. Ogni sera però tornavo a casa, un po' per assenza di altre opzioni, un po' per continuare quella guerra fredda con mio padre che sentivo di stare inevitabilmente perdendo. Ogni sera lo sentivo scopare mia madre, sempre più audacemente, sempre più forte e mai per troppo tempo: quel giusto che bastava a dimostrarmi che non potevo farci niente, che lui era ancora in controllo di quello spazio nella casa, ancora in controllo di mia madre e del suo corpo. Mi ero accorto, però, che lui si addormentava sempre verso le dieci e mezza di sera così, con il passare delle settimane e il mio lento cedere, iniziai a cercare motivi validi per stare fuori casa il più possibile, arrivando persino al chiedere soldi al mio ex coinquilino di quando studiavo in città per invitare fuori al bar i colleghi dopo il lavoro. Per convincerli spesso offrivo io, facendomi presto ben volere da tutto l'ufficio. Eppure, spendendo tutti quei soldi avevo già dei debiti ancora di ricevere il mio primo stipendio. Fu in quelle settimane di inferno e di nervi a fior di pelle, però, che feci amicizia con Stefano, un ragazzo di pochi anni in più di me, tutto mingherlino e pallido, che aveva assunto da poco tempo il ruolo di controllore del personale, ergo tecnicamente il mio capo. Avevamo molte cose in comune, studiato nella stessa università, passioni condivise: insomma non fu difficile per me ritenere l'oretta dopo lavoro al bar come l'unico momento di rilassamento e di conversazioni leggere tra piacevoli colleghi. Mi dicevo che quello sarebbe stata la normalità una volta ricevuto i primi stipendi: mi sarei trasferito in un altra casa e interrotto nuovamente i rapporti con la quella testa di cazzo di mio padre e l'omertà sottomessa di mia madre, avrei ripagato il mio amico e mi sarei messo a vivere finalmente una mia vita in libertà.
Eppure quelli non erano i piani di mio padre e lo scoprii presto.

Il giorno del mio primo stipendio lo passai ad aggiornare costantemente il sito della banca, nella speranza di vedere quei soldi apparire. Mi ero già preparato per offrire un drink in più a Stefano, per poi tornare vittorioso a casa. Avevo l'impressione che quello era il giorno della mia prima piccola vendetta: avrei rinfacciato a mio padre, quasi per errore, la cifra guadagnata e mi sarei goduto la sua faccia. Mi ero persino scritto mentalmente un piccolo copione da seguire, con tanto di gesti estremamente plateali che non ero sicuro che sarei riuscito a fare. Insomma sentivo dentro di me un senso di rivalsa. Eppure, tornando a casa un po' più brillo del solito, trovai delle valige alla porta. Mio padre non era ancora andato a letto e se ne stava seduto di fianco a mia madre a guardare la televisione. Non mi rivolse neanche uno sguardo ma percepii il suo sorriso nel dirmi: - Bene, ora che hai guadagnato i tuoi primi quattro soldi, puoi andartene anche di qua. -
Impallidii. Nella mia mente non avevo previsto questa sua mossa improvvisa così iniziai a blaterare sgomento: - Ma non ho abbastanza soldi da andare a vivere altrove, soprattutto ora senza preavviso... -
- Pagati un hotel per questa sera, tanto i soldi li hai no? - Parlava con voce lenta, divertita. Mia madre stava in silenzio, anche se lievemente irrigidita.
- Ma non ci sono più autobus a quest'ora e il primo albergo è distante. - Ancora non riuscivo a computare quello che mi stava accadendo. Ma lentamente una rabbia atroce mi stava salendo dentro che, come acido, mi faceva ribollire le intestina.
- Non è un mio problema, ora che sei un "uomo" ti devi aggiustare da solo. - Per un solo istante mi parve che mia madre tremasse appena, ma forse fu solo una sensazione. Rimasi in silenzio per qualche istante, cercando di raccogliere le idee. Riuscii solo a dire: - Ma perché ora? Perchè senza preavviso? -
- Pensi che il mutuo si paghi da solo? Pensi che il cibo a tavola compaia per magia? Ho provveduto a questa famiglia fintanto che mi si portava il giusto rispetto per un uomo che si spacca la schiena a lavoro tutti i giorni. Io alla tua età già avevo diversi anni di contributi. Ma tu hai voluto studiare... e ora guardati. - Parlava lentamente, ma con la sicurezza di chi aveva studiato attentamente ogni parola. Dopo una pausa si girò appena e concluse: - Se vuoi rimanere qui devi iniziare a dimostrarmi il tuo rispetto e a contribuire alle spese, evitando di fare il parassita come hai fatto fino ora. -
Finalmente avevo capito il suo gioco. Finalmente ci ero arrivato. Lui non mi voleva davvero fuori casa, lui mi voleva sottomesso a lui. Aveva un solo vantaggio, guadagnando io più di lui, e lo aveva usato. L'unica cosa a suo favore era di avere una casa dove abitare e io, ormai privo di amici abbastanza stretti a cui chiedere ospitalità temporanea poiché avevo perso tutti i contatti andandomene via dal paese, non avevo altra scelta che aderire all'ultimatum. Per un attimo pensai a Stefano, ma conclusi che non eravamo in sufficienti rapporti da chiedergli tanto.
Fissai la nuca di mia madre così intensamente, nella speranza che, per una volta nella sua vita, prendesse le mie parti, che mi iniziarono a fare male gli occhi. Pesanti lacrime date dalla rabbia iniziavano a offuscarmi la vista ma mi obbligai, aggrappandomi all'ultimo briciolo di dignità rimasta in me, a non piangere. Chiesi semplicemente quando dovevo dargli e quando. Lui sparò una cifra che mi diede il colpo di grazia: più della metà del mio stipendio. Inoltre dovevo darglieli subito, prima di togliermi le scarpe e chiudere la porta alle mie spalle. Ero stanco, avvilito e troppo stordito dal mese d'inferno che spensi la mente. Feci subito un bonifico e mostrai a lui la ricevuta. Lo feci meccanicamente, come spento: percepivo il mio corpo muoversi ma era lontano, come se fosse solo una descrizione di un uomo rotto fatta dalla mia stessa rabbia personificata.
La sua risposta era accompagnata da un sorriso di vittoria, il più largo che avessi mai visto: - Bene, ora vai a mangiare. Se non hai fame almeno sparecchia tavola. Io e tua madre andiamo a letto. - Poi si rivolse alla moglie, ancora seduta al suo fianco: - Andiamo Michela. -

Il nodo formatosi nel mio stomaco mi fece provare solo molta nausea alla vista della cena pronta, già impiattata. Sparecchiai con lo sguardo spento, perso nel nulla, muovendomi come una marionetta manovrata da un entità esterna a me, priva di coscienza.
Aveva vinto. Aveva indiscutibilmente, inesorabilmente vinto. Non potevo fare nulla. Mi sarebbero serviti mesi di risparmio per procurarmi un autosufficienza tale da potermene andare, senza contare i soldi che dovevo restituire e le spese al bar per mantenermi mentalmente sano dopo lavoro. Avrei dovuto tagliare tutti i rapporti con i colleghi dopo lavoro, avrei dovuto solo mettere da parte tutto ciò che guadagnavo e anche così facendo, ci sarebbe voluto del tempo per ripagare il debito. Cosa avrei potuto fare? Chiedere altri soldi era fuori discussione, non avevo nessuna garanzia di restituirli in tempi brevi e, inoltre, avevo finito le persone fidate a cui chiederli. Non sapevo cosa fare, ma di certo non sarei riuscito a sopportare quella situazione ancora a lungo, soprattutto con quelle condizioni.
Intontito dallo sciame di pensieri, una volta finito di sistemare la cucina, mi avviai verso la camera. Eppure, non feci in tempo ad arrivare a metà del corridoio che mi imbattei nuovamente nei suoni di un evidente amplesso. Era, se possibile, più veloce e forte del primo giorno, sicuramente più ritmata. Questa volta, mio padre non si era degnato nemmeno di chiudere la porta della camera padronale, dalla quale lo spiraglio della luce della lampada da comodino, proiettava l'ombra dei miei genitori intenti a scopare. Le mie gambe smisero di funzionare e iniziai, silenziosamente a piangere, capace solo di ascoltare le parole di vittoria di mio padre: - Gli ho dato una bella lezione... oh si, ora starà al suo posto, mi porterà rispetto! -
Da quello che potevo vedere lui era sistemato nuovamente ai piedi del letto, mentre penetrava mia madre messa supina, proprio come la prima sera. Lei cercava di parlargli: - Perfavore, chiudiamo almeno la porta, ti supplico... -
- Zitta! Questa è casa mia e faccio quello che voglio! Anche tu, questa sera, prima che lui arrivasse, mi hai mancato di rispetto dicendomi che ero crudele a chiedergli dei soldi per vivere con noi. Mi hai mancato di rispetto e ora ti devo mettere in riga. Questa scopata è per me, ricordatelo. Non per te. Non ti meriti nemmeno di vedermi mentre ti scopo. Mettiti la coperta in faccia. -
L'ombra proiettata sul pavimento mi fece intuire che, seppur lentamente, mia madre eseguì il comando. Eppure questo non la fermò dal godere: in effetti, anche se sommessamente e mascherati al meglio che poteva, si potevano sentire dei flebili gemiti provenire da lei. Probabilmente la questione della coperta la aveva eccitata ancora di più.
- Eh no! Ti ho detto di non godere! - Disse mio padre a denti stretti, tirando fuori il pene da lei allontanandosi di mezzo passo dal letto. - Mi costringi persino a smettere di scoparti. Pensa un po' te. L'unica cosa che sai fare di buono è quello e ora mi manchi di rispetto in questa maniera. Eppure sono troppo vicino all'orgasmo, ora ti verrò addosso come la puttana che sei. Poi rimarrai ferma, in questa posizione. Non ti muoverai nemmeno di un centimetro fintanto che non mi addormenterò. A quel punto potrai alzarti e lavarti per poi tornare immediatamente a letto. - Aveva preso a masturbarsi velocemente.
- Immediatamente. A. Letto. - Scandì ripetendo l'ultima frase detta. - E non ti masturbare. Questa è la tua punizione. Hai capito? -
Un solo "si" detto a mezza voce, sinonimo di sottomissione totale a lui, fu sufficiente a farlo venire. Lo vidi l'ombra reclinare lentamente la testa, mentre un grugnito gli scappava dai denti. Poi, senza dire una parola. Si distese a letto, lasciando solo l'ombra immobile della moglie ancora a gambe aperte, sollevate. Poi la luce si spense.

Rimasi fermo, completamente abbandonato ad un ira silente. Completamente rapito dal mio odio e dalla vergogna. Passarono interi minuti che mi parvero ore, dove tutte le mie energie erano concertate sul fermarmi di piangere e non vomitare. Ma non abbi tempo di sistemarmi che sentii il respiro di mio padre trasformarsi un russare profondo. Non avevo con chiarezza un idea precisa di quanto ero rimasto lì ma, quando sentii mia madre scendere dal letto, rimettersi i pantaloni e camminare silenziosamente verso la porta, provai a ordinare alle mie gambe di muoversi: queste però dolevano e solo ora mi accorsi di avere tutti i muscoli contratti, tesi per il nervosismo. Mamma chiuse la porta della camera e fece per girarsi, rivolgendomi la schiena per andare al bagno. Nel buio della casa notturna non mi vide, mentre socchiuse la porta e accese la debole luce sullo specchio sopra al lavandino in ceramica. Mi sentivo uno spettro: un invisibile spettatore di tutto quello che accadeva in una casa che non avevo mai sentita davvero mia, un uomo distrutto, privo di ogni potere. Ma dentro di me tutto urlava.
Guardavo la figura minuta di mia madre, ignara della mia assenza, guardarsi allo specchio, spostandosi ciocche dei capelli neri che gli arrivavano alle spalle, come fosse un giorno normale. Sembrava lievemente triste, persa nei suoi pensieri.
Ad un certo punto, dopo qualche secondo in cui si era bloccata a guardarsi allo specchio, chiuse gli occhi. Fece un sospiro profondo e, lentamente e con cautela, spostò la mano destra dal lavandino, a cui si appoggiava, a sopra ai jeans, infilandola, infine, lentamente dentro. Ci fu un sospiro leggero, sicuro del fatto che niente avrebbe svegliato mio padre, rinomato per avere il sonno pesante.
Non ci potevo credere. Con tutto quello che mi era successo quella giornata, con tutto la rabbia e la frustrazione che avevo dentro, non ci potevo credere che mia madre stava iniziando a toccarsi. Come poteva una madre, dopo tutto quello che aveva visto fare al figlio mezz'ora prima, fregarsene a tal punto da iniziare a masturbarsi nel bagno senza nemmeno prendersi la briga di chiudere completamente la porta. Fu quello il momento in cui la mia rabbia raggiunse l'apice estremo e la vista si offuscò.
Feci dei lunghi passi verso la fine del corridoio e aprii la porta di scatto. La luce si spalancò sul corridoio, illuminandolo e disegnando la mia ombra. Mia madre si girò velocemente, con gli occhi sgranati, e, per un istante, non mi parve così sorpresa di vedermi. Comunque fu un istante perchè lei sfilò tempestivamente la mano dai pantaloni e arretrò di mezzo passo. In quel momento la odiavo, perchè attraverso lei odiavo mio padre. Senza sapere esattamente cosa volevo dire, esplosi in uno sfogo sibilato a denti stretti, esordendo con: - Mi fai schifo.-
- Come puoi minimamente sentirti bene dopo quello che mi è successo? Non hai un istinto materno o la puttana che c'è in te riesce a sopprimere il senso di colpa annegandolo con la voglia di cazzo? - Mi sorpresi da solo. Mai avevo parlato a mia madre, né a nessun altro, in quel modo. Capii, però, che potevo farlo. Dovevo farlo. Se non avessi parlato ora sarei impazzito definitivamente. Ma forse parlare in quel modo era già primo sintomo della mia follia. Sapevo però che lei non avrebbe fatto nulla, non avrebbe dicerto urlato o sbratiato e, in quel momento, non mi avrebbe neanche sbattuto fuori di casa, non avendone il potere diretto. Il problema sarebbe stato il giorno dopo, quando lo avrebbe detto a mio padre. Ma oramai era troppo tardi e, sinceramente, dopo il colpo di grazia delle ultime scene sessuali viste, avrei preferito morire d'ipotermia fuori casa di notte, piuttosto che vivere in quella condizione senza nemmeno potermi sfogare verbalmente. Così continuai: - Te ne stai lì, a farti scopare tutte le sere, sapendo che posso sentirti, sapendo che mio padre ti fotte solo per fare del male a me e godere. Tu non sei solo una spettatrice, sei una complice del mio dolore! - Ogni parola era per me un modo di fare uscire un po' di quella rabbia che dentro noon riuscivo a gestire. Lei se ne stava lì ferma impalata, con la testa chinata e lo sguardo basso verso i miei piedi.
- Ho provato... - Iniziò a dire con un tono di voce inaspettatamente gentile. - Ho provato a parlargli ma sai com'è fatto lui... ho provato a dirgli che non doveva farlo, che era crudele... che sei suo figlio. -
- Eppure non hai insistito troppo vero? Non ha le palle per schierarti, sei fatta così di carattere e non riesci a fare valere nemmeno una tua idea. -
- Non... non è vero... - Disse sempre senza guardarmi - ho i miei modi per far cambiare idea, anche se di poco, a tuo padre. -
Non ci credevo, mi sembrava solo una scusa per cercare di calmarmi: - Sentiamo pure, come gli avresti fatto cambiare idea? -
- Ti voleva prendere tutto lo stipendio. Ho contrattato per te in modo tale che ne chiedesse solo una parte. L'ho fatto così da darti una speranza di uscirne. -
Le sue parole, seppur sussurrate a testa bassa, mi parvero così vere che mi disarmarono. Di nuovo mi sentii impotente, incapace. Eppure non era abbastanza, eppure avrebbe potuto, con un po' di volontà in più, a combatterlo, a fare desistere mio padre. La rabbia cresceva di nuovo, nel cercare di aiutarmi mi aveva messo con le spalle al muro. Ora mi sentivo uno stupido ad odiarla con così tanta profondità, eppure quella sensazione di confusione e incapacità crescente, mischiata a quella di prima, non riusciva a stare più dentro di me: doveva uscire.
Parlai come un pazzo, sconnessamente, incapace di ribattere alla sua affermazione: - Tu sei solo una puttana schiava del cazzo, so che vuoi solo quello e che non ti importa niente di me. Vero? Lo vuoi? - Tutto ciò che dicevo non aveva assolutamente senso, era solo rabbia tramutata in parole. Poi, senza pensarlo davvero, dissi: - Mettiti in ginocchio e vedrai un cazzo, così sarai contenta almeno tu questa sera! -
Stavo per andarmene, rosso in volto per quello scatto furioso che mi rendevo conto essere inutile e privo di logica, quando, improvvisamente, mia madre si inginocchiò. Aveva ancora la testa china, le mani le erano scivolate sulla parte posteriore delle gambe e se ne stava lì, in una posizione di assoluta sottomissione. Quella scena mi fece impazzire definitivamente: la rabbia, il disarmo creato da quell'azione fatta così neutralmente, come se fosse stata premeditata, mi aveva di nuovo messo nella condizione del folle che parla senza sapere o senza intenzione di fare.
Così, animato dalla sola rabbia, mi aprii la zip dell'unico paio di pantaloni da ufficio che possedevo e liberai il membro dai pantaloni. Non sapevo cosa stavo facendo o cosa avrei voluto fare. Sentivo dentro di me l'impulso di umiliare colei che avevo davanti, immaginandomi di umiliare mio padre al suo posto. Guardai mia madre, nella sua camicetta bianca e jeans logori, e iniziai a masturbarmi. Muovevo la mano velocemente, come aveva fatto papà poco prima, e con ogni movimento scaricavo un po' di frustrazione. La guardavo e la immaginavo godere mentre la sua vagina veniva usata per il piacere di mio padre. Mi immaginavo i suoi seni, che mai avevo visto liberi dal reggiseno sotto la maglietta, persino durante gli amplessi a cui avevo sfortunatamente assistito. Erano perfette per la sua taglia, una buona terza, forse coppa C. In quel momento me le immaginai libere, lei nuda: questo fece trasmutare l'immagine che avevo di lei non più in mia madre, ma in una donna. Una donna che ora era inginocchiata davanti a me, sapendo di essere l'oggetto della mia masturbazione.
- Guardami. - Le dissi, continuando a masturbarmi velocemente. Lei alzò il capo piano, lentamente, fissando infine gli occhi nei miei. Quello sguardo fisso ma dolce, di un verde tenue, esprimeva una dose leggera di lussuria, ampiamente sovrastata da una dose di gentilezza calda, quasi fosse un abbraccio. Indossava un sorriso leggero, calmo, di quasi felicità. La guardavo, mentre iniziavo a sentire sempre meno il peso della rabbia, assorbita quasi magicamente da quegli occhi. E man mano che le emozioni negative sparivano, saliva il piacere: il godimento dato da una donna lì per me, sottomessa, che mi guardava nel mio masturbarmi.
Iniziai a deglutire più sovente e ad emettere deboli gemiti, mentre sentivo l'orgasmo giungermi dal profondo: un orgasmo liberato, un piacere che purificava tutto.
- Ho il permesso di parlare? - Chiese mamma, con dolcezza e riverenza, mentre sentivo avvicinarsi il punto di non ritorno.
Io non capii cosa mi stesse chiedendo, ma lei prese il mio silenzio come un assenso e continuò: - Ti prego, sfoga questa rabbia. Fa sì che questo momento possa renderti questa casa più vivibile. -
Ero arrivato all'orgasmo e, mentre la sensazione di mille soli che esplodevano dentro di me si irradiava dal mio membro, la sentii dire un ultima frase: - Io ti voglio bene. -
Il primo getto della mia eiaculazione la colpì in volto, obbligandola istintivamente a chiudere gli occhi, la seconda, meno potente, finì in una ciocca dei suoi capelli appoggiati alla spalla, mentre il terzo cadde sul suo seno coperto dalla maglietta, macchiandola.

Mi dovetti appoggiare per evitare che tutto quel piacere mi piegasse le ginocchia. Per qualche secondo di pura beatitudine non c'era niente nel mondo, nulla più contava. Chiusi gli occhi e percepii solo benessere e pace. Mi presi il mio tempo per godermi ogni goccia di quella sensazione ma, quando aprii gli occhi mi resi conto di quello che avevo fatto. Ma la sensazione di orrore si spense subito nel vedere mia madre, ancora inginocchiata e con il dolce sorriso in volto, guardarmi. Era una scena erotica vederla ancora così, come non curante del mio seme che le colava giù sul viso, fino a scendere sulle sue labbra.
Non dissi niente perchè non sapevo cosa dire. Non sapevo come sentirmi né cosa provare. Semplicemente arretrai di qualche passo, mi sistemai i pantaloni e attraversai il corridoio facendo bene attenzione nel sentire il russare di mio padre. Arrivato alla mia camera aprii la porta e mi girai in direzione del bagno: lei era ancora lì come la avevo lasciata, mi aveva seguito con lo sguardo.
Mi misi a letto con il sonno che avanzava ed un solo presentimento in testa, nonostante tutta la giornata: Lei aveva previsto tutto. Lei sapeva cosa avrei fatto. Lei voleva che io lo facessi. Non perché fosse davvero come la puttana dipinta da mio padre o da me nel discorso. Lei voleva darmi un sollievo nell'unico modo che conosceva: dandomi potere su di lei, quando mi era stato sottratto altrove. Eppure l'aveva fatto con la dolcezza di una madre.
Questa sensazione mi cullò nel sonno più profondo che avessi sperimentato nell'ultimo mese.


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Fine del secondo capitolo!
Spero che questo racconto vi stia piacendo, ora posso assicurarvi che le basi sono state gettate e d'ora in poi la trama si evolverà e diventerà meno statica e ripetitiva... Se volete il continuo fatemelo sapere!

Grazie mille!!
di
scritto il
2025-11-03
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