Il racconto di un figlio

di
genere
incesti

ATTENZIONE!!! RACCONTO DI FANTASIA che contiene tematiche quali sottomissione, incesto, bdsm, umiliazione. Vi prego di non leggere se potreste esserne disturbati. Tutti i personaggi in questa storia sono ovviamente maggiorenni e consenzienti.


Il racconto parte molto lentamente e, in questo capitolo, avremo poca "azione", è però per me fondamentale gettare delle basi su cui continuare con i prossimi capitoli, se li desiderate. Spero abbiate pazienza e vi godiate il progresso. Avverto che sicuramente ci saranno degli errori che, piano piano, provvederò a correggere. Questa è la mia prima storia su questo sito e spero possa piacere, siate gentili nei commenti! Se desiderate scrivere i vostri pareri e considerazioni (o solo scambiare quattro chiacchiere) potete scrivermi alla mail horzo@atomicmail.io .

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Era strano iniziare a lavorare. Mi ero diplomato con scarsi risultati ma, alla decisione se intraprendere subito il percorso per imparare un mestiere, mi decisi di perseguire il lontano sogno di una laurea. Tutti erano contrari, da i miei amici, che mi prendevano in giro, a mio padre, che aveva minacciato di tagliarmi i viveri e non aiutarmi economicamente. Fu proprio a seguito di una pesante lite con lui che mi decisi che quella sarebbe stata la mia strada, nonostante tutto. E lui mantenne la promessa.
Si può capire che mio padre non credeva nel sistema universitario, nelle lauree o in una qualsiasi specializzazione: Era una persona semplice, dedita al lavoro in una ditta, che aveva abbandonato gli studi perchè non li riteneva al suo livello e, nel giro di qualche anno aveva messo abbastanza soldi da parte per comprare una casa e mettere su famiglia. Amava spesso raccontare questa storia, gonfiando il petto come un pallone e agitando il dito con fare perentorio mentre beveva un bicchiere di vino dopo l'altro. Mia madre non faceva altro che sorridere debolmente e annuire ogni volta che mio padre esclamava qualche frase che reputava ad effetto. Odiavo tutti in quella casa.
Fatto sta che abbandonai casa e mi trasferii in subaffitto nell'alloggio di un amico che avrebbe frequentato il mio stesso corso di laurea e mi procurai un lavoro come cameriere. Quegli sono stati gli anni più difficili e divertenti della mia vita: facevo orari spaventosi, facevo un sacco di feste, dormivo molto poco e studiavo ancora di meno. Eppure, esame dopo esame, mi avvicinavo alla laurea. Fa da se che telefonavo casa una volta o due al mese, giusto per farmi sentire ancora vivo: mi rispondeva sempre mia madre che, seppur mi volesse bene più di mio padre, non si azzardava a rimanere al cellulare più di qualche minuto per la paura di una reazione del marito.
Gli anni passarono e, fuori corso, mi laureai. Per giustizia invitai mia madre a presenziare alla discussione della tesi, senza troppo aspettarmi di vederli seduti in aula magna. Eppure entrambi i miei genitori erano lì, seduti nei banchi in fondo, a fare delle foto che poi sarebbero servite solo per vantarsi con gli amici. Me ne feci una ragione, ponendomi poche domande sul fatto che mio padre avesse fatto tutti quei chilometri dopo quasi quattro anni che non ci sentivamo direttamente.
Il periodo non era comunque dei migliori ed ero preoccupato per l'imminente futuro poiché il mio amico che mi aveva ospitato si sarebbe trasferito di lì a poco e il padrone dell'appartamento, un attempato uomo sulla quarantina che avevo visto solo un paio di volte, aveva deciso di vendere l'appartamento a una giovane coppia. Decisi così di fare bel viso a cattivo gioco e, per la disperazione, provai a riallacciare i rapporti con mio padre, nel tentativo di rientrare in quella che era stata la casa della mia infanzia.
- Hai visto? - Mi disse con voce divertita - Anni di studi eppure non hai ancora uno stipendio da portare a casa -
Ingurgitai la rabbia e sorrisi, dicendomi che sarebbe stata una soluzione temporanea.
Dopo un paio di feste, compresa quella della mia laurea, che servivano a salutare gli amici fatti in città, tornai a casa, in paese, riappropriandomi della mia vecchia camera: quattro mura dipinte di un azzurro schiarito dal tempo, con una scrivania scassata e un piccolo letto di quando ero bambino. Mi c'è voluto qualche giorno per spostare tutto ciò che mio padre aveva accumulato in quella stanza, approfittando della mia assenza per trasformare quella stanza in una sorta di "studio", preso diventato solo un magazzino.
Quando riuscii finalmente a portare in soffitta anche l'ultimo scatolone di accessori per auto mai usati, mi sistemai il portatile di seconda mano e iniziai a spedire il curriculum a molte aziende vicino a casa. Pregai tutte le notti per una risposta per non vivere un giorno in più del necessario in quella casa.

La quotidianità era semplice, scandita dagli orari di mio padre. Alla mattina si sentiva il gran trambusto del suo svegliarsi e prepararsi: amava moltissimo accendere la televisione per l'edizione mattutina del telegiornale, commentando con orribili frasi fatte ogni notizia, bella o brutta che fosse. Poi usciva per andare a lavoro e tornava a casa per cena, passando infine la serata a bere troppo vino e a lamentarsi di ogni cosa possibile nell'universo, persino me. Mi apostrofava spesso con insulti legati alla mia inettitudine e al mio non trovare in fretta un lavoro, visto che avevo sprecato così tanto tempo a cercare lavoro. Poi si coricava a letto, mezzo ubriaco, per poi svegliarsi al mattino e rincominciare tutto da capo.
Mia madre, d'altro canto, era perfettamente agli antipodi del marito. Lei lavorava saltuariamente, facendo da babysitter per qualche coppia del paese o pulendo case di amici. Non guadagnava molto ma quello che prendeva lo metteva sempre sul tavolo, davanti a mio padre, che si limitava a prendere i soldi e ad annuire con il capo. Era una persona abbastanza minuta, con un filo di grasso nei punti giusti e, di fianco a mio padre, che di stazza ne aveva, appariva ancora più bassa, con il capo quasi sempre chinato leggermente verso il basso. Da che io ho memoria questa immagine ha sempre descritto il rapporto tra i miei genitori: lei è sempre stata una donna che non contraddiva mai il marito, che annuiva a tutto quello che gli diceva e che, spesso, si sorbiva silenziosamente tutti gli attacchi verbali provocati da qualsiasi cosa. Del resto, il mio paese era fatto così e, prima che partissi per l'università dove mi era stata data la possibilità di conoscere un altra realtà, quella era la normalità per me. Come molte ragazze della sua generazione, mia madre era rimasta incinta molto giovane e si era spostata nel giro di pochi mesi con un uomo di una decina di anni in più di lei, finendo incastrata in quella vita. Eppure sembrava felice incastrata in quella vita che io disprezzavo.
Eppure, tranne i momenti in cui era presente il marito, che trattava come un dio sceso in terra senza mai ribattere a niente, servendolo e riverendolo, era gentile con me. Mi aveva confessato di esser stata triste durante gli anni in cui ero fuori città e che le ero mancato parecchio. Dispensava per me molti sorrisi e, ogni tanto, anche qualche scusa per il comportamento di mio padre: - Perdonalo, lui ti vuole bene e vuole per te il meglio - mi diceva. Eppure avevo costantemente l'impressione del perfetto opposto: un odio fondato sulla spartizione di quel luogo abitativo che era per lui un castello dove ne era il padrone e signore, autorità messa in discussione dalla mio spesso non riuscire a mordermi la lingua.

Quando finalmente ricevetti una risposta per un colloquio rimasi sbigottito. Ero stato contattato dall'azienda per cui lavorava mio padre, precisamente le settore amministrativo. Era un mestiere tagliato alla perfezione su quello che avevo studiato, in un ufficio poco lontano dal mio paese, che mi concedeva uno stipendio degno del suo nome. Non avendo altre opportunità mi decisi di fissare un colloquio online, venendo subito ad una contrattazione sullo stipendio in quando erano alla ricerca disperata di una nuova persona da assumere. Feci, con nonchalance, delle domande per cercare di assicurarmi di vedere mio padre il meno possibile e questo mi fu confermato. Mi presi del tempo per annunciarlo a mio padre, volendo assicurarmi prima di avere la sicurezza del posto. Così, dopo un primo giorno passato nella disperata ricerca di non incrociare il mio genitore per sbaglio, mi sedetti a tavola per annunciare la buona notizia. Mia madre fece un piccolo sorrisetto, nascondendo il volto dietro ai capelli affinché mio padre non la vedesse. Mio padre, d'altro canto, mi disse che finalmente avevo fatto ciò che era mio dovere fare. Quando gli dissi il mio stipendio e il luogo di lavoro si ammutolì e mise il broncio per tutta la sera. Bevve molto, lasciandomi commentare il luogo di lavoro mantenendo un religioso silenzio. Mi ero tenuto quelle informazioni per ultima, come una sadica vendetta per rinfacciargli che prendevo il doppio del suo stipendio. Finita cena, insieme alla bottiglia di vino, si alzò dal tavolo e annunciò: - Andiamo a letto. -
Mamma spense velocemente il sorriso dal volto e lo guardò, constatando il suo evidente stato di mezza ubriacatura. Si alzò e iniziò a dire - Certo caro, rassetto solo la cucina e arrivo... - Ma uno sguardo di mio padre la fece ammutolire. - Ci pensa il ragazzo questa sera. Che almeno sparecchi tavola visto che non paga l'affitto. -
Si alzò e andò in camera. Mia madre rimase qualche secondo ferma, senza guardarmi. - Perdonalo, so che è felice per te, ma non sa come esprimerlo. -
Ero abituato a quel comportamento, in fondo me lo aspettavo. Mi crogiolavo nella piacevole sensazione data dalla frustrazione di mio padre e dal suo sentirsi in difetto. Le sorrisi e le dissi che andava bene che sistemassi io la cucina e che poteva andare. Lei sorrise e, senza mai guardarmi in faccia, si diresse verso la camera. Rassettai velocemente, continuando a sogghignare al ricordo del suo volto.

Finito il mio compito, decisi che sarei andato a letto, desiderando di riposarmi al meglio per abituarmi ai nuovi orari d'ufficio. Abbandonata la cucina attraversai il salotto e il piccolo corridoio dove si affacciavano la mia camera e quella padronale. Ero ancora immerso nel ricordo della giornata nel mentre aprivo la porta della mia stanza quando sentii dei rumori e del vociare sommesso. Normalmente non mi sarei troppo incuriosito sapendo che i miei genitori si stavano preparando per dormire ma quelli che provenivano dalla camera dei miei genitori parevano essere rumori di schiaffi. Seppure mio padre non era assolutamente un tipo violento fisicamente e mai aveva picchiato me o mia madre, un senso di paura si insinuò nella mia mente. Forse avevo esagerato e quel bastardo ubriaco si stava sfogando su mia madre. Scattai con l'intento di spalancare la porta per difendere mia madre quando, a qualche passo dalla porta, mi arrestai. Il rumore di "schiaffi" era diventato ora veloce e da qui potei capire quando mi stavo sbagliando. Per verificare la mia ipotesi e calmarmi del tutto mi chinai a terra, sbirciando attraverso il buco della serratura cosa stava accadendo.

- Non dovresti prendere il Viagra quando bevi tesoro... - Diceva mia madre, in piedi davanti al letto. Era ancora vestita e dava la schiena alla porta. Dall'altro lato della stanza c'era mio padre con i pantaloni calati a metà e il pene in mano. Si stava masturbando con una velocità e rabbia tale che il rumore del suo pugno chiuso che sbatteva sul pube, misto ad una rudimentale lubrificazione, produceva il classico rumore del sesso. Non rispose se non con un grugnito e, prima che mia madre potesse dire altro le ordinò: - Togliti i pantaloni. - La sua voce era ferma e perentoria, priva di qualsiasi affettività o emozione positiva.
Mia madre provò a ribattere: - Giacomo è ancora sveglio, starà per rientrare in camera sua proprio ora, potrebbe sentirci... -
- Pensi che me ne freghi qualcosa? - Disse mio padre senza smettere di masturbarsi la sua quasi completa erezione. - Questa è casa mia, potrò avere il permesso di scopare la mia donna quando mi pare? Togliti i pantaloni. -
Mia madre non provò a ribattere nuovamente e si sfilò i pantaloni. Dalla posizione in cui era messa riuscivo a vedere il suo culo, coperto da delle semplici mutande color carne. Stava per togliersi anche quelle quando mio padre scosse la testa e indicò il letto. Lei si sdraiò supina, con le gambe che toccavano terra. Suo marito, ora pienamente pronto per l'amplesso, si sistemò in piedi, spostandole le gambe e allargandole le cosce. Con un movimento che non potei vedere appieno, data la mia posizione, le spostò di lato le mutande e con una mossa di anche secca entrò in lei. Mia madre emise un leggero gemito, probabilmente non di piacere ma dovuto all'improvviso corpo estraneo nel suo corpo. - Zitta. - Le disse lui, - lo sai che me lo fai ammosciare se parli. -
Ero profondamente disgustato, non tanto dal vedere i miei genitori fare sesso, quanto per la remissività con cui mia madre si era concessa a lui, e, mentre mio padre iniziava a muoversi, mi decisi che dovevo andarmene via e dimenticare quella scena. Stavo per allontanarmi quando mio padre parlò di nuovo. Non stava mormorando, ma proprio parlando, quasi sperasse che lo sentissi: - Quel bastardo sbruffone crede di essere tanto uomo ora che ha trovato un lavoro. - Mi bloccai. Mio padre stava parlando di me mentre faceva sesso con mia madre. Non resistetti a rimanere lì a guardare ma soprattutto ad ascoltare cosa diceva. Si stava muovendo velocemente, tenendo salda mia madre dalle gambe mentre la penetrava con rabbia. - Mi viene a dire quanto guadagna, sbattendomi in faccia di aver trovato un posto nella mia ditta... capisci? Mi sfida. -
Ad ogni frase velocizzava il ritmo del suo penetrare, facendo emettere il rumore della pelle che sbatte contro altra pelle un rumore secco e forte: se anche non l'avessi sentito prima, l'avrei sicuramente sentito ora. Mia madre non pareva pensare più al fatto di essere scoperta e ora se ne stava lì a guardare la parete opposta rispetto alla porta, in silenzio come le era stato ordinato. - Non può rimanere qua se non capisce che sono io quello che porta il pane in tavola, che paga il mutuo, che l'ha messo al mondo! Sbaglio?! - Oramai era in una furia cieca. Si dimenava al massimo della sua velocità, penetrando con ogni frenetico movimento mia madre, la quale non riusciva più a non emettere piccoli e sommessi gemiti. - Sbaglio?! - Le chiese nuovamente mio padre, senza fermarsi.
- No... - disse mia madre piano.
- Non ti ho sentita Michela, ti ho chiesto se sbaglio oppure meno! -
- Non sbagli - disse lei nuovamente, più forte.
- Cazzo, la tua voce me lo fa ammosciare, girati così almeno non vedo la tua faccia. - Con un solo movimento estrasse il membro da mia madre, aspettando che mia madre eseguisse il suo comando. Senza esitazione lei si fece leva con i gomiti, distendendosi con la pancia verso il materasso e il sedere verso l'alto. Potevo vedere il suo culo, con le mutande scostate di lato che ora erano arricciate sulla destra e che lasciava esposta la fessura tra le due natiche. Senza nemmeno lasciare che si sistemasse meglio mio padre prese in mano il suo membro, cercando ciecamente il buco della vagina. Con ulteriore spinta entrò dentro di lei, facendole emettere un leggero squittio. Immediatamente ritornò a muoversi velocemente, aiutandosi nei movimenti tirando verso sé il culo di mamma: - Oh si, io sono il padrone di casa e rimarrò tale, anche se guadagna più di me. Sono ancora io quello che provvede ai bisogni di questa casa! - Quasi urlò. - Dillo che sono il padrone di casa, dillo che sono io! -
- Si! Sei tu il padrone di casa! Sei tu! - diceva mia madre, anche lei quasi urlando probabilmente vicina al climax. Ma mio padre fu più veloce. Improvvisamente incurvò la schiena, diede un paio di ultime spinte di anca e si afflacciò sulla sua schiena con un "Ah" liberatorio. Mamma provò a muoversi, spostando il sedere avanti ed indietro, probabilmente cercando di raggiungere anche lei l'orgasmo. - Fermati, lo sai che una volta venuto mi da fastidio se continui a muoverti. - Le disse distrattamente mio padre e poi, con un solo movimento, estrasse il pene, ancora in erezione per via dei farmaci, da mia madre e si sdraiò al suo fianco. Lei rimase ferma lì, senza aver raggiunto l'orgasmo ma sicuramente ancora in preda al piacere del coito.
- Era qualche tempo che non ti scopavo così a lungo vero? - Disse lui, sfilandosi i vestiti da sdraiato.
- Grazie tesoro. - Le rispose lei con un velo di sottomissione, di frustrazione per l'orgasmo mancato e di puro ringraziamento.
- Almeno a quello sei brava, a farti fottere. E io lo faccio volentieri essendo il mio dovere da marito e da padrone di casa. Ora vatti a lavare e torna subito a letto. Voglio addormentarmi con mia moglie di fianco, non beccarti nuovamente in bagno a masturbarti come una puttana. -

Mi allontai velocemente, senza fare rumore, chiudendomi la porta alle spalle una volta raggiunta la mia camera. Ero disgustato e profondamente arrabbiato per quella scena patetica di mio padre ma soprattutto del sottomettersi così di mia madre, anche sapendo che l'avrei sicuramente sentita mentre veniva scopata. Mi montò un ira tale che, per calmarla mi gettai sul letto e urlai nel cuscino così da emettere poco rumore. Sicuramente non sarei riuscito a dimenticare quell'episodio, figuriamoci a prendere sonno. Così rimasi lì, sdraiato, a rimuginare e a rodermi il fegato.
Ma un pensiero mi continuava a passare per la mente: a mamma è piaciuto. Stava gemendo, anche se cercava di coprirsi la bocca con la mano per eseguire il comando di mio padre di non emettere rumori; stava per raggiungere l'orgasmo anche se il rapporto era stato di circa quattro o cinque minuti. A lei era piaciuto.
La mia mente pian piano si spostò all'immagine di mia madre che godeva e alla fine, dopo diverse ore di veglia cedetti, tirando fuori il pene dai pantaloni per masturbarmi per la seconda volta quella sera.
La prima era stata davanti alla porta della camera dei miei genitori.


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Fine del primo capitolo! Spero sinceramente che possa piacere e, se desiderate, continuerò il racconto! Fatemi sapere!
di
scritto il
2025-11-02
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