Il racconto di un figlio V
di
Horzo
genere
incesti
RACCONTO DI FANTASIA CON TEMATICHE FORTI.
Quinto capitolo della storia "Il racconto di un figlio".
Ricordo che tutti i personaggi in questa storia sono maggiorenni e consenzienti.
Per tutti i commenti, fantasie o esperienze che vorreste condividere con me (affinché possa trarne ispirazione per racconti) potete scrivermi su horzo@atomicmail.io
!!AVVISO IMPORTANTE:!!
Questo racconto è davvero lungo rispetto agli standard di questo sito. Mi rendo conto che per alcuni possa sembrare noioso e poco interessante la risoluzione di alcune faccende di trama e l'esplorazione delle motivazioni e della psicologia dei protagonisti. Per quanto ritengo importante per l'esperienza leggere il racconto integralmente, ma volendo rispettare il più possibile il gusto di tutti, contrassegnerò il paragrafo dove inizia "l'azione" con dieci asterischi (**********). Se siete interessati solo ai momenti espliciti, scorrete il racconto finchè non trovate il segnale e leggete da quel punto in avanti.
----------
Seppur le ore di sonno erano state poche, il mattino seguente il profumo del caffè mi svegliò rilassato e carico di energie. Passai una mano sulla parte libera del letto, aspettandomi, chissà perchè, di sentire ancora mia madre nel letto, vicino a me. Le lenzuola fredde, però, mi riportarono alla mente la serata precedente, compreso le mie specifiche direttive sul non farci scoprire da papà. Avrà aspettato di sentirmi dormire prima di esser sgusciata nel letto matrimoniale che condivideva con il marito. Spesi qualche secondo nel pensarla ad addormentarsi con i pensieri rivolti solo ed esclusivamente a me e ai momenti passati insieme. L'odore dei nostri corpi caldi aleggiava ancora nell'aria, dandomi un motivo in più per non voler lasciare quella stanza, quel letto e persino quel cuscino dove aveva appoggiato la testa. Mi lasciai cullare ancora qualche secondo da quel intenso profumo che sapeva di noi, diverso da tutti quelli che avevo odorato con le varie donne con cui ero stato in città, più dolce, persistente e avvolgente.
Ma alla fine la sveglia suonò, riportandomi alla realtà. Mi alzai e mi infilai in bagno per una doccia veloce. Cercai di non pensare alla mole di lavoro che avevo lasciato in arretrato mentre, attraversando il corridoio con addosso solo un asciugamano, mi dirigevo verso la mia stanza per vestirmi. Mi costrinsi a virare i pensieri su ciò che in quel momento mi faceva sentire bene, mi manteneva mentalmente stabile. E come un apparizione, sentii la voce di mia madre canticchiare in cucina, accompagnato dal rumore delle tazze appoggiate sul tavolo.
Sorrisi immaginandomi una vita solo con lei e il nostro rinnovato rapporto. Desiderai con profonda sincerità di svegliarmi accanto a lei, ogni mattina, magari in una casa spaziosa, in una città lontana. Mi immaginai portarla fuori a cena in un ristorante di lusso: vederla vestita da sera, con gli occhi di tutti i presenti puntati verso di lei, ma con la consapevolezza che sarebbe stata solo mia. Era strano pensarla così, quasi sbagliato. Certo, oramai avevamo superato da tempo il normale legame madre-figlio, eppure immaginarla così legata a me nella quotidianità, aveva un sentore di relazione amorosa che, allo stato attuale delle cose, era un passo avanti enorme e non per forza giusto. Ricordai soltanto un caso in cui provai le stesse emozioni. Era il secondo anno di università e, al campus, conobbi una ragazza che frequentava il mio stesso corso ma un anno in avanti. Aveva i capelli più belli che avessi mai visto, mossi e biondo cenere, sempre legati con poca attenzione in uno chignon sorretto da una matita. Era estremamente magra per dei problemi psicofisici combattuti in passato e, forse, mai troppo superati, eppure vestiva con eleganza abiti larghi e occhiali con lenti che si scurivano da soli al cambiar dell'intensità della luce. Uscimmo insieme molte volte, prima in compagnia di amici in comune poi, da soli. Cercavo costantemente mille scuse per portarla al cinema, a bere un caffè e, quando riuscivo a mettere abbastanza soldi da parte, anche a cena. Era chiaro come il sole il fatto che entrambi provavamo qualcosa l'uno per l'altra, eppure nessuno dei due riusciva a iniziare il fatidico discorso per chiarire la nostra situazione. Persino quando, dopo una serata passata ad ascoltarla parlare di un tal filosofo tedesco di cui era appassionata, finalmente mi invitò in camera sua, dove facemmo l'amore a lungo, appassionatamente. L'immagine di lei, post climax, con solo la mia camicia addosso, appoggiata alla finestra per far uscire il fumo della sigaretta accesa, mi fece ribaltare lo stomaco come non mai. Mi ero innamorato, e lo sapevo.
Con la ragazza non durò molto: io ero impegnato con il lavoro e il recuperare i corsi mancati, lei troppo poco pronta per aprire una porta per la sua psiche più profonda. Le relazioni universitarie erano così, l'avevo notato osservando i miei amici: a quell'età non si è abbastanza maturi per avanzare nella relazione. Eppure con mamma... con mamma era diverso, ma al tempo, pur percependolo, non lo avevo ancora realizzato.
La fantasia durò il tempo di quei pochi passi nel corridoio, poiché la realtà mi continuava a colpire alle spalle, con la forza di un tornado: tutto, in quella casa, esclusa la mia stanza, mi ricordava i miei debiti, il non esser indipendente e la sottomissione forzata a mio padre. Il suo russare, profondo e roco, aveva la capacità di annichilire ogni mia speranza e fantasia e, con umore negativamente rinnovato, rientrai in camera, uscendone qualche minuto più tardi vestito per l'ufficio.
- Buongiorno! - Mi salutò con un sorriso di sincera felicità.
- 'Giorno... - Risposi io, ancora con l'umore sotto le scarpe.
- Hai dormito bene? - mi chiese con un tono allegro, cercando di sollevare il mio umore.
- Abbastanza, considerando le circostanze - risposi, sorseggiando il caffè che mi aveva preparato.
Mentre facevo colazione, mia madre si muoveva per la cucina, preparando la colazione per mio padre che sarebbe arrivato a breve. La osservavo di sottecchi, notando come i suoi movimenti fossero più leggeri, quasi danzanti. Sembrava felice, una felicità che non le vedevo da tempo.
- Devo andare - dissi, alzandomi dopo aver finito di mangiare. Lei si avvicinò e mi abbracciò, stringendomi forte. Sentii il suo calore e il suo odore familiare, mescolato con quello del caffè e del cibo appena cucinato.
- Passa una buona giornata, e non preoccuparti troppo - sussurrò al mio orecchio. Poi si staccò da me, con un sorriso rassicurante.
Arrivai al lavoro con la mente ancora annebbiata dai ricordi della sera prima e dal forte abbraccio di mia madre. Cercai di concentrarmi sulle mie mansioni, ma era più difficile del solito. Pensavo a lei, a noi, a quello che avevamo condiviso e a cosa sarebbe successo ora.
Durante la pausa pranzo, decisi di fare una passeggiata per schiarirmi le idee. Camminai senza meta, lasciando che i miei piedi mi portassero dove volevano. Dopo un po', mi ritrovai in un parco poco lontano dall'ufficio. Era quasi deserto a quell'ora del giorno. Mi sedetti su una panchina e osservai le poche persone che passavano: una mamma con il figlio piccolo, un anziano che portava a spasso il suo cane, una coppia di ragazzi che ridevano e si tenevano per mano.
Chissà se qualcuno di loro aveva dei segreti come il mio, pensai. Chissà se anche loro avevano delle relazioni complicate e proibite.
Ma poi pensai a mia madre, alla sua sottomissione volontaria, al suo desiderio di compiacermi. Non era solo perversità o deviazione, c'era anche amore. Un amore strano, sicuramente, ma pur sempre amore. E questa consapevolezza accendeva un fuoco dentro di me, e ciò mi regalava sentimenti contrastanti.
Tornai al lavoro con una nuova determinazione. Dovevo trovare un modo per liberarci entrambi dalla tirannia di mio padre. Non sapevo ancora come, ma ero certo che ce l'avrei fatta. Lo dovevo a mia madre, e lo dovevo a me stesso.
Il pomeriggio fu un inferno: arrivarono dalla sede centrale diversi uomini in giacca e cravatta che vollero parlare con Stefano, il controllore del personale. Rimasero per un ora buona nella sala riunioni per poi uscire con la stessa flemma stanca con cui erano entrati. Stefano chiamò a raccolta tutto il personale dell'ufficio, confermando ciò che la sera prima aveva detto in confidenza ai pochi presenti al bar: l'azienda stava per delocalizzare alcuni processi produttivi, quindi ci sarebbe stata una grande riduzione del personale non amministrativo in ditta. Scelse poi quattro persone dell'ufficio per analizzare i profili dei dipendenti per proporre dei candidati per i licenziamenti. Le persone scelte parvero casuali, eppure diede quel infausto compito a coloro che conosceva di più, ossia i colleghi che, dopo lavoro, andavano al bar con lui. E così, a malapena un mese dalla mia assunzione, mi ritrovai in una situazione di potere decisionale così imprevista e forte che quasi mi sentii in balia di un destino crudele: non bastava che avessi già la testa piena di pensieri per la mia complicata vita personale, mi si doveva aggiungere persino un compito così complesso e pieno di responsabilità: avrei dovuto lasciare a casa molte persone, magari senza un soldo come me. Pensai di declinare gentilmente l'offerta quando Stefano, davanti al neofondato Team Licenziamenti, annunciò che, data la difficoltà dell'impresa, avrebbe pagato il disturbo con degli ottimi incentivi: a quel punto scrollai le spalle, e mi dissi che, tutto sommato, era una gran bella notizia per me.
Passai allora il restante tempo prima di andare a casa, compresa la sosta al bar, a cercare criteri comuni con Stefano e il team: si decise di adottare un criterio di anzianità incrociato a uno di produttività. Per il primo i dati erano semplici da reperire, una parte del team avrebbe dovuto creare un documento contenente tutti gli scatti di anzianità di tutti i dipendenti, mentre il secondo criterio aveva la necessità di un confronto incrociato di diverse informazioni, come ritardi sul lavoro, indice di produttività e altre cose tecniche. Questo complessissimo lavoro fu dato a me e ad un altro membro, i più giovani e freschi di studi del team, in quanto si era deciso di adottare un programma che facilitasse il confronto.
Stordito dalla birra e da tutte le emozioni contrastanti, a fine serata salutai tutti e presi, come di consueto, l'ultimo autobus in direzione di casa.
Solo alla vista del portone di casa, mi tornò in mente la vita a cui stavo per tornare. Con il cuore trepidante di emozione, girai il chiavistello ed entrai in casa.
Mamma mi stava aspettando in cucina, seduta al suo posto a tavola: teneva in mano una tazza fumante in mano. I borbottii sconnessi di mio padre, palesemente ubriaco ogni limite, giungevano dalla camera padronale: pareva si stesse lamentando con sé stesso di una cosa che lo turbava molto. Ancora all'uscio della porta guardai mia madre interrogativo. Tornando in sé dai suoi pensieri, lei mi rivolse un sorriso caldo di saluto, seguito da un cenno che mi indicava di avvicinarmi. Mi tolsi le scarpe e posai la giacca e le cose del lavoro vicino all'ingresso il più silenziosamente possibile, intenzionato a non annunciare la mia presenza all'ubriaco padrone di casa.
- Come stai? Ti vedo teso questa sera... - Mi chiese dolce mamma, alzandosi e guidandomi al posto che di solito occupavo a tavola durante i pasti. Con fare servizievole mi aiutò a sedermi, accompagnando la sedia da dietro.
- Non dovresti essere con Papà in questo momento? Di solito ti vuole con lui per addormentarsi... anche se oggi sembra abbia bevuto più del solito. -
La sentii muoversi in silenzio dietro di me, per prendere il piatto con la cena riscaldata dalla cucina. Mi rispose solo dopo avermi servito la cena con il suo miglior sorriso, come se fare quelle semplici azioni fosse per lei motivo della più sincera delle felicità: - Si, ha bevuto molto, sembrava arrabbiato, forse preoccupato. Continuava a borbottare qualcosa mentre guardava il cellulare. A fine pasto, mentre sparecchiavo, ha detto che voleva stare da solo. Mi ha ordinato di aspettare qui finchè non si fosse addormentato e che aveva delle cose importanti da fare. -
Dalla camera dei miei genitori arrivava un forte baccano, come uno sbiascicare arrabbiato di lamentele e improperi. Pensai che stesse parlando al telefono con qualcuno, eppure scrollai le spalle, pensando che il suo turbamento era per me fonte di felicità. Anche se quel momento mi pareva il più tranquillo degli ultimi mesi, non riuscivo a staccare la mente dal lavoro. Percepii appena Mamma che, con tocco dolce e leggero, iniziò a sfiorarmi le spalle.
- Posso alleviarti la tensione in un qualche modo? - Disse in un sussurro.
- Sicura che non uscirà dalla camera? -
- Credo che tra poco stramazzerà sul letto e si addormenterà. -
- Dobbiamo essere prudenti Mamma... finisci la tua tisana, prima che si raffreddi. Siedi a tavola con me. -
Lei si mosse silenziosamente, mettendosi nuovamente a sedere. Anche se il sorriso era sempre presente, leggevo nei suoi occhi un senso di fretta. Il rumore in camera di mio padre si fece leggermente meno forte, eppur sempre presente.
Mamma riprese a sorseggiare la tisana, con sguardo basso e sottomesso, mentre cercavo di gustarmi la cena, che pareva ancor più deliziosa del solito. Eppure la mia mente spesso vagava, tornando al lavoro e alle fatiche che mi aspettavano l'indomani. Decisi così di concentrarmi nel presente, tornando a dare attenzioni solo a mia madre.
- Come è andata la tua giornata, mamma? - Le chiesi, dimostrandomi sinceramente interessato.
Parve colta alla sprovvista: - La mia... la mia giornata? - Disse quasi non fosse abituata alla domanda.
- Si, ti ho chiesto se è stata piacevole. -
- Io... beh il solito... ho pulito casa e sono andata al mercato, niente di speciale. - Il rossore sul suo viso tradiva un qualche non detto.
- Non hai fatto nient'altro? - Chiesi con sadica nonchalance, assaporando gli ultimi bocconi della cena.
- Io... niente di importante.. sul serio... - Disse lei, fortemente a disagio, mentre nascondeva il volto dietro alla tazza di tisana fingendo di bere un sorso.
- Ti sei masturbata ? - Dissi secco, posando le posate al fianco del piatto e alzando lo sguardo per cercare il suo.
- Io... no, non mi sono masturbata... Avrei tanto voluto farlo, sono arrivata quasi al punto di toccarmi... ma no, non l'ho fatto - Seppur molto in imbarazzo, mi sembrava sincera.
- Perché non lo hai fatto? - Continuai, sussurrando.
- Perchè... - si prese qualche secondo prima di rispondermi, quasi cercasse di trovare il coraggio. - ... Perchè mi era sempre stato vietato, posso darmi piacere solo se me lo ordini tu. - Disse infine, tutto di un fiato.
- Ti revoco questo divieto, puoi toccarti ogni volta che non c'è nessuno a casa. Io ci tengo al tuo piacere, voglio che tu stia bene anche in mia assenza. - Il suo sorriso, se possibile, si fece più largo e dolce, gli occhi brillanti di una luce di pura gioia.
- ... a patto che, - continuai - tu mi mandi un messaggio dicendo cosa e dove lo stai per fare, aspettando, inoltre, una mia risposta, prima di proseguire. -
- Certo! - Disse, con voce molto più alta di prima, a tal punto che dovetti zittirla con uno "shhh". Entrambi aguzzammo le orecchie, cercando di carpire segnali dalla camera padronale. Come fosse stato previsto, un potente russare si elevò dal corridoio, non ci aveva sentiti.
- Sei impazzita? - Le dissi, tirando un sospiro di sollievo. - Non fosse stato ubriaco marcio, ci avrebbe sentiti. -
Lei era rossa in viso, con gli occhi spalancati e le mani davanti alla bocca, come a voler riafferrare al volo le parole appena dette: - Ti prego, perdonami. - Iniziò a dirmi in un sussurro. - Ti supplico, non succederà più! Non mi era mai stata fatta questa concessione, sono stata così felice da non riuscire più a contenermi! - A quel punto si fece scivolare dalla sedia, inginocchiandosi a terra in una posizione prostrante: - So di aver sbagliato, accetterò qualsiasi punizione, ma ti prego perdonami. -
Non ero arrabbiato, ma per un attimo avevo percepito lo spavento. Decisi però di prendere l'occasione per testare nuovamente la sua sottomissione.
- Sparecchia. Devi essere silenziosa e veloce: non devo sentire un solo rumore e, nel momento in cui uscirò dal bagno, voglio che tu sia già in camera mia, nella posizione da lurida schiava che sei. - Finsi una voce dura, arrabbiata. Mi alzai dal tavolo e, tempo di fare qualche passo nel corridoio, che lei già si era alzata per eseguire il mio comando. Come detto, feci una tappa in bagno, prendendo il mio tempo per cambiarmi e lavarmi. Mi eccitava l'idea di pensarla ferma in camera mia, in una prolungata attesa della mia comparsa. Dopo diversi minuti mi decisi ad uscire per andare in direzione della mia camera. Mi presi solo un secondo per confermare lo stato addormentato di mio padre, il quale russava così forte da far vibrare la porta semichiusa della sua stanza.
Aprii la porta della mia camera: nella fioca luce che entrava dalla finestra riuscivo bene a vederla inginocchiata tra il letto e l'armadio, con indosso solo un semplice intimo scuro abbinato. I suoi vestiti, una maglietta bianca e dei vecchi pantaloni della tuta, erano stati piegati e poggiati di fianco all'entrata. Aveva la testa china, puntata verso le gambe, dove erano state appoggiate le mani, poste con il palmo verso l'alto.
Chiusi la porta alle mie spalle, adottando un espressione neutra, leggermente accigliata ma ferma: volevo che mi percepisse come il suo severo ma amorevole dominatore.
- Quando ti dico di metterti in posizione, voglio che tu lo faccia completamente nuda, ci siamo intesi? - Dissi, sibilando.
- Si... si signore. - Annuii lei.
- Allora fallo immediatamente, prima di farmi arrabbiare più di come sono. - Mentii.
Lei si alzò, fece scattare la clip del reggiseno, scrollò le spalle per lasciarlo scivolare a terra ed infine si bloccò, ferma come una statua di sale. Il seno dai capezzoli duri era nudo, esposto alla mia vista e baciato dalla lama di luce che entrava dalla finestra.
- Perchè ti sei fermata? - Le chiesi.
- Signore io... - iniziò a dire. Parve, per un attimo, avesse gli occhi lucidi. Mi chiesi, con panico che saliva sempre di più, fino ad impossessarsi del mio petto, se avessi fatto qualcosa di male. Il problema di una nuova sottomessa, mi resi conto, è che non conosci ancora i suoi limiti e i suoi punti dolenti: è per questo che nelle relazioni di questo tipo è sempre importante avere una parola di sicurezza. Mi stavo per muovere verso di lei per abbracciarla e chiederle scusa, quando continuò la frase: - ... io ho fatto qualcosa oggi, senza il suo permesso. - Sentivo il cuore pulsare dentro le orecchie: cosa mai avrebbe potuto fare di così grave da causarle un accesso di così tanta tristezza?
- Cosa hai fatto? - Chiesi con voce che tradiva un tremore.
- Io... io... - Iniziò, nel panico. - ... non riuscivo a non pensare a ieri sera, signore. Mentre pulivo la cucina, questa mattina, mi sono trovata a ricordare il momento in cui hai preso la mia testa e hai usato la mia bocca per il tuo piacere. Era un immagine così vivida che mi sono scoperta completamente immersa in essa, persa in un eccitazione così forte da essermi stato istintivo iniziare a strusciare il mio pube contro la maniglia del cassetto delle posate. Giuro che mi sono subito staccata però, vergognandomi profondamente poiché credevo che non ti facesse piacere che provassi piacere da sola: "come posso, io, sola a casa, masturbarmi come un assatanata ninfomane, mentre il mio buon padrone, al lavoro, si spacchi la schiena?", mi sono detta. Così mi sono allontanata dalla cucina e ho cercato di pensare ad altro, ma senza avere grandi successi. Per tutto il pomeriggio mi sono riempita di cose da fare per evitare che le mutandine si bagnassero al solo pensiero del tuo tocco, del mio orgasmo, della tua presenza. -
Prese un secondo di respiro, ma al mio confuso silenzio, continuò la narrazione: - Così, verso metà pomeriggio, mi decisi a fare qualcosa per te, sicura che così avrei dato la mia completa attenzione in qualcosa. -
- E quindi? Rispondi direttamente alla mia domanda! - Le ordinai, preoccupato.
- Posso mostrartelo, Padrone? - Disse lei, completamente arrossata in volto e con lo sguardo luccicante di lacrime di rimpianto negli occhi. Annuii alla sua richiesta. Lei si mosse lentamente, infilando nel dita nel fianco delle sue mutande: le fece scivolare lentamente, piegandosi, poi, per sfilarsele da sotto le gambe. Infine si tirò nuovamente su dritta, mostrandosi completamente nuda al mio cospetto.
Inizialmente non capii, osservandola, con sguardo accigliato, prima in viso e poi a scendere per tutto il corpo. Quando il mio sguardo incontrò il pube, prima coperto dagli slip, notai una differenza. Avevo memorizzato, la sera prima, tutto il suo fisico, centimetro per centimetro, imprimendolo a fuoco nella mia memoria. Dove ieri vi era un leggero strato di peluria a nascondere la sua intimità, oggi non vi era nulla: quel pomeriggio si era depilata per me.
(**********)
In tutti gli incontri a sfondo sessuale avuti durante gli anni in città, imparai che ci sono ragazze a cui piace essere alla moda, depilandosi sia d'estate, in previsione della prova costume, sia d'inverno, e quelle a cui, invece, non importa essere rasate. Sinceramente non avevo grandi preferenze, purché venisse tenuto tutto ordinato come piaceva fare a me con il mio corpo. In sostanza quasi mai avevo notato la depilazione di una ragazza, essendo attratto da altro nel corpo di una donna.
Eppure, il pensiero che lei avesse passato del tempo per prepararsi per me, mi eccitava immensamente: - Non essere triste. - Dissi con voce istintivamente dolce. - Mi piace. -
Mamma parve immensamente sollevata dalla mia affermazione, a tal punto che emise un leggero singhiozzo. Crollò a terra, in ginocchio, coprendosi il volto con le mani per nascondere il suo pianto di sollievo. Mi affrettai a raggiungerla e ad abbracciarla: tremava come una foglia, mentre ripeteva sotto voce, come un mantra, una serie di scuse.
Per lunghi minuti restai ad accarezzarle i capelli mentre la stringevo in un forte abbraccio. Le ripetevo di non preoccuparsi poiché che non ero arrabbiato. Quando i singhiozzi si fecero più radi mi staccai solo quel che bastava per baciarle le guance rigate dal pianto.
- Sei libera di prendere ogni decisione che vuoi, sul tuo corpo. Sono sincero. - Le dissi, con voce dolce e calma, mentre le spostavo dietro l'orecchio una ciocca di capelli.
- Io non voglio... - Disse piano, quasi in un sussurro.
- Cosa? -
- Prendere delle decisioni così... mi mette tanta ansia scegliere, non mi rende felice. Sarebbe molto più facile che qualcuno lo facesse per me. -
- Anche per questo sei una sottomessa, vero? - Le chiesi.
- Si, su questo lo sono sempre stata. Ricordo che finchè non mi sono sposata, mi è sempre stato detto dai miei genitori come vestirmi e come comportarmi. Non ho mai rifiutato ogni loro comando perchè, quando dovevo pensare autonomamente, mi sentivo sotto stress, incapace di prendere una posizione. -
- Eppure hai scelto me. - Le dissi, rassicurandola.
- In effetti, - iniziò, alzando gli occhi per cercare il mio sguardo, - questa è l'unica decisione grossa presa in autonomia, e non me ne pento, né mi sono sentita in ansia nel "tuffarmi". -
- Allora da ora in poi faremo così. Da sola potrai prendere ogni decisione sul tuo corpo che non vada contro qualche mio ordine diretto. Anche per quelli, però, metteremo una parola di sicurezza che userai nel caso la situazione diventi per te ingestibile: questa scelta è per te, ma soprattutto per me. Se, però, inizi a sentire dell'ansia, nel prendere delle decisioni, chiederai a me, e sarò io a sollevarti da ogni peso della scelta, va bene? -
Lei annuì, piano, sorridendomi tra le ultime lacrime. Passammo qualche minuto ancora in quella posizione, scherzando mentre sceglievamo la giusta parola di sicurezza da usare. Una volta terminato le chiesi: - Come ti senti ora? -
- Meglio... ma ancora in colpa, signore. -
Mi alzai da quella posizione scomoda e la guardai. Mi venne un idea.
- Ti senti ancora in colpa perchè non sei stata punita. - Decretai. Lei parve sinceramente felice, indossando uno dei suoi migliori sorrisi. Decisi di tornare ad indossare i panni del dominatore: - Non dovresti essere felice per una punizione, giusto? Visto che sembra divertirti, non sarò così leggero con te. Verrai sulle mie ginocchia e, per ogni mio colpo, mi ringrazierai. -
Mamma si alzò di fretta, cercando di nascondere il suo sorriso di contentezza. Accesi la piccola luce sulla scrivania prima di prenderla dai capelli con fermezza, per poi trascinarla vicino al letto. Mi sedetti lasciando le ginocchia vicine per creare una buona base di appoggio per farla sdraiare con la pancia sulle mie gambe. La aiutai nel far alzare il sedere, ponendola in un obbligata posizione estremamente scomoda. La guardai per intero: con le gambe tese per appoggiare la punta dei piedi scalzi a terra e la schiena inarcuata per elevare il sedere, sembrava una nella perfetta posizione di attesa per una desiderata punizione.
Così iniziai con il primo schiaffo, forte e sonoro: - Grazie padrone! - Disse lei.
- Sei solo una puttana, vero? Ti stai eccitando per degli schiaffi sul culo! - Le dissi, prima di sferrare il secondo.
- Si padrone! - Disse lei, animata dal colpo sul gluteo sinistro: - Sono solo una troia schifosa, che si eccita per gli schiaffi di suo figlio! Grazie Padrone! - Non aveva più freni, ad ogni colpo sobbalzava ringraziando e lanciando contro sé stessa degli epiteti sempre più umilianti, finchè i gemiti di dolore non si sostituirono con quelli di piacere. Arrivato a venti colpi mi bloccai di colpo, facendo scivolare le dita lungo la fessura del suo sedere, fino a toccarle l'intimità: al minimo sfiorare il suo clitoride lei saltò come una molla, emettendo uno squittio di profondo piacere. Iniziai allora a massaggiarle il clitoride con la punta delle dita, mente con l'altra mano continuavo a schiaffeggiarla.
- Ti supplico padrone, colpiscimi più forte! Liberami da ogni sentimento di colpa! - Diceva, tra un "grazie!" e l'altro. Velocemente sentii in lei salire l'orgasmo e, non resistendo più alla tentazione, fu per me il segnale di infilare un dito nella sua vagina. Feci scivolare il medio tra le fessure delle grandi labbra, accogliendo l'umidità data dai suoi succhi vaginali: qui mi infilai velocemente, flettendo il dito verso l'osso pubico, nel tentativo di stimolare il punto G. Lei emise un altro urletto che cercò di soffocare infilandosi la mano tra i denti. Smisi, a quel punto di sculacciarla e le afferrai i capelli, traendone una coda di cavallo: tirai verso di me la testa, accentuando quella posizione così scomoda e al contempo per così lei piacevole.
- Guardami negli occhi, e vieni per me. - Le dissi, in un sibilo.
Lei alzò lo sguardo: vidi riflessi in quelle ultime lacrime di piacere puro, tutta la passione e la lussuria che una donna può provare.
- Ah... sì... grazie padrooo... - Ma non concluse la frase, stroncata in un orgasmo così potente che la fece tremare tutta, cercando di scivolare dalla mia presa. Roteò gli occhi verso l'interno prima di chiuderli e aprì la bocca oscenamente mentre cercava di muovere l'anca fuori dalla mia portata. La strinsi a me, rendendola incapace di scappare dalla mia presa, mentre con la mano cercavo di soffocare i gemiti che mi raccontavano del suo godimento. Aguzzai l'orecchio, rassicurato dal continuo e profondo russare di mio padre, ancora persistente e potente nel corridoio.
Eppure non riuscivo più a contenermi. Dovevo provare anche io quel piacere: anche io dovevo soddisfare le mie voglie e scaricare le mie frustrazioni così. Non aspettai che finisse di tremare: la presi dalle spalle, accompagnandola a sedersi a terra. Mi slacciai i pantaloni e tirai fuori un erezione così dura che mi stringeva nei pantaloni.
- Apri la bocca, ti fotterò nuovamente la faccia! -
Ancora in preda agli spasmi dell'orgasmo, aprì la bocca, tirando fuori leggermente la lingua, come ad invitarmi al suo interno. Affondai, con un solo movimento d'anca metà del membro eretto, così velocemente che le feci venire un inevitabile piccolo conato per l'inaspettatezza. Mi mossi lentamente, avanti ed indietro, dandole il tempo per prendere meglio quel corpo estraneo nella sua bocca. Eppure il mio desiderio era così forte che non resistetti che per qualche secondo a quella velocità, aumentandola sempre più, gradualmente: spingevo sempre più forte e sempre più a fondo, tirando fuori il membro ogni tanto per farle prendere quei pochi respiri che la mantenevano fuori dall'apnea. Cercava il più possibile di succhiare e tenere gli occhi alzati verso di me, memore del mio ordine della sera prima. Eppure, più ci provava, più saliva grondava pesante dalla sua bocca, scendendole sui seni nudi e sulle gambe inginocchiate. Quando mi accorsi che riuscivo, finalmente, a infilare tutto il membro in bocca senza scatenare in lei un conato, seppi con sicurezza che sarei venuto da lì a breve. Eppure volevo di più, ancora di più. Estrassi il membro e la guardai: era così bella, grondante di saliva e ancora tremante di piacere. Sapevo che la volevo mia, più mia di quanto era già. Volevo sentire tutto di lei, provare ogni cosa fosse sperimentabile e perdermi negli abissi di quel piacere che solo lei, in tutta la mia vita, era riuscita a farmi provare. Mi chinai e le afferrai il viso con forza. Le diedi un bacio così appassionato e forte che ci mise qualche istante prima di rendersi conto di cosa stesse succedendo. Quando ricambiò, mi donò il bacio più intenso e lussurioso mai provato in vita mia: era un incrocio di labbra, uno scontro di lingue, un continuo sottrarsi il respiro a vicenda come a cercare di assaporare l'anima dell'altro. Quando entrambi ci staccammo per prendere respiro, capimmo in un solo istante che quella sera avemmo finalmente passato anche l'ultimo limite che ci divideva fra l'essere madre e figlio, seppur a nostro modo deviati, all'essere amanti.
Con dei veloci movimenti mi scostai da lei, ordinandole di mettersi sul letto. Senza farselo ripetere lei si sdraiò e aprì le gambe, mettendo in oscena mostra la sua vulva lucida come non mai dei suoi succhi. Mi misi tra le sue gambe, finalmente assaporando quel momento come fosse tutto quello per cui avevo vissuto fin ora, l'apice della mia vita. Passai il glande lentamente sulla sua apertura, strusciandolo lentamente sulle piccole labbra, fino a massaggiare il clitoride. Ancora scossa dal precedente orgasmo lei si muoveva l'anca tremante, sensibile ad ogni tocco, accompagnando ogni mio gesto.
- Dimmi cosa vuoi. - Le dissi, quasi in trance.
- Ti prego, - iniziò lei, - anzi ti supplico, entra dentro di me. Rendimi tua definitivamente, usami per il tuo piacere finchè ne sentirai il bisogno. Penetrami e mi battezzerai come tua sottomessa e donna, per l'eternità. -
Quell'ultima frase mi fece perdere anche l'ultimo freno inibitore: lentamente puntai il glande verso l'apertura della sua vagina, spingendo completamente il membro al suo interno.
Fu come il più profondo degli abbracci: così caldo e avvolgente, stretto al punto che pareva fosse fatto su mia misura. Lei reclinò la testa, affondando i capelli nel cuscino: - Ahhh! - Gemette.
- Sei perfetta... - le dissi, inebriato da quella sensazione.
Dopo un suo mugolio di risposta, iniziai a muovermi. Inizialmente affondavo lentamente l'erezione fino in fondo, toccando il fondo estremo della sua intimità, poi sempre più veloce, finchè il ritmo divenne quello naturale del mio e suo godere. Entrambi ansimavamo, recitandoci il nostro piacere ad ogni movimento, capaci in quel momento solo di donare noi stessi. Ero come ubriaco al vedere lo spalancarsi della sua vagina umida al mio passaggio, nel sentire ogni "clap" dovuto al nostro sbattere di corpi, all'ondeggiare dei suoi seni ancora coperti di saliva.
- Si! Ti prego, scopami! - Diceva lei, in balia del piacere. - Fammi tua, rendimi sottomessa del tuo piacere! Tua madre sta godendo come una troia grazie al tuo cazzo! -
- Sto godendo anche io! - Le dicevo, incapace di commentare altrimenti il mio godere.
- Sono tua ora, possiedi tua madre alla stregua di un umile serva ai tuoi comandi, schiava volontaria del tuo piacere! -
Stavo nuovamente per venire eppure, tra l'intorpidimento mentale dato dalla situazione, sentii in me la repulsione per venire in quella posizione: era così che la prendeva mio padre.
- Sali su di me, voglio che veniamo insieme mentre mi dai piacere muovendoti su di me! - Le ordinai. Inizialmente parve confusa, come se non avesse mai fatto quella posizione. In preda all'orgasmo imminente la presi di forza, mettendomi a sedere e trascinando lei a cavalcioni sul mio pene. Mamma, capendo come fare, si aiutò con la mano per infilare la punta gonfia e tremante all'apertura del buco, flettendo infine le gambe per accoglierlo in sé.
Non perse tempo e iniziò a cercare il movimento più adatto a quella posizione. Andò a tentativi finchè non capì che entrambi provavamo piacere quando faceva leva sulle ginocchia, per alzarsi leggermente, scendendo infine per infilare il membro nuovamente dentro di sé. Il rumore del nostro sesso riempiva la camera, anche se sapevo che papà non si sarebbe svegliato, non mi importava se ci avesse trovati ora così: l'unica cosa che importava era quel momento, i nostri movimenti rapidi, l'odore del sesso che impregnava l'aria e il nostro climax, sempre più vicino.
- Vengo... - Dissi a Mamma, tra un gemito e l'altro.
- Oh, sì, vengo anche io! Vengo così forte come non mai! - disse lei, velocizzando all'estremo il ritmo. - Vieni dentro di me, riempimi del tuo seme e del tuo amore, battezzami con il tuo sacro sperma! -
- Oh Mamma, vengo dentro di te, vengo, vengo! - Dissi.
- Vengo anche io! -
Sentii il liquido caldo schizzare in lei e mi persi definitivamente tra quel turbinio obliante. Non esisteva niente al di fuori di quel tepore, di quei tremiti, di quei gemiti soffocati nell'orecchio dell'altro, di quel lento muoversi come di un organismo che muore e rinasce dalle sue ceneri, di quel infinito tutto che mi riempiva il corpo tremante dedito solo al reciproco legame che si saldava definitivamente tra me e la Mamma.
Mi risvegliai solo diverse ore dopo, tra il tepore di quel letto che ancora aveva il nostro intenso odore. Mamma era ancora sdraiata al mio fianco, nuda, con una goccia del mio seme che le scivolava dalla vulva, fin giù a macchiare il letto. Sapevo che quando mi sarei risvegliato al mattino non l'avrei trovata più lì, in accordo alla promessa di non farci scoprire da papà, eppure la cosa non mi turbò più di tanto: mi volevo godere quelle ultime gocce di felicità. Andava tutto bene finalmente, dopo tanto tempo.
Ma ancora non sapevo, che da lì a poco avrei dovuto prendere la più difficile delle decisioni.
-----------
Fine del Quinto capitolo!
Vi sta piacendo il racconto? Vi eccita come si sta evolvendo la storia? Fatemelo sapere per mail!
Ci metto tanto tempo e passione e i commenti sono per me una grande motivazione!
Grazie della lettura!
Quinto capitolo della storia "Il racconto di un figlio".
Ricordo che tutti i personaggi in questa storia sono maggiorenni e consenzienti.
Per tutti i commenti, fantasie o esperienze che vorreste condividere con me (affinché possa trarne ispirazione per racconti) potete scrivermi su horzo@atomicmail.io
!!AVVISO IMPORTANTE:!!
Questo racconto è davvero lungo rispetto agli standard di questo sito. Mi rendo conto che per alcuni possa sembrare noioso e poco interessante la risoluzione di alcune faccende di trama e l'esplorazione delle motivazioni e della psicologia dei protagonisti. Per quanto ritengo importante per l'esperienza leggere il racconto integralmente, ma volendo rispettare il più possibile il gusto di tutti, contrassegnerò il paragrafo dove inizia "l'azione" con dieci asterischi (**********). Se siete interessati solo ai momenti espliciti, scorrete il racconto finchè non trovate il segnale e leggete da quel punto in avanti.
----------
Seppur le ore di sonno erano state poche, il mattino seguente il profumo del caffè mi svegliò rilassato e carico di energie. Passai una mano sulla parte libera del letto, aspettandomi, chissà perchè, di sentire ancora mia madre nel letto, vicino a me. Le lenzuola fredde, però, mi riportarono alla mente la serata precedente, compreso le mie specifiche direttive sul non farci scoprire da papà. Avrà aspettato di sentirmi dormire prima di esser sgusciata nel letto matrimoniale che condivideva con il marito. Spesi qualche secondo nel pensarla ad addormentarsi con i pensieri rivolti solo ed esclusivamente a me e ai momenti passati insieme. L'odore dei nostri corpi caldi aleggiava ancora nell'aria, dandomi un motivo in più per non voler lasciare quella stanza, quel letto e persino quel cuscino dove aveva appoggiato la testa. Mi lasciai cullare ancora qualche secondo da quel intenso profumo che sapeva di noi, diverso da tutti quelli che avevo odorato con le varie donne con cui ero stato in città, più dolce, persistente e avvolgente.
Ma alla fine la sveglia suonò, riportandomi alla realtà. Mi alzai e mi infilai in bagno per una doccia veloce. Cercai di non pensare alla mole di lavoro che avevo lasciato in arretrato mentre, attraversando il corridoio con addosso solo un asciugamano, mi dirigevo verso la mia stanza per vestirmi. Mi costrinsi a virare i pensieri su ciò che in quel momento mi faceva sentire bene, mi manteneva mentalmente stabile. E come un apparizione, sentii la voce di mia madre canticchiare in cucina, accompagnato dal rumore delle tazze appoggiate sul tavolo.
Sorrisi immaginandomi una vita solo con lei e il nostro rinnovato rapporto. Desiderai con profonda sincerità di svegliarmi accanto a lei, ogni mattina, magari in una casa spaziosa, in una città lontana. Mi immaginai portarla fuori a cena in un ristorante di lusso: vederla vestita da sera, con gli occhi di tutti i presenti puntati verso di lei, ma con la consapevolezza che sarebbe stata solo mia. Era strano pensarla così, quasi sbagliato. Certo, oramai avevamo superato da tempo il normale legame madre-figlio, eppure immaginarla così legata a me nella quotidianità, aveva un sentore di relazione amorosa che, allo stato attuale delle cose, era un passo avanti enorme e non per forza giusto. Ricordai soltanto un caso in cui provai le stesse emozioni. Era il secondo anno di università e, al campus, conobbi una ragazza che frequentava il mio stesso corso ma un anno in avanti. Aveva i capelli più belli che avessi mai visto, mossi e biondo cenere, sempre legati con poca attenzione in uno chignon sorretto da una matita. Era estremamente magra per dei problemi psicofisici combattuti in passato e, forse, mai troppo superati, eppure vestiva con eleganza abiti larghi e occhiali con lenti che si scurivano da soli al cambiar dell'intensità della luce. Uscimmo insieme molte volte, prima in compagnia di amici in comune poi, da soli. Cercavo costantemente mille scuse per portarla al cinema, a bere un caffè e, quando riuscivo a mettere abbastanza soldi da parte, anche a cena. Era chiaro come il sole il fatto che entrambi provavamo qualcosa l'uno per l'altra, eppure nessuno dei due riusciva a iniziare il fatidico discorso per chiarire la nostra situazione. Persino quando, dopo una serata passata ad ascoltarla parlare di un tal filosofo tedesco di cui era appassionata, finalmente mi invitò in camera sua, dove facemmo l'amore a lungo, appassionatamente. L'immagine di lei, post climax, con solo la mia camicia addosso, appoggiata alla finestra per far uscire il fumo della sigaretta accesa, mi fece ribaltare lo stomaco come non mai. Mi ero innamorato, e lo sapevo.
Con la ragazza non durò molto: io ero impegnato con il lavoro e il recuperare i corsi mancati, lei troppo poco pronta per aprire una porta per la sua psiche più profonda. Le relazioni universitarie erano così, l'avevo notato osservando i miei amici: a quell'età non si è abbastanza maturi per avanzare nella relazione. Eppure con mamma... con mamma era diverso, ma al tempo, pur percependolo, non lo avevo ancora realizzato.
La fantasia durò il tempo di quei pochi passi nel corridoio, poiché la realtà mi continuava a colpire alle spalle, con la forza di un tornado: tutto, in quella casa, esclusa la mia stanza, mi ricordava i miei debiti, il non esser indipendente e la sottomissione forzata a mio padre. Il suo russare, profondo e roco, aveva la capacità di annichilire ogni mia speranza e fantasia e, con umore negativamente rinnovato, rientrai in camera, uscendone qualche minuto più tardi vestito per l'ufficio.
- Buongiorno! - Mi salutò con un sorriso di sincera felicità.
- 'Giorno... - Risposi io, ancora con l'umore sotto le scarpe.
- Hai dormito bene? - mi chiese con un tono allegro, cercando di sollevare il mio umore.
- Abbastanza, considerando le circostanze - risposi, sorseggiando il caffè che mi aveva preparato.
Mentre facevo colazione, mia madre si muoveva per la cucina, preparando la colazione per mio padre che sarebbe arrivato a breve. La osservavo di sottecchi, notando come i suoi movimenti fossero più leggeri, quasi danzanti. Sembrava felice, una felicità che non le vedevo da tempo.
- Devo andare - dissi, alzandomi dopo aver finito di mangiare. Lei si avvicinò e mi abbracciò, stringendomi forte. Sentii il suo calore e il suo odore familiare, mescolato con quello del caffè e del cibo appena cucinato.
- Passa una buona giornata, e non preoccuparti troppo - sussurrò al mio orecchio. Poi si staccò da me, con un sorriso rassicurante.
Arrivai al lavoro con la mente ancora annebbiata dai ricordi della sera prima e dal forte abbraccio di mia madre. Cercai di concentrarmi sulle mie mansioni, ma era più difficile del solito. Pensavo a lei, a noi, a quello che avevamo condiviso e a cosa sarebbe successo ora.
Durante la pausa pranzo, decisi di fare una passeggiata per schiarirmi le idee. Camminai senza meta, lasciando che i miei piedi mi portassero dove volevano. Dopo un po', mi ritrovai in un parco poco lontano dall'ufficio. Era quasi deserto a quell'ora del giorno. Mi sedetti su una panchina e osservai le poche persone che passavano: una mamma con il figlio piccolo, un anziano che portava a spasso il suo cane, una coppia di ragazzi che ridevano e si tenevano per mano.
Chissà se qualcuno di loro aveva dei segreti come il mio, pensai. Chissà se anche loro avevano delle relazioni complicate e proibite.
Ma poi pensai a mia madre, alla sua sottomissione volontaria, al suo desiderio di compiacermi. Non era solo perversità o deviazione, c'era anche amore. Un amore strano, sicuramente, ma pur sempre amore. E questa consapevolezza accendeva un fuoco dentro di me, e ciò mi regalava sentimenti contrastanti.
Tornai al lavoro con una nuova determinazione. Dovevo trovare un modo per liberarci entrambi dalla tirannia di mio padre. Non sapevo ancora come, ma ero certo che ce l'avrei fatta. Lo dovevo a mia madre, e lo dovevo a me stesso.
Il pomeriggio fu un inferno: arrivarono dalla sede centrale diversi uomini in giacca e cravatta che vollero parlare con Stefano, il controllore del personale. Rimasero per un ora buona nella sala riunioni per poi uscire con la stessa flemma stanca con cui erano entrati. Stefano chiamò a raccolta tutto il personale dell'ufficio, confermando ciò che la sera prima aveva detto in confidenza ai pochi presenti al bar: l'azienda stava per delocalizzare alcuni processi produttivi, quindi ci sarebbe stata una grande riduzione del personale non amministrativo in ditta. Scelse poi quattro persone dell'ufficio per analizzare i profili dei dipendenti per proporre dei candidati per i licenziamenti. Le persone scelte parvero casuali, eppure diede quel infausto compito a coloro che conosceva di più, ossia i colleghi che, dopo lavoro, andavano al bar con lui. E così, a malapena un mese dalla mia assunzione, mi ritrovai in una situazione di potere decisionale così imprevista e forte che quasi mi sentii in balia di un destino crudele: non bastava che avessi già la testa piena di pensieri per la mia complicata vita personale, mi si doveva aggiungere persino un compito così complesso e pieno di responsabilità: avrei dovuto lasciare a casa molte persone, magari senza un soldo come me. Pensai di declinare gentilmente l'offerta quando Stefano, davanti al neofondato Team Licenziamenti, annunciò che, data la difficoltà dell'impresa, avrebbe pagato il disturbo con degli ottimi incentivi: a quel punto scrollai le spalle, e mi dissi che, tutto sommato, era una gran bella notizia per me.
Passai allora il restante tempo prima di andare a casa, compresa la sosta al bar, a cercare criteri comuni con Stefano e il team: si decise di adottare un criterio di anzianità incrociato a uno di produttività. Per il primo i dati erano semplici da reperire, una parte del team avrebbe dovuto creare un documento contenente tutti gli scatti di anzianità di tutti i dipendenti, mentre il secondo criterio aveva la necessità di un confronto incrociato di diverse informazioni, come ritardi sul lavoro, indice di produttività e altre cose tecniche. Questo complessissimo lavoro fu dato a me e ad un altro membro, i più giovani e freschi di studi del team, in quanto si era deciso di adottare un programma che facilitasse il confronto.
Stordito dalla birra e da tutte le emozioni contrastanti, a fine serata salutai tutti e presi, come di consueto, l'ultimo autobus in direzione di casa.
Solo alla vista del portone di casa, mi tornò in mente la vita a cui stavo per tornare. Con il cuore trepidante di emozione, girai il chiavistello ed entrai in casa.
Mamma mi stava aspettando in cucina, seduta al suo posto a tavola: teneva in mano una tazza fumante in mano. I borbottii sconnessi di mio padre, palesemente ubriaco ogni limite, giungevano dalla camera padronale: pareva si stesse lamentando con sé stesso di una cosa che lo turbava molto. Ancora all'uscio della porta guardai mia madre interrogativo. Tornando in sé dai suoi pensieri, lei mi rivolse un sorriso caldo di saluto, seguito da un cenno che mi indicava di avvicinarmi. Mi tolsi le scarpe e posai la giacca e le cose del lavoro vicino all'ingresso il più silenziosamente possibile, intenzionato a non annunciare la mia presenza all'ubriaco padrone di casa.
- Come stai? Ti vedo teso questa sera... - Mi chiese dolce mamma, alzandosi e guidandomi al posto che di solito occupavo a tavola durante i pasti. Con fare servizievole mi aiutò a sedermi, accompagnando la sedia da dietro.
- Non dovresti essere con Papà in questo momento? Di solito ti vuole con lui per addormentarsi... anche se oggi sembra abbia bevuto più del solito. -
La sentii muoversi in silenzio dietro di me, per prendere il piatto con la cena riscaldata dalla cucina. Mi rispose solo dopo avermi servito la cena con il suo miglior sorriso, come se fare quelle semplici azioni fosse per lei motivo della più sincera delle felicità: - Si, ha bevuto molto, sembrava arrabbiato, forse preoccupato. Continuava a borbottare qualcosa mentre guardava il cellulare. A fine pasto, mentre sparecchiavo, ha detto che voleva stare da solo. Mi ha ordinato di aspettare qui finchè non si fosse addormentato e che aveva delle cose importanti da fare. -
Dalla camera dei miei genitori arrivava un forte baccano, come uno sbiascicare arrabbiato di lamentele e improperi. Pensai che stesse parlando al telefono con qualcuno, eppure scrollai le spalle, pensando che il suo turbamento era per me fonte di felicità. Anche se quel momento mi pareva il più tranquillo degli ultimi mesi, non riuscivo a staccare la mente dal lavoro. Percepii appena Mamma che, con tocco dolce e leggero, iniziò a sfiorarmi le spalle.
- Posso alleviarti la tensione in un qualche modo? - Disse in un sussurro.
- Sicura che non uscirà dalla camera? -
- Credo che tra poco stramazzerà sul letto e si addormenterà. -
- Dobbiamo essere prudenti Mamma... finisci la tua tisana, prima che si raffreddi. Siedi a tavola con me. -
Lei si mosse silenziosamente, mettendosi nuovamente a sedere. Anche se il sorriso era sempre presente, leggevo nei suoi occhi un senso di fretta. Il rumore in camera di mio padre si fece leggermente meno forte, eppur sempre presente.
Mamma riprese a sorseggiare la tisana, con sguardo basso e sottomesso, mentre cercavo di gustarmi la cena, che pareva ancor più deliziosa del solito. Eppure la mia mente spesso vagava, tornando al lavoro e alle fatiche che mi aspettavano l'indomani. Decisi così di concentrarmi nel presente, tornando a dare attenzioni solo a mia madre.
- Come è andata la tua giornata, mamma? - Le chiesi, dimostrandomi sinceramente interessato.
Parve colta alla sprovvista: - La mia... la mia giornata? - Disse quasi non fosse abituata alla domanda.
- Si, ti ho chiesto se è stata piacevole. -
- Io... beh il solito... ho pulito casa e sono andata al mercato, niente di speciale. - Il rossore sul suo viso tradiva un qualche non detto.
- Non hai fatto nient'altro? - Chiesi con sadica nonchalance, assaporando gli ultimi bocconi della cena.
- Io... niente di importante.. sul serio... - Disse lei, fortemente a disagio, mentre nascondeva il volto dietro alla tazza di tisana fingendo di bere un sorso.
- Ti sei masturbata ? - Dissi secco, posando le posate al fianco del piatto e alzando lo sguardo per cercare il suo.
- Io... no, non mi sono masturbata... Avrei tanto voluto farlo, sono arrivata quasi al punto di toccarmi... ma no, non l'ho fatto - Seppur molto in imbarazzo, mi sembrava sincera.
- Perché non lo hai fatto? - Continuai, sussurrando.
- Perchè... - si prese qualche secondo prima di rispondermi, quasi cercasse di trovare il coraggio. - ... Perchè mi era sempre stato vietato, posso darmi piacere solo se me lo ordini tu. - Disse infine, tutto di un fiato.
- Ti revoco questo divieto, puoi toccarti ogni volta che non c'è nessuno a casa. Io ci tengo al tuo piacere, voglio che tu stia bene anche in mia assenza. - Il suo sorriso, se possibile, si fece più largo e dolce, gli occhi brillanti di una luce di pura gioia.
- ... a patto che, - continuai - tu mi mandi un messaggio dicendo cosa e dove lo stai per fare, aspettando, inoltre, una mia risposta, prima di proseguire. -
- Certo! - Disse, con voce molto più alta di prima, a tal punto che dovetti zittirla con uno "shhh". Entrambi aguzzammo le orecchie, cercando di carpire segnali dalla camera padronale. Come fosse stato previsto, un potente russare si elevò dal corridoio, non ci aveva sentiti.
- Sei impazzita? - Le dissi, tirando un sospiro di sollievo. - Non fosse stato ubriaco marcio, ci avrebbe sentiti. -
Lei era rossa in viso, con gli occhi spalancati e le mani davanti alla bocca, come a voler riafferrare al volo le parole appena dette: - Ti prego, perdonami. - Iniziò a dirmi in un sussurro. - Ti supplico, non succederà più! Non mi era mai stata fatta questa concessione, sono stata così felice da non riuscire più a contenermi! - A quel punto si fece scivolare dalla sedia, inginocchiandosi a terra in una posizione prostrante: - So di aver sbagliato, accetterò qualsiasi punizione, ma ti prego perdonami. -
Non ero arrabbiato, ma per un attimo avevo percepito lo spavento. Decisi però di prendere l'occasione per testare nuovamente la sua sottomissione.
- Sparecchia. Devi essere silenziosa e veloce: non devo sentire un solo rumore e, nel momento in cui uscirò dal bagno, voglio che tu sia già in camera mia, nella posizione da lurida schiava che sei. - Finsi una voce dura, arrabbiata. Mi alzai dal tavolo e, tempo di fare qualche passo nel corridoio, che lei già si era alzata per eseguire il mio comando. Come detto, feci una tappa in bagno, prendendo il mio tempo per cambiarmi e lavarmi. Mi eccitava l'idea di pensarla ferma in camera mia, in una prolungata attesa della mia comparsa. Dopo diversi minuti mi decisi ad uscire per andare in direzione della mia camera. Mi presi solo un secondo per confermare lo stato addormentato di mio padre, il quale russava così forte da far vibrare la porta semichiusa della sua stanza.
Aprii la porta della mia camera: nella fioca luce che entrava dalla finestra riuscivo bene a vederla inginocchiata tra il letto e l'armadio, con indosso solo un semplice intimo scuro abbinato. I suoi vestiti, una maglietta bianca e dei vecchi pantaloni della tuta, erano stati piegati e poggiati di fianco all'entrata. Aveva la testa china, puntata verso le gambe, dove erano state appoggiate le mani, poste con il palmo verso l'alto.
Chiusi la porta alle mie spalle, adottando un espressione neutra, leggermente accigliata ma ferma: volevo che mi percepisse come il suo severo ma amorevole dominatore.
- Quando ti dico di metterti in posizione, voglio che tu lo faccia completamente nuda, ci siamo intesi? - Dissi, sibilando.
- Si... si signore. - Annuii lei.
- Allora fallo immediatamente, prima di farmi arrabbiare più di come sono. - Mentii.
Lei si alzò, fece scattare la clip del reggiseno, scrollò le spalle per lasciarlo scivolare a terra ed infine si bloccò, ferma come una statua di sale. Il seno dai capezzoli duri era nudo, esposto alla mia vista e baciato dalla lama di luce che entrava dalla finestra.
- Perchè ti sei fermata? - Le chiesi.
- Signore io... - iniziò a dire. Parve, per un attimo, avesse gli occhi lucidi. Mi chiesi, con panico che saliva sempre di più, fino ad impossessarsi del mio petto, se avessi fatto qualcosa di male. Il problema di una nuova sottomessa, mi resi conto, è che non conosci ancora i suoi limiti e i suoi punti dolenti: è per questo che nelle relazioni di questo tipo è sempre importante avere una parola di sicurezza. Mi stavo per muovere verso di lei per abbracciarla e chiederle scusa, quando continuò la frase: - ... io ho fatto qualcosa oggi, senza il suo permesso. - Sentivo il cuore pulsare dentro le orecchie: cosa mai avrebbe potuto fare di così grave da causarle un accesso di così tanta tristezza?
- Cosa hai fatto? - Chiesi con voce che tradiva un tremore.
- Io... io... - Iniziò, nel panico. - ... non riuscivo a non pensare a ieri sera, signore. Mentre pulivo la cucina, questa mattina, mi sono trovata a ricordare il momento in cui hai preso la mia testa e hai usato la mia bocca per il tuo piacere. Era un immagine così vivida che mi sono scoperta completamente immersa in essa, persa in un eccitazione così forte da essermi stato istintivo iniziare a strusciare il mio pube contro la maniglia del cassetto delle posate. Giuro che mi sono subito staccata però, vergognandomi profondamente poiché credevo che non ti facesse piacere che provassi piacere da sola: "come posso, io, sola a casa, masturbarmi come un assatanata ninfomane, mentre il mio buon padrone, al lavoro, si spacchi la schiena?", mi sono detta. Così mi sono allontanata dalla cucina e ho cercato di pensare ad altro, ma senza avere grandi successi. Per tutto il pomeriggio mi sono riempita di cose da fare per evitare che le mutandine si bagnassero al solo pensiero del tuo tocco, del mio orgasmo, della tua presenza. -
Prese un secondo di respiro, ma al mio confuso silenzio, continuò la narrazione: - Così, verso metà pomeriggio, mi decisi a fare qualcosa per te, sicura che così avrei dato la mia completa attenzione in qualcosa. -
- E quindi? Rispondi direttamente alla mia domanda! - Le ordinai, preoccupato.
- Posso mostrartelo, Padrone? - Disse lei, completamente arrossata in volto e con lo sguardo luccicante di lacrime di rimpianto negli occhi. Annuii alla sua richiesta. Lei si mosse lentamente, infilando nel dita nel fianco delle sue mutande: le fece scivolare lentamente, piegandosi, poi, per sfilarsele da sotto le gambe. Infine si tirò nuovamente su dritta, mostrandosi completamente nuda al mio cospetto.
Inizialmente non capii, osservandola, con sguardo accigliato, prima in viso e poi a scendere per tutto il corpo. Quando il mio sguardo incontrò il pube, prima coperto dagli slip, notai una differenza. Avevo memorizzato, la sera prima, tutto il suo fisico, centimetro per centimetro, imprimendolo a fuoco nella mia memoria. Dove ieri vi era un leggero strato di peluria a nascondere la sua intimità, oggi non vi era nulla: quel pomeriggio si era depilata per me.
(**********)
In tutti gli incontri a sfondo sessuale avuti durante gli anni in città, imparai che ci sono ragazze a cui piace essere alla moda, depilandosi sia d'estate, in previsione della prova costume, sia d'inverno, e quelle a cui, invece, non importa essere rasate. Sinceramente non avevo grandi preferenze, purché venisse tenuto tutto ordinato come piaceva fare a me con il mio corpo. In sostanza quasi mai avevo notato la depilazione di una ragazza, essendo attratto da altro nel corpo di una donna.
Eppure, il pensiero che lei avesse passato del tempo per prepararsi per me, mi eccitava immensamente: - Non essere triste. - Dissi con voce istintivamente dolce. - Mi piace. -
Mamma parve immensamente sollevata dalla mia affermazione, a tal punto che emise un leggero singhiozzo. Crollò a terra, in ginocchio, coprendosi il volto con le mani per nascondere il suo pianto di sollievo. Mi affrettai a raggiungerla e ad abbracciarla: tremava come una foglia, mentre ripeteva sotto voce, come un mantra, una serie di scuse.
Per lunghi minuti restai ad accarezzarle i capelli mentre la stringevo in un forte abbraccio. Le ripetevo di non preoccuparsi poiché che non ero arrabbiato. Quando i singhiozzi si fecero più radi mi staccai solo quel che bastava per baciarle le guance rigate dal pianto.
- Sei libera di prendere ogni decisione che vuoi, sul tuo corpo. Sono sincero. - Le dissi, con voce dolce e calma, mentre le spostavo dietro l'orecchio una ciocca di capelli.
- Io non voglio... - Disse piano, quasi in un sussurro.
- Cosa? -
- Prendere delle decisioni così... mi mette tanta ansia scegliere, non mi rende felice. Sarebbe molto più facile che qualcuno lo facesse per me. -
- Anche per questo sei una sottomessa, vero? - Le chiesi.
- Si, su questo lo sono sempre stata. Ricordo che finchè non mi sono sposata, mi è sempre stato detto dai miei genitori come vestirmi e come comportarmi. Non ho mai rifiutato ogni loro comando perchè, quando dovevo pensare autonomamente, mi sentivo sotto stress, incapace di prendere una posizione. -
- Eppure hai scelto me. - Le dissi, rassicurandola.
- In effetti, - iniziò, alzando gli occhi per cercare il mio sguardo, - questa è l'unica decisione grossa presa in autonomia, e non me ne pento, né mi sono sentita in ansia nel "tuffarmi". -
- Allora da ora in poi faremo così. Da sola potrai prendere ogni decisione sul tuo corpo che non vada contro qualche mio ordine diretto. Anche per quelli, però, metteremo una parola di sicurezza che userai nel caso la situazione diventi per te ingestibile: questa scelta è per te, ma soprattutto per me. Se, però, inizi a sentire dell'ansia, nel prendere delle decisioni, chiederai a me, e sarò io a sollevarti da ogni peso della scelta, va bene? -
Lei annuì, piano, sorridendomi tra le ultime lacrime. Passammo qualche minuto ancora in quella posizione, scherzando mentre sceglievamo la giusta parola di sicurezza da usare. Una volta terminato le chiesi: - Come ti senti ora? -
- Meglio... ma ancora in colpa, signore. -
Mi alzai da quella posizione scomoda e la guardai. Mi venne un idea.
- Ti senti ancora in colpa perchè non sei stata punita. - Decretai. Lei parve sinceramente felice, indossando uno dei suoi migliori sorrisi. Decisi di tornare ad indossare i panni del dominatore: - Non dovresti essere felice per una punizione, giusto? Visto che sembra divertirti, non sarò così leggero con te. Verrai sulle mie ginocchia e, per ogni mio colpo, mi ringrazierai. -
Mamma si alzò di fretta, cercando di nascondere il suo sorriso di contentezza. Accesi la piccola luce sulla scrivania prima di prenderla dai capelli con fermezza, per poi trascinarla vicino al letto. Mi sedetti lasciando le ginocchia vicine per creare una buona base di appoggio per farla sdraiare con la pancia sulle mie gambe. La aiutai nel far alzare il sedere, ponendola in un obbligata posizione estremamente scomoda. La guardai per intero: con le gambe tese per appoggiare la punta dei piedi scalzi a terra e la schiena inarcuata per elevare il sedere, sembrava una nella perfetta posizione di attesa per una desiderata punizione.
Così iniziai con il primo schiaffo, forte e sonoro: - Grazie padrone! - Disse lei.
- Sei solo una puttana, vero? Ti stai eccitando per degli schiaffi sul culo! - Le dissi, prima di sferrare il secondo.
- Si padrone! - Disse lei, animata dal colpo sul gluteo sinistro: - Sono solo una troia schifosa, che si eccita per gli schiaffi di suo figlio! Grazie Padrone! - Non aveva più freni, ad ogni colpo sobbalzava ringraziando e lanciando contro sé stessa degli epiteti sempre più umilianti, finchè i gemiti di dolore non si sostituirono con quelli di piacere. Arrivato a venti colpi mi bloccai di colpo, facendo scivolare le dita lungo la fessura del suo sedere, fino a toccarle l'intimità: al minimo sfiorare il suo clitoride lei saltò come una molla, emettendo uno squittio di profondo piacere. Iniziai allora a massaggiarle il clitoride con la punta delle dita, mente con l'altra mano continuavo a schiaffeggiarla.
- Ti supplico padrone, colpiscimi più forte! Liberami da ogni sentimento di colpa! - Diceva, tra un "grazie!" e l'altro. Velocemente sentii in lei salire l'orgasmo e, non resistendo più alla tentazione, fu per me il segnale di infilare un dito nella sua vagina. Feci scivolare il medio tra le fessure delle grandi labbra, accogliendo l'umidità data dai suoi succhi vaginali: qui mi infilai velocemente, flettendo il dito verso l'osso pubico, nel tentativo di stimolare il punto G. Lei emise un altro urletto che cercò di soffocare infilandosi la mano tra i denti. Smisi, a quel punto di sculacciarla e le afferrai i capelli, traendone una coda di cavallo: tirai verso di me la testa, accentuando quella posizione così scomoda e al contempo per così lei piacevole.
- Guardami negli occhi, e vieni per me. - Le dissi, in un sibilo.
Lei alzò lo sguardo: vidi riflessi in quelle ultime lacrime di piacere puro, tutta la passione e la lussuria che una donna può provare.
- Ah... sì... grazie padrooo... - Ma non concluse la frase, stroncata in un orgasmo così potente che la fece tremare tutta, cercando di scivolare dalla mia presa. Roteò gli occhi verso l'interno prima di chiuderli e aprì la bocca oscenamente mentre cercava di muovere l'anca fuori dalla mia portata. La strinsi a me, rendendola incapace di scappare dalla mia presa, mentre con la mano cercavo di soffocare i gemiti che mi raccontavano del suo godimento. Aguzzai l'orecchio, rassicurato dal continuo e profondo russare di mio padre, ancora persistente e potente nel corridoio.
Eppure non riuscivo più a contenermi. Dovevo provare anche io quel piacere: anche io dovevo soddisfare le mie voglie e scaricare le mie frustrazioni così. Non aspettai che finisse di tremare: la presi dalle spalle, accompagnandola a sedersi a terra. Mi slacciai i pantaloni e tirai fuori un erezione così dura che mi stringeva nei pantaloni.
- Apri la bocca, ti fotterò nuovamente la faccia! -
Ancora in preda agli spasmi dell'orgasmo, aprì la bocca, tirando fuori leggermente la lingua, come ad invitarmi al suo interno. Affondai, con un solo movimento d'anca metà del membro eretto, così velocemente che le feci venire un inevitabile piccolo conato per l'inaspettatezza. Mi mossi lentamente, avanti ed indietro, dandole il tempo per prendere meglio quel corpo estraneo nella sua bocca. Eppure il mio desiderio era così forte che non resistetti che per qualche secondo a quella velocità, aumentandola sempre più, gradualmente: spingevo sempre più forte e sempre più a fondo, tirando fuori il membro ogni tanto per farle prendere quei pochi respiri che la mantenevano fuori dall'apnea. Cercava il più possibile di succhiare e tenere gli occhi alzati verso di me, memore del mio ordine della sera prima. Eppure, più ci provava, più saliva grondava pesante dalla sua bocca, scendendole sui seni nudi e sulle gambe inginocchiate. Quando mi accorsi che riuscivo, finalmente, a infilare tutto il membro in bocca senza scatenare in lei un conato, seppi con sicurezza che sarei venuto da lì a breve. Eppure volevo di più, ancora di più. Estrassi il membro e la guardai: era così bella, grondante di saliva e ancora tremante di piacere. Sapevo che la volevo mia, più mia di quanto era già. Volevo sentire tutto di lei, provare ogni cosa fosse sperimentabile e perdermi negli abissi di quel piacere che solo lei, in tutta la mia vita, era riuscita a farmi provare. Mi chinai e le afferrai il viso con forza. Le diedi un bacio così appassionato e forte che ci mise qualche istante prima di rendersi conto di cosa stesse succedendo. Quando ricambiò, mi donò il bacio più intenso e lussurioso mai provato in vita mia: era un incrocio di labbra, uno scontro di lingue, un continuo sottrarsi il respiro a vicenda come a cercare di assaporare l'anima dell'altro. Quando entrambi ci staccammo per prendere respiro, capimmo in un solo istante che quella sera avemmo finalmente passato anche l'ultimo limite che ci divideva fra l'essere madre e figlio, seppur a nostro modo deviati, all'essere amanti.
Con dei veloci movimenti mi scostai da lei, ordinandole di mettersi sul letto. Senza farselo ripetere lei si sdraiò e aprì le gambe, mettendo in oscena mostra la sua vulva lucida come non mai dei suoi succhi. Mi misi tra le sue gambe, finalmente assaporando quel momento come fosse tutto quello per cui avevo vissuto fin ora, l'apice della mia vita. Passai il glande lentamente sulla sua apertura, strusciandolo lentamente sulle piccole labbra, fino a massaggiare il clitoride. Ancora scossa dal precedente orgasmo lei si muoveva l'anca tremante, sensibile ad ogni tocco, accompagnando ogni mio gesto.
- Dimmi cosa vuoi. - Le dissi, quasi in trance.
- Ti prego, - iniziò lei, - anzi ti supplico, entra dentro di me. Rendimi tua definitivamente, usami per il tuo piacere finchè ne sentirai il bisogno. Penetrami e mi battezzerai come tua sottomessa e donna, per l'eternità. -
Quell'ultima frase mi fece perdere anche l'ultimo freno inibitore: lentamente puntai il glande verso l'apertura della sua vagina, spingendo completamente il membro al suo interno.
Fu come il più profondo degli abbracci: così caldo e avvolgente, stretto al punto che pareva fosse fatto su mia misura. Lei reclinò la testa, affondando i capelli nel cuscino: - Ahhh! - Gemette.
- Sei perfetta... - le dissi, inebriato da quella sensazione.
Dopo un suo mugolio di risposta, iniziai a muovermi. Inizialmente affondavo lentamente l'erezione fino in fondo, toccando il fondo estremo della sua intimità, poi sempre più veloce, finchè il ritmo divenne quello naturale del mio e suo godere. Entrambi ansimavamo, recitandoci il nostro piacere ad ogni movimento, capaci in quel momento solo di donare noi stessi. Ero come ubriaco al vedere lo spalancarsi della sua vagina umida al mio passaggio, nel sentire ogni "clap" dovuto al nostro sbattere di corpi, all'ondeggiare dei suoi seni ancora coperti di saliva.
- Si! Ti prego, scopami! - Diceva lei, in balia del piacere. - Fammi tua, rendimi sottomessa del tuo piacere! Tua madre sta godendo come una troia grazie al tuo cazzo! -
- Sto godendo anche io! - Le dicevo, incapace di commentare altrimenti il mio godere.
- Sono tua ora, possiedi tua madre alla stregua di un umile serva ai tuoi comandi, schiava volontaria del tuo piacere! -
Stavo nuovamente per venire eppure, tra l'intorpidimento mentale dato dalla situazione, sentii in me la repulsione per venire in quella posizione: era così che la prendeva mio padre.
- Sali su di me, voglio che veniamo insieme mentre mi dai piacere muovendoti su di me! - Le ordinai. Inizialmente parve confusa, come se non avesse mai fatto quella posizione. In preda all'orgasmo imminente la presi di forza, mettendomi a sedere e trascinando lei a cavalcioni sul mio pene. Mamma, capendo come fare, si aiutò con la mano per infilare la punta gonfia e tremante all'apertura del buco, flettendo infine le gambe per accoglierlo in sé.
Non perse tempo e iniziò a cercare il movimento più adatto a quella posizione. Andò a tentativi finchè non capì che entrambi provavamo piacere quando faceva leva sulle ginocchia, per alzarsi leggermente, scendendo infine per infilare il membro nuovamente dentro di sé. Il rumore del nostro sesso riempiva la camera, anche se sapevo che papà non si sarebbe svegliato, non mi importava se ci avesse trovati ora così: l'unica cosa che importava era quel momento, i nostri movimenti rapidi, l'odore del sesso che impregnava l'aria e il nostro climax, sempre più vicino.
- Vengo... - Dissi a Mamma, tra un gemito e l'altro.
- Oh, sì, vengo anche io! Vengo così forte come non mai! - disse lei, velocizzando all'estremo il ritmo. - Vieni dentro di me, riempimi del tuo seme e del tuo amore, battezzami con il tuo sacro sperma! -
- Oh Mamma, vengo dentro di te, vengo, vengo! - Dissi.
- Vengo anche io! -
Sentii il liquido caldo schizzare in lei e mi persi definitivamente tra quel turbinio obliante. Non esisteva niente al di fuori di quel tepore, di quei tremiti, di quei gemiti soffocati nell'orecchio dell'altro, di quel lento muoversi come di un organismo che muore e rinasce dalle sue ceneri, di quel infinito tutto che mi riempiva il corpo tremante dedito solo al reciproco legame che si saldava definitivamente tra me e la Mamma.
Mi risvegliai solo diverse ore dopo, tra il tepore di quel letto che ancora aveva il nostro intenso odore. Mamma era ancora sdraiata al mio fianco, nuda, con una goccia del mio seme che le scivolava dalla vulva, fin giù a macchiare il letto. Sapevo che quando mi sarei risvegliato al mattino non l'avrei trovata più lì, in accordo alla promessa di non farci scoprire da papà, eppure la cosa non mi turbò più di tanto: mi volevo godere quelle ultime gocce di felicità. Andava tutto bene finalmente, dopo tanto tempo.
Ma ancora non sapevo, che da lì a poco avrei dovuto prendere la più difficile delle decisioni.
-----------
Fine del Quinto capitolo!
Vi sta piacendo il racconto? Vi eccita come si sta evolvendo la storia? Fatemelo sapere per mail!
Ci metto tanto tempo e passione e i commenti sono per me una grande motivazione!
Grazie della lettura!
5
voti
voti
valutazione
8
8
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Il racconto di un figlio IV
Commenti dei lettori al racconto erotico