Il racconto di un figlio III

di
genere
incesti

RACCONTO DI FANTASIA CON TEMATICHE FORTI.
Terzo capitolo della storia "Il racconto di un figlio".
Ricordo che tutti i personaggi in questa storia sono maggiorenni e consenzienti.
Per tutti i commenti, fantasie o esperienze sul tema che vorreste condividere con me (affinché io possa trarne ispirazione per racconti) potete scrivermi su horzo@atomicmail.io (vi sto leggendo tutti, siete dolcissimi, appena avrò un po' di tempo risponderò a tutti)

!!AVVISO IMPORTANTE:!!
Questo racconto è davvero lungo rispetto agli standard di questo sito. Mi rendo conto che per alcuni possa sembrare noioso e poco interessante la risoluzione di alcune faccende di trama e l'esplorazione delle motivazioni e della psicologia dei protagonisti. Per quanto ritengo importante per l'esperienza leggere il racconto integralmente, ma volendo rispettare il più possibile il gusto di tutti, contrassegnerò il paragrafo dove inizia "l'azione" con dieci asterischi (**********). Se siete interessati solo ai momenti espliciti, scorrete il racconto finchè non trovate il segnale e leggete da quel punto in avanti.

Buona lettura!

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Seppur il sonno fu profondo e il risveglio relativamente rilassato, quando mi alzai dal letto per andare in direzione della cucina per la colazione, mi tornò in mente tutti gli avvenimenti del giorno prima. Le immagini della manipolazione da opera di mio padre per sottrarmi denaro, la successiva scopata con sua moglie ed infine mia madre in ginocchio, ad accogliere sorridente la mia masturbazione, mi passavano davanti agli occhi come un film riprodotto al doppio della velocità. Provavo una sensazione confusa, vergogna mischiata con imbarazzo. Certo sentivo anche la rabbia per gli atteggiamenti di mio padre, eppure riuscivo a tenerla sotto controllo: non era più ira accecante ma solo una sensazione di fondo, più docile rispetto alla sera prima. Era come se quella sottomissione volontaria di mia madre, portata così all'estremo di punto in bianco, fosse stato per me motivo di rivalsa verso papà: gli avevo sottratto quella che credeva sua proprietà che, però, aveva deciso di sua spontanea volontà di schierarsi con me, anche se alla sua maniera.
Sentendo i rumori del risveglio nella camera padronale, mi preparai velocemente e mi diressi velocemente verso l'uscita: sapendo che mia madre si alzava sempre prima, al mattino, volevo a tutti i corsi evitarla, non essendo pronto a incontrarla senza aver pensato ad un piano d'azione. Eppure non riuscii ad arrivare nemmeno alla porta d'ingresso che mamma, avvolta nella sua vestaglia blu notte, uscì dalla camera, cogliendomi in flagrante nel mio tentativo di fuga.
- Buongiorno Giacomo, esci di già? - Mi sentii dire alle spalle. Mi voltai lentamente, sentendomi un un bambino beccato a rubare la marmellata. La sua figura minuta stava entrando ora in cucina, sorridendomi gentilmente. Pareva anche lei estremamente riposata dopo la notte passata e, camminando scalza, si avvicinò verso i fornelli.
- Tuo padre si alzerà fra circa dieci minuti. Se vuoi puoi fare una colazione al volo a casa: sto per preparare il caffè. - Parlava con tranquillità, apparentemente priva di imbarazzo. Per un secondo pensai che dovessi aver sognato la scena della sera prima ma, al ricordo nitido della sua espressione beata mentre, in ginocchio, riceveva il mio seme eiaculato su di lei, e mi convinsi che stesse solo cercando di comportarsi normalmente così da non creare imbarazzo tra noi. Bofonchiai qualcosa, una patetica scusa per fuggire da lì, e mi diressi di nuovo verso la porta.
Lei si spose appena dalla cucina, giusto quel che bastava per farsi vedere da me. Pareva improvvisamente triste, spenta: aveva lo sguardo puntato verso il pavimento e le labbra non più leggermente tese in un sorriso ma neutrali, come abbandonate a loro stesse: - Non ti è piaciuto ieri sera? Ti sei spaventato? Se è così perdonami, ti prego. -
Sarei dovuto andare a bere il caffè in cucina e fingere con lei: montando su la scena della normale colazione tra madre e figlio, si sarebbero evitato qualsiasi tipo di discussione sul fatto e, di certo, avrei avuto più tempo per processare e riflettere. Invece avevo tentato una fuga veloce, ignaro dei sei sentimenti di mamma.
Da sotto i qualche ciuffo di capelli, anche con il viso reclinato, riuscii a vedere i suoi occhi divenire velocemente lucidi, come per un principio di pianto.
- Ti supplico, perdonami. - Disse nuovamente, crollando in ginocchio: era la stessa posizione supplicante del giorno prima, eppure la situazione era completamente diversa. Io stavo fermo all'uscio della porta, con ancora il pomolo in mano.
- Non abbandonare nuovamente questa casa come hai fatto andando in città. Non andartene via. Non lasciarmi di nuovo sola. - Qualche lacrima iniziava a rigargli il viso, carica di una tristezza che mai esprimeva liberamente.
- Farò tutto quello che vuoi, tutto quello che serve: se me lo chiedi, non mi vedrai più. Certo, continuerò ad abitare in questa casa, ad ascoltare tuo padre, ma mi farò ancora più silenziosa, più piccola, se ciò ti da conforto. - Parlava con voce bassa, quasi in un sussurro, onde evitare che mio padre, in fase di risveglio, potesse sentirla.
- Ieri sera ho pensato che avessi bisogno di sfogarti in quel modo. Me lo avevi chiesto. Ma se ho sbagliato ad accettare dimmelo, non succederà mai più. Ti supplico, dimmi quello che devo fare e io lo farò senza neppure esitare. Qualsiasi cosa pur che tu rimanga con me. -
Me ne stavo in silenzio, immobile, mentre ogni parola che sentivo mi entrava dentro nel profondo, colpendomi come colpi di un pugnale. Non sopportavo vederla piangere, e ciò mi sorprese. Pensavo che, ritenendola complice omertosa di mio padre, sarei dovuto rimanere impassibile, se non contento, davanti ad una scena del genere. Eppure, qualcosa dentro di me era cambiato: la percepivo come un alleata nella lotta, come una compagna nella lotta contro un despota. Non riuscii a trattenermi dal rientrare in casa e avvicinarmi a lei. La abbracciai: - Non ho intenzione di abbandonarti e, anche se lo volessi, non potrei con i pochi soldi che mi rimangono. -
Ero in piedi, cingendo a me la sua testa con le mani. La sentivo soffocare dei singhiozzi, mentre con le mani, lentamente, si aggrappò ai miei pantaloni, stringendone il tessuto tra le dita. - Però mi chiedi tanto, nel rimanere qua. - Ammisi sinceramente - Ogni giorno che passo in presenza di mio padre mi avvicina alla follia, all'ira incontrollata ed infine ad una sensazione simile alla rottura... non so come spiegarla. -
Tra i singhiozzi e con la testa affondata nella stoffa dei pantaloni, lei mi rispose: - ci sono molti modi per sottomettere una persona, i principali sono quello volontario, dato da una persona che decide di sua spontanea e libera volontà di farlo, e quello forzato tramite violenza fisica o psicologica. - Prese un respiro profondo prima di parlare, come se ammettere quello che stava per dire le costasse davvero molto: - Io mi sono inizialmente sottomessa per amore, volontariamente, poiché adoravo come mi faceva sentire tuo padre. Poi è cambiato, negli anni. Mi sono sentita costretta a non dire o fare nulla mentre lui imparava a odiarti sempre più, giorno dopo giorno. Ho dovuto stare in silenzio mentre lui ti allontanava o sfruttava, sentendosi minacciato dalla presenza di una persona che mettesse in discussione la sua volontà. Ora sono sottomessa per necessità, mancanza di un posto dove andare, di soldi per il sostentamento e... perchè è l'unico modo per poterti stare vicino. Tempo fa, quando eri piccolo, mentre eravamo a letto e lui era ubriaco, che se mai avessi mancato nei miei "compiti", mi avrebbe buttato fuori casa. E sono sicura che il vino lo avesse reso sincero. -
Si strinse a me più forte, prima di concludere dicendo: - Ora capisci perchè ti ho sempre trattato con indifferenza o perchè mi sono sempre voltata ad ogni sua angheria? L'ho fatto solo per darti una casa, una relativa sicurezza mentre crescevi. Quando te ne sei andato, invece, ho continuato a farlo rendendomi conto di non sapere dove altro andare. Era semplicemente più facile. -

In quel momento sentimmo suonare la sveglia di papà e il suo improvviso cessare di russare rumorosamente. Una sensazione di fretta e panico si fece largo tra la pietà che provavo per mia madre. Il suo discorso mi aveva fatto commuovere e provare empatia per quel dolore condiviso.
- Mamma, guardami. - Incominciai a dire dolcemente, scostandomi leggermente dalla sua stretta, ora meno forte per lo spavento che anche lei aveva preso sentendo la sveglia squillare, e prendendole il mento tra l'indice e il pollice della mano, sollevandoglielo e puntandolo verso di me, ancora in piedi. - Devi stare tranquilla ora, fingere che non sia successo niente, che sia tutto normale. Lui non deve sospettare niente. Continueremo a parlarne questa sera, quando sarà andato a dormire. Vieni in camera mia, ti aspetterò sveglio. -
Feci qualche passo indietro, sentendo il letto nella camera padronale scricchiolare sotto il peso di mio padre intento ad alzarsi. Poi mi bloccai, nel vederla con gli occhi lucidi, fissi su di me e lo sguardo preoccupato. Così, istintivamente, le dissi una cosa che sentivo dentro ma che ancora non avevo realizzato fosse vera: - Io ti capisco. Capisco il perchè hai fatto e fai tutto questo. Non è tanto diverso da quello che sto facendo io ora. -
Quelle parole ebbero l'effetto di far tornare, lentamente il sorriso a mia madre, questa volta pieno e solare. Mi sentii di aggiungere, però, in tutta onestà: - Non so se riesco a perdonarti, però. Non ora quanto meno. -
L'ultima cosa che percepii, prima di uscire, fu la sua voce dirmi in un sussurro: - questo è più di quello che so di meritarmi. -

Tutto il giorno pensai a mamma. Il suo discorso mi aveva toccato a tal punto che, nel tragitto in autobus verso il lavoro, piansi un poco nel pensarla vivere nel mio stesso dolore, amplificato però dagli anni e dalla assenza di speranza di uscirne. Poi, però, iniziai a partorire l'idea di un intenzionalità più o meno calcolata in tutto quello che era successo. O almeno parte di quello che era successo.
Iniziai a riflettere sul suo volto quando entrai nel bagno la sera prima, ora più nitido nella mia mente per l'assenza della rabbia accecante: non sembrava così sorpresa di vedermi... e allora perchè iniziare a masturbarsi? Stava solo fingendo per far scaturire in me una reazione?
Quando compresi che non potevo avere una risposta sicura e completa alle mie domande lasciai divagare il pensiero, distraendomi abbondantemente da quello che avrei dovuto fare. La immaginai di nuovo inginocchiata, questa volta nuda, intenta a fare quello che la sera prima avevo fatto da solo: masturbarmi. Me la immaginai mentre con la mano sinistra mi massaggiava delicatamente i testicoli mentre con la destra impugnava il membro con dolcezza, muovendola delicatamente. Inutile dire che, quando arrivò l'ultima ora prima di staccare dal lavoro, dovetti mettercela tutta per recuperare tutta la giornata.
Uscii, come al solito, a bere una birra con Stefano, il mio capo che potevo oramai chiamare quasi amico, e altri colleghi. Non potevo fare altrimenti che continuare a guardare l'ora, facendo ballare la gamba sotto il tavolino. Non seguii molto i discorsi fatti al quel tavolino del locale in cui eravamo, l'unica cosa che percepii e che da lì a poco l'azienda avrebbe delocalizzato diversi processi produttivi e che ci sarebbero stati tagli al personale non amministrativo. Non mi interessò gran che, non riguardandomi, quindi indossai una faccia seria adatta alla situazione mentre Stefano continuava sbracciando cercando di rassicurarci della nostra posizione stabile.
Salutati i colleghi presi l'ultimo autobus diretto a casa.

Quando entrai percepii con rassicurazione che mio padre si era già addormentato, sentendone il russare, notando inoltre la tavola sparecchiata e almeno due bottiglie di vino completamente vuote nel bidone trasparente del vetro: Mio padre doveva aver bevuto più del solito quella sera e si doveva esser addormentato leggermente prima. Mangiai di fretta gli avanzi rimanenti della cena, bevvi un sorso di una terza bottiglia già aperta e riposta in frigo e, cercando di cacciare via quel po' di ansia che mi stava salendo per l'inevitabile conversazione con mamma. Cosa le avrei detto? Come mi sarei comportato con lei? Avevo passato gran parte della giornata a pensarla nel modo in cui un uomo pensa ad una donna, non come un figlio, il che mi rendeva difficile ora cercare preventivamente una soluzione per tornare alla normalità... ma avrei voluto che tra noi tornasse "la normalità"? Ciò che c'era stato la sera prima e la mattina era stato un contatto vero, forse non interno al normale spettro di comportamento tra genitore e figlio, ma era stato qualcosa di intimamente buono, catartico, che mi aveva purificato.
Con il cuore che batteva nel petto aprì la porta della mia stanza: all'interno, illuminata solo dalla debole luce gialla dei lampioni che filtrava da fuori la finestra, c'era mamma.
Era in pigiama e, come questa mattina, indossava la sua vestaglia blu notte. Come spesso portava, aveva i suoi capelli neri legati dietro alla testa in una bassa coda di cavallo. Era seduta al bordo del letto, con le mani appoggiate sulle gambe e la schiena ritta, in una posizione di evidente tensione. Gli occhi erano puntati verso la porta e, quando la aprii, assunse un espressione di grande sollievo, mutata subito dopo, come per memoria muscolare in un espressione neutra, abbassando lo sguardo.
- Spero non sia tanto che aspetti. - Dissi, con la bocca asciutta.
- Per favore, non ti preoccupare di questo. - Disse lei.
Chiusi la porta alle mie spalle. Feci qualche passo all'interno e cercai di assumere una posizione naturale. Cristo, sembravo un ragazzino alle prese con la sua prima ragazza. Eppure mai mi ero sentito così nervoso anche solo per parlare.
- Grazie per le parole che hai detto questa mattina... - Incominciò lei, dopo diversi secondi di silenzio. - Non sai quanto sono state importanti per me. - La sua voce era dolce e, anche se mascherata dal buio e dal suo capo leggermente chino, riuscii a individuare un piccolo sorriso.
- Io... - iniziai a dire, interrompendomi subito dopo. Mia madre, accorgendosi che volevo dire qualcosa ma che non riuscivo a formulare nessuna frase di senso compiuto si rivolse a me: - Posso domandarti una cosa? - Annuii piano, con il cuore in gola.
- Non parli perché sei arrabbiato con me oppure sei imbarazzato dalla scorsa notte? -
- Io credo... - Mi feci coraggio e parlai. - Sono imbarazzato. Mi sento di averti usato in una brutta maniera e credo che, anche se penso tu non ti sia sentita obbligata, è un ottimo motivo per odiarmi. -
Lei mi rispose tranquillamente e subito: - ti è piaciuto? Ti è servito a scaricare un po' di rabbia? -
- Si. - Affermai, con voce tremante per il fatto che avesse evitato la domanda.
- Allora cono felice di averti aiutato. - Disse lei, mantenendo il suo mezzo sorriso.
Presi un grosso respiro e posi la fatidica domanda: - Ma a te è piaciuto? Intendo se volevi farlo o ti sei sentita costretta... -
Assunse un espressione strana, come se non avesse mai sentito pronunciare questa frase: - Stai chiedendo se è piaciuto a me? - Annuii, in silenzio. Si prese un po' di tempo, prima di rispondere: - Si, molto... -
- Lo dici solo perchè pensi che è quello che voglio sentirmi dire oppure è vero? - Chiesi, incredulo.
- Sono sincera. - Rispose lei, tutto d'un fiato.
Un po' del peso che mi premeva il petto evaporò in un istante. Senza volerlo sentii il mio membro iniziare ad irrigidirsi sotto i pantaloni: a mia madre era piaciuto davvero, e la cosa mi eccitava da morire. Mi allargai il nodo alla cravatta e feci qualche passo verso la sedia della scrivania: ritenevo che tenendola lontana sarei riuscito a pensare più lucidamente per porgli le domande che mi tenevo dentro da tutta la giornata. Mamma non seguì il mio movimento: rimase ferma, a capo chino, fissando la porta.
- Va bene... allora... - Iniziai pensando che, guardandole le spalle, sarei riuscito a non immaginarla come avevo fatto tutta la giornata.
- ... sei una sottomessa, giusto? Intendo... in tutto. -
- Direi di sì. -
- Lo sei sempre stata? -
- Sì, anche se ho scoperto che si chiamava così poco fa, grazie ad internet. - La sua voce appariva appesantita, come se fosse sotto sforzo.
- Se non vuoi rispondere possiamo interrompere, non ce l'avrei con te. -
- No! - Disse subito, poi si sistemò meglio a sedere, sempre dandomi le spalle, come aspettando il comando di girarsi. - Intendo dire, che va bene se continui a farmi delle domande... posso rispondere a tutto quello che vuoi se ti fa stare bene. -
- Certo... perchè sei una sottomessa? - Chiesi, genuinamente interessato dallo stile di vita.
- Io... io mi sono sempre sentita in ansia anche per la più piccola scelta della mia vita. Quando ho incontrato tuo padre, ho trovato in lui un uomo gentile e amorevole che mi diceva cosa fare, come e quando farlo. Mi sentivo... libera, leggera. L'unica preoccupazione era farlo sentire bene, a suo agio e appagato in tutto, facendo ciò che mi era ordinato al meglio delle mie capacità... e ciò mi rendeva la donna più felice al mondo. Poi ha iniziato ad alzare l'asticella, subito dopo il matrimonio. Mi umiliava e denigrava... e ho scoperto che la cosa mi faceva... - Sembrava in difficoltà nel completare la frase. Ero talmente rapito dal suo racconto che istintivamente le ordinai, con un involontaria voce più profonda del solito: - Vai avanti. -
La sentii deglutire prima di continuare: - ... mi faceva eccitare sessualmente. - Prese un lungo respiro, poi continuò: - La cosa era divertente e appagante: qualsiasi cosa facesse o mi chiedesse di fare era per il suo e mio piacere. Lo faceva con amore, percepivo che mi desiderava veramente. Il frutto di quell'amore, sei tu. I primi anni dopo la tua nascita furono sinceramente felici, ma quando iniziasti ad entrare nell'adolescenza e ad andargli contro, iniziò a cambiare tutto e, lentamente, divenne l'uomo che conosci. -
- Ora inizio a collegare i puntini. - Dissi, prima di prendermi una breve pausa per riflettere.
- Mi hai detto questa mattina che quando sono andato via eri triste e, di conseguenza, molto sollevata quando sono tornato. L'unica cosa che ancora non ho capito è il perchè, se da sottomessa dovresti essere devota a mio padre, perchè hai accettato di inginocchiarti e vedermi masturbare ieri sera. -
- Io... - La sua voce appariva ancora più affaticata, come dopo una lunga corsa. - ...io ho cercato di progettarlo, più o meno. - La cosa mi stupii alquanto, le ordinai nuovamente, ora più sicuro di prima, di raccontare il come lo aveva progettato.
- La prima sera che mi ha preso, ero sicura ci avessi sentito. Ero imbarazzata e mi sentivo talmente profondamente umiliata che iniziai a sentire nuovamente qualcosa nel sesso, dopo diverso tempo. Mi sentivo una deviata a provare piacere sapendo mio figlio in grado di sentirci, anche se mortificata per quello che diceva tuo padre su di te. Eppure, il giorno dopo, mentre stavo pulendo il pavimento nel corridoio, ho notato un po' di gocce per terra. Dall'odore capii che era sperma e che ti eri masturbato fuori dalla porta della camera, probabilmente mentre ci guardavi. Conoscendo il tuo carattere ho immaginato non fossi eccitato per quello che diceva tuo padre, più probabilmente arrabbiato, ma dalla visione della scena di sesso. Così, ogni sera, mentre mi prendeva, ho pensato solo all'amore che provo per te che mi ha aiutato a rimanere lucida e stabile mentalmente. La scorsa sera, però, sapendo che saresti morto dalla rabbia, impaurita che mi avresti abbandonato e volenterosa di darti una mano nell'unica maniera che conosco, ho finto di non vederti, mentre uscivo dalla camera, lasciando poi la porta leggermente aperta del bagno. Così ho cercato di far leva sulla tua rabbia e sei entrato. Sarò sincera ma non mi aspettavo mi chiedessi di fare quello che hai fatto. Ma mi è piaciuto. Tanto. -
Parlava come un fiume in piena, come senza pensare a quello che diceva, tirando fuori ogni cosa con sincerità e libertà. Oramai avevo un erezione dolorante che premeva contro il pantalone da ufficio. Respiravo a singhiozzi, inebriato da un eccitazione profonda. A quel punto realizzai che, data la voce, lo era anche lei.

- Sei eccitata, non è vero? - Le chiesi esplicitamente.
- ...si. - Disse lei, ancora rivolta di spalle.
- Perché? - Le chiesi io, sadico nel volerle sentirglielo dire ad alta voce. Ci mise un paio di secondi a rispondere, ma quando lo fece fu per me la cosa più eccitante al mondo: - Perchè è umiliante e imbarazzante per una donna dire queste cose, soprattutto se è una madre che parla al proprio figlio. Mi eccita non vederti ora, non so cosa tu stia facendo e, ogni rumore della notte, persino lo scricchiolio della casa, mi pare un tuo movimento. Mi sento priva di ogni potere e alla tua mercé. -
- E cosa ti immagini io stia facendo? - Le chiesi, tastandomi il pene attraverso i pantaloni.
- Io... spero tu ti stia toccando... - Estrassi il membro dai pantaloni e iniziai a massaggiarmelo lentamente, attento a non produrre nessun suono. Volevo tagliarla corta, farla continuare a parlare di cose degenerate e liberare ancora un po' di quella rabbia rimasta verso la mia infelicità. Eppure non aveva risposto ad una domanda: - Rispondi. - Le ordinai. - Perchè, hai permesso che ieri ti sborrassi addosso? - Non badavo neanche più al linguaggio, oramai inebriato da quella sensazione di eccitazione.
- Perchè, - rispose lei tutto d'un fiato, - la sottomissione forzata può essere sciolta, ma quella volontaria rimane finchè c'è amore da entrambe le parti. Io ho deciso di sottomettermi a te nella speranza che tu accolga il mio infinito amore per te, fin troppo silenziato, fin troppo soppresso. Mi sottometto nella speranza che, un giorno, tu mi possa amare come io amo te. Ti supplico di accogliermi come tua completa sottomessa, una schiava al tuo servizio. Questo significa che farò tutto quello che vuoi: se vorrai potrai usarmi e umiliarmi, farmi fare qualsiasi commissione o lavoro per te. Non importa cosa, lo farò al meglio delle mie capacità. -
Non pensavo che il mio pene potesse dolermi tanto era duro. Dalla debole luce che entrava dalla finestra, riuscivo chiaramente a vedere le gocce di liquido pre eiaculatorio che inumidivano il glande, facendolo luccicare. Muovevo la mano masturbandomi ora più velocemente, desideroso di rispondere, di farla mia. Eppure la voce non usciva.

(**********)

Così mia madre concluse il suo discorso: - Se mi accetti come sottomessa, ti impegni però a provare a perdonarmi e, magari un giorno, ad amarmi. Non importa quanto ci vorrà, io darò sempre tutto per te, in ogni occasione... Accetti? -
La sua voce supplicante era per me nettare divino. Potevo rubare la sottomessa a mio padre. Vendicarmi su di lui. Avere una donna che mi ama incondizionatamente e che mi serve. Ma soprattutto potevo avere una donna che avrei potuto amare, un giorno, se tutto si sarebbe risolto. Inebriato dal potere ma soprattutto riscaldato da il fatto di poter avere indietro una persona che mi ama e da amare, presi la mia decisione.
Mi alzai e feci qualche passo verso il letto: - Chiedimelo come si conviene ad una sottomessa: inginocchiati. -
Mamma si alzò, senza nemmeno farmi finire la frase: - Devo voltarmi o rimanere di spalle? -
- Rimani di spalle finchè non te lo dico io. -
- Si signore. - Così dicendo si inginocchiò dandomi le spalle, portando le gambe a terra e mettendo le mani sulle ginocchia: - ti prego signore, diventa mio padrone accettandomi come tua sottomessa! -
"Padrone?" mi dissi. Mi piaceva questo titolo. Continuando nel mio farmi provare piacere con la mano, feci un passettino verso di lei: - puoi fare di meglio. - Le dissi, cercando di testare i limiti. - Fammi vedere quanto vuoi essere la mia sottomessa. -
Lei agì subito: fece scorrere le mani fino a toccare il suolo per poi allungare completamente le braccia. Scese con tutto il torso, fino a toccare il terreno con la testa in una posa di totale prostrazione.
- Ti supplico, fa di me ciò che vuoi, rendimi la tua schiava! Fammi tua, finchè mi vorrai al tuo fianco! TI SUPPLICO DIVENTA IL MIO PADRONE! - Dicendo questo aveva persino alzato leggermente il tono della voce, che ora non era più sussurrata, quasi a sfidare il pesante sonno di mio padre: ma dalla camera padronale arrivavano ancora i pesanti suoi del suo dormire.
Ne avevo abbastanza. Dovevo farla mia.
- Ti accetto come mia sottomessa. - Dissi con voce ferma di una sicurezza data da tutto quel potere e quelle sensazioni.
- Ora girati. - Le ordinai. Lei si rimise inginocchiata e, con un movimento veloce si volto, trovandosi a mezzo metro dal mio pene più eretto che mai.
- Desideri iniziare a soddisfarmi? - Le chiesi.
- Si. Più di qualsiasi cosa al mondo. -
- Allora prendilo tra le mani e segami. -
Senza alzarsi da terra si mosse verso di me, sistemandosi ai miei piedi. Alzò le mani e afferrò il mio membro, sostituendo le mie mani con le sue. Il suo tocco emanò un calore profondo in me, che si irradiò in tutto il corpo. Si muoveva mantenendo il mio stesso ritmo veloce. Per quanto non paresse un esperta in quell'arte, la ritenevo la migliore masturbazione che avessi mai ricevuto.
- Guardami negli occhi mentre mi seghi, così da vedere l'effetto che hai su di me. - Lei alzò lo sguardo e, nei suoi occhi, vidi la completa sottomissione di cui mi parlava. Era una luce armoniosa, felice, preoccupata solo di farmi godere a fondo. Gli occhi di una donna in uno stato di completa beatitudine.
- Voglio vederti godere mentre mi seghi. - Le dissi. - Voglio che pensi alla puttana che sei mentre ti masturbi ora, davanti a me: infila una mano dentro i pantaloni e toccati, mentre con l'altra sei indaffarata a darmi piacere. -
Lei non se lo fece ripetere una seconda volta, mosse la mano alla cieca ricerca del bordo dei suoi pantaloni mentre, con occhi tremanti, continuava a osservare con bocca leggermente aperta il mio volto estatico. Quando finalmente riuscì a penetrare nei suoi pantaloni e ad allungare le dita verso la sua intimità, reclinò leggermente la testa indietro, chiudendo solo per un secondo gli occhi e spalancando la bocca.
- Da quanto non ti era permesso di godere senza limiti? - Le domandai lussurioso.
- Da tanto, davvero tanto tempo. Sarà per colpa della situazione, della tua bellezza o del tuo ordine di godere ma sono già quasi al limite...-
- Così presto? Ti sei solo sfiorata! - Le dissi, sentendo arrivare anche io l'orgasmo.
- Allora vieni, vieni per me e pensando a me. Questo orgasmo te lo concedo io. Ma prima di abbandonarti ad esso voglio anche io venire. Apri le labbra e accogli il cazzo di tuo figlio in bocca! -
Istantaneamente aprì la bocca e tolse la mano dal io membro. Le afferri la testa con entrambe le mani e mi avvicinai con il bacino per favorire l'inserimento tra le sue labbra. Appena sentii il caldo del suo interno bocca venni in un orgasmo spaventoso, che quasi mi fece perdere i sensi: - Vieni con me! - Le ordinai. Questo fu anche per lei il via libera per abbandonarsi completamente al piacere. Esplosi in tre getti di seme che spedii direttamente in bocca a mia madre. Chiusi gli occhi e li strinsi così forte per via del piacere che iniziarono a formicolare. Involontariamente lasciai cadere la testa indietro, abbandonandomi a quel piacere così puro.

Passarono diversi minuti, o diverse ere, prima che potessi tornare alla normalità. Quando aprii gli occhi vidi mamma ancora in ginocchio, con le gambe semi aperte e la mano che si muoveva ora lentamente. Gli occhi erano ancora chiusi e la bocca serrata sul mio membro mentre ancora si contorceva in spasmi dati dall'orgasmo. Era così bella, con una spessa goccia di sperma che le era sfuggito e che ora colava sul suo mento. Avrei potuto davvero amare quella donna.
Ora non restava altro che aspettare la giusta occasione e liberarci da mio padre.
Ora potevo farcela. Ora avevo un alleata dalla mia parte.


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Fine anche del terzo capitolo!
Ho speso molto tempo ed energie nel scriverlo, quindi spero sinceramente che vi piaccia!
Vi chiedo, infine, vi piacciono i capitoli che scendono così in profondità sulle dinamiche del racconto o preferite una versione più asciutta del testo? Fatemelo sapere nella sezione "commenti" oppure via email (citata nella prefazione del racconto).

Grazie infinitamente per la lettura!!
di
scritto il
2025-11-05
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