Eveline, cagna puttana e schiava

di
genere
dominazione

Le amanti lo fanno per la passione, con la felicità nel cuore e l'eccitazione sui capezzoli.
Le cagne ninfomani lo fanno per l'orgasmo, il piacere non basta, non possono vivere senza cazzi.
Le puttane lo fanno per lavoro, per sfruttare sé stesse e spremere denaro agli uomini.
Le esibizioniste lo fanno per essere al centro del mondo, si sentono fighe solo sotto i riflettori.
Le feticiste della dominazione lo fanno eccitandosi al suono d'ogni sua parola.
Le feticiste del cuoio lo fanno perché si sentono nude e desiderabili solo con delle cinghie indosso.
Le sub-passive lo fanno per l'approvazione. Conta solo quella per loro.
Le masochiste lo fanno perché godono troppo male.
Le figlie lo fanno perché adorano papà.
Io lo faccio per tutto questo.
Sono Eveline.


Potrei dar la colpa a Lui, è merito suo se è nata Eveline.
Ma sarebbe ingiusto.
Lui non m'ha mai ordinato, imposto od insegnato nulla e mai assolutamente mi ha costretta o plagiata o ricattata.
Ho scelto io d'essere sua. Lui mi protegge.
Se volesse, potrei guadagnare più d'una puttana ed avere più cazzi di una cagna.
È ricco, premuroso e generoso. I piaceri che mi regala sono più intensi dei dolori, le esaltazioni più profonde delle umiliazioni. Gli orgasmi che mi procura possono uccidermi.

Sto dicendo solo un sacco di cazzate! Sto cercando una ragione in tutto questo. Mi sgrilletto il cervello immaginandomi che la nostra sia un'impossibile storia d'amore, irripetibile, romantica, viscerale e scabrosa. Ancora adesso, dopo due anni, mi rifiuto d'accettare quella che sono.
Sono Eveline, la sua schiava.
E Lui il mio proprietario.
Punto.
Sono la sua puttana, la sua cagna, la sua femmina, la sua figa.
Sono anche sua figlia.
Sì, è per questo che mi fa vestire da ragazzina. Anche Lui ha le sue debolezze, vorrebbe veramente che fossi sua figlia da accudire e punire. E io avrei voluto incontrarlo a vent'anni. No, a sedici, quando ero la succhiacazzi della scuola. Gli sarei piaciuta.
Lui non me l'ha mai chiesto, ma quando lo chiamo papà lo sconvolgo e mi fa l'amore con una passione incestuosa chiedendomi di ripeterglielo ad ogni picconata, ad ogni bacio, ad ogni leccata. E a me sembra davvero di far l'amore con papà.
Oppure mi punisce come una figlia irriverente e mi tormenta controllandosi a stento. Mi merito e gusto ogni sofferenza.

Mi ha chiamato Eveline e non m'ha mai detto come rivolgermi a Lui.
Ho scoperto solo al Convento come si fa chiamare.
Qui è il Dottore.
Doc per tutti.
A me non piace. Non gliel'ho mai detto. Per me il suo nome resta Lui.

Al Convento sono stata battezzata due anni fa dopo sei mesi terribili, i più tormentati della mia vita. Serate interminabili in cui non accadeva nulla e weekend senza tempo che non si concludevano mai, io nuda ad imparare davanti agli specchi o bendata con nelle orecchie Vivaldi o Bach e nel ventre la sofferenza del desiderio. Tutto per ricevere magari un bacio solo sulla figa esposta.
Mi faceva provare l'eccitazione d'essere legata alla panca ed alla croce e poi mi slegava senza avermi violentata. Imploravo nell'anima di ricevere almeno una cinghiata.
O mi saltava addosso appena entrata, m'ordinava d'abbassarmi i jeans e me lo ficcava in culo. Mi scopava bastardo contro la porta, da rompermi tutta, e una volta sborrato l'apriva e mi cacciava fuori con ancora i jeans calati. E per una settimana non sapevo più nulla di lui. Allora gli mandavo messaggi assurdi, lo imploravo come nemmeno una condannata a morte implora.
Mi guadagnavo una visita nel suo dungeon.
Ma era prima del collare, erano brividi innocenti, il frustino era ancora tenero.
Gioivo e mi straziavo per ogni mia piccola conquista. Avrei volevo accelerare i tempi, essere portata sempre sotto, nel suo scantinato, provare sulla mia pelle altre emozioni, quelle che allora chiamavo follie. La sua flemma mi faceva impazzire. Lo volevo più bastardo eppure, dopo, avevo sempre l'impressione d'essermi bruciata un'altra emozione e temevo che non sarebbe mai più stata come la prima volta.
Stupida. Ero una stupida. In quei mesi non ho bruciato alcuna emozione, con Lui si ripetono tutte più intense della prima volta. Sono impresse nella carne e nella mente e si riaprono come ferite, come ricordi rimossi.

- - -

La vera svolta è stata una sera di fine luglio.
Due anni fa e sembra ieri!
Eravamo in un'altra città, aveva voluto farmi provare un ristorante stellato. Una serata indimenticabile, io trentadue anni, Lui sedici di più, mi sentivo bellissima e felice, pendevo dalle sue labbra, ero peggio che innamorata, ero rapita dalla sua eleganza, dai suoi modi garbati, dalla sua cultura e dalle mille cose che mi raccontava. Ma mi eccitava il non detto, quell'atmosfera sospesa che vibrava fra noi due. Io friggevo e palpitavo per la sorpresa che sarebbe certamente arrivata, Lui assaporava la mia ansia.
In albergo m'ha chiesto di mettermi una parrucca nera a caschetto. L'ho provata in mutandine davanti allo specchio. Ho giocato a fare la ninfetta.
“Vado alle Maldive, in un resort.” M'ha detto. Sapeva che io sarei partita per il mare con due mie amiche. “Voglio portarmi una da sbattere.”
“Vengo io, papà.” Ho risposto senza distogliere gli occhi dallo specchio.
Un attimo d'esitazione, anche Lui è di carne. “Bene, partiamo il quattro... Levati le mutandine e mettiti questi. Usciamo.”
Sul letto c'erano dei calzoncini e un top, roba che non si mette nemmeno una puttanella di quindici anni per andare in discoteca. Ho sudato da maledetta per chiudere la zip degli shorts di una misura in meno. Conosce le mie taglie, le aveva scelti stretti apposta.
Giù nella reception e poi fuori in strada ad attendere che gli portassero l'auto, volevo scomparire. I più gentili pensavano che ero una puttana che aveva raccattato in strada. Era quello che Lui voleva.
Non gli ho chiesto dove mi stesse portando anche se il cuore le batteva nelle orecchie.
Ha fatto avanti ed indietro tre volte su uno stradone pieno di puttane. La consapevolezza di cosa avrebbe voluto da me mi annientava. Si è fermato davvero infilando la macchina dietro una cabina elettrica. Ha spento il motore e fatto cenno verso la portiera. “Puoi chiedere venti euro per il culo.”
Sono scesa. Non ci potevo credere ma non avevo la forza di pensarci. Appena sul ciglio della strada un'auto ha rallentato bruscamente ma non ha fatto tempo a fermarsi. Il tizio dentro ha sollevato il braccio come per dirmi d'aspettarlo.
È stato come un sogno, vedo ancora i fanali delle auto che passano piano. Alcune rallentano a passo d'uomo, mi stanno valutando, ma poi la luce passa via e torno nel buio. La quinta auto si ferma. Il finestrino s'abbassa. Guardo verso Lui, è nell'auto nascosta, mi sta osservando.
Mi avvicino al finestrino e ci entro con la testa, col culo fuori come una vera puttana.
“Ciao bella!”
Sono fortunata, è un ragazzo di trent'anni. Mi sarei meritata un settantenne.
“Ciao, amore.” Dico e mi sento puttana totale.
“Fai il culo?”
“Certo amore.”
“Quanto vuoi?”
“Venti.”
“Venti?!!”
“Sì, mi piaci.”
La serratura fa uno scatto. Apro la portiera.
Una voce mi ferma. “Eveline, cosa fai? Andiamocene.”

Non una parola fino all'albergo. Ero galvanizzata, avevo superato la prova, vibravo peggio che col dildo ano-vaginale. Forse lo amavo, di certo lo desideravo alla follia, pentita di tornare nella camera d'albergo e non nella sua cantina segreta. E ora per il portiere ed i ragazzi dell'albergo non ero abbastanza puttana, avrei voluto essere sporca di sborra. M'ero però slacciato il primo bottone e la zip tesissima era mezza'aperta.
“Dai papino!, saliamo, ho voglia.”
Accompagnandomi all'ascensore mi ha spinto due dita sotto, contro l'ano. Ero la sua puttana, dovevano saperlo tutti. Un brivido da troia.

- - -

Alle Maldive ha avuto la sua cagna da sbattere due settimane e la sua figa da esibire in bikini.
Quindici giorni con un uomo sono lunghi, è inevitabile finire col conoscersi nell'intimo più profondo. Il sentimento che ci univa, seppur contraddittorio, era innegabile. Ma più forte era la passione che ci legava.
Sulla sabbia bianca esibivo un evidente succhiotto sotto i pube, o sul seno o il segno fresco ancora fresco dei suoi denti sulla chiappa. Al ristorante cenavo col plug, o senza mutandine, o con la schiena indolenzita e le natiche a fuoco.
Io, per scacciare l'amore che sentivo sempre più forte, in spiaggia flirtavo da troia con i maschi vicini e poi gli sussurravo “Puniscimi, papà, lo merito in culo”.
Lo sconvolgevo. Mi portava di corsa al nostro bungalow isolato e mi puniva sodomizzandomi bastardo, fuori, sulla veranda, sul pavimento di listelli di legno con l'acqua trasparente sotto. Ma io godevo ancor di più se mi umiliava rifiutandosi.
Si sedeva sulla poltrona di vimini col suo libro e mi lasciava per un'ora ginocchioni ai suoi piedi con una banana o il boccaglio che mi spuntava dal culo. Dalle barche ci potevano vedere solo se avevano un binocolo. Io le salutavo agitando il braccio.
Diceva che ero la sua magnifica cagna e a me bastava ricevere una carezza sul muso dal mio padrone.
Mi aveva fatto lui la valigia. Tre soli vestiti da sera, un paio di teli mare e il resto bikini sgambati, pigiamini sexy, guinzagli, ginocchiere e completi sadomaso. Allora non sapevo ancora cos'era il vero sadomaso, per me era solo un gioco piccante, non avevo provato niente più di sculacciate brucianti e posizioni innaturali e faticose ma estremamente gratificati per il mio ego.
Nuda, legata da cinghie nere mi sentivo strepitosa.

Qui alle Maldive, gli ultimi due giorni mi ha parlato per la prima volta del collare, del battesimo e del Convento. Era più inquieto di me, mi ripeteva all'ossessione che dovevo pensarci su, di non prendere decisioni affrettate, e m'ha spiegato e ripetuto tutto fino alle più insignificanti regole. Ero stordita, mi pareva d'essere in trance e di rivivere Histoire d'O. Non facevo domande, avevo paura di sapere, il suo Convento mi terrorizzava ed affascinava allo stesso tempo e, quando non ce la facevo più lo volevo tra le cosce. “Prendimi, papà!” Capiva e non mi raccontava più nulla. Almeno fino a sera.
All'aeroporto gli ho chiesto: “Secondo te ce la posso fare? Sono giusta?”
Mi ha sfiorato la guancia e baciato le labbra con un soffio. “Ci sarò sempre io.”
In aereo mi risvegliavo coi brividi. Lui leggeva tranquillo.

- - -

A settembre m'ha battezzata e sono entrata nel Convento.
Adesso non voglio parlare del Convento. Mi perdo a pensarci.
E nemmeno voglio raccontare di come è stato dopo con Lui. Nella sua cantina col collare da schiava.

- - -

Per Natale m'ha chiesto cosa volevo per regalo.
Non ci ho dovuto pensare, l'avevo in testa da mesi.
“Eveline, mi chiedi una cosa impossibile!”
Mi son sentita stupida, nemmeno Lui poteva.
E non ci ho pensato più.

- - -

A fine maggio, però, m'ha chiesto se potevo prendermi un pomeriggio libero per il venerdì. Ho subito pensato al Convento, era un mese che non mi ci portava.
Queste sue richieste mi mandano in ansia per giorni.
Il giovedì sera, tornata a casa dopo la palestra, ho trovato sul letto un pacco regalo con fiocchi rossi e carta con slitte e babbi natale. Un giramento di testa. Nel biglietto mi chiedeva scusa per il ritardo. E mi diceva come avrei potuto ritirare il mio regalo se lo volevo ancora.
Nella scatola c'erano due completi da puttana, vestitini stretch fucsia e turchese, la parrucca nera a caschetto ed una sacca con acqua, barrette energetiche, ricambi, tubetti di crema, un chilo di kleenex e mezzo chilo di preservativi. Il necessaire della puttana da strada.
L'ho chiamato subito. M'ha detto ch'ero liberissima di rifiutare il regalo, ma in ogni caso non dovevo temere nulla, aveva pensato a tutto lui.
Quella notte non ho dormito.
La mattina sono andata al lavoro. Non mi hanno chiesto cosa avessi, s'erano ormai abituati ai miei sbalzi d'umore e m'hanno lasciata in pace.

Alle sedici ero d'altra parte della città, all'angolo che mi aveva detto Lui. Morivo, vestita da puttana con parrucca. Avevo il terrore d'incrociare qualcun che mi conoscesse. Dopo dieci minuti s'è fermata una mercedes nera con su due tizi incazzati. “Cosa aspetti a salire, troia!”
Sono salita ed è iniziata la mia giornata da incubo.

Erano due papponi, mi odiavano, io ero la cagna che voleva provare il brivido di battere in strada, la stronza che gli aveva portato solo casini. Mi minacciavano, non volevano rogne da una cagna schifosa, guai a me se non stavo ai patti e se mi vedevano parlare con le altre troie non avevo idea di quel che mi avrebbero fatto. Parlavano tra loro, sempre incazzati, non capivo, sembravano serbi o albanesi. Mi hanno portata verso nord, in provincia. Arrivati m'hanno mostrato qual'era il mio posto, ed hanno svoltato in una stradina subito dopo. Venti metri e si sono fermati tra i cespugli.
“Per trombare li porti qui.” Sono scesi. Mi guardavano toccandosi il pacco. “Scendi, facci vedere se ci sai fare!”

Ero ancora a a terra. “Ripulisciti.”
“E non fare la cagna, se fai sconti le altre troie ti cavano gli occhi.”
M'hanno dato un sacco nero. “Butta tutto qui, non lasciare merda in giro, il tuo amico ci fa casini anche per questo.”

Passata la paura sono caduta in trance.
Ogni auto che si fermava era una soddisfazione morbosa. Nessun piacere, ero puttana, mi scopavano e basta.
Dicevo quanto prendevo, salivo, stringevo il cazzo e gli indicavo dove infilare l'auto.
Soldi, preservativo, pompino e poi figa. E culo se avevano pagato.
Però a quelli più giovani e puliti lo succhiavo senza. Li sorprendono per la foga, succhiavo con la voglia di cazzo, mi pareva d'essere tornata ai tempi della scuola, la succhiacazzi di tutti. Un misto d'esaltazione e di depressione, mi prendeva il rimpianto, pensavo a come m'ero ridotta e ciucciavo per sfogarmi. Con loro gridavano da troia mentre mi sbattevano.
Chi erano? A quattordici ho smesso di contare. A volte tornavo in strada che c'era già uno ad aspettare. Erano normali, vecchi e giovani che volevano la figa facile, non erano sfigati o repressi. All'inizio erano operai e impiegati che tornando a casa facevano il giro largo per vedere se c'era qualche puttana nuova.
I due papponi passavano regolarmente per controllare e alle nove hanno ritirato la loro parte: l'ottanta per cento. Non ho fiatato. Erano arrivati i loro rincalzi, due neri con un'audi scassata. Era ormai buio, m'hanno scopata bocca figa e culo e rimessa subito in strada.
S'è fermato un ciccione, voleva il culo. Sgomento, ancora il culo no!
“Okay, ma fuori, a pecorina, non in auto.”
Era uno stronzo. “Ti do trenta.”
“No, sono cinquanta.”
Ha insistito. Ho litigato come una puttana.
“Okay, ma me lo ciucci senza e mi fai godere in fica e culo.”
Ho preso i cinquanta e l'ho fatto godere recitando. Dieci erano miei e mi sembravano abbastanza per una puttana schifosa come me.
Alle due passavano ancora auto. Faceva un freddo del cazzo, non riuscivo a fermare il tremore, m'ero messa un vestitino sopra l'altro e tremavo lo stesso. Era un sollievo quando si fermava qualcuno, almeno stavo al caldo.
Scendevo e mi crollava addosso la disperazione e la paura della notte.
Prendevo il cellulare, ero tentata, doveva venire a salvarmi, ma non l'ho mai chiamato.
Ormai ero anestetizzata, non sobbalzavo nemmeno quando comparivano le luci blu delle pattuglie. Coi clienti mi bastava non essere troppo scomoda.

Alle quattro ho capito che era finita, passavano solo i guardoni.
I miei due negri m'hanno inculata stufi e caricata in auto. Stipata dietro con altre tre ragazze mi sono resa conto di quanto puzzavo. Un odore che m'è rimasto addosso una settimana.

Alle sei ho ritrovato la mia auto parcheggiata. Come un'automa sono arrivata a casa. Ero così dolorante da non sentire lo schifo.
Ma c'era Lui a casa mia!
È stato dolcissimo, m'ha fatto un lungo bagno caldo e messa a dormire. Nessuna domanda, solo baci e coccole. E gli ho dormito addosso fino al pomeriggio. Non mi ha abbandonata un minuto.
La sera voleva portarmi al ristorante. Io non volevo uscire, allora ha ordinato da asporto. Una fame da lupi! Lui rideva. Abbiamo guardato insieme netflix fino alle due. Ancora un bagno coccoloso e poi a nanna. Sempre incollati. E così mi sono svegliata domenica mezzogiorno.
Quella notte era ormai lontana secoli.
Il pomeriggio è diventato serio.
“Eveline, ti devo fare una confessione... Per farti il regalo ho dovuto chiedere un favore ad un amico del Convento. È un importante funzionario di polizia, sapeva a chi rivolgersi e ha combinato tutto lui... Tra due settimane ti porto al Convento, devo ricambiare il favore, ti presto a lui.”
L'ho baciato in bocca succhiandolo sconvolta. “Grazie, papà!” e abbiamo fatto l'amore bellissimo, ci ho messo l'anima intera, mi sono data a Lui come mai prima.

- - -

Il Natale scorso ha voluto passarlo da mia mamma. C'era anche mia sorella con famiglia. Mia madre l'adora: è bello, elegante, intelligente... e ricco.
Mi stressa solo perché non viviamo ancora insieme, questo non lo capisce proprio. Non posso dirle che certe cose non le fai con chi ci vivi.
Dopo cena ha voluto che andassimo anche noi due alla messa di mezzanotte. Mia mamma quasi piangeva dalla gioia. Io avevo il plug in culo.
Appena fuori ho letto il biglietto che mi aveva infilato nella borsetta: 'Questo Natale sono io a chiederti il regalo che sai.”

Ho dovuto aspettare fino a settembre per essere nuovamente la puttana per una notte. Ogni tanto mi ricordava che gli dovevo ancora un regalo, come se avessi potuto scordarmelo.

- - -

Il cinque del mese scorso mi sono ritrovata in strada.
Come la prima volta.
Stessa strada, stessa ansia. Stesse paure e trepidazioni. Stesso freddo e schifo, stesso odore. Stessi prezzi da africana, trenta fica, cinquanta culo.
E sempre con la stessa assurda soddisfazione d'essere puttana vera.
L'unica cosa diversa era che sapevo che sarei poi stata punita al Convento.
Ho portato a casa cinquantadue euro in più. Mi prenderò un altro braccialetto come quello che metto in ufficio.

E il venti, due settimane dopo, sono salita al Convento.
Il suo amico è stato più bastardo e sadico. S'è messo in mimetica e m'ha interrogata davanti a Doc, il mio Lui.
Dovevo confessargli tutto, ma io non ricordavo proprio, erano solo fanali che si fermavano, uomini senza volto e cazzi che sapevano di gomma, allora, per farlo smettere, inventavo. Ma m'ha chiesto se mi hanno scopata giovani o giovanissimi. Loro li ricorda benissimo! Sei figli di papà, sono entrati nella stradina con due suv. Dei ricchi stronzetti, sicuramente uno non aveva nemmeno la patente. E io a trentaquattro anni sono stata la loro troia.
“Gli hai dato il culo? A tutti? Come? Racconta! Mentre gli altri guardavano? Hai goduto? Ti piacevano? Racconta quello più giovane. T'ha fatto godere in culo? Per quanto tempo t'ha sbattuta?”
E così per mezz'ora buona.
Ho chiesto una pausa, ero a pezzi, sudata fradicia.
Ha allentato le cinghie e m'è montato sopra spingendomelo in culo e mentre mi scopava, senza farsi sentire da Doc, mi ha sussurrato. “Te li ho mandati io, erano i miei figli con quattro amici.”
Non ho più detto nulla, ho aspettato che mi sborrasse in culo.
Doc mi ha liberata e dato una carezza sul muso.

- - -

Devo farlo.
Fra due mesi è Natale e tocca a me. Gli dirò che regalo voglio.
scritto il
2025-10-20
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