La raccolta delle olive (Racconto di incesto e feticismo)

di
genere
incesti

Faceva frescolino, e tra gli olivi aleggiava una sottile nebbiolina che sembrava sospendere il tempo. Mentre scendevo lungo la tortuosa carrareccia, il ronzio ritmico dello scuotitore mi raggiunse dal piccolo podere più in basso, quello dei genitori di mia moglie. Era il segnale che mio cognato era già all’opera: lo avevo sentito alzarsi di buon’ora quella mattina. Come ogni autunno, lasciavo per qualche giorno la mia attività di idraulico per trasferirmi con mia moglie nel casolare dei suoceri, e dare una mano nella raccolta delle olive. Un rito familiare, fatto di fatica, chiacchiere e profumo di terra umida.
Quest’anno mio suocero non avrebbe partecipato alla bacchiatura: qualche giorno prima si era infortunato gravemente, capovolgendosi con il trattore su un pendio di un altro suo coltivo poco distante. Ci avrebbe aiutato sua moglie, che gli altri anni non prendeva parte alla raccolta.
Salutai Giorgio, intento a far cadere le olive sui teli stesi sotto le piante. Mi rispose con un largo sorriso, mentre spegneva l’attrezzo a batteria che aveva in mano: “Ciao Guido, sei arrivato giusto giusto! Stavo per tirare su i teli, così mi dai una mano!”
Faticando su e giù per il ripido pendio, radunammo i teli e svuotammo le olive rimaste imprigionate all’interno, versandole nelle apposite cassette.
Riposizionammo i tessuti antistrappo sotto un’altra decina di alberi e, con l’aiuto di un secondo scuotitore, ricominciammo a scrollare i rami carichi di drupe.
Il suono degli attrezzi aveva qualcosa di magnetico, quasi ipnotico, accompagnato dal ticchettio delle olive che, come pioggia leggera, cadevano sui teli stesi a terra.
Il momento dell’oleosa raccolta mi affascinava ogni volta: il contesto sembrava uscito da una fiaba, immerso in una leggera foschia e avvolto da rumori smorzati, nel fresco silenzioso del mattino autunnale.
Dopo poco la nebbiolina venne dissolta dal sole che iniziava a salire.
Guardai mio cognato, che senza fatica usava lo scuotitore, lo ammirai con un pizzico d’invidia: aveva un fisico muscoloso, abbronzato, e sprizzava vitalità da tutti i pori. D’altronde era stato forgiato dal lavoro in campagna, temprato dai muscoli costruiti camminando su e giù per quegli erti pendii.
Dopo circa un’ora di lavoro, avevamo spogliato una buona parte degli alberi dai loro frutti.
Fummo interrotti dall’arrivo di mia suocera e mia moglie, venute per darci una mano. Una scia di profumo di caffè aveva anticipato la loro comparsa, inducendoci a sospendere il lavoro per una meritata sosta.
Ci sedemmo attorno a un tavolo da campeggio, gustando la bevanda calda e fumante che ci riscaldava dentro e fuori. Ci prendemmo il tempo per scambiare due chiacchiere tra di noi, lasciando che la pausa si trasformasse in un momento di condivisione semplice e genuina.
Guardai mia suocera: indossava quello che lei chiamava “telara”, un abito da lavoro largo, leggero e un po’ consumato, abbottonato sul davanti. abbastanza corto da non essere di intralcio nei lavori da effettuare nella tenuta.
Era una donna solida, con un fisico temprato dalla dura vita in campagna.
A sessantotto anni non si curava più delle apparenze, ma aveva ancora una femminilità viva e inconsapevole. Il seno, abbondante e pesante, non le permetteva una completa abbottonatura, lasciando una parte dell’abito aperta, che metteva ben in evidenza il solco tra le straripanti bocce. Gli occhi, verde chiaro, erano vivaci e pungenti, con un lampo di ironia che a volte scivolava nella malizia. I capelli biondo cenere le cadevano sulle spalle, mostrando qua e là la ricrescita, senza vergogna né preoccupazione. Le gambe erano robuste, poco segnate dal tempo. Le sue belle coscione, che lei, con distratta noncuranza, non si curava affatto di nascondere, erano foriere di stimolanti promesse, candide e morbide, Nell’insieme aveva qualcosa di sensuale, che nonostante l’età destava dei pensieri impuri.
Del resto, non era altro che una versione più matura di sua figlia: splendida e affascinante trentacinquenne.
Seppure fossero già passati quasi dieci anni di matrimonio, mia moglie riusciva a risvegliare in me la stessa passione e il medesimo desiderio di allora.
L’abbigliamento che indossava in quel momento, rivelava la sua spiccata indole esibizionistica, che a me non dispiaceva affatto: Infatti vestiva con dei minuscoli shorts a gamba larga e una maglietta aderente, che le lasciava scoperta la pancia e metteva in evidenza l’assenza del reggiseno.
Riprendemmo il lavoro, io con mio cognato continuavo a scrollare i rami degli alberi con il scuotitore, mentre mia suocera, camminando sui terrazzamenti appena sopra, raccoglieva le olive che rimanevano ancora ostinatamente attaccate ai rami nonostante la battitura. Alessandra, mia moglie, saliva sulle scalette a fare lo stesso lavoro che sua madre faceva da terra.
Dei sassi che caddero dall’alto mi fecero alzare la testa. Vera, mia suocera, era in piedi, in bilico sul bordo di un muretto a secco che delimitava un terrazzamento sopra di me, intenta a staccare alcune olive da una pianta. Per restare in equilibrio in quella posa incerta, si era aperta l’abito fin quasi all’inguine. Lei, immersa nella raccolta, pareva ignara di ciò che stava involontariamente esibendo: Le mutande bianche, orlate di pizzo, facevano intravedere la peluria scura in trasparenza, qualche pelo ribelle sfuggiva di lato ed altri più corti e radi si allungavano arricciolati lungo l’interno coscia. La pienezza del suo intimo indicava la forma generosa del sesso maturo, con delle labbra sicuramente grosse e sporgenti. Nel punto più intimo, il tessuto, mostrava evidenti tracce di una certa trascuratezza, che si concretizzava con aloni e macchie che confermavano l’uso prolungato della mutandina.
Del resto sapevo per esperienza diretta, che era una cosa che accomunava le persone che vivevano nelle zone rurali.
Non indifferente a quell’osceno spettacolo, al pensiero di quanto intenso doveva essere l’odore tra quelle grasse coscione bianche, avvertii la mia erezione spingere prepotente contro la cerniera dei pantaloni.
Rimasi ad osservare imbambolato un attimo di troppo, con lo sbattitore in mano che girava a vuoto.
Lei, che continuava a raccogliere le olive con movimenti lenti e decisi, senza degnarmi di uno sguardo. Con tono ironico, tagliente e quasi divertito, disse: "Quando hai finito di contemplare la passera di tua suocera, magari potresti ricordarti che c’è ancora del lavoro da finire, eh."
Cazzo. Mi aveva beccato in pieno. Paonazzo, cercai una scusa maldestra. "No! Cioè… ecco… Stavo controllando quanta batteria mi resta."
Finalmente abbassò lo sguardo su di me, un sorriso malizioso sulle labbra. "Ah, certo… La batteria che c’è tra le mie gambe, vero?"
Con voce ferma aggiunse: "Guarda che non sono nata ieri, eh!" Poi, con tono tagliente e di rimprovero, concluse: "Se vuoi proprio rifarti gli occhi con la fregna di una vecchia, accomodati pure se ti aggrada… ma muoviti! Qui le olive non si raccolgono da sole.”
Imbarazzato, rosso come un peperone, mi voltai in silenzio e ripresi il lavoro, col batticuore e con la dignità a zero. Mentre scuotevo i rami con lo sbattitore e i frutti piovevano sul telo, urtai mia moglie che, piegata in due dalle risate, mi aveva raggiunto senza che me ne accorgessi.
Tra una risata e l’altra, disse: "Hai trovato pane per i tuoi denti, brutto maiale!" Poi, continuando a ridere: "Sei un porco… non pensavo ti piacessero le vecchie! Però occhio, che la mia mammina non è certo farina per fare ostie!” Sì!… me ne ero ben accorto!!
Si voltò ancora divertita e risalì la scaletta da cui era scesa, attirata dallo spassoso teatrino che si era appena consumato tra me e sua madre, ebbi così modo di ammirare le sue belle chiappette, esposte ad arte dai minuscoli pantaloncini che indossava. Indovinando il mio sguardo sul suo suo lato B, replicò: “Sei un maiale!!… Cosa guardi!? Non ti è bastato il culo di mia madre?!” Cazzo! A quanto pare quella era la mattina dei cazziatoni!
Prima dell’ora di pranzo, mentre Giorgio finiva di battere gli ultimi due alberi, stendemmo un altro giro di teli per preparare una nuova sezione dell’oliveto alla raccolta.
Nell’operazione mi aiutavano mia moglie e mia suocera. Quest’ultima, con la sua consueta disinvoltura, sembrava del tutto indifferente al modo in cui mostrava ciò che avrebbe dovuto rimanere nascosto.
Dopo un po di quel sali e scendi lungo i pendii, la stoffa delle sue mutande, zuppa di sudore, si era arrotolata tra le grandi labbra della sua passera pelosa.
La sua figura e generosa e provocante, mostrava buona parte della bella figona grassa e scura, mi sembrava quasi di poterne sentire l’odore!
Cercavo di concentrarmi sul lavoro, ma i miei occhi, traditori, tornavano sempre lì, tra le sue candide cosce. Un paio di volte incrociai il suo sguardo, e in esso lessi un divertimento sottile e malizioso, quasi complice. La mia mente era in subbuglio, e persino il semplice gesto di stendere i teli mi sembrava complicato. La mia mente sembrava pensare al rallentatore, quasi incapace di coerenza. Mi muovevo come in sogno, prigioniero della vista di quelle lubriche esibizioni.

Mi era capitato spesso di vederla semisvestita: mia suocera non si era mai fatta troppi scrupoli. Ma quel giorno la sua disinvoltura aveva qualcosa di calcolato, come se con il modo il in cui si mostrava cercasse deliberatamente di provocarmi.
Come da copione, la voce di mia moglie mi riportò bruscamente alla realtà: “Guarda che ti viene un infarto, se continui a sbirciare tra le cosce di mia madre! Sei pallido come un lenzuolo.” Rideva divertita, mentre io la fissavo ancora stordito. La mia eccitazione, deviò il mio sguardo tra le sue gambe, la mia libido fu premiata dalla posizione tenuta da mia moglie, mentre sovrapponeva i lembi dei teli: Infatti era accovacciata davanti a me, in una mise che niente aveva da invidiare a sua madre. Il suo sguardo complice e il sorriso provocatorio, mi indussero a ribattere: “Che cazzo ridi troia!… Piuttosto, guardati tra le gambe, che ti si vede tutto!” Infatti io dalla mia posizione, potevo pregiarmi di un’ottima visuale sulle sue intimità, che Il misero pantaloncino a gamba larga che indossava e l’inesistente minuscolo perizoma, non riuscivano a nascondere.
Lei scostò il lembo di stoffa degli shorts che le impediva di avere visuale tra le cosce, guardò curiosa per capire quello che si vedeva. Alzò la testa divertita, guardandomi, fingendosi scandalizzata, con una certa dose di ironia, puntualizzò: “Ma, porca miseria…mi si vede proprio tutto!!” Mi stava prendendo per il culo, la porca! Infatti, di nuovo in modo ironico e divertito, aggiunse: “Va beh che tu sei mio marito, la conosci bene la mia passerina, vero?!” Ribattei sarcastico: “Anche tuo fratello?”
Prima di rispondere, mi guardò dubbiosa, si fece seria, poi sulla difensiva, chiese: “Perché sta domanda?!… Cazzo vuol dire anche tuo fratello?!” Restai spiazzato dalla sua reazione, borbottai: “ No, niente… intendevo dire che io potrei essere anche abituato a vederti, ma non certo tuo fratello!” Mi sorrise sollevata per la mia risposta e mi disse “ah!… Ecco!” Poi con tono sbrigativo, aggiunse: “Cosa vuoi che ci sia anche se mi vede!… Tanto è mio fratello… è un mio familiare!” Con l’impressione che qualcosa non tornasse, cercando di non farmi distrarre da quelle due troie, cercai di concentrarmi sul lavoro.
Ci fermammo per il pranzo. con un innato comportamento maschilista, lasciammo alle due donne il compito di servire il cibo, mentre noi andammo a pisciare poco lontano, girati di schiena, uno a fianco dell’altro con spirito goliardico, ci svuotammo assieme. Vidi sgorgare dal cazzo di Giorgio un prepotente getto paglierino che schizzava sul terreno, aveva una bella verga che ammirai con piacere, i miei occhi incontrarono i suoi, mi sorrise, mentre abbassava lo sguardo in direzione del mio uccello, che sentii prendere vigore stimolato dai suoi occhi che me lo osservavano con evidente interessamento, il mio lato bisessuale suscitò in me un tumulto inatteso, un rimescolio profondo nel guardare il suo invitante cazzo mentre si liberava con quel scrosciante getto paglierino. Ci guardammo di nuovo, mentre tutti e due, in semi erezione, ce lo scrollavamo. Lui ammicò nella mia direzione, mentre io gli sorridevo. Non mi sarebbe dispiaciuto leccare la punta di quel bell’uccello e suggerne l’umido e speziato sapore.
Ci avvicinammo al tavolo allestito per il pranzo. Madre e figlia poco lontane, avevano approfittato della sosta per svuotare a loro volta la vescica, stavano pisciando, una accucciata di fianco all’altra, parzialmente nascoste dall’erba alta. Giorgio, a quella vista, riprese la madre: “Ma mamma, ti sembra il caso?!… Cazzo!… Ma siete proprio due troie!!” Non potevo che essere d’accordo con lui, anche se mi guardai bene dal lamentarmi, visto quanto lo spettacolo e il contesto mi attizzavano.
La risposta di Vera non si fece attendere: “Intanto modera i termini, che stai parlando con tua madre!!… E poi siamo tutti della stessa famiglia!” Poi continuando a difendere la sua posizione aggiunse: “Mica dovremmo andare in fondo al campo per una pisciata!… Ci fossero degli estranei capisco!… Ma tra di noi…!” Giorgio sconsolato, comunque guardando con evidente interesse le due porche esibizioniste, replicò: “Si va be, mamma, però così mi sembra eccessivo!” Mia moglie si alzò, e prima di sollevarsi i pantaloncini, si asciugò la figa gocciolante, pelosa ma curata, con una salviettina che si passò tra le labbra del sesso a raccogliere i residui di urina: un gesto semplice, ma tremendamente impudico. Sua madre si alzò a sua volta, tenendosi la gonna sollevata e le mutande ai piedi, sporse la mano verso sua figlia in una palese richiesta: “Dammi, passami il fazzoletto, che io non ne ho” Prese dalle mani di sua figlia la salvietta bagnata di piscio e si asciugò la patonza grassa e pelosa a sua volta.
Giorgio accarezzandosi il cazzo in erezione, da sopra i pantaloni, sussurrò: che vacche!!
Mangiammo con gusto affamati, mentre ci profondevamo in abbondanti chiacchiere.
Notai lo sguardo di mio cognato indugiare spesso sul corpo decisamente poco coperto di sua sorella, soffermandosi con insistenza su quelle parti che lei sembrava esibire con disinvoltura. Era evidente che se ne fosse accorta, ma non lasciò trasparire alcuna reazione.
Dopo aver bevuto il caffè, riprendemmo il lavoro.
Il pomeriggio passò in fretta, tra il lavoro e varie esibizioni delle due maialine.
La sera, caricammo le casse su di un piccolo rimorchio, per trainare a casa il raccolto con un piccolo ma potente trattore.
Mentre io e Giorgio pulivamo le olive da foglie e rami, con un apposito attrezzo.
Vera aiutata da sua figlia, preparava la cena.
Quando entrammo in casa per mangiare, chiedemmo se c’erano notizie sulle condizioni di Nello, il marito di Vera. Ci dissero che lo avevano spostato in ortopedia dal pronto soccorso e che doveva stare immobilizzato a letto sotto osservazione e che se tutto andava bene lo avrebbero mandato a casa non prima di una decina di giorni.
Prima ancora di farci la doccia, mangiammo tutti a tavola assieme, stanchi ma allegri, tra battute spinte e risate. Bevemmo il caffè e sorseggiammo alcune grappe aromatizzate, fatte in casa, di cui Giorgio ne era il fautore.
Brilli e stanchi ci avviammo verso i nostri rispettivi alloggi, che erano adiacenti l’uno all’altro. L’indomani sarebbe stata un’altra giornata massacrante.
Mia moglie si spogliò nuda in camera, prima di andare a farsi la doccia, un fisico leggermente rotondetto, ma tremendamente arrapante. Gli chiesi: “Ma esci nuda così, in corridoio?” Lei mi guardò sconsolata: “Ma, ancora!!… Cosa vuoi che sia! Siamo tutti in famiglia!” Sorridendo maliziosa aggiunse: “E poi ci avete viste pisciare con la passera all’aria oggi! Quindi….!” Si girò per uscire, la presi e la lanciai sul letto, la presi per le ginocchia e le divaricai le gambe, mi fiondai con la faccia sulla figa, la annusai, infilando il naso tra le pieghe di quel sesso accaldato e sudato. L’odore dolciastro dei suoi umori, quello intenso e muschiato del suo sudore, quello penetrante della sua urina, si fondevano in un aroma afrodisiaco e primordiale che mi faceva impazzire, più volte passai l’interno della fessura con la punta del naso, inalando a pieni polmoni quel lussurioso afrore.
Lei inarcò il bacino verso l’alto e tenendomi per i capelli mi teneva premuto contro la sua sorca. Bonfochiò: “Maiale!!… Sono tutta sporca!… Devi lasciarmi andare a fare la doccia!.” Ma non mi mollava un attimo, anzi, gemeva e sussultava del piacere che le dava la mia lingua che la frugava. Allungai le braccia verso l’alto, alla ricerca delle sue tette, trovai i capezzoli e li strinsi tra le dita. Si mise ad urlare impazzita! Si contorceva dal piacere, mi urlò: “Ti piacerebbe che fosse la figa di mamma, vero porco!” Cazzo! sua madre e suo fratello avrebbero dovuto essere sordi per non sentire quelle urla!
Le mormorai: “Stai zitta che ti sentono!” Ormai era partita per la tangente: “Non me ne frega un cazzo se quella troia mi sente!” Poi a voce ancora più alta gridò: “Mamma sei una troia!”
Quelle lubrificazioni la portarono vicina all’orgasmo. Aggiunse, con voce rotta: ”Ti piaceva guardarla, vero maiale?…Era bella, vero?… Pensa che sia la sua!” Non potevo restare indifferente a quelle parole:
Le strinsi la clitoride, mordicchiandola piano tra i denti e gliela succhiai aspirando, urlò forte quando le torsi i capezzoli strizzandoli con le dita. Si dimenava dal piacere, in maniera convulsa sconvolta da quel rude trattamento, dove il dolore si confondeva con il piacere, che nel momento in cui raggiunse l’apice sfociò in un sconquassante orgasmo, mentre veniva urlò di nuovo: “Mamma sei una troia” Io venni sborrando sul copriletto, senza neanche toccarmi, sopraffatto dal turpiloquio osceno di Alessandra, sconvolto da quell’amplesso con mia moglie, pensando alla figa della suocera!
Ci rilassammo l’uno a fianco all’altro, mentre lei mi accarezzava il cazzo sborrato e io la baciavo gentile, sui suoi stupendi occhi.
Sentii dei gemiti provenire dalla stanza a fianco, la camera di Vera. Attraverso la sottile parete udii una voce maschile che urlava: “Ciuccia troia!… Te lo ha detto anche mia sorella che sei una troia!” Poi altri gemiti, e poi: “Che pompinara che sei mamma!!,,, Si, dai… Così, dai che ti riempio la bocca!”
Guardai esterrefatto alessandra, Le chiesi: ”Ma tua mamma!… ehm… Giorgio… Ma stanno scopando!!” Lei mi guardò beffarda: “Perché a te cosa sembra!!” La guardai sconcertato: “Scusa… ma questo è assurdo, una madre che si scopa il figlio!!” Alessandra mi guardò contrariata dalla mia affermazione, poi il suo viso si addolcì. Annuì lentamente, lo sguardo velato da qualcosa che sfuggiva a ogni definizione: forse complicità, forse un’ombra di consapevolezza… o protezione. "Le apparenze, a volte, ingannano," sussurrò, "le famiglie sono molto più... labirintiche di quanto si creda. E dopotutto, restano pur sempre un uomo e una donna, con le loro voglie e le loro debolezze.” Guardandomi sulla difensiva, aggiunse: “Mia mamma è una donna focosa, una donna che ha bisogno di essere posseduta spesso. E per mio fratello, che è nel pieno della sua virilità e che non ha una relazione fissa e stabile, avere vicino una femmina così vogliosa e disponibile, è sempre stata una notevole tentazione, che negli ultimi tempi, per varie cause, è sfociata in quello che hai capito” Rimasi i silenzio, travolto da un turbinio di pensieri. Intanto che cercavo mettere assieme una risposta coerente, lei continuò tentando di giustificare la sua famiglia: “Mio padre, sono mesi che non ha rapporti con mia madre: Dopo che una recente malattia lo ha reso impotente, ha una sorta di rifiuto verso la sfera sessuale, come se non si sentisse più uomo, più degno di sua moglie…. Ecco, adesso lo sai!” Continuando a giustificarla aggiunse: “E se a suo marito non tira più, mica lei deve diventare una suora!!”
Ribattei, con un misto di incredulità e rabbia: “Ho capito!... Ma proprio con suo figlio, cazzo!? È ancora una donna bella e affascinante, potrebbe avere qualunque uomo disposto a sbattersela!” Il suo scoppio di ilarità, vagamente isterico, spezzò la tensione che ci aveva avvolti. Sorrise, puntualizzando con malizia: “Hai ragione... anche tu che sei suo genero!”
Cazzo. Aveva ragione. Aveva colpito nel segno. Quel suo modo di porsi, quell’ostentazione così spudorata della propria sensualità, sgretolava ogni convenzione, ogni tabù. Aveva ragione! Anch’io me la sarei fatta! Di che cazzo mi scandalizzavo!!
Rivivendo quel giorno con la mente, l'immagine delle cosce candide e imponenti di mia suocera, così generosamente esposte, tornava a imporsi con forza. Il ricordo della vista fugace delle sue intimità, accompagnata da quelle occhiatine maliziose e ambigue, aveva il potere di avvolgermi ancora, facendomi irretire di nuovo.
Alessandra che mi stava trastullando il cazzo lo sentì risvegliarsi, rise maliziosa: “Sei un porco!” Senza aggiungere altro, si abbassò con la faccia tra le mie gambe, e dopo esserselo strofinato per bene sul viso, annusandolo rumorosamente, lo imboccò succhiandomelo con le labbra bramose, con passionale voracità.
La lasciai giocare per un po, godendomi la sua ingorda bocca. Ma i miei progetti erano altri: La feci stendere a gambe aperte e mi mossi per possederla. Lei mi fermò: “No!” Mi guardò sensuale, poi si girò mettendosi a novanta, con la testa affondata nelle coltri e mi invitò: “Mettimelo nel culo, sfondami!” Lo spettacolo della sua deliziosa figa, con le labbra dischiuse e della rosetta scura dell’ano tra le chiappette aperte, era decisamente invitante.
Aiutandomi con le dita, le aprii ulteriormente le natiche e le lubrificai il buco del culo con la saliva, leccandolo. L’odore dopo una giornata di lavoro in campagna, era intenso e penetrante, divinamente stimolante. Lei, mentre dimenava il culo, godendo del mio servizietto, si lamentò: “Sei un porco!… Un maiale!… Ho il culo sporco e sudato!” Continuando a esternare il piacere che provava contorcendosi, continuò:
“Devo lavarmi!… Stronzo!” Portandosi una mano tra le gambe per sditalinarsi, aggiunse: “Brutto bastardo!… Conosci i miei punti deboli, sai che non riesco a sottrarmi alla tua lingua nel culo!” Gemendo, aggiunse: “Lecca maiale!… Lecca!”
Non volevo che venisse così, ero troppo eccitato, volevo approfittare di tutto quel fuoco per sfogare la mia voglia dentro di lei: Le passai il cazzo scappellato e umido di voglia, sulla rosetta dell’ano. Lo centrai e spinsi fino a sentire il glande vincere la resistenza dello sfintere. Sentii Alessandra assentire il suo compiacimento per la penetrazione con un sospiro di piacere. Con la voce spezzata dalla lussuria, farfugliò: “Si, si, si!… Così!!… Tutto, tutto!!… Spingilo dentro tutto, fammelo arrivare in gola!!… Spingi bastardo!” Senza ulteriori esitazioni, glielo ficcai dentro fino alle palle. La sentii urlare di dolore e di piacere: “Cazzo, mi stai spaccando!… Oh si!… Cazzo che male!… Spingi, squartami!” Le brancai le tette, strizzandole tra le dita, mentre la pistonavo in culo con tutta la mia foga, mentre lei continuava a sgrillettarsi la figa e ad urlare, infischiandosene di chi avrebbe sentito!
Non ci misi molto a svuotarmi le palle riempiendole il retto, stimolato dall’orgasmo con cui la sentii venire.
Uscii da lei, stendendomi stanco e sudato al suo fianco, Lei dolce e grata, mi accarezzava i capelli, detergendomi il sudore dalla fronte, con il palmo della mano, aprii gli occhi e la guardai, mi sorrise con una dolcezza che mi gonfiò il cuore, gli occhi mi si riempirono della sua bellezza. Per un attimo sentii le lacrime affiorare, mentre il mio sguardo si perdeva nella tenerezza e delicatezza che leggevo nel suo soave sorriso e nel tocco leggero delle sue dita. Quanto l’amavo!!
Dopo essermi crogiolato con le sue coccole, mi alzai per andare a farmi la doccia, Alessandra mi rincorse, a sua volta nuda: “Aspetta!… Ci facciamo la doccia assieme” La baciai dolcemente, uscimmo in corridoio, con lei che mi precedeva, diretti verso il bagno. Camminandole dietro potei vedere il mio sperma, che uscendole dal culo, stava scendendo lento lungo le cosce, gocciolando a terra.
Arrivati davanti alla toilette. mentre stavo per abbassare la maniglia della porta, questa si aprì e ci trovammo al cospetto di Vera che stava uscendo dalla stanza. Ci guardammo sorpresi, noi nudi e lei vestita solo con una corta maglietta, che non le copriva la parte inferiore del corpo, la folta peluria, screziata di bianco ben in vista. Dopo una breve occhiata reciproca, densa di imbarazzo e ironia, scoppiammo a ridere: La tensione si sciolse e ci liberò da ogni pudore.
Vera mi guardò civettuola e con sguardo divertito disse: “Siete una bella copia di maialini!… Vi ho sentito scopare prima” Poi accompagnando le parole con un sensuale sorriso, chiese: “Cosa gli hai fatto a a quella porcona di mia figlia per farla urlare così?… Anche Giorgio vi ha sentito!” Ridemmo tutti, mentre lei abbassava lo sguardo sul mio uccelllo, allungò la mano e lo toccò con una leggera carezza. Le sue dita, leggere come un sussurro, mi fecero sussultare dal piacere. In tono seducente, gli occhi languidi puntati sui miei, lambendosi le labbra in modo provocante con la punta della lingua aggiunse: “Mmmm…. Certo che hai proprio un bell’attrezzo… Alessandra è proprio fortunata!”
La frase mi uscì di bocca prima che potessi fermarmi: “Anche noi… vi abbiamo sentito!” Lei mi fissò, sorpresa, poi sorrise divertita. Stava per ribattere, ma la anticipai, inondandola di scuse: “Scusa, Vera, non volevo. Mi dispiace davvero!” Rideva, affatto turbata. Con dolcezza puntualizzò: “Non ti devi scusare… Piuttosto spero di non averti scandalizzato!” Provocatoriamente, in modo sensuale, continuò: “Sai… Queste cose accadono più spesso di quanto non si pensi…” Poi, voltandosi verso Alessandra con un sorriso malizioso: “Vero, amore?”
Mia moglie guardò sua madre con un intrigante sorriso, le carezzò il viso, e poi avvicinò le proprie labbra alle sue, si baciarono con un bacio lussuriosamente passionale. Senza fretta, le loro lingue giocarono l’una nella bocca dell’altra. Vidi costernato, la mano di mia moglie, farsi spazio fra le cosce della madre, infilare il dito nella fessura, scivolare all’interno ed estrarlo intriso di lattiginosi umori, se lo portò alle labbra leccando avida. Guardando sua madre con gli occhi che trasudavano libidine, con la voce smorzata dalla lussuria, disse: “Mmmm… Buono!… Sai di figa e di sperma e,… di piscio!!” Perplessa, aggiunse: “Che troia!!.. Non ti sei ancora lavata!… Sei tutta sporca e con la passera ancora piena della sborra di tuo figlio! ” La sua risposta piccata, non si fece attendere: “Guarda che io non sono come te, che si lava ogni tre per due!” Sulla difensiva aggiunse: “E poi la sborra è dove dovrebbe essere!!… E ricordati che agli uomini la figa piace al naturale, bella odorosa!” Con una vena di ironia, accompagnata da un simpatico vezzo, continuò: “Meglio se un po sporchina!… Non come sei abituata tu, con la passera che sa di sapone e profumo di violetta!!”
A quella spiegazione, il mio uccello prese vigore. Solo il pensiero di quanto fosse laida mia suocera mi faceva impazzire di libidine!
L’istinto di abbassami all’altezza della sua invitante gnoccona pelosa, per annusarne l’aroma stagionato e sicuramente intenso, era incontenibile. Mi guardai attorno stravolto, incontrai lo sguardo di Alessandra, che intuendo il mio stato d’animo, mi rivolse un sorriso carico di malizia e complicità, come se avesse letto i miei pensieri.
Mia suocera, ignara del mio turbamento, decise inconsciamente per me: Si voltò e si incamminò verso la camera, sculettando come una diva in pensione. Il suo deretano, monumentale e un po’ stanco, leggermente cadente, ballonzolava con entusiasmo, ricordando un budino tremolante, lasciando dietro di sé un’eco visiva difficile da ignorare, incredibilmente sensuale nella sua oscenità.
Seppur voltata, colse al volo il mio pensiero sul suo invitante lato B. Senza girarsi, disse: “Non male, eh? La vecchia suocera ha ancora qualche cartuccia da sparare… Buona notte piccioncini!”
Eccitato da quella vecchia baldracca, mi sfogai con mia moglie: la trascinai in bagno e con impeto la spinsi con la schiena contro il muro.
Mentre la baciavo con desiderio, la sollevai di peso all’altezza del mio bacino, la lasciai scivolare leggermente verso il basso, impalandola sul cazzo in tiro.
Lei mi allacciò i fianchi con le gambe, incrociando i piedi sulla mia schiena. Sentivo le sue unghie graffiarmi la schiena, mentre mugolava dal piacere.
Con la voce rotta dalla libidine, la insultai: “Sei una gran vacca!!!… Ti scopi anche quella bagascia di tua madre!… Cazzo ma quanto sei troia!?” Rise sguaiata, mentre glielo spingevo su per la figa con tutta la mia forza, mi rispose tra gemiti e ansiti di goduria: “Oh si!… Cazzo se me la scopo!!… Sapessi come lecca bene quella puttana!” Dimenandosi sulla verga, ansimante, aggiunse: “Bravo!!…Così, così, più forte!… Spingi porco!” Provocandomi, con voce affannosa, ribadì: “Ti è piaciuto scoprire che tua moglie è ancora più troia di quello che pensavi, vero bastardo?… Ci godi vero?” Le risposi, mentre le tiravo i capelli, spingendomi forte dentro di lei: “Oh sì!… E’ vero, hai ragione, mi piace riscoprirti così puttana,.” Mentre continuavo a sbatterla con passione, aggiunsi: “scommetto che ti fai anche tuo fratello” Lei sempre con le gambe allacciate al mio bacino, con la voce stridula, alterata dal dolore, trasformato in estasi dal piacere. Mentre la tenevo per i capelli impalata sul cazzo, con una smorfia di dolore, mi rispose: “Mi sembra ovvio!!… E’ da quando avevo dodici anni che mio fratello mi scopa!… Del resto era inevitabile, visto che io lo provocavo girando nuda per casa!” Che vacca di moglie che mi ritrovavo!! Con la mano con cui la tenevo sollevata da terra, scivolai tra le sue chiappe e le infilai il dito medio nel culo, ancora umido del mio orgasmo di poco prima. Fu l’apoteosi: il suo piacere esplose in un grido liberatorio. Io, già sospeso sull’orlo dell’estasi, venni a mia volta, riempendole l’utero di caldi fiotti di sperma.
Mentre ancora tremava per l’eco del piacere, posò dolcemente la testa sul mio petto, cercando quietudine nel battito del mio cuore.
La abbracciai stretta, accarezzandola dolcemente. La sentivo rilassarsi, ansimante tra le mie braccia.
Mi disse, sussurrando: “Sono una troia, lo so! Ma ti amo tanto amore, io sono solo tua!” La baciai grato e felice delle sue parole.
Ci infilammo assieme sotto alla doccia, ci lavammo reciprocamente.
Nudi e puliti, ci infilammo sotto alle coperte, ci addormentammo l’uno tra le braccia dell’altro.
Nei giorni seguenti, malgrado le provocanti distrazioni elargite con generosa disinvoltura dalle nostre aiutanti, le cui grazie non passavano certo inosservate, la raccolta delle olive avanzava senza intoppi.
Loro arrivavano sempre dopo di noi, accompagnate dall’aroma del caffè.
Fino a quel giorno in cui tutto cominciò, il cui ricordo resta ancora indelebile nella mia mente:
Mancavano solo pochi giorni alla fine della raccolta delle drupe oleose.
Quella mattina io e Giorgio ci mettemmo all’opera di buon’ora, pieni di energia. Dopo circa un’ora, cominciammo a raccogliere i teli per radunare il frutto del nostro lavoro. Mentre io, accucciato, svuotavo l’ultimo telo, mio cognato si allontanò, scostandosi di poco, per una pisciata. Ero girato di spalle, ma mi voltai di scatto, sorpreso dal rumore dell’urina che colpiva il terreno a pochi passi da me. Lui si stava liberando a meno di un metro di distanza, come se la cosa fosse del tutto normale.
ll mio sguardo, suo malgrado, si posò per un istante sul suo uccello barzotto, intento a sprizzare un generoso fiotto di giallo liquido, che disegnava un arco in aria e finiva in una pozza tremolante tra l’erba. Un po’ smarrito, cercai i suoi occhi, come in cerca di una spiegazione, di un segno, di qualsiasi indizio che giustificasse quel comportamento così… disinvolto.
Mi sorrise con complicità, ammiccando con naturalezza, come se quella esibizione fosse senza importanza. Gli sorrisi a mia volta malizioso, poi fingendo indifferenza distolsi lo sguardo e mi girai, come se si fosse trattato di un gesto senza spessore.
In realtà, avevo il cazzo che mi scoppiava nelle mutande, dentro di me ero in tumulto, il cuore mi batteva a mille e avevo l’acquolina in bocca per quella deliziosa verga che avrei tanto voluto assaggiare!
Continuando a fingere noncuranza, sempre accovacciato a terra, ricominciai a travasare le olive nelle ceste. Finché avvertii la sua vicinissima presenza alla mia destra. Mi girai di scatto, strusciando il naso sul suo cazzo, ancora bagnato di piscio, che lui teneva a pochi centimetri dal mio viso!
A quel punto, senza fraintendimenti, senza più alcuna remora, lo presi in mano, lo scappellai e con la lingua lambii la punta del prepuzio, suggendo le gocce di urina, che come miele sbucavano dal meato. Chiusi gli occhi gustando bramoso quel nettare salato, dal sapore intenso, acre e speziato.
La voce di mio cognato, mi distrasse dall’oscena degustazione: “Lo avevo capito io che ti piace il cazzo!” Spingendomelo in bocca mi disse: “Succhiamelo… Dai…Ciucciamelo porco!”
Ubbidiente, lo imboccai ingordo. Il sapore forte di quel cazzo sudato, che molto probabilmente, oltre al sudore, era impregnato anche dagli umori della figa di quella puttana di sua madre, mi mandava in estasi.
I suoi gemiti intensi, mi confermarono che il piacere che la mia bocca sapeva procurargli, toccava corde profonde. L’esperienza dei generosi pompini che avevo fatto ai tanti amanti di mia moglie era servita!
Mi teneva la testa penetrandomi in bocca come fosse una figa.
Mi abbassai i pantaloni della tuta, mi presi in mano l’uccello turgido e me lo menai per alleviare la goduriosa tensione che mi aveva invaso.
Dopo poco, sentii il cazzo che avevo in bocca sussultare, capii che l’orgasmo non era lontano, le sue mani mi presero per i capelli e mi affondò la sua erezione in gola, sentii degli sprizzi caldi e pastosi, riempirmi la bocca, i suoi intensi gemiti liberatori mi confermarono il gradimento del mio fare.
La mia eccitazione era al massimo, il sapore di quel nutriente e denso liquido, mi inebriava, prima di ingoiarlo, lo roteai in bocca a lungo, per gustarne appieno l’essenza.
Venni, gemendo di piacere, smanettandomi forsennatamente mentre ingoiavo il lattiginoso prodotto di quel lubrico pompino.
Mi alzai, con il cazzo gocciolante e le labbra impiastricciate del suo orgasmo, mio cognato mi mise una mano sulla nuca e mi attirò a sé, infilandomi nella bocca che sapeva di sé, la lingua, che io lasciai entrare voglioso, mentre mi palpava il cazzo lordo di sborra.
Quell’ultima sua azione, mi fece capire che neanche lui era nuovo ad incontri di quel tipo. Ci limonammo ancora per vari minuti, mentre le sue avide labbra cercavano i resti di quella nostra prima lussuriosa interazione sessuale.
Mi disse che gli avevo fatto un pompino da manuale, gli risposi che quando voleva, ero a disposizione, mi sorrise e con un sorriso malizioso, mi apostrofò: “Sei un porco!” Risposi divertito alla sua battuta.
Ci avviammo di nuovo al lavoro, mentre lui si annusava la mano con cui mi aveva palpato.
Dopo poco, mia moglie comparve nel campo, stranamente da sola.
La sua indole esibizionistica traspariva chiaramente dalla mise: Indossava una canottiera che lasciava intuire l’assenza del reggiseno, aderente ai suoi seni importanti e sodi, i cui capezzoli premevano visibilmente contro il tessuto. Il suo abbigliamento terminava con un paio di short, talmente piccoli da essere quasi un perizoma!
Senza spiegazioni, preparò il tavolino per il caffè, la osservai incuriosito mentre versava la fumante bevanda nelle tazze, con quel gesto lento e familiare. Mi avvicinai per gustare l’aromatico infuso e le chiesi: “Dov’è Vera? Non sta bene?”
Alessandra scoppiò a ridere. “No, no! Anzi, quando, l’ho lasciata stava mooolto bene… direi benissimo!”
La guardai perplesso. Lei, divertita, mi spiegò: “Stamattina sono venuti Mario e Fabrizio a chiedere come stava Nello. Mia mamma, dopo averli aggiornati sulle ultime novità riguardo papà, li ha invitati in casa per un caffè.”
Intuivo dove volesse arrivare, ma feci finta di nulla. “E quindi? Che c’entra il caffè con il fatto che Vera non è venuta sul campo con te?”
Alessandra mi scrutò, cercando di capire se stessi davvero facendo lo gnorri o se fossi semplicemente lento a connettere. Poi, con un sorriso malizioso, ribatté: “C’entra eccome!” In quel momento, Giorgio si stava avvicinando per prendersi il suo caffè. Aveva colto al volo le ultime parole della sorella e la fissò con interesse. “C’entra con cosa?” chiese, incuriosito.
Alessandra lo guardò divertita, poi tornò a rivolgersi a entrambi, con quel tono da chi sa di avere tutta l’attenzione: “Dunque, io stavo stendendo della biancheria ad asciugare sul cortile, quando li vidi entrare in casa, preceduti da mamma, che sculettava davanti a loro.
Dopo poco, quando avevo quasi finito di stendere, sentii dei schiamazzi, che mi fecero fermare con una federa tra le mani, tesi l’orecchio cercando di capire se stava davvero succedendo quello che pensavo. Quelle risate sguaiate, seguite da quei vezzosi vocalizzi, non lasciavano spazio a dubbi: mia madre stava dando spettacolo e sicuramente non solo quello!
Spinta da una curiosità che non riuscivo a trattenere, mi avvicinai alla finestra e sbirciai all’interno.
La scena che mi si presentò fu… sorprendente. Lei in ginocchio davanti a Fabrizio gli stava succhiando l’uccello, Mario, le aveva sollevato il grembiule da dietro e le aveva infilato le mani nelle mutande, accarezzandola nel solco tra le chiappe.” Poi con voce divertita puntualizzò: “Il bello è che lei mi vide, mentre la sbirciavo e per niente imbarazzata, mi sorrise!… Quella troiona!!”
Giorgio alzò le sopracciglia, non troppo sorpreso.
Io lo guardai, cercando di nascondere un sorriso, per la contrarietà che leggevo nella sua espressione.
“Quindi… Vera ha preferito restare a casa per approfondire la conoscenza?” Alessandra annuì, divertita: “Esatto. E a giudicare da come stavano le cose, direi che oggi arriverà più tardi. Mi sa che hanno deciso di conoscersi molto, molto bene.”
Giorgio, sconfortato, disse: “Quella vacca si fa sbattere proprio da tutti!” Nelle sue parole, percepii una punta di gelosia.
Poi guardando con sospetto mia moglie, chiese: “Ma tu sei rimasta a guardare e poi te ne sei andata senza intervenire?” Guardandola scettico, aggiunse: “Mi sembra strano, conoscendoti!!”
Alessandra, fingendosi offesa, rispose con uno sguardo angelico e tutta la sua proverbiale faccia tosta: “Certo che me ne sono andata, tra l’altro sapendo che voi avevate bisogno di aiuto, sono venuta di corsa nel campo!”
Poi si voltò, con fare teatrale, verso la piantagione.
Io le lanciai un’occhiata dubbiosa, trattenendo un sospiro, e mi avviai anch’io verso il campo, con la sensazione che qualcosa non tornasse.
Ero di nuovo in tiro: con gli occhi della mente diedi forma a quel racconto, immaginare quella vacca di mia suocera, con quel corpo pingue, fare sesso con due vecchi, mi eccitava in una maniera oscena!
Alessandra si accorse della mia erezione che deformava i pantaloni della tuta, mi venne vicino: “Sei un porco!” Me lo strinse, facendomi sussultare dal piacere. Si sporse verso le mie labbra per un bacio. Eccitato, incrociai con piacere la mia lingua con la sua.
Quando ci sciogliemmo da quella breve ma intensa esternazione lussuriosa, lei guardò smarrita verso suo fratello, ritorno ad incrociare il mio sguardo e sorridendo sorniona sotto i baffi, come se avesse appena messo insieme i pezzi di un pensiero malizioso, disse: “Ma la tua bocca sa di sborra!!… Siete due porci ricchioni!!… Hai fatto un pompino a mio fratello, maiale!!” Le risposi sorridendogli: “E’ vero!” Con una certa dose di sarcasmo, aggiunsi: “E pensa un pò che non si è neanche lamentato!” Di rimando mi rispose: “Ne sono sicura, visto che a quanto a pompe hai fatte più tu di me!!” Scoppiammo a ridere simultaneamente.
Tra una risata e l’altra, con il sole mattutino che filtrava tra le foglie come se volesse spiarci. Senza aggiungere altro, iniziammo a stendere di nuovo i teli sotto alle piante, cercando un po’ di tregua da tutto quel delirio. Il terreno si stava giusto intiepidendo ai primi calori della giornata, e l’aria sapeva di essenza d’olivo e di qualcosa d’altro che aleggiava ancora nell’aria, residuo della trasgressione di cui la natura che ci circondava era stata silenziosa testimone.
Poco prima di mezzogiorno vidi mia suocera scendere tranquilla dal sentiero di accesso al podere. Troia com’era non si era neanche curata più di tanto nel sistemarsi dopo l’incontro con i due porci, infatti aveva i capelli in disordine e il grembiule sgualcito e semi sbottonato, espliciti macchie di indubbia provenienza, ben evidenti sul tessuto azzurro, lo lordavano. Che vacca!
Come se nulla fosse, si mise al lavoro accanto a sua figlia. Colsi un fugace sorriso di complicità tra loro, che mi fece riaffiorare il pensiero inquietante, che i miei sospetti sull’omissione di alcuni dettagli inerenti il racconto che mi aveva fatto la mia dolce consorte, relativa a quella scena ambigua tra sua madre e i due “amici” del marito, non erano affatto infondati. Ormai non c’era dubbio che la mia mogliettina troia mi avesse mentito. Non ne capivo il motivo, visto il nostro rapporto molto aperto!
Poco dopo ci fermammo per la pausa pranzo.
Come ormai consueto mia moglie si mise poco in disparte per una liberatoria pisciata, senza formalizzarsi per la nostra vicinanza. Mentre Vera, in un raro slancio di pudore, si allontanava con discrezione per un bisogno più impegnativo.
Mangiammo conversando tra di noi del più e del meno, finché i discorsi non presero una direzione ben precisa: Giorgio chiese a sua madre del suo ritardo, lei rise e si schernì, dicendo che lui già conosceva la risposta.
Lui tra il serio ed il faceto, puntualizzò: “Certo che lo so! Tua figlia mi ha raccontato tutto!… Beh… Certo che sei proprio una gran mignotta mamma!… Il papà è in ospedale e tu ti dai da fare con due suoi attempati amici!”
Lei lo guardò, contrariata, e rispose con tono piccato: “Guarda che tuo padre non è morto… Si è solo infortunato perché, come al solito, ha voluto strafare.”
Poi, difendendosi con una punta di ovvietà, aggiunse: “E comunque mi sarei fatta scopare anche se fosse stato a casa, tanto lui non ne è più capace.
E quanto alla mignotta… lui sa benissimo chi ha sposato. Lo ha sempre saputo. E ha sempre portato le corna con una certa disinvoltura.
E mi sembra, che dopo tutto neanche a te dispiaccia di avere la mamma mignotta, visto tutte le volte che mi hai trombata!!”
Giorgio rimase spiazzato dalla secca risposta della madre.
Lei continuò nello stesso tono: “E guarda che si è divertita anche tua sorella, mica solo io!… Che non pensi che sono solo io la troia!!”
Alessandra paonazza in viso per essere stata colta sul vivo: “Mamma!!… Ma cazzo!!!… Io ho detto loro che non ho partecipato!… Ma stai zitta no!… Parla per te uffa!!”
Mia suocera, rendendosi conto del patatrac appena combinato, si voltò verso di me con uno sguardo confuso, quasi smarrito. Cercò di rimediare, goffamente: “E dai, Guido… Sai bene com’è fatta tua moglie: quando vede un bel cazzo, non sa resistere!”
Mia moglie, guardando infuriata la madre, disse ironica: “Ecco!… Brava!… Tu si che sai come aiutarmi!!”
Rassicurai mia suocera con un sorriso forzato: “Non preoccuparti, Vera. So benissimo anch’io che donna ho sposato!” Cercai lo sguardo di mia moglie: era inchiodato al pavimento, dimesso, colpevole, le dissi: “Quello che non capisco, è perché non dirmelo”
Lei rispose a voce tremolante: “Mi dispiace di averti mentito, l’ho fatto perché non volevo ferirti, di solito tutto quello che facciamo, lo facciamo assieme. Però oggi a vedere quello che mia madre si lasciava fare mi ha fatto perdere la testa e mi sono unita a quel trio di porci.
Ti prego perdonami!”
Mia suocera, inquieta, agitandosi nervosa sulla sedia, perse l’equilibrio e rovinò all’indietro, schiantandosi sulla schiena con un tonfo secco. Nel disperato tentativo di aprire le gambe per attutire la caduta, i pochi bottoni superstiti del grembiule cedettero di schianto, schizzando via come proiettili impazziti.
Quella caduta rovinosa, pur nella sua drammaticità, aveva qualcosa di comico: Nel suo rovinare a terra, ci offrì uno spettacolo indecente: le cosce, pallide e flaccide, si spalancarono, rivelando la pancia molle e traboccante. In mezzo a quel cumulo di carne bianca, l’abbondante pelo scuro, ispido e screziato, era esibito senza ritegno, visto la mancanza di alcun indumento intimo.
Io e Giorgio si precipitammo ad aiutare sua madre, mentre lei, senza minimamente tentare di ricomporsi, rideva a crepapelle, per niente imbarazzata per la lussuriosa esibizione.
Prima che avesse il tempo di rialzarsi, aiutata da noi, ebbi modo di ammirare bene quella laida figa: I peli, pur appiccicati da una scarsa igiene, non riuscivano a tenere chiuse le piccole labbra esageratamente sporgenti e scure, evidenti tracce di sperma rappreso macchiavano la parte interna delle cosce. Poco sotto, sulla pelle scura dell’ano, si intravedevano piccoli frammenti di carta igienica, imprigionati tra il folto pelo e le pliche del buco del culo, chiari segni di una pulizia frettolosa.
Già da quella distanza venni investito dall’odore pungente di quel laido sesso, che mi travolse come un’ondata calda, densa, viscerale. Mi entrava nel naso, nella gola, sopratutto nella testa, mi stordiva. Era odore di sudore, di pisciate asciugate sulla pelle, di sborra rappresa, di culo mal pulito! Era puzza!
Eppure non riuscivo a distogliere il respiro. Mi inebriava, mi insozzava, mi faceva sentire vivo.
Avrei voluto tuffarmi in tutta quella trasandatezza e perdermici!
Perso in quel tripudio di miasmi, sentivo perso nella nebbia dei sensi, la voce lontana di lei che continuava a ridere impudica e sguaiata.
Incrociai lo sguardo smarrito di Giorgio: occhi larghi, annebbiati, persi quanto i miei in quel delirio di carne e intensi olezzi.
Poi, come uno schiaffo, la voce di mia moglie ci strappò via: — Ehi… La tirate su o volete restare lì a contemplare quella fregna lurida, mentre invecchiate?”
Poi rivolta alla made la redarguì ironica: “Certo che una lavatina!… Puzzi come una capra!!” Poi con curiosità chiese: “E poi… Scusa… Le mutande dove le hai lasciate?”
La risposta di Vera fu fulminea: “Ma piantala con ste cavolate! Guarda le facce sconvolte di quei due porci… Secondo te è per la tua bella faccia o per “la puzza di capra” della mia vecchia bernarda? E in quanto alle mutande le hanno volute quei due montoni di stamattina come trofeo!”
Mi moglie spiritosa ribatte: “Beh… Allora sono sicuramente morti asfissiati!!”
La sua battuta, irresistibile ruppe la tensione, scoppiammo tutti a ridere, senza freni.
Tornammo a sederci tranquilli al tavolo da picnic, per non incorrere in altri incidenti, verificammo che le sedie fossero ben piazzate sul terreno sconnesso.
Mia moglie versò il caffè dalla termos, e per me e suo fratello lo corresse con una generosa dose di grappa. Il profumo intenso della bevanda si mescolava all’eco delle risate, mentre la sorseggiavamo lentamente, ancora scossi e divertiti dal battibecco tra Vera e Alessandra, mentre ammiravamo le intime forme mature che quella vacca di mia suocera esibiva!
Sedeva di fronte a noi, il grembiule sbottonato fino all’ombelico, gambe larghe come una sfida, offerta con una naturalezza disarmante, in una posa assurdamente oscena. Tanto, aveva detto prima, quello che c’era da vedere lo avevamo già visto!
La pancia, candida e generosa, si adagiava mollemente su una coltre di folto pelo arricciato, screziato di grigio, che si diradava in ciuffi radi lungo le grasse cosce, nascondendo qualche accenno di cellulite. Nel mezzo di quella confusa massa di peluria ispida, lo spacco della figa era incorniciato dalle piccole labbra grasse e scure, che come i petali di un fiore appassito ne delineavano i contorni. Un rivolo liquido sgorgava dal cavernoso antro spalancato della vagina, rivelando la sua eccitazione.
Nel suo sguardo, carico di libidine, non c’era traccia di alcun pudore, ma piuttosto di un irrefrenabile desiderio.
Noi con la tazzina del caffè a mezz’aria, eravamo rapiti da tanta disinvolta lussuria.
Cazzo, quanto era troia quella vecchia porcona!!
Sua figlia, seduta al suo fianco, anche lei colpita da tanta oscena spigliatezza, più di quanto non fosse mai successo.
Non resistette a non approfittare di tanta disponibilità: Allungò una mano tra le gambe della madre, appoggiandola sul sesso peloso e facendo scorrere l’indice all’interno della fessura inondata di desiderio, tra le piccole labbra, fino a lambire la clitoride gonfia di voglia.
Vera si lasciò scivolare sulla sedia, aprendo ulteriormente le cosce, gemendo grata per quella carezza leggera ma ricca di esperienza.
Mia moglie si avvicinò la mano pregna degli afrori del sesso della attempata madre al naso.
Aspirò rapita gli effluvi intensi, chiudendo gli occhi, per carpirne appieno le intense essenze.
Quel profumo, che poco prima aveva respinto con disprezzo, ora sembrava sedurla.
Andò oltre, estraendo la lingua e leccandosi le dita, gustando il sapore intimo materno con manifesto piacere. L’altra mano se la portò tra le gambe, infilando le dita sotto al poco tessuto che le copriva la figa, si cercò la clitoride stuzzicandola, Infuocata dal desiderio. Allargò le scivolose labbra della passera, facendoci partecipi delle sue intimità.
Vera, leggendo l’estasi negli occhi della figlia, vedendo quanto si era eccitata saggiando la sua bernarda, disse vendicativamente: “Mi sembra che non ti dispiaccia poi tanto la puzza della vecchia, vero troia?!!”
Alessandra, mentre continuava a toccarsi, ammirando la patonza della madre, disse: “Cazzo mamma, il tuo odore mi fa impazzire!!”
Vera, con sguardo da vacca in colore, mentre si accarezzava il pelo della sorca, ci provocò: “Cazzo!!… Tanti apprezzamenti alla mia miciona, ma c’è nessuno che se ne occupa?”
Battei tutti sul tempo, mi inginocchiai tra le sue gambe, mi fermai un attimo a riempirmi gli occhi con il primo piano della sua patonza pelosa e palesemente lurida!
Mi avvicinai lentamente, centimetro dopo centimetro, guidato dal suo odore esageratamente pungente, su tutto predominava un intenso odore di piscio stantio.
Il respiro mi si fece corto. La lingua scivolò tra le pieghe, umide e tese, mentre il sapore mi esplodeva in bocca, denso, salato e laido. I peli, incollati dal sudore e da residui di precedenti amplessi, non fermarono il mio percorso lungo la fessura, fino a quando trovai il generoso e turgido cuore pulsante del suo massimo piacere e lo assaggiai senza esitazione, nonostante fosse ricoperto di una lattiginosa patina giallina, che esaltò la mia eccitazione oltre ogni limite.
La sentii tremare di piacere. Non mi fermai, quell’osceno odore e sapore, invece di schifarmi mi travolse, mi ubriacai di quel fetore, ne volevo ancora e ancora!!
Le presi le cosce e le sollevai verso l’alto, la sentii scivolare in avanti sulla sedia, mi aiutò tenendosi le gambe aperte e sollevate, passandosi le braccia sotto alle ginocchia. Cercai avido il buco del culo decisamente irsuto, l’odore forte dei residui appiccicati al pelo non mi scoraggiarono: Anzi!… inalai estasiato quella tremenda puzza, come fosse stato il migliore dei profumi.
Sfiorai l’ano, scuro e grinzoso, con la punta della lingua, per carpirne il sconcio sapore. Lambii più volte quella sozzura di cui non ero mai pago!
Sentivo quella lurida scrofa incitarmi: “Si!… Cosi!… Bravo!… Lecca, lecca, finalmene um buongustaio!!… Pulisci tutto, fammi il bidet!!” Le sue esortazioni furono seguite dalle sue mani che si tenevano le chiappe ben separate.
Quel turbinio di sensazioni si fece più feroce quando una mano inattesa si infilò da dietro, nei mie pantaloncini elastici, fino a passare, in mezzo alle chiappe, tra le mie gambe e ad impadronirsi del mio uccello che era prossimo all’orgasmo. Non cercai di capire di chi era la mano, non mi interessava, mi bastava che mi desse sollievo da quel marasma di intense ed inedite sensazioni.
Nel poco spazio tra il cazzo ed il tessuto, sentii la presa organizzarsi in una goduriosa sega, che diede sfogo al mio piacere, che avevo accumulato in quel delirio di oscena e sfrenata lussuria, alimentata dagli eventi recenti. Sentii le dita di quella mano chiudersi attorno al mio glande che stava eruttando una smisurata quantità di sborra, le dita esperte che mi toccavano, si muovevano scivolose sul prepuzio, causandomi intense scariche di piacere.
Mia suocera, scossa da un intenso orgasmo, urlava il suo godere con tutto il fiato che aveva in corpo, mi teneva la testa ferma sulle sue parti intime tenendomi per i capelli e strofinando la figa e il culo laidi sul mio volto.
Quando cessò di sussultare, travolta dall’orgasmo, mi sollevai lentamente, stranito, con le guance in fiamme per quel trattamento che aveva sfiorato la brutalità, quasi al limite della violenza.
Mia moglie, senza lasciarmi tempo per riprendermi, mi si aggrappò addosso, mi cercò la bocca con la sua, alla famelica ricerca degli odori e sapori di sua madre, sul mio volto e sulla mia lingua.
Accarezzai il corpo della mia amata, mentre la baciavo succhiandogli la lingua.
Mi accorsi che non indossava più la parte inferiore del suo abbigliamento.
Le infilai la mano tra le gambe. Il pelo era umido, appiccicoso. Sembrava liquido seminale, caldo e denso. La guardai, sorpreso, ma non troppo. Aveva gli occhi fissi, su di me, come se aspettasse quella reazione.
Mi portai le dita al naso e ogni dubbio fu fugato.
Le sorrisi, mentre lei mi guardava maliziosa e sottilmente divertita: “Quel porco di tuo fratello ti ha scopato!!” Un radioso sorriso dispettoso le accese il volto: “Eh già!” Poi scoppiò a ridere, ironicamente aggiunse: “Come fosse la prima volta!”
Mi girai verso mio cognato, che si stava masturbando, leccando la mia sborra che ancora gli lordava le dita, mentre ci guardava. Questo mi rivelò che era stato lui a segarmi!
Uno scroscio liquido, improvviso e fragoroso, ci fece voltare di scatto.
Mia suocera era lì, in piedi, le gambe divaricate, lo sguardo provocante, carico di lussuria, fisso su di noi.
Dalla sua sorca pelosa stava sgorgando un flusso caldo e dorato, Dei rivoli effimeri scorrevano lungo le sue gambe, formando una pozza ai suoi piedi.
Lo sguardo di Alessandra, a quello spettacolo, si fece torbido, con la voce alterata dall’eccitazione, sbottò: “Oh… mamma, non puoi fare questo!!”
Senza esitazioni si precipitò tra le sue gambe, le ginocchia affondarono nel liquido fumante effuso sul terreno, non si preoccupò del flusso che sprizzava ancora abbondante da quella sconcia e vecchia patonza, che, da quella posizione, le bagnava la maglietta. Divise il pelo di quel sesso laido con le dita, spostandolo, aprendo la fessura. Il meato dell’uretra, nascosto tra le labbra gonfie di voglia e arrossate, pulsava leggermente, come se respirasse. Avvicinò il volto, intercettando il liquido che ne usciva, incollando la bocca a quella fonte calda e salmastra. Vidi la gola contrarsi, mentre inghiottiva a sorsi, come chi beve per fame più che per sete. Non potevo rimanere indifferente davanti a una scena tanto impudica e licenziosa. Sconvolto da tanta sconcezza, liberai la mia erezione costretta nei pantaloncini inzaccherati dalla mia recente esplosione di piacere, togliendomeli e stringendomi l’uccello scivoloso tra le dita.
Dei gemiti alle mie spalle mi fecero girare di nuovo, mio cognato si stava masturbando menandoselo forsennatamente guardando quella troia di sua sorella che si abbeverava dalla figa di sua madre!!
Intuii che la sborrata era imminente, mi chinai davanti a lui e ingoiai quel bellissimo cazzo, che sapeva intensamente di maschio, di sborra e di figa!
Il suo orgasmo mi riempì la bocca, per la seconda volta in quella giornata! Mentre io venivo smanettandomi.
Mia suocera raggiunse l’apice del piacere, sapientemente stimolata dalla lingua di sua figlia.
Praticamente nudi, ci stendemmo l’uno al fianco dell’altro a prendere fiato.
Vera, stesa tra i suoi figli, naturalmente a gambe oscenamente spalancate, grattandosi la sorca lurida che le prudeva, si lamentò: “Beh… Però adesso, dopo questo antipasto, avrei proprio bisogno di un bel cazzo che me la riempisse!!”
Ci guardammo sbigottiti: Aveva scopato con i due amici di suo marito, si era fatta mangiare la figa da me, aveva pisciato in bocca a sua figlia: Antipasto!!?
Non potevo credere alle mie orecchie, quella puttana era insaziabile!
Al pensiero di quanto fosse troia, alla vista della sua posizione, guardando la sua mano che grattava la patonza, il mio cazzo tornò sull’attenti.
Mi alzai lentamente e mi inginocchiai tra le sue gambe. Lo sguardo di mia moglie e di mio cognato era confuso, quasi incredulo. Dissi solamente: “Ci penso io.”
Come se si trattasse di un compito da svolgere, un dovere da adempiere. Mia suocera rimase immobile, quasi consapevole del ruolo che aveva assunto, o forse del ruolo che desiderava: quello di un corpo oscenamente a disposizione di chi voleva scoparla, di uno strumento per sollazzare desideri maschili. Un buco per svuotare i coglioni pieni di sborra!
La penetrai affondando dentro di lei con tutta la forza di cui ero capace. Le sue gambe grasse mi cinsero i fianchi: “Più forte coglione!!… Fammelo sentire fino in fondo! Sbattimi!!” Le sue parole mi giunsero smorzate dalla foga con cui la stavo scopando, sentii una mano sfiorarmi le palle, mio cognato, stava infilando due dita nel culo a quella troia, Alessandra torse capezzoli di quelle tette flaccide e grasse.
Sentii mia suocera godere varie volte, con degli orgasmi multipli. Stimolata in tutte le zone erogene del suo decadente e pingue corpo.
Raggiunsi l’orgasmo, riempiendole l’utero, mentre lei urlava il suo piacere assenso.
Quando uscii da lei, non ancora contenta, si mise in piedi, a gambe larghe, si portò una mano chiusa a coppa sotto alla figa, raccolse la sborra che le stava uscendo e si portò la mano alla bocca per bere, con un rumore osceno di risucchio, incurante di noi che la guardavamo allibiti, ma anche tremendamente rapiti da tanta depravazione.
Quando tutto finì, raccogliemmo gli attrezzi, ci ricomponemmo e ci avviammo verso casa.
Dopo poco tempo ci trasferimmo a vivere a casa dei genitori di mia moglie, ormai avevamo una dipendenza sessuale l’uno dall’altro.
Mia suocera fungeva da collante per quel rapporto di perversione incestosa di cui non riuscivamo più a fare a meno.
Una volta uscito dall’ospedale, coinvolgemmo anche mio suocero, e non solo come spettatore, ma anche attivamente. Ebbi anch’io modo di appezzare la sua lingua e le sue mani ricchi di esperienza!
Non c’erano più moglie e marito, fratello e sorella, genitori e figli, eravamo tutti di tutti, senza distinzione di genere.
A distanza di anni, funziona ancora tutto bene: Giorgio da un po si è sposato con una donna che sembra ancora più troia di mia suocera, se questo è possibile.
Ma questa è tutta un’altra storia!
scritto il
2025-09-10
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