La vecchia nonna troia
di
onilad54
genere
incesti
La giornata era splendida. Nonostante fosse ormai fine ottobre, il sole continuava a scaldare con dolcezza. Le foglie dei gelsi, che adornavano il giardino, tinte di rame e oro, danzavano leggere spinte da una brezza gentile, ancora gradevole e intrisa di salsedine. Scivolando sul vialetto sottostante, producevano un fruscio nostalgico, come un sussurro d’autunno che raccontava storie di stagioni che cambiano.
Il rumore del mare mosso, a poche centinaia di metri, il verso caratteristico e nostalgico dei gabbiani reali, facevano da sottofondo al paese ormai deserto. Le case, silenziose e sbarrate, custodivano l’eco dell’estate appena trascorsa. I turisti se n’erano andati, e quasi tutti i negozi e i locali avevano abbassato le serrande.
Nel condominio dove vivevamo io e mio marito, a svernare eravamo rimasti solo noi e un’altra famiglia, che in quel periodo era in vacanza. Gli altri appartamenti erano vuoti, le persiane abbassate, i pianerottoli immersi in un silenzio irreale
All’improvviso, il fastidioso rombo di un motore ruppe l’armonia del momento. Dal poggiolo del primo piano, dove abitavo, mentre stendevo delle lenzuola e alcuni capi di biancheria intima, scorsi due giovani aitanti ragazzi, che a petto nudo, erano intenti a lavori di giardinaggio. Uno di loro stava maneggiando un decespugliatore che ruggiva con un rumore infernale.
Si stavano dedicando alla preparazione del giardino per l’inverno: proteggevano le piante più delicate, potavano con cura quelle che ne avevano bisogno, e lavoravano il terreno in vista delle semine floreali, che avrebbero fatto bello il giardino in primavera.
Per qualche minuto rimasi incantato dalla visione dei loro corpi scolpiti, imperlati di sudore e scintillanti sotto il sole come statue vive. Qualcosa di antico e sopito, alla vista di quei bronzi di Rice, cominciava a fremere dentro di me, come un richiamo dimenticato che tornava a pulsare.
Con un pizzico di disappunto, osservai alcune gocce d’acqua cadere dalla biancheria stesa sul terrazzo, finendo sulla schiena nuda di uno dei ragazzi. Lui si voltò di scatto, lo sguardo irritato puntato verso l’alto. Ma quando i suoi occhi incontrarono i miei, l’espressione si sciolse in un sorriso inatteso, gentile. Mi salutò con un cenno, e io gli risposi con quel sorriso che, a sessantatré anni ben portati, sapevo ancora indossare con una certa eleganza, ancora in grado di scaldare il cuore in modo discreto.
Con sorpresa, vidi i suoi occhi soffermarsi tra le mie gambe. Da lì sotto, probabilmente, si godeva una visuale niente male. Sorrisi tra me e me: l’età aveva fatto il suo corso, ma a quanto pare c’era ancora qualcosa da guardare.
La scena aveva preso una piega inaspettata, e non potei fare a meno di sentirmi lusingata, con un pizzico di malizia. Alla mia età, certi sguardi non li davo più per consueti, ma quando arrivavano, li accoglievo con la grazia di chi ha imparato a non dare niente per scontato.
Mi girai con calma e mi chinai in avanti, fingendo di raccogliere qualcosa dalla bacinella sul pavimento. Un gesto semplice, quasi distratto, ma non innocente. Sapevo bene che da li sotto si stava godendo un altro panorama invitante, visto da un’angolazione tutta nuova.
Sbirciai di sottecchi, e sorrisi compiaciuta, lo vidi ammirare la scena, con gli occhi accesi da uno sguardo che da tempo non mi capitava di ricevere.
Poi, forse rendendosi conto di essersi soffermato troppo a lungo sulle mie intimità, abbassò lo sguardo e riavviò il decespugliatore co n un gesto rapido, quasi imbarazzato. Ma prima di tornare al lavoro, mi lanciò un ultimo sguardo, accompagnato da un mezzo sorriso complice.
Rientrai in casa con un’espressione soddisfatta che mi illuminava il volto, come un piccolo sole interiore.
Mentre varcavo la porta-finestra, colsi al volo una voce maschile, giovane, sguaiata: “Ehi… hai visto che mutandine ha steso la vecchia? Cazzo, sono minuscole!” L’altro rispose, con tono più cauto: “Sì, ho visto… Ma sei sicuro che siano sue?” Il primo non esitò: “Certo che sono sue! Da sotto il poggiolo ho visto quelle che indossava… piccolissime, si vedeva tutto!” Poi si allontanarono ridacchiando, lasciando dietro di sé solo il silenzio e una scia di sfrontatezza.
Mi irrigidii per un istante a quel “la vecchia”, ma subito dopo scoppiai a ridere, divertita dalla voce sorpresa di quel giovane maialino. In fondo, se a più sessant’anni riesci ancora a far girare la testa a qualcuno, vuol dire che qualcosa di te brilla ancora. E non sono certo le mutandine. Anche se devo dire che erano veramente striminzite.
L’intimo sexy e provocante mi è sempre piaciuto, e non vedo perché dovrei smettere di indossarlo solo perché ho qualche anno in più. Vecchia, sì. Ma spenta, proprio no!
Poi, spinta dalla curiosità e da quel “si vedeva tutto”, mi piazzai davanti allo specchio del corridoio e sollevai la gonna leggera che indossavo: Certo che le mutandine di pizzo erano davvero molto essenziali. Talmente piccole da sembrare sparire infilate nella fessura della sorca rilassata dall’età.
Il pelo, ormai screziato di grigio e lasciato libero di crescere incolto, finiva per celare proprio le minuscole mutandine, invece che essere le mutandine a celare la peluria. Un paradosso curioso, pensai, mentre sorridevo tra me e me.
Mi girai e mi guardai dietro, praticamente la e mutandine non si vedevano proprio, si vedeva solo la fessura del mio culo con qualche pelo all’altezza dell’ano.
Era vero quello che aveva detto: Di fatto mi si vedeva tutto, come se non indossassi l’intimo! adesso capivo benissimo perché quel giovanotto si era fermato a guardare con tanto interesse tra le mie cosce! Probabilmente attirato proprio da quel disordine, da quella sconcezza, in cui c’era qualcosa di tremendamente sensuale e autentico.
Sentii le labbra della passera gonfiarsi di voglia, qualcosa di liquido mi scendeva lungo le cosce. I capezzoli si irrigidirono contro la stoffa del reggiseno. Fui invasa da un languore strano, da una fame che non sentivo da tanto tempo, sconcertata mi resi conto che sentivo il bisogno di un bel cazzo! Avevo voglia di godere!
Mi sfilai le mutande completamente intrise dai miei umori. Incerta me le portai al naso, rivoltandole dalla parte umida che aveva poggiato sulla sorca, l’odore penetrante, suadente, mi fece vorticare la testa, Da quanto tempo non annusavo la mia voglia!
Le mani, esitanti e non più abituate a quel gesto, sfiorarono il sesso scivoloso di eccitazione. A gambe divaricate, davanti allo specchio, lasciai che le dita si infilassero, percorrendo la fessura, che prendessero di nuovo dimestichezza con quelle sensazioni dimenticate. Mi sfiorai, indugiando sulla clitoride, tesa e viva come non accadeva da tempo.
Le gambe si fecero pesanti e malferme, scivolai in ginocchio, continui a toccarmi stordita, mentre sentivo il desiderio trasformarsi in piacere. Venni urlando un infinito orgasmo che mi squassò tutta, che mi lascò esausta e confusa. Grata a quel ragazzo che aveva scatenato tutto questo. Ma ancora non sazia, non paga.
Quel giorno mi masturbai altre due volte, neanche quando ero giovane ero così infiammata.
Riassettando casa, attesi che venisse sera e che mio marito tornasse. Lavorava come impiegato in un’impresa edile, aveva un anno più di me, ma non aveva ancora i requisiti per andare in pensione: purtroppo doveva lavorare ancora per altri tre anni.
Mentre preparavo la cena, quella smania che mi aveva tormentato tutto il giorno tornò a farsi sentire, più insistente. E così, ordii un piano.
Mi cambiai d’abito. Frugai nell’armadio alla ricerca di qualcosa che potesse risvegliare il desiderio di mio marito. Trovai un vestitino corto e leggerissimo, dimenticato da tempo in fondo al mobile, in un angolo dove tenendo l’abbigliamento dismesso, che non avevo il coraggio da buttare. Notai che scollato, non so se fosse un bene, le mie tettone non erano più così sode.
Poi aprii il cassetto della biancheria, in cerca di qualcosa di provocante. Lo sguardo si posò su un reggicalze, seminascosto sotto a calze e perizomi: un piccolo frammento di seduzione rimasto in attesa. Un fremito mi attraversò al pensiero di indossarlo di nuovo. Lo infilai con calma, accompagnandolo a un paio di vecchie calze scure in nylon, con il bordo in pizzo, ancora capaci di evocare pensieri peccaminosi.
Quando si trattò di scegliere le mutandine, un sorrisetto mi sfuggì spontaneo al pensiero di non indossarle affatto. A volte, la provocazione più sottile è proprio quella che lascia spazio all’immaginazione, gradita sorpresa per quando mi avesse infilato le mani tra le cosce, almeno speravo.
Ero curiosa di scoprire come avrebbe reagito. Ultimamente, me la vedeva solo in quei momenti di intimità forzata, quando entrava in bagno senza bussare.”Dovetti faticare ad entrare nel vestito, era almeno di due taglie più piccolo, ovviamente era molto aderente, tirava nei punti critici, evidenziando la pancetta e i cuscinetti sui fianchi. I seni quasi fuoriuscivano compressi nella scollatura.
Mi guardai allo specchio con un misto di ironia e compiacimento: forse non era perfetto, ma faceva ancora il suo effetto.
Mi truccai con un trucco forse troppo pesante.
Mi guardai di nuovo allo specchio a figura intera, nel corridoio. Sembravo una battona da strada, un troione in cerca di cazzo, ma alla fine era quello che volevo sembrare.
Quando sentii il portoncino d’ingresso aprirsi, il cuore mi fece un piccolo balzo. Corsi verso la porta, cercando di non inciampare nei tacchi troppo alti. Il mio maritino era lì, con la solita espressione stanca, la camicia sgualcita e lo sguardo basso. Sperai, con un pizzico di malizia, che non fosse troppo stanco.
Anche lui segnato dal tempo, rughe sul viso, stempiato e con la pancia, ma nonostante tutto era un uomo che aveva ancora il suo che.
Quando alzò gli occhi e mi vide, rimase per qualche attimo interdetto, mi guardò bene dalla testa ai piedi, soffermandosi sulle tette, che nella corsetta di prima, con le scarpe alte, erano quasi sgusciate fuori dalla scollatura.
Con tono sconcertato, mi chiese: “Dove stai andando conciata così?” Risi del suo sgomento, divertita: “Sciocchino, mi sono vestita così per te… cosa pensavi?” Stupito, indicò se stesso con il dito, quasi incredulo: “Per me!?” Poi aggiunse, con un misto di curiosità e provocazione: “Cosa volevi combinare? Con quel vestito sembri… una troia!.” Cercando nella mia memoria come si faceva ad essere seducente, ribattei con un sorriso civettuolo: “È proprio quello che voglio essere per te stasera… la tua troia.”
Lui rimase in silenzio per un istante, come se le mie parole avessero bisogno di sedimentare. Poi si avvicinò lentamente, lo sguardo incollato al mio corpo, come se stesse cercando di decifrare ogni centimetro di pelle esposta, ogni intenzione nascosta dietro il sorriso.
“Non so se sei impazzita… o semplicemente irresistibile,” mormorò, la voce bassa, quasi rauca. Mi voltai appena, mi addossai alla parete, sollevando un piede e poggiandolo al muro, il ginocchio piegato con naturalezza. “Forse entrambe” dissi sussurrando, poi aggiunsi sensuale: “ma sai come accoglie una troia il maritino?” chiesi, giocando con il bordo della gonnellina, tirandola appena verso l’alto, lasciando intravedere la bretella del reggicalze e il bordo in pizzo della calza.
Lui fece un passo avanti, poi un altro. “Si… dimmi cosa fa una troia quando arriva il suo uomo?”
Mi avvicinai, il cuore che batteva forte ma il sorriso ancora sulle labbra. “Lo accoglie come merita. Vuoi vedere?” Non attesi risposta, mi avvicinai a mio marito ancheggiando con fare sensuale, lo guardai negli occhi, presi la sua mano con delicatezza e la guidai tra le mie gambe, sollevando lentamente la gonna, lasciando che le dita sfiorassero il pelo umido dei miei umori. Il suo respiro cambiò ritmo. Il silenzio tra noi si fece denso, carico di attesa e desiderio. Lambendomi il labbro superiore con la lingua in un chiaro invito, dissi: “Senti?… Sono pronta!” Mi guardò con uno sguardo che non vedevo da tempo, colmo di una libidine dimenticata, e con la voce roca, sussurrò: “Sei tutta bagnata…E anche senza mutande!!” Sorridendomi complice: “Che porca!”
La sua mano si fece più sicura, le dita che prima esitavano ora esploravano con desiderio crescente.
Quel tocco mi fece sussultare, sconvolta da sensazioni che avevo dimenticato, Lo presi per mano e lo trascinai sul tappeto, mi stesi con la gonna sollevata, le gambe aperte, il corpo offerto. Strappai il vestito sul petto, i seni scivolarono fuori liberi, con i capezzoli inturgiditi, resi sensibili dall’eccitazione.
Oscena come non mai, rantolai vogliosa: “Prendimi,” La voce si abbassò fino ad essere un sussurro: “Ora!… Scopami ora!”
Si spogliò con movimenti nervosi, come se ogni secondo fosse troppo.
Guardai con famelica brama il suo cazzo già in tiro, come non succedeva da tempo… Lo volevo in bocca, nella figa, negli occhi, in culo! Lo volevo dappertutto, in ogni parte di me. Ma mi contenni, anche se con difficoltà, Lasciai che fosse lui a decidere come, quando, dove.
Mi venne sopra, lo sentii caldo entrare in me. Mi sentii riempire. Lo accolsi con un sospiro di soddisfazione, quasi di sollievo. Lo allacciai con le braccia e le gambe, come a volerlo tenere spinto in profondità dentro di me. Come se quel momento potesse svanire.
Mi scopava con affondi impetuosi, mentre io, a squarciagola, urlavo il mio piacere, la mia estasi.
Gli insulti con cui mi chiamava, portavano la mia eccitazione a livelli indicibili: “Troia!… Ti piace, vero?” o ancora: “ Ti è mancato il mio cazzo!… Non è vero brutta puttana!”
Mi sbatteva cercando il proprio piacere, tenendomi stretta a sé, baciandomi con una voracità inedita, riversandomi in bocca la sua saliva, intrecciando la lingua con la mia.
Mi morse i seni, mi strizzò forte i capezzoli, io godevo di quel dolore, era come se il desiderio si nutrisse di quella brutalità, trasformandola in piacere puro.
La sua foga, l’impeto con cui mi prendeva, era travolgente.
Il suo ardore lo portò troppo presto all’orgasmo, lo avvertii fremere e gemere mentre sentivo il cazzo sussultare e spararmi nella vagina caldi fiotti di sborra.
Era meraviglioso sentirmi colmare di nuovo, dopo tanto tempo. Quelle sensazioni travolgenti, profonde, mi attraversarono come un’onda, facendomi perdere il controllo. Artigliai la sua schiena, affondai i denti nel suo petto, cercando un appiglio in quel vortice di piacere che mi stava devastando.
Restammo avvinghiati per un tempo indefinito. Quando il suo respiro si placò, cominciò a colmarmi di bacini, dolci, leggeri, sul viso, tra i capelli. In quell’istante eravamo vicini, come non lo eravamo più da tempo.
Dopo ancora un po di coccole, si alzò e uscì da me. Guardai la sua nudità e il cazzo lucido e gocciolante. Insaziabile come non lo ero mai stata, quella scena mi fece infiammare di nuovo. Vedere quel cazzo ciondolante, mi fece venire voglia di assaggiarlo, di prenderlo in bocca. Le inibizioni, che mi avevano accompagnato in passato, che mi avevano impedito di godere del sesso in tutte le sue sfaccettature erano svanite, come neve al sole, grazie agli occhi bramosi di un ragazzo.
Lui si girò per recarsi in bagno per lavarsi, lo seguii e allungai la mano a prendere la sua per tirarlo verso la camera da letto.
Mi guardò sorpreso, mentre mi seguiva. Quando, davanti al letto, mi girai con un sorriso da troia vogliosa, capì.
“Ancora… vuoi ancora?” Gli sorrisi, maliziosa e sfacciata: “Sì, adesso, per finire in bellezza, voglio farti un pompino!” Contrito, chiese: “Cristo… Ma come parli?… Da quando ti esprimi in sta maniera?!”
Gli risposi tirandolo sul letto: “Da quando sono la troia che volevi!” Mi stesi tra le sue gambe, con la faccia a pochi centimetri dal suo uccello, e aggiunsi: “Adesso stai zitto e goditi la mia bocca!”
Mi avvicinai ad annusare quel bel cazzo stanco e moscio, che contavo di far resuscitare in breve.
Odorava di maschio dopo una lunga giornata di lavoro. Di me, della mia figa e di sborra.
Una sua mano cercò di allontanarmi: “Dai… devo lavarmi” Lo bloccai, e gli intimai: “Lasciami!… Lasciami stare coglione!… Ho voglia di succhjiarti il cazzo!.. lo capisci o no!” Bonfochiò qualcosa, come a scusarsi, con tono intimorito.
Gli presi in bocca il l’uccello adagiato sulla coscia, senza aiutarmi con le mani, solo cercandolo con le labbra.
Quando lo ebbi in bocca, stuzzicai il meato sul glande, con la punta della lingua. Infilai le mani tra le gambe ad accarezzargli le palle.
Lo sentii gradire con dei gemiti, mentre il suo bacino sussultava.
Incoraggiata dal suo piacere, lo feci scivolare tutto in bocca, fino in gola. Poi lo lasciai scivolare fuori lentamente, e prima di ingoiarlo di nuovo, gli slinguai per bene il glande, scappellandolo e godendomi quegli aromi che erano rimasti celati dalla pelle fino ad allora, da tutto il giorno.
Avvertii la sua mano percorrermi la schiena fino ai glutei, esplorando con una leggera carezza la spacca tra le chiappe, mi accarezzò l’ano e si spinse tra le labbra della figa, inzaccherate di umori e della sua sborra. Mi penetrò con due dita, senza troppi riguardi, decise. Scivolando dentro con una prepotenza che fece vibrare l’aria di un suono indecente, quando lo sperma che mi farciva la sorca venne spinto fuori con forza dall’invasione profonda delle sue dita. Muggii il mio assenso, con la bocca piena dell’uccello che cominciava a dare segni i ripresa.
Suoi gemiti si fecero più intensi. Mi mise una mano sulla testa, e senza più remore, mi spinse contro la sua virilità e dettandomi il ritmo della lubrica poppata.
Le sue mani mi percorsero accarezzandomi tutta.
Con una forza che sfiorava la brutalità del desiderio, mi afferrò e mi tirò sopra di sé, rovesciandomi con la testa sul suo inguine, i nostri corpi erano intrecciati in un equilibrio rovesciato. Stavo per accoglierlo in bocca di nuovo, quando sentii la sua lingua insinuarsi tra le cosce, a leccarmela ingorda, deciso, incurante di quanto ancora fosse lorda. Il suo tocco mi incendiò, e le urla mi sfuggirono senza controllo, mentre il mio corpo veniva scosso da ondate violente di piacere.
Era da troppo tempo che non sentivo una lingua che mi leccava la bernarda, il ricordo si mescolava al presente in un vortice di estasi.
Non potei fare a meno di stupirmi del suo fare, era sempre stato schizzinoso, ritroso a leccarla se non era linda e profumata, figurarsi sozza come adesso!
Probabilmente la mia libido, aveva contagiato anche lui.
Lo sentivo mugolare, il piacere gli tremava nella voce. Il suo sesso pulsava tra le mie labbra, caldo, vivo, pronto a esplodere. L’estasi era vicina, e il suo respiro si faceva più scomposto, più urgente. Mi afferrò con forza, ansimando: “Sei una troia pompinara!… Si, cosi!… Dai che ti aborro in bocca, puttana!”
Lo sentii esplodere, caldo e pastoso: “Oh si!… Vengooo… Non fermarti!… Ciuccia!” Nonostante fosse già venuto mi riempì la bocca, non finiva più di schizzare. Per la prima volta in vita mia lo ingoiai avida, godendomi quel delizioso e denso sapore, dolce, vagamente salato.
Mi sentivo puttana fino nel mio intimo più profondo, come se ogni freno fosse stato spezzato. Mi sentivo travolta da un senso profondo di abbandono. Quel pensiero, così audace e liberatorio, si mescolava al ritmo della lingua di mio marito, che continuava a lambire con vorace fame la mia passera. Il piacere montava, incontrollabile, e non potei resistere: il mio corpo cedette, scosso da un’ondata potente, e venni per la quinta volta in quel giorno
Mi lasciai cadere ansimante, il corpo ancora teso, scosso da quell’onda che sembrava non voler finire. Lui non si fermava, come se il mio piacere lo avesse reso più sfrenato. Le sue mani mi stringevano con forza, la lingua ancora affamata, ma più dolce.
Mi lasciai cullare dal piacere che scemava, accompagnato dal tocco, divenuto gentile, della sua lingua.
Dopo esserci riposati, in un clima di complicità e di sintonia, che da molto tempo non c’era più tra noi. Luciano, mio marito si mise i pantaloni di una tuta, io mi sistemai il vestito tutto sgualcito, non riuscì ad infilare le tette nella scollatura, poco male sarei rimasta così, spettinata e viva come non mai.
Ci dirigemmo in cucina, spinti da una fame più concreta e forse anche da un bisogno di ritrovare un po di normalità. Riscaldai la cena ormai fredda, mentre lui apparecchiava.
“Potremmo mangiare per terra, tu bendata, e io che ti imbocco… come in Nove settimane e mezzo. Che ne dici?” Scoppiai a ridere divertita, assieme a lui, come da tempo non succedeva, quando mi ripresi dissi: “Credo che sarebbe scomodo e indigesto mangiare sul pavimento freddo alla nostra età… meglio limitarci a scopare sul tappeto.”
Ridemmo ancora, con quella leggerezza che solo l’intimità ritrovata sa regalare.
Mangiammo in un clima disteso e gioviale. Poi, dopo una bella doccia, ci infilammo a letto, stanchi ma felici.
I giorni seguenti continuarono con il solito tran tran, condito da un inedito sottile senso di leggerezza.
Mio marito era al lavoro, mentre io, ormai pensionata, mi dedicavo alla casa e alle piccole incombenze quotidiane. Con i nostri due figli ormai fuori casa, ci ritrovavamo finalmente soli, e questo mi regalava più tempo per me stessa.
I due giovani giardinieri continuavano il loro lavoro con costanza, e io, con una certa leggerezza, trovavo spesso il pretesto per uscire sul poggiolo: sistemavo i gerani, stendevo la biancheria, pulivo il pavimento, anche se non ce n’era davvero bisogno. Lo facevo più spesso del necessario e rigorosamente con la gonna, e le mutandine più piccole che avevo, e naturalmente un’aria distratta e disattenta.
Era un gioco sottile, fatto di sguardi fugaci, e qualche sorriso malizioso. Nulla di esplicito, anche se Lui sapeva che uscivo sul poggiolo per farmi guardare, e io sapevo che lui mi osservava, fingendo di concentrarsi sul lavoro.
Quando scendevo per fare la spesa, spesso mi fermavo a scambiare qualche battuta con lui. Le parole erano sempre cariche di doppi sensi, come se tra le righe si nascondesse un altro linguaggio, più intimo, più audace.
Un giorno mi sedetti su una panchina con il pretesto di sferruzzare, ma in realtà era solo una scusa per stuzzicarlo un po’. Lavorava poco lontano da me, e io mi godevo quel gioco silenzioso. Indossavo una gonna ampia e leggera, che il vento si divertiva a sollevare. Io, come san fare le donne, con finta distrazione, la trattenevo solo quando quello che non si sarebbe dovuto vedere era stato chiaramente visto, allora lo guardavo maliziosa e gli sorridevo. Lui non si faceva problemi a darsi qualche strizzatina al cazzo palesemente in tiro, incurante del fatto che io lo guardassi.
Quando mi alzai per rientrare in casa, lo sentii chiamarmi: “Violetta, guarda che hai la gonna sporca dietro… vieni qua, te la pulisco io.” Non ci voleva molto a capire che era solo un pretesto per toccarmi.
Gli sorrisi, falsa come Giuda, e risposi con tono zuccheroso: “Grazie, Claudio… che gentile. È una fortuna che ci siano ancora ragazzi carini come te.”
Naturalmente, più che una pulizia, fu una carezza insistente. Le sue mani si muovevano con confidenza sul mio culo, e per un attimo, con un gesto rapido, che sembrò accidentale, sollevò la gonna e infilò la mano tra le cosce. Poi, con finta sorpresa, si scusò: “Scusa Violetta, sono scivolato.”
Io, indulgente e sempre più falsa, gli risposi con un sorriso: “Ma figurati, caro… non credo proprio che tu ci stia provando con una vecchia come me.
In realtà, quel tocco, durato un attimo più del dovuto, aveva avuto qualcosa di piacevole. Un gesto sfacciato, così sfrontato da intrigarmi, da farmi gonfiare il sesso di desiderio.
Lui sorridendomi, affermò: “Vecchia?… Ma cosa dici!… Anzi sei proprio una bella donna!” Risi divertita, poi risposi guardandolo maliziosa, agitando il dito: “Tu sei un giovane briccone adulatore.” Lui serio, fingendosi quasi offeso: “Ma no!… Ti assicuro, magai ci fossero tante vecchiette fighe e arrappanti come te!”
Quel maialino sapeva come fare breccia su di una signora.
Lusingata, gli sorrisi con complicità: “Sei molto gentile… perché non vieni a trovarmi una mattina? Dai, vieni… al mattino sono sola.”
Il messaggio era chiaro: in pratica gli avevo detto “se vieni, te la dò.” E lui lo capì benissimo. Mi sorrise e, con fare malizioso, rispose: “Grazie… puoi starne certa che ci vengo.”
Poi, con l’aria da cucciolo, mi chiese: “Me lo daresti un bacino prima che torno al lavoro?”
Sorrisi divertita: “Volentieri!”
Si avvicinò con passo deciso. Io gli porsi la guancia, ma lui, con un gesto improvviso, mi baciò sulle labbra. Sentii la sua lingua sfiorarmi appena, e istintivamente le mie labbra si dischiusero, ma il momento era già svanito. Scoppiai a ridere, sorpresa dalla sua audacia. I miei occhi scivolarono verso il rigonfiamento evidente nei suoi pantaloni, segno inequivocabile del desiderio che lo attraversava, lasciai che il mio sguardo si soffermasse a sufficienza per fargli capire che me ne ero accorta. Sorridendo divertita, mormorai: «Sei proprio un furbetto…»
Lui si allontanò con un sorriso compiaciuto, si girò un attimo, cercando il mio sguardo, si portò le dita con cui mi aveva toccato al naso e mi sorrise, ricambiato da me.
Mi voltai, ancora col sorriso sulle labbra, rallegrata dal pensiero di quell’intrigante appuntamento. Intanto sentivo le mutandine umide di desiderio, segno che quel gioco mi aveva colpita più di quanto volessi ammettere.
Nei giorni seguenti, la mia voglia di sesso sembrava non placarsi, ero perennemente bagnata.
Mio marito, confuso dalla mia improvvisa fame di cazzo, non riusciva a spiegarsi quel cambiamento. Per fortuna, ignorava quante volte, durante la giornata, mi lasciavo andare a fantasie ardenti, masturbandomi in solitudine, aiutandomi anche con oggetti comuni che diventavano strumenti di piacere.
Quando Luciano rientrava dal lavoro, a volte non aspettavo nemmeno che si togliesse la giacca. Mi inginocchiavo davanti a lui, guidata dal desiderio impellente, di succhiarlo. Di nutrirmi del suo piacere. Di sentirlo esplodere in gola, gustarne il sapore. Spesso l’odore del cazzo, dopo una lunga giornata di lavoro, era forte. Il sentore di urina era ben distinguibile.
Se fosse stato qualche tempo prima non mi sarei mai sognata di fare una cosa del genere. Adesso quando gli abbassavo i pantaloni, prima di sfilargli le mutande, mi strofinavo la faccia contro il bozzo per carpire quegli aromi di sudore e l’afrore di urina rappresa sull’intimo. Odori crudi e autentici, che mi accendevano come nulla al mondo.
Mi rendevo conto che qualcosa in me stava cambiando. Mi dominava una fame nuova, travolgente. Scatenata da un ragazzino. Eppure, non riuscivo, e forse non volevo, fermarmi.
Una mattina, ancora avvolta nell’accappatoio dopo la doccia, stavo facendo colazione quando sentii una voce chiamarmi. La riconobbi subito: era Claudio. Prima di uscire sul poggiolo per capire cosa volesse, slacciai leggermente la cintura dell’indumento da bagno, lasciando che si aprisse quel tanto da far intuire che sotto non indossavo nulla. Mi bagnai solo al pensiero di fargli tirare l’uccello mostrandomi nuda con tanta noncuranza. Anche se ormai era ben chiaro quello che volevamo tutti e due!
Mi avvicinai al parapetto e gli chiesi, con calma, cosa desiderasse.
Claudio alzò lo sguardo. Quando notò con quanta disinvoltura tenevo l’accappatoio semiaperto, il suo sorriso si fece incerto, trasformandosi per un attimo in un’espressione sconcertata, ma si riprese subito. Fece qualche passo avanti, finché si trovò quasi in verticale sotto di me sul poggiolo, guardando in alto.
Io lo osservai divertita, inclinando appena il capo, mentre lui, con tono impudente e occhi brillanti, disse: “Ecco, da qua si vede meglio!” E certo che vedeva meglio! Da lì poteva godere appieno del panorama: Sorridendo, continuava a spostare lo sguardo dal mio viso alle mie cosce dischiuse, come se cercasse di cogliere ogni sfumatura del mio piacere. Sedotta dalla fame che leggevo nei suoi occhi, lasciai che la cintura dell’accappatoio si allentasse ulteriormente. Adesso anche il mio generoso seno era completamente esposto, avvertii l’aria fresca sui capezzoli, che si irrigidirono all’istante.
Dal basso, Claudio sollevò appena il mento, come per avvicinarsi con lo sguardo, e il suo sorriso si fece più marcato. La luce del tramonto gli accarezzava il volto, ma nei suoi occhi c’era un’ombra più calda, più viva.
“Sai che da qui si vede tutto?” disse, con quella voce roca che sembrava salire insieme all’aria tiepida della sera.
Appoggiai le mani alla ringhiera, inclinando appena il busto in avanti, offrendomi meglio. Il metallo era fresco sotto le dita, ma il mio corpo bruciava.
“Allora guarda bene.”
Sentii il suo sguardo scivolare su di me, lento, attento, come una carezza invisibile. Il silenzio si fece denso, rotto solo dal respiro che si faceva più profondo.
In quella posizione, la mia passera era completamente esposta: pelosa, con la fessura dischiusa dall’eccitazione, le labbra scure e sporgenti, gonfie e umide di desiderio. Le tette, rilassate dall’età, pallide come porcellana, sormontato da due aureole Larghe e scure, si sollevava appena a ogni respiro, offerto come un dono silenzioso.
Claudio non disse nulla, ma il suo sguardo parlava. Lo sentivo addosso, penetrante, come se mi stesse già toccando.
Il suo respiro era profondo, leggermente irregolare, come se stesse trattenendo qualcosa. Mi sembrava di percepire il tremito delle sue dita, la tensione nei suoi muscoli, il desiderio che lo attraversava. La sua presenza, a qualche metro sotto di me, mentre mi esibivo discinta ai suoi occhi, mi scatenava un languore che mi avvolgeva tutta, come una corrente calda sotto pelle.
Mi inarcai appena, come se mi stessi stiracchiando, cercando di offrirgli di più. Il calore tra le gambe pulsava, e ogni secondo sembrava allungarsi, carico di tensione.
“Ti piace?” sussurrai, sorridendo maliziosa.
Mi guardò con la stessa brama di cui un assetato anela l’acqua.
“Mi fai impazzire!” disse piano, e la sua voce era già un tocco.
Poi accennò un sorriso, trattenendo lo sguardo ancora per un istante. Con tono leggero aggiunse: “Ti ho chiamato perché domani hanno messo pioggia, e noi non possiamo lavorare con il meteo avverso. Quindi, per quel caffè… si potrebbe fare domani mattina, se per te va bene.”
Lo sguardo che gli rivolsi subito dopo voleva essere un chiaro invito. “Se vieni su,” dissi, con una pausa carica di intenzione, umettandomi le labbra con la lingua, “te lo faccio anche adesso un bel… caffè.”
Claudio sorrise, cogliendo perfettamente il senso di quella sospensione. Poi, con voce corrucciata ma lo sguardo ancora acceso, disse: “Non posso. Oggi c’è il mio capo e non posso assentarmi… ma da quello che ho visto, è meglio così. Per tutto quel ben di Dio ci vuole un giorno intero.”
Scoppiai a ridere, sorpresa e lusingata dalla sua audacia. Il suo modo di dire le cose era diretto, ma con quel tocco di ironia che mi divertiva e mi stuzzicava.
Mi salutò con un bacio soffiato sulla mano e si voltò per andarsene. Ma dopo pochi passi si fermò, ci ripensò e tornò a girarsi. “Ah… scusa, c’è ancora una cosa,” disse, esitando un attimo prima di continuare.
Per un istante mi attraversò il dubbio che volesse fare marcia indietro. Invece aggiunse, con un mezzo sorriso: “Ci sarebbe anche il mio collega che vorrebbe un caffè… pensi che possa venire?”
Risi, sollevata e divertita. “Ma certo!” risposi. Poi, con un guizzo malizioso negli occhi, aggiunsi: “Più siamo… e più il caffè è buono.”
Rientrai mentre lui tornava alle sue faccende.
Il giorno seguente prometteva scintille.
Il mattino mi alzai verso le sette, poco dopo che Luciano era uscito per andare al lavoro. Un fremito di anticipazione mi percorreva la pelle. L’idea di ritrovarmi, nel giro di poche ore, a farmi sbattere da due giovani torelli, che avevano meno della metà dei miei anni, l’età appena superiore a quella di mio nipote, mi accendeva i sensi.
Riflettei che da morigerata signora, sessualmente repressa, mi stavo trasformando in una ninfomane assetata di sesso.
I capezzoli, a quel pensiero, si erano inturgiditi, diventando sensibili a ogni sfioramento contro il tessuto leggero della sottoveste. Un calore crescente si irradiava dall’inguine, accompagnato da un formicolio sottile che sembrava partire dalla clitoride, vibrante e viva, per poi diffondersi nell’intimo. Ogni pensiero si trasformava in desiderio, e quel desiderio alimentava una voglia crescente, impellente.
Non riuscii a resistere. Il bisogno mi aveva travolta con una forza tale da non lasciarmi scampo. Cercai sollievo, mi concessi piacere, nel tentativo di placare, almeno in parte, quella frenesia che mi aveva presa. Mi appoggiai allo spigolo del tavolo in cucina, lasciai che le gambe si aprissero lentamente, cercando il contatto. Mi strofinai contro il legno, la passera già umida, mentre succhiavo i seni, mugolando di piacere. La clitoride, torturata contro la durezza del bordo, pulsava. Venni, urlando il mio abbandono, senza preoccuparmi se qualcuno potesse sentire.
Stavo per andare in bagno a lavarmi, dopo essermi ripresa. Poi ci ripensai. Ero certa che quei due porci avrebbero gradito trovare la mia sorca saporita, imbrattata dal mio precedente orgasmo. Mi passai una mano tra le cosce, raccogliendo il nettare caldo che colava lento dal pelo, e lo asciugai con un gesto voluttuoso, quasi cerimoniale. Poi, con naturalezza, portai le dita al viso e ne annusai l’aroma: intenso, dolce e soave, adulterato da un certo sentore di piscio che ero sicura sarebbe stato apprezzato. Chiusi gli occhi per un istante. L’insieme di quegli effluvi mi avvolse, e sapevo che quel profumo di femmina avrebbe stuzzicato i loro sensi quanto i miei.
Sostituii la sottoveste con una vestaglietta chiusa in vita da un solo laccio, senza niente sotto. Rivelava più di quanto celava.
Preparai il caffè, lo sorbii con calma, poi mi sedetti a fumare una sigaretta mentre aspettavo.
Verso le nove, il suono del campanello annunciò il loro arrivo. Aprii la porta e li invitai ad entrare. Si scambiarono uno sguardo complice, sorridendo mentre osservavano con evidente apprezzamento il mio abbigliamento. Giulio, il collega di Claudio, mi porse un mazzo di fiori con un gesto galante, accompagnandolo con parole che mi fecero arrossire: “Per una bellissima e avvenente signora.” Quella gentilezza mi sciolse. Mi avvicinai e lo ringraziai con un bacio casto sulla guancia, sentendo il calore della sua pelle sotto le mie labbra. Misi la moka sul fuoco e, nell’attesa che borbottasse il suo caffè, ci sedemmo con calma, in un’atmosfera conviviale, ma carica di sottintesi. Sapevamo tutti quello che sarebbe successo ma quel teatrino era d’obbligo prima che tutto accadesse. Intanto che parlavamo seduti, lasciai che i lembi della vestaglia scivolassero ai lati. I loro occhi non si perdevano una mia mossa, il triangolino del pelo era ben visibile sotto alla piega della pancetta, l’odore della passera, dolce e intenso mi giungeva forte alle narici. Poco dopo, il familiare borbottio del caffè mi avvertì che era ora di alzarmi. Lo feci con calma, allargando le gambe in modo deciso, senza lasciare spazio a fraintendimenti. Il gesto era chiaro, inequivocabile. Sorridendo, chiesi: “Allora… vi piace ciò per cui siete venuti?” Non risposero subito. Claudio, che già conosceva bene ciò che stava vedendo, mi rivolse un sorriso complice, visibilmente intrigato dalla mia spudoratezza. Giulio, con gli occhi accesi dal desiderio, in un sussurro, con garbo: “Direi che è impossibile non apprezzare” disse. Mentre versavo il caffè, lasciai che l’indumento si aprisse del tutto, lentamente, con naturalezza. Il vapore della moka si mescolava all’atmosfera già carica di tensione. Quando posai la caffettiera sul tavolo, Claudio mi cinse la vita con decisione e mi attirò a sé, facendomi accomodare sulle sue ginocchia. Mi abbandonai al gesto con un piccolo gridolino divertito, seguito da una risatina civettuola. La sua mano, sicura e curiosa, scivolò tra le mie cosce a palparmi la bernarda, trovandomi già pronta, intrisa di desiderio. Mi voltai verso di lui, gli lanciai un sorriso malizioso e sussurrai: “Porco…” prima di baciarlo con foga, la lingua che cercava la sua con impeto. Quando smettemmo di baciarci, il tempo sembrò sospeso. Mi accorsi dello sguardo di Luciano, fisso su di me, carico di desiderio e curiosità. Ero ancora seduta sulle ginocchia di Claudio, leggermente scivolata in avanti, le gambe divaricate con naturalezza, mentre lasciavo che mi infilasse le dita nella figa.
Sicuramente mi stava giudicando. Pensava che fossi una gran puttana, una vecchia troia in calore. Sorrisi: dopotutto era esattamente ciò che volevo apparire.
Mi alzai in piedi, mi misi davanti a lui con le gambe larghe, le mani sui fianchi, in offerta.
Era un invito, una dichiarazione silenziosa della mia disponibilità. dissi: “Tocca pure se vuoi… Senti come sono eccitata!” sussurrai, la voce bassa e vibrante. Poi mi chinai su di lui e lo baciai con trasporto, la mia bocca che cercava la sua con impeto, mentre la sua mano si allungò tra le cosce a frugarmi tra il pelo, trovandomi già bagnata e pronta.
Approfittando della mia posizione piegata, Claudio mi sollevò la vestaglia per palpare il culo, stuzzicandomi l’ano con un dito. Per la prima volta nella mia vita mi sentii violare il buco del culo da un dito che mi penetrava. Dopo il primo momento di fastidio, mi attraversò un brivido, un misto di sorpresa e piacere, mentre il mio corpo si abbandonava a quella nuova sensazione. Un pensiero fugace mi attraversò la mente: Non mi ero lavata, non mi ero preparata per quello, ma poi pensai che in fondo non era così importante. Anzi questo mi faceva sentire ancora più porca, più puttana. Lasciai le labbra di Giulio, mentre la vestaglia scivolava a terra, lasciandomi nuda. Mi inginocchiai davanti a lui seduto, gli slacciai la cintura e gli aprii la patta, liberando il l’uccello in erezione: Una bella verga devo dire, di notevoli dimensioni, che solo a tenerlo in mano, sentirlo così grosso, mi illanguidiva. Abbassai la testa sul cazzo già scappellato, lo annusai con trasporto, mi abbandonai al suo intenso odore, prima di lambire il glande con la lingua per assaggiare la sua voglia, gustandone il sapore dolce e denso. Le mani di Claudio, da dietro, mi impastarono le tette abbondanti, strizzandomi i capezzoli. Causandomi delle intense sferzate di piacere. la sua mano si insinuò tra le mie gambe a palparmi la sorca, trovandomi pronta, zuppa di desiderio. Mi sussurrò sull’orecchio: “Certo che sei una bella troietta… Avevi invitato me per il caffè…Dovrei essere io il primo a gustarmelo!” Scoppiai a ridere, divertita dal suo tono vagamente geloso, addolcito da una leggera nota giocosa. Mi voltai verso di lui, con il sorriso divertito ancora sulle labbra. Con voce morbida, appena velata da una nota di ironica: “Poverino, lui!” Poi mi protesi ad infilargli la lingua in bocca, in un passionale bacio di consolazione, lui non si scompose per l’intenso odore di cazzo del suo amico, che aleggiava sulle mie labbra.
Mi alzai lentamente, il corpo ancora caldo di desiderio, e mi incamminai, nuda, verso la camera senza voltarmi, seguita dai due cagnolini, attratti dalla scia del mio odore di femmina in calore.
Mentre il caffè, ormai dimenticato, si freddava sul tavolo. Ma in fondo, come già detto, non era per quello che erano venuti.
Mi stesi a gambe aperte sul letto, li guardai con un sorriso appena accennato, gli occhi colmi di sfida e promessa. “Chi è il primo?” chiesi, con voce bassa e ferma. Mi guardarono spiazzati, con gli occhi carichi di desiderio, che sprizzavano di libidine. La mia immagine riflessa nello specchio dell’armadio mi restituì la figura di una signora matura, dal corpo pingue e segnato dal tempo. Le tette generose, solcate da smagliature, erano adagiate con naturalezza ai lati del petto, rilassate e morbide. Nel punto in cui le mie coscione, belle piene e tenute aperte, si congiungevano, ben evidente sulla pelle chiara, sotto la pancia, spiccava un folto cespuglio di pelo incolto, che non riusciva a nascondere le sporgenti labbra grinzose e scure della sorca visibilmente laida. Nel mezzo, un rivolo traslucido di umori lattiginosi rivelava il mio stato di eccitazione.
Si trattava di uno spettacolo indecente. Mi rendevo conto che la mia era un’immagine imperfetta, segnata dalla vita vissuta, ma ancora capace di stimolare desideri primitivi. Ero la genuina incarnazione di una sensualità oscena e sfacciata. Mi sentivo una vecchia puttana, carica di ruvida lascivia, che in quel momento stava mandando fuori di testa quei due giovani uomini, poco più che adolescenti.
Rinnovai il mio invito: “Ehi!… Forza ragazzi… Guardate quanta abbondanza! Quand’è che vi ricapita? Sono tutta vostra, approfittatene!”
Non servì ripeterlo. Giulio si spogliò in un battibaleno e, incoraggiato dalla mia postura e stuzzicato dalla consapevolezza di trovarsi davanti a una donna che non temeva di mostrarsi per ciò che era, si mosse per primo. Si fiondò tra le mie cosce, immergendo la faccia per annusare avido quei miasmi seducenti che impregnavano il pelo: odori intensi di pisciate notturne asciugate frettolosamente e quel fantastico afrore di sudore che emana solo la sorca, un odore intenso, pungente, maturo.
La mia peluria, umida e disordinata, raccontava una storia di incuria consapevole, di una trasandatezza che non chiedeva scuse. Era il segno di una femminilità vissuta senza filtri, di una donna che, con l’età, aveva acquisito la libertà dalle convenzioni e non temeva di mostrarsi autentica, anche nei dettagli più crudi.
Quel mix lo fece impazzire. Spinto dal desiderio, si dedicò alla parte più sensibile della passera, affondando la lingua con fame, attirato dai sapori intensi e dai resti di precedenti orgasmi. Mi stava ripulendo, leccando ogni residuo di godimento che colava ancora dalla mia figa. Lo sentii mugolare, perso nella lussuria di quel gesto.
Mi inarcai verso l’alto, gli occhi chiusi, godendo del suo desiderio di me e del piacere che mi dava la sua giovane lingua.
Un forte odore di glande scappellato, di sborrate rapprese, mi fece riaprire gli occhi. Misi a fuoco l’uccello di Claudio, a pochi centimetri dal viso. Il glande era lucido, imperlato da una goccia di presperma che scivolò lenta e mi colpì il labbro, lasciandosi dietro un sottile filo argenteo.
La sua voce, roca e vibrante per l’eccitazione, mi raggiunse come un comando sussurrato tra i denti: “Prendilo… è tutto per te.”
Lo guardai in volto, sorridendo maliziosa. Con un movimento sensuale della lingua intercettai quella dolce goccia di succo di cazzo sul labbro e la leccai, golosa. Poi mi protesi a lambire quel prepuzio rosso, lucido e intriso del suo odore. Mmmm… come mi piaceva quel sapore, quella carne turgida e morbida allo stesso tempo.
Ingoiai avida la verga di Claudio, mentre oscillavo il bacino, stimolata dalla lingua di Giulio che continuava, con bramosa ingordigia, a leccarmi la bernarda. Evidentemente era un estimatore, per nulla turbato da quegli umori che avevo scelto di non cancellare prima del loro arrivo.
Il primo orgasmo mi travolse poco dopo, mentre la lingua di Giulio continuava a esplorarmi senza tregua.
Inarcai la schiena, gemetti, producendo suoni strozzati e umidi, con la bocca piena del cazzo di Claudio.
Il secondo quando Claudio, gemendo e insultandomi, mi riversò in bocca una copiosa e calda sborrata, che ingoiai piano per assaporarla appieno.
Mentre finivo di ripulire il cazzo con doviziosa lussuria, sentii Giulio scivolare sopra di me, soffermarsi a succhiarmi avido i capezzoli, prima di impalarmi con il suo notevole uccello. Quando mi sentii riempire, lo avvolsi con le gambe, assecondando ogni spinta con un abbandono totale.
Accompagnavo le sue spinte con dei gemiti e le assecondavo con movimenti del bacino.
Mi cercò le labbra per un focoso lingua in bocca e non si fece intimorire ne dai residui di sperma nella mia bocca, ne di doverla condividere con il cazzo del suo amico, che ancora stavo succhiando.
Praticamente ci baciammo limonandoci con la verga di Claudio tra di noi, tra le nostre labbra.
Ci baciavamo con trasporto, le nostre labbra si sfioravano, si rincorrevano, attorno quel scivoloso e succoso membro, con reciproco piacere.
Immaginai che non fosse la prima volta che quei porci si scopavano una troia come me assieme.
Persi il senso del tempo.
Ero lì, abbandonata, le gambe spalancate, il corpo completamente offerto. Sentivo ogni suo movimento come un’onda che mi travolgeva, senza riserve, senza esitazioni. In quel momento non ero altro che uno strumento di piacere, una svuota coglioni per quel giovane toro che mi montava. Questa consapevolezza mi faceva impazzire.
Mi inarcavo sotto di lui, scossa dal suo impeto giovane e ardente. Il suo sudore colava sul mio corpo, caldo e salato e io lo accoglievo con la lingua, assaporando ogni goccia di quelle virili secrezioni.
Giulio emise un gemito sorpreso. Avvertii un cambiamento nel peso sopra di me, nel ritmo dei suoi affondi: più rapidi, più profondi, accompagnati da gemiti sempre più intensi. Giulio si lamentava, la voce rotta dal piacere: “Fai più piano…” poi in tono godereccio: “ Aaah… Continua, spingi!… Oooh, si!… Così!”
Cazzo!… Quel maiale di Claudio lo stava inculando! Aveva pensato bene di usare, senza pietà, l’unico buco rimasto libero. Con evidente piacere da parte di Giulio che era spezzato tra il piacere che dava e quello che riceveva..
Quella nuova situazione, lo fece capitolare in beve: Il piacere lo travolse come un’onda improvvisa. Preso mentre prendeva, il suo corpo si tese in un fremito profondo, e dopo un gemito roco lo sentii farcirmi la figa di sborra. Sentii il calore invadermi, pulsante, vivo, mentre il suo respiro si spezzava contro di me.
Giulio tremava, stretto tra il mio ventre e l’assalto di Claudio, in un intreccio di corpi e desideri che sembrava non voler finire. I suoi occhi, socchiusi, cercavano i miei, e in quello sguardo c’era tutto: sorpresa, piacere, abbandono.
Lui si era rilassato sopra il mio corpo, fermo e inerme. Ma la forza con cui Claudio lo inculava, i suoi poderosi assalti, che si ripercuotevano su di me e mi fecero raggiungere in breve un devastante orgasmo, come raramente mi era mai successo, proprio nel momento che lo sentivo godere nel culo di Giulio.
Sgusciai fuori da quei corpi ansimanti, mezzo soffocata, con le ossa doloranti per il loro peso, ma appagata come poche volte era successo, Cazzo!!… Che scopata!!
Distesa sul letto, ancora avvolta dal languore, fui catturata dallo spettacolo intrigante che si stava rivelando davanti ai miei occhi.” Dal buco del culo di Giulio, steso su un fianco davanti a me, stava scivolando fuori lo sperma del suo sodomizzatore che lo aveva riempito, il colore rivelava che si era mescolato a residui fecali, e proprio questo mi intrigava ancora di più. Mi avvicinai, infilai la lingua tra le sue chiappe, lui mi fece posto spostando una gamba. Piano, con calma, senza remore, lappai quella cremosa sostanza tremendamente oscena e odorosa. Ingoiai avida, scomposi quei sapori indecenti e li gustai come fossero nettare, il sapore amaro non mi turbò. Si trattava di un impulso istintivo, quasi animalesco, eppure carico di una sensualità viscerale, di una lussuria che mi travolgeva.
Mentre finivo di pulire bramosa quel culo laido. Lui, con intenzione, alzò la gamba piegandola su un lato, mi ritrovai faccia a faccia con Claudio che gli stava succhiando il cazzo, ormai moscio, ci sorridemmo sorpresi. Udimmo Giulio ridere del nostro sgomento. Io e Claudio avvicinammo le nostre bocche e ci baciammo, scambiandoci i sapori più intimi del nostro comune amante.
Ci ricomponemmo, mi chiesero se potevano approfittare del bagno per togliersi di dosso quei lezzi, naturalmente acconsentii. Li seguii in bagno, dove mi liberai di una impellente pisciata, in piedi, a gambe larghe, sul piatto doccia. Mentre loro mi guardavano estasiati. Guido, prima che aprissi l’acqua e il getto lo privasse del suo desiderio, si propose di asciugarmi la figa, Si inginocchiò davanti a me, con la brama negli occhi. Il suo volto si avvicinò piano, assaporando il momento. Poi, con un sospiro che si liberava dal profondo, annusò estasiato e infilò la lingua in mezzo al mio pelo gocciolante senza altre esitazioni. “Ne vuoi ancora un pò, “ gli chiesi, lui con la faccia infilata tra le mie cosce, mugugnò qualcosa e fece un gesto di assenso con la testa. Mi sforzai di offrirgli ancora qualche goccio di quell’ambrato liquido che sembrava piacergli così tanto, incollò le labbra all’uretra attendendo, quando l’urina uscì, lo sentii mugugnare il suo gradimento, mentre ingoiava avido.
Dopo la doccia, li invitai a rimanere per il pranzo, tanto fuori pioveva che Dio la mandava.
Giulio si propose come cuoco, in frigo c’era tutto quello che gli serviva.
Intanto che lui si prodigava ai fornelli, Claudio mi fece notare che lui non mi aveva ancora scopato. Scoppiai a ridere della sua osservazione.
Senza dire nulla, mi voltai per tornare verso la camera, ma la sua voce mi fermò: “No… facciamolo qui, in cucina. In piedi.”
Gli lanciai uno sguardo provocante. “Guarda che peso…”
Lui sorrise, stringendomi con forza: “Non preoccuparti… troiona.”
Mi sollevò tra le braccia, io lo allacciai con le gambe e mi lascai cadere sul suo cazzo eretto, con un sospiro di gradimento. Mi fece appoggiare contro il muro con la schiena e iniziò a sbattermi come un pazzo: “Troia!… E’ una settimana che me la fai vedere, adesso te la faccio pagare!” Aggiunse: “Adesso ti sbatto fino a quando non mi succhio il cazzo che ti esce dalla bocca!!”
Fu di parola, mi chiavò con un impeto che non mi spaccava, sbattendomi contro il muro come una pezza, facendomi morire di piacere.
Venni due volte, prima che lui mi riempisse l’utero.
Giulio si era goduto lo spettacolo spadellando.
Provata da quella mattinata di scopate, mi sedetti a tavola, sentivo la sborra uscirmi dalla figa e colare sulla sedia, poco male, dopo avrei pulito.
Loro due, con i cazzi ciondolanti, finirono di allestire il tavolo e misero in tavola il cibo, delizioso e fumante. Che meraviglia: coccolata e adorata.
Discorremmo tranquilli e conviviali, con la stessa complicità che accomuna amici di vecchia data.
Dopo il caffè e dopo esserci ripromessi di vederci ancora, loro si accomiatarono. Ci salutammo con baci lunghi e carichi di passione e con abbracci profondi, con la scusa approfittarono per darmi qualche altra fugace palpatina.
Prima di uscire, Claudio, con la sua solita audacia, mi disse, sorridendomi furbescamente: “Guarda che noi abbiamo molti amici a cui piace il caffè” Scoppiai a ridere divertita, lo guardai sensuale e risposi civettuola: “Ma certo!… Più siamo… e più il caffè è buono.” Fuori pioveva ancora, il rumore ancestrale dell’acqua che cadeva mi piaceva, mi rilassava.
Sorrisi al all’idea di una bella orgia, ormai non avevo più limiti.
Il solo pensiero mi stava facendo gonfiare di nuovo la figa.
Passai il pomeriggio a cancellare le tracce del mio duplice tradimento, prima dell’arrivo del mio maritino.
Alla sera, quando sentii la chiave girare nella toppa, mi precipitai alla porta. Indossavo una minigonna corta e un top aderente che avevo faticato a infilare; sotto, un perizoma minuscolo, tanto che non indossarlo sarebbe stato meno provocante. Tutti abiti dismessi da tempo. Il trucco era pesante, quasi teatrale. Quando Luciano varcò la soglia e mi vide, si bloccò, colpito dalla mia mise da Battona. Aprii le braccia, agitando le mani in un gesto da palcoscenico, e dissi: “Voilà… Ecco qua la tua Puttana.” Mi prese lì, nel corridoio, senza togliermi nulla, scostando appena la sottile fettuccia tra le gambe.
Passarono alcuni giorni tranquilli, durante i quali non mi risparmiavo nel comportarmi in modo sfacciatamente provocante con i due ragazzi che stavano ultimando i lavori in giardino.
A volte erano loro, che singolarmente mi chiamavano o suonavano il campanello, chiedendomi di fargliela vedere dal poggiolo, con richieste tipo: “Dai, mostrami la figa, che oggi sono giù!” Oppure: “Dai troiona Vieni fuori senza mutande, dai che poi ti dedico una sega!” Se mi trovavano già affacciata: “Ehi… Maialona, girati e chinati, fammi vedere il culo… Porcona!”
A volte quando il tempo era sufficiente e quando il capo non c’era, salivano a turno per un veloce pompino.
Un paio di volte li accontentai con una goduriosa e intensa sveltina.
Eh sì… tutto filava liscio come l’olio. Mio marito non sospettava di niente.
Anche perché, fino a quel momento, ero stata la moglie modello, sempre fedele e presente.
E poi, ultimamente, gliela davo così spesso che probabilmente pensava fossi più che appagata.
Una mattina ricevetti una telefonata da mio figlio. Mi parlava con quel tono gentile che usava ogni volta che doveva chiedermi qualcosa. Mi domandò se potevamo ospitare nostro nipote per una settimana: la tata che solitamente si prendeva cura di lui era in ferie, rientrata nel suo paese, la Polonia.
Lui, invece, sarebbe dovuto partire per il Canada per visionare alcuni lavori legati alla multinazionale per cui lavorava. L’azienda, però, non gli permetteva di essere accompagnato da nessuno che non fosse un dipendente. Sua madre, dirigente della stessa società, si trovava in Cina per supervisionare alcune incongruenze emerse nella filiale di Hangzhou, e sarebbe rientrata solo a fine mese. Lasciare un diciassettenne irrequieto da solo a casa non era proprio il caso. Tra l’altro, in buona parte di quei giorni la scuola era chiusa per le elezioni a causa delle elezioni, un motivo in più per accoglierlo senza troppe complicazioni.
Sarebbe arrivato il sabato mattina, e sarebbe stato da noi fino al venerdì successivo.
Quando arrivò accompagnato da mio figlio, stavo giusto riordinando al cameretta che l’avrebbe ospitato.
Ovviamente, per l’occasione, mi ero vestita in modo sobrio, come era abituato a vedermi di solito.
Ci salutammo con un bacetto, mentre Lorenzo mi strinse in un abbraccio possente. I muscoli cominciavano davvero a farsi sentire! Ricambiai con gioia quelle effusioni vigorose: era un ragazzo affettuoso, non proprio diligente, ma sapeva sempre come farsi perdonare le sue marachelle.
Dopo che mio figlio se ne fu andato, mi divertii a scambiare qualche battuta spiritosa con mio nipote. Era bello ridere insieme, e la sua presenza mi riempiva di gioia. Poco dopo, lui si ritirò in camera per studiare, mentre io mi lasciai avvolgere dal solito tran tran quotidiano, trovando conforto nella routine familiare.
Non passò molto tempo che arrivò anche Luciano, e pranzammo tutti insieme. Io e mio marito eravamo sinceramente felici di avere nostro nipote con noi: portava in casa un’energia nuova, leggera e piacevole, che rendeva l’atmosfera più viva e accogliente.
Nel pomeriggio avevo in programma un po’ di shopping in centro, mentre Luciano doveva portare la nostra auto in officina. Così, dopo aver indossato una gonna al ginocchio, una camicia e una giacca adatta alla stagione, completai l’outfit con uno dei miei amati perizomi. Un dettaglio invisibile, certo, ma che mi faceva sentire perfettamente a mio agio. Era una piccola trasgressione, discreta e segreta, che apparteneva solo a me.
Accompagnata con gentilezza da mio nipote, mi recai in città con il bus.
Passai in rassegna alcune vetrine del centro, giusto per farmi un’idea sugli acquisti da fare.
Ero chinata davanti a una vetrina, intenta ad ammirare un paio di scarpe che mi piacevano, quando, nel riflesso del vetro, colsi lo sguardo attento e acceso di Lorenzo. Fissava tra le mie cosce leggermente discostate. Il maialino!… Sicuramente il mio intimo inesistente gli offriva una visuale più che generosa sulle mie intimità.
Non dissi nulla. Divertita e compiaciuta dalle sue attenzioni, lo lasciai indugiare ancora un po’ con lo sguardo, prima di rialzarmi con calma.
Del resto, quella non era la prima volta che notavo certi occhi curiosi. Già l’estate precedente, durante una gita al mare, avevo colto in Lorenzo uno sguardo che si soffermava con insistenza sulle forme femminili, mie e di sua madre. Non ne parlai con nessuno. Mi limitai a sorridere tra me e me, notando con discrezione i segni inequivocabili di una bella erezione contro la stoffa delle mutandine da bagno. In fondo, era l’età delle prime scoperte, e io osservavo tutto con un misto di tenerezza e malizia.
Ci incamminammo lungo il marciapiede, tra vetrine da esplorare e chiacchiere leggere. Ma dentro di me, qualcosa si era acceso. Lo sguardo curioso di quello sbarbatello aveva risvegliato un fremito inatteso, Anche se, a dire il vero, in quel periodo bastava poco a farmi incendiare. Infatti era sufficiente un minimo stimolo a far scatenare il desiderio.
Quello che rendeva tutto più intrigante, in quel caso, era l’evidente divario che c’era tra di noi: Io con i miei anni e la mia consapevolezza, lui, ancora acerbo, ma già attraversato da desideri che non sapeva nascondere.
Quelle adolescenziali attenzioni, mi stavano facendo bagnare, avvertivo che le mutandine strette, mi erano entrate tra la labbra della figa e mi stimolavano la clitoride ad ogni passo.
Quel gioco mi aveva fatto eccitare.
Solleticata da quelle sensazioni, decisi di farlo divertire ancora un po.
Entrammo in un negozio di abbigliamento e ci dirigemmo al reparto femminile. Scelsi una gonna leggera, piuttosto corta, con uno profondo spacco posteriore, la provai su un camerino di quelli con la chiusura a tenda. Una volta indossata, mi posizionai davanti allo specchio. Mi chinai leggermente in avanti per osservare il retro: lo spacco generoso della gonna lasciava intravedere la sottile fettuccia del perizoma che attraversava la pelle scura dell’ano, scivolando tra le cosce. Dove l’intimo, appena accennato, non riusciva nascondere quasi niente della mia pelosa passera, di cui si vedevano parte delle grandi labbra e il folto pelo che debordava con naturale sfacciataggine. Mi passai un dito tra le natiche, fremendo al pensiero di quanto avrebbe apprezzato quello spettacolo il mio giovane porcellino.
A quel punto finsi di chiamarlo per un consiglio: “Vieni Lorenzo, La nonna ha bisogno di tè.” Lui, che non ci sperava, si precipitò. Uscii dal camerino e insieme valutammo la vestibilità. “Che te ne pare?” chiesi, girandomi davanti allo specchio con finta indecisione. I suoi occhi mi divoravano. “Ti sta d’incanto, nonna.” Mi rigirai ancora, fingendo di essere incerta. “Non è un po’ corta?” Lui, furbetto: “Ma no! Cosa dici, ti sta benissimo.” “E dietro? Lo spacco non ti sembra troppo alto?” Esitò un attimo. “Be’, è un po’ profondo…” ammise, poi aggiunse proprio quello che speravo: “Prova a piegarti.” Lo feci, lentamente, piegandomi in avanti come non farei mai in una situazione normale.
Lorenzo trattenne il fiato. Lo vidi nello specchio, immobile, gli occhi fissi su di me. “Così?” chiesi, fingendo di non notare il suo sguardo. “Sì… così,” mormorò, con la voce sconvolta dallo spettacolo che aveva davanti. Mi raddrizzai con grazia, come se nulla fosse. “Allora lo prendo?… Che ne dici?” dissi, voltandomi verso di lui con un sorriso appena accennato. Lui annuì, ancora un po’ stordito. “Vuoi aiutarmi con la zip?” Non rispose. Si avvicinò esitante. Le sue dita la fecero scendere lentamente. Poi mi voltai, lo guardai negli occhi, mi sporsi appena e gli sfiorai l’angolo delle labbra con un bacio. «Grazie dei consigli, Lorenzo. Sei stato gentile.»
Lo sentii fremere.
Rientrai nel camerino, mi voltai verso di lui e dissi piano: “Chiudi, per favore.” La tenda non aveva ancora finito di scorrere quando mi abbassai la gonna, dandogli le spalle, Udii lo scorrere della tenda fermarsi e riprendere dopo un attimo di pausa, il tempo sufficiente per un’occhiatina. Finsi di non essermi accorta di niente, che tutto fosse stato casuale.
Uscii dalla cabina di prova, mentre lui mi aspettava li accanto visibilmente turbato.
Ci aggirammo ancora un po tra gli espositori del negozio, fingendo di essere interessati alla merce esposta, in realtà eravamo tutti e due eccitati, Lui rosso in faccia, continuava a tirarsi la felpa verso il basso per cercare di nascondere l’erezione che si notava evidente sul pantalone della tuta.
Io, dal canto mio, avevo una voglia pazzesca. Per un istante, l’idea di avvicinarmi a lui, di lasciarmi andare proprio lì, tra le file di vestiti appesi, mi attraversò come un brivido. Ma mi trattenni, sorridendo tra me e me, consapevole che il gioco era appena cominciato e che il piacere, a volte, sta proprio nell’attesa.
Prendemmo l’autobus alla fermata davanti al negozio. Ci sedemmo uno di fronte all’altra. I suoi occhi continuavano a scivolare sulle mie gambe, indugiando tra le cosce. Incrociai le gambe con calma, lasciando che il gesto parlasse per me. Lui sollevò lo sguardo, colto in flagrante, e i nostri occhi si incrociarono. Era imbarazzato. Gli sorrisi, dolcemente, senza che ci fosse bisogno di dire nulla.
Aveva gli occhi che sembravano quelli di un cerbiatto: grandi, limpidi, apparentemente ingenui. Ma sotto quella trasparenza si intravedeva qualcosa di diverso. Una scintilla. Una consapevolezza ancora incerta, ma già viva. Forse non era poi così ingenuo. Forse sapeva esattamente cosa stava facendo. E questo, in qualche modo, rendeva tutto ancora più elettrizzante: chi era la preda, e chi il predatore?
Quasi mi assopii, cullata dal rullio ipnotico delle ruote sull’asfalto. I pensieri si sfilacciavano, vagando tra gli echi morbosi e perversi di quel pomeriggio impudico. Per un istante mi chiesi se ciò che stavo facendo fosse giusto, se avesse un senso, se fosse saggio. Ma la verità è che non mi importava. Non in quel momento.
Luciano era già rientrato. In cucina, il profumo della cena aleggiava nell’aria come una promessa: qualcosa di caldo, saporito, confortante. Aveva già acceso il fuoco, e dal sentore che si diffondeva tra le stanze, doveva trattarsi di una vera delizia.
E per un attimo, solo un attimo, intendiamoci, mi sentii in colpa.
Mi avviai verso il bagno, cercando un momento per raccogliere i pensieri. Mentre sollevavo lentamente la gonna e abbassavo le mutandine, accovacciandomi sulla tazza, sentii la porta aprirsi piano. Luciano mi aveva seguito. “Dammi un assaggino,” disse con un sorriso appena accennato, “oggi mi sento un po’ abbandonato.” Mi voltai appena, sorpresa più dalla sua voce che dalla sua presenza. Il suo sguardo mesto e malinconico mi fece scoppiare a ridere. Mi voltai appena, sorpresa più dalla sua voce che dalla sua presenza. Il suo sguardo mesto e malinconico, mi fece scoppiare a ridere.
Divertita, mentre si sentiva il rumore dell’urina che cadeva sul fondo del water, chiesi: «E cosa vorresti?»
Mi guardò con un’espressione a metà tra il serio e il giocoso: “Lasciami toccare.” disse, con quella voce bassa che usava quando voleva essere preso sul serio. Sospirai, ma non per fastidio. Era un sospiro pieno di stanchezza e affetto, come quando si sorride a un gesto prevedibile ma sincero. “Luciano, sto facendo pipì.” “Lo so… è proprio per quello che vorrei toccare.” Scossi la testa, ancora sorridendo, mentre il getto scendeva ancora abbondante. Avevo capito quello che voleva: “Sei diventato proprio un porco!!”
Lo dissi ridendo, ma dentro di me lo pensavo davvero. Luciano non era sempre stato così. Un tempo era timido, quasi pudico, non mi avrebbe mai chiesto cose del genere.
Ma da quando mi aveva riscoperto così troia, qualcosa in lui era cambiato, era come se il mio appetito avesse risvegliato il suo.
Maliziosa, allargai le gambe sorridendo: “Tocca, dai.”
Non se lo fece ripetere, infilò la mano a coppa tra le mie cosce, a toccarmi la figa, mentre l’urina calda, che continuava a scendere, gli riempiva la mano e mi bagnava tutto il pelo e le labbra della sorca.
Si spinse fino al buco del culo, infilandomi il dito bagnato di piscio in profondità.
Quell’affondo mi fece chiudere gli occhi per un istante, mentre mi sfuggiva un sospiro di piacere, le sue labbra cercarono le mie con avidità. Mi baciò appassionatamente, giocando con la mia lingua in un intreccio caldo e urgente. Lo scostai dolcemente, con un sorriso complice, e gli ricordai: “Di là c’è Lorenzo che ci aspetta!” Gli diedi ancora un bacio, leggero, a fior di labbra. “Dai amore, continuiamo dopo… quando andiamo a letto.” Comprensivo, ritirò la mano con lentezza. La portò al viso e la annusò con un sorriso malizioso, poi si leccò le dita, visibilmente rapito da quel sapore intimo.
Luciano uscì, lasciando dietro di sé un’eco di desiderio sospeso. Io, dopo essermi asciugata con calma, mi abbassai la gonna senza raccogliere le mutandine scivolate a terra. Mi divertì il pensiero che se le avesse trovate mio nipote avrebbe saputo cosa farne.
Seguii mio marito verso la cucina, mentre sentivo ancora il suo tocco sulla pelle e avvertivo le cosce ancora umide di urina.
Trovammo Lorenzo seduto sul divano, con le gambe incrociate e lo sguardo fisso sullo schermo, mentre guardava la Smart TV che trasmetteva una sequenza infinita di video colorati, pieni di suoni e risate digitali.
Lo chiamai a mangiare. Si alzò con riluttanza, come se staccarsi da quel mondo fosse un piccolo tradimento.
Ci raggiunse a tavola, si sedette e ci guardò con l’occhio furbo di chi ha colto qualcosa. “Ma voi andate sempre in bagno assieme?” chiese, con tono sospettoso. Luciano ed io ci scambiammo uno sguardo incerto, poi sorridemmo. Luciano mi precedette: “Beh… che c’è, siamo marito e moglie, no? E poi dovevo lavarmi le mani e sono entrato mentre tua nonna era in bagno!… Che c’è di strano”Lui aggrottò le sopracciglia, non del tutto convinto, ma si lasciò distrarre dal profumo del sugo che aleggiava nell’aria.
Mangiammo tranquilli e discorsivi, io seduta di fronte a nostro nipote e mio marito al mio fianco.
La tavola era semplice, ma accogliente: il profumo del sugo si mescolava alle risate leggere e ai racconti della giornata. Lorenzo parlava a raffica, raccontando le avventure a scuola, le battute dei compagni, le stranezze dei professori.
Luciano, con un sorriso malizioso e l’aria di chi non vede l’ora di stuzzicare, gli chiese: «Allora, ce l’hai la ragazza?»
Lorenzo scoppiò a ridere. «Sapevo che me l’avresti chiesto.» Fece una breve pausa, poi fissò il nonno con uno sguardo sornione: «È da quasi un anno che stiamo insieme.»
Luciano alzò le sopracciglia, divertito: «Davvero? E… ci combini qualcosa, o siete ancora fermi ai messaggini?»
Io, da brava nonna, feci finta di scandalizzarmi: sollevai le sopracciglia e scossi la testa. «Luciano!» esclamai, cercando di sembrare severa. Ma dentro di me ridevo. E, lo ammetto, ero curiosa anch’io.
Lorenzo rise ancora, divertito: “Nonno, guarda che non è più come ai tuoi tempi, quando per vederla dovevi fare i salti mortali. A noi ce la tirano dietro!”
Luciano scoppiò a ridere, dandogli una pacca sulla spalla: “Fortunato te… Ma se vuoi davvero imparare qualcosa, devi farti aiutare da qualche bella tardona!” Poi, come se stesse pensando ai tempi di quand’era giovane, aggiunse: “Li si che impari a usare l’attrezzo!” Lorenzo mi lanciò un’occhiata complice, con un mezzo sorriso: “Ci sto lavorando nonno, ci sto lavorando.” Feci fatica a trattenere la risata che stava per scapparmi. Mi voltai verso il piatto, fingendo di concentrarmi sulla pasta, ma dentro ridevo di gusto.
A un certo punto della cena, a Lorenzo cadde la forchetta, che finì sotto al tavolo. Si chinò per raccoglierla, scomparendo per un attimo sotto la tovaglia, tra le gambe del tavolo.
Luciano commentò con la sua solita ironia: “Attento lì sotto, che magari trovi anche qualche segreto di famiglia!”
Lorenzo riemerse, scostando i lembi della tovaglia con un sorriso divertito. “Tranquillo, nonno… per ora ho trovato solo la forchetta. I segreti li cerco domani!»
Poi spostò lo sguardo su di me. Era rosso in viso, imbarazzato ma divertito. “Beh… segreti non ne ho trovati, ma è stato… interessante cercare la forchetta.”
Un brivido mi attraversò la schiena, la sua frase mi aveva fatto venire in mente che le mutande erano per terra in bagno.
E, come se non bastasse, ero rimasta seduta con le gambe scostate.
Per forza era stato “interessante”.
Luciano, per fortuna, non sembrò cogliere nulla.
Una scossa sottile mi attraversò il corpo. l’assenza delle mutande, e la mia posizione, non proprio composta, sicuramente aveva favorito la vista sulla mia passera.
Finimmo il secondo. Aprii la scatola dei pasticcini che aveva comprato, mentre tornava dal meccanico, e mentre loro iniziavano a servirsi, mi alzai per preparare il caffè.
Lo versai con cura, poi mi sedetti di nuovo per assaggiare anch’io qualche mignon. A me piacevano quelli con la crema pasticcera e la frutta.
Me ne presi uno, cercando di concentrarmi sul sapore, ma la testa era ancora lì… sotto al tavolo. Ripensavo all’occhiata di quel piccolo impertinente, che mi aveva lasciato un brivido addosso. Mi stavo eccitando di nuovo, sentivo il miele che mi bagnava il pelo e le labbra che si gonfiavano dalla voglia.
Il maialino, non contento, approfittò di un momento di distrazione di mio marito. Mi mostrò il cucchiaino del caffè che aveva in mano, mi rivolse un sorriso malizioso, vagamente beffardo, e poi lo lasciò cadere platealmente. Poi come se fosse stata una semplice disattenzione, si chinò sotto al tavolo per raccoglierlo, con una lentezza studiata.
Io, con un mezzo sorriso e un lampo negli occhi, allargai bene le gambe. Voleva guardare? Bene, lo avrei accontentato.
Luciano colse al volo l’occasione per prenderlo in giro: «Ehi… ma hai le mani di burro?» Poi, visto che Lorenzo non riemergeva, aggiunse: «L’hai trovato, o hai bisogno di una mano?»
Alla fine Lorenzo riemerse, il cucchiaino stretto tra le dita e un’espressione innocente dipinta sul volto. Ci aveva messo un po’ a uscire, e non serviva immaginare il perché: si era preso il suo tempo per osservare, per godersi la vista della mia passera bagnata.
Guardando me, rispose al nonno con tono candido: «Sì nonno, ho trovato il cucchiaino… Ho dovuto guardare bene, ma l’ho trovato.»
Io mi limitai a sorseggiare il caffè, fingendo di non notare nulla. Ma dentro ridevo. Eccome se ridevo. Cercò il mio sguardo e, approfittando di un momento in cui mio marito era distratto, mi fece l’occhiolino. Risi della sua sfrontatezza, mordendomi il labbro per non farlo in modo troppo evidente.
Quel ragazzo sapeva esattamente cosa stava facendo. E io… lo lasciavo fare, mi piaceva lasciarlo fare.
Luciano continuava a parlare, ignaro di tutto, raccontando aneddoti di gioventù con la voce piena di entusiasmo, intento a scegliere il pasticcino più ricco di cioccolato.
Io, invece, sentivo il cuore battere un po’ più forte. Lorenzo si era rimesso seduto, avvertii il suo piede nudo toccarmi il ginocchio sotto il tavolo. Non era un contatto casuale. Era una dichiarazione silenziosa. Mi voltai appena, incrociando di nuovo il suo sguardo. Mi sorrise malizioso. Io scostai le ginocchia, lenta, consapevole.
Il suo piede risalì lungo la coscia, sfiorando il pelo, stuzzicandomi l’interno della figa con l’alluce, divaricandomi le labbra rese scivolose dagli abbondanti umori, spingendosi sulla clitoride, con una delicatezza e una lentezza studiata.
Dovetti mordermi le labbra per non gemere.
Luciano continuava a parlare, ignaro, raccontando di quella volta in cui aveva dormito in macchina sotto la pioggia. Io annuivo, fingendo attenzione, mentre dentro di me, mi stavo struggendo.
Ogni fibra del mio corpo era tesa, in attesa. Il piede di Lorenzo continuava a toccarmi senza tregua.
Provai a chiudere le gambe, a interrompere quel contatto prima che diventasse troppo evidente. Ma lui non lo permise.
Lorenzo non distoglieva lo sguardo da me. Era come se mi stesse leggendo, come se sapesse esattamente dove e come toccare.
E io, pur cercando di restare composta, sentivo il volto tradirmi. Un tremito impercettibile, un respiro più profondo, uno sguardo che si perdeva. Lorenzo si nutriva di tutto questo. Del mio piacere, del mio tormento.
Mio marito, continuava a parlare e io a godere, fingendo di ascoltare.
Ogni parola che usciva dalla sua bocca si perdeva in un sottofondo ovattato, mentre il mio corpo vibrava sotto il tavolo, in silenzio.
Ormai prigioniera di quel turbinio dei sensi, spalancai le gambe, la gonna si sollevò fino all’inguine, potevo sentire l’odore della mia eccitazione che sembrava avvolgermi.
Ero pericolosamente fuori controllo.
Vidi, senza sentirlo, mio marito parlare in maniera concitata, visibilmente preoccupato, poi, come un colpo improvviso, la sua voce mi raggiunse, più forte, più tesa: “Stai bene?” chiese, visibilmente preoccupato.
Mi voltai di scatto, cercando di ricompormi, aggiustandomi la gonna: “Sì… sì, solo un po’ di capogiro.” risposi, con un sorriso forzato.
Lorenzo si era già ritratto, il suo sguardo tornato neutro.
Ancora un attimo e sarei venuta, Ma forse, dopotutto, era stato meglio così.
Non so se sarei riuscita a rimanere impassibile, a dissimulare un piacere così travolgente sotto gli occhi di mio marito. Il rischio era troppo alto.
Eppure, una parte di me lo aveva desiderato. Quella parte che non voleva più fingere, che voleva essere vista, scoperta, forse persino punita.
Lorenzo si alzò con calma, i pantaloni della tuta, aderenti, lasciavano trasparire il suo stato di eccitazione e la forma affusolata del suo cazzo si vedeva perfettamente.
I miei occhi si fermarono lì, incapaci di distogliersi, lo avrei voluto dappertutto, in tutti i miei buchi.
Mi alzai mal ferma sulle gambe. Lorenzo mi osservava con quel mezzo sorriso che non lasciava spazio a dubbi: “Nonna, hai bisogno di qualcosa?” Disse, con quella voce che sapeva essere provocazione e complicità insieme.
Oh si, che avevo bisogno di qualcosa, avrei voluto dirgli: “Del tuo cazzo, nipotino. Ho bisogno del tuo cazzo!” Invece dissi solo: “No grazie, mi basta solo un po d’aria.”
Mi diressi verso la porta del poggiolo, cercando di non barcollare. Luciano, visibilmente preoccupato, si alzò per seguirmi: “Aspetta, esci così? Prendi freddo…” disse, accennando a muoversi.
“No, stai qua,» lo fermai con un gesto gentile. «Non preoccuparti, sto già meglio. Esco solo un attimo.”
Fuori l’aria fresca mi fece bene.
Mi misi su un angolo, dove non potevano vedermi dall’interno, mi sollevai la gonna e, con le mani, mi detersi gli umori che stavano scendendo lungo le cosce. Raccolsi un po di quei segni umidi del desiderio e me le portai al naso, chiusi gli occhi estasiata da quell’insieme di aromi, che racchiudevano tutta la mia voglia, erano odore di femmina, di figa calda ed eccitata.
Mi leccai le dita una per una lentamente, assaporando il sapore della mia brama, il dolce del mio miele e quel retrogusto salmastro, pungente, del mio piscio, che mi aveva bagnato le cosce, durante i giochini di prima con mio marito.
Ormai la mia perversione, stava raggiungendo dei livelli ingestibili. Fantasticavo di scopare con mio nipote. Di farmi riempire da quel bel cazzo eccitato, di cui ne avevo appena intravisto la forma, che gli sformava la patta dei pantaloni. Mentre mi toccavo la figa, trastullandomi la clitoride con un movimento circolare, sempre più veloce e deciso. Quelle fantasie mi incendiavano, mi facevano tremare, mi spingevano oltre ogni freno.
Non volevo venire così, da sola. Mi ci volle uno sforzo per interrompere quel gesto, per smettere di toccarmi. Prima di rientrare, portai le dita al naso, indugiando un’ultima volta sul mio odore.
Dentro, mio marito aveva già sparecchiato. Con la consueta meticolosità, passava il Folletto avanti e indietro, raccogliendo le briciole della cena.
Sorrisi per l’insolita inversione dei ruoli: di solito lui faceva l’uomo, ed io la donna.
Il rumore dell’aspirapolvere gli aveva impedito di sentirmi rientrare dal terrazzo. Mi avvicinai piano e gli diedi un dolce bacio sulla guancia. Lui si girò, sorridendomi, e mi chiese: «Va meglio?» Gli risposi con un sorriso grato, colpita dalla dolcezza della sua voce: «Molto meglio, grazie.»
Poi, con un guizzo malizioso, gli misi le dita sotto al naso. «Annusa.»
Capì subito. Mi guardò, incredulo, con un mezzo sorriso che oscillava tra il rimprovero e l’eccitazione. «Ma sei una troia… Sei uscita a farti da sola, altro che stare male!»
Mi avvicinai, gli sfiorai le labbra con le dita e sussurrai: “Vieni a letto, ho una voglia pazzesca… ho bisogno di cazzo!” Mi guardò confuso, sicuramente eccitato: “Ma… I piatti… “ Poi ci ripensò, con un sorriso acceso: “A fan culo i piatti!!” Mi prese per il braccio e quasi mi trascinò in camera: “Vieni puttana!” Praticamente mi lanciò nel letto, nella caduta le gambe si aprirono. I suoi occhi si fecero di fuoco, quando notò che non indossavo le mutande. “Sei una troia!!… Cazzo e certo che a quel coglione cadevano le posate! Brutto porco!”Ringhiò, con un misto di stupore e desiderio. Aggiunse: ” E scommetto che tu non hai fatto niente per impedirgli di guardare!!” Lo guardai, fingendo sorpresa, mentre aprivo lentamente le gambe raccolte sul letto, allontanando le ginocchia con studiata innocenza. “Io? Ma certo… le ho aperte proprio così.” Poi, con uno sguardo ingenuo e provocante insieme, aggiunsi: “Cosa avrei dovuto fare? Poverino… voleva guardare. E io l’ho lasciato fare.”
Aveva gli occhi fuori dalle orbite, travolto dalla libidine. Con una furia inusuale per lui, si strappò quasi gli abiti di dosso. La voce che uscì dalla sua bocca era gutturale, irriconoscibile: “Vacca… adesso te le faccio pagare tutte!”
Scoppiai a ridere, divertita dalla sua furia. Lo provocai con un sorriso acceso: “Lo spero proprio. Puniscimi, punisci la tua troia!!”
Si gettò su di me con impeto, travolto dal desiderio., mi impalò subito, senza nessun convenevole, lo sentii duro riempirmi la passera fradicia, o accolsi allacciandogli i fianchi con le gambe.
Mentre spiega forte il cazzo all’interno della mia figa, sentii i suoi denti mordermi un capezzolo. Cazzo! Com’era bello!! Come mi sbatteva!
Gridavo il mio piacere, gioendo del fatto che le mie urla sarebbero state sentite anche da Lorenzo. Luciano, leggendomi nel pensiero, mentre continuava a fottermi, mi disse: “Ti piace che ti senta, vero troia!!”
“Ohh… SI!… “ Ansimai, con la voce rotta dal piacere: “Fammi urlare ancora, spaccami la figa, aprimi in due maiale!!”
Il suo corpo si muoveva sopra il mio con forza e precisione, ogni spinta del cazzo mi faceva inarcare verso l’alto. Le mie urla si mescolavano al ritmo dei suoi affondi, e sapevo che Lorenzo le avrebbe sentite. E in quel pensiero c’era tutta la mia sfida, tutta la mia voglia di essere vista, sentita, desiderata.
Probabilmente il giovane porco si stava facendo una sega ascoltando il mio piacere.
Una mano di mio marito si infilò tra le chiappe, e mi infilò un dito nel culo, accompagnò il gesto con delle parole che mi fecero capitolare: “Ti piacerebbe che ci fosse il suo cazzo nel culo, invece delle mie dita, vero?” Non riuscii a resistere oltre.
Un’ondata di piacere mi travolse, potente, incontrollabile. il desiderio che ci fosse li mio nipote mi faceva impazzire. Il pensiero proibito, il desiderio inconfessabile, mi fecero perdere ogni freno. E senza rendermene conto, mentre l’orgasmo mi scuoteva, mi sfuggì un sussurro rovente: “Chiamalo… digli di venire a fottermi, digli che venga a scoparsi la nonna troia!”
Quando l’estasi si dissolse, lasciandomi ansimante, una fitta di apprensione mi attraversò. Il silenzio nella stanza sembrava amplificare ogni battito del cuore, ogni respiro affannoso. Solo allora, con la mente che lentamente tornava lucida, realizzai ciò che avevo chiesto a mio marito.
Luciano, ancora con il cazzo ben duro piantato nella figa, mi guardò, sorpreso. Non disse nulla. Ma nei suoi occhi lessi qualcosa di nuovo: un lampo di desiderio, forse di complicità.
Poi, come impazzito, ritornò a muoversi sopra di me. I suoi affondi erano violenti, accompagnati da insulti: “Sei una gran troia!”, poi ancora: “Sei solo una vacca da monta!”, e ancora: “Una sporca sorca da riempire!”. Mi strizzava le tette e mi scopava con un impeto quasi selvaggio. Il mio corpo tremava ancora, scosso dall’onda dell’orgasmo che mi aveva appena travolta. Il piacere si fece troppo intenso, troppo profondo. Ma, nonostante tutto, continuavo a godere. Ogni spinta era troppo, eppure non abbastanza.
Fortunatamente, quella dolce tortura durò poco: il mio compagno di una vita era così travolto dal desiderio che non ci mise molto a riempirmi l’utero con una sborrata calda e abbondante. Poi scivolò sul mio corpo, stendendosi accanto a me. Mentre ansimava per l’eccessiva esuberanza messa nella monta, lo sentii mormorare, con voce bassa, come se fosse un complimento: “Che cazzo di vacca che sei!”
Si girò verso di me con un sorriso gentile e complice: “La mia bellissima porca.” Mi sfiorò il viso con una dolcezza che contrastava con l’impeto con cui mi aveva sbattuta. “Lo vuoi davvero?” chiese, con la voce resa roca dall’eccitazione. Incoraggiata dalla libidine che leggevo nei suoi occhi, annuii, senza vergogna: “Sì… chiamalo.” Lo guardai grave: “Voglio i vostri cazzi tutti per me stanotte.” Luciano rimase immobile per un istante, mi sorrise impercettibilmente, mi sfiorò le labbra con un bacio. Nei suoi occhi lessi solo un acceso desiderio e una nuova consapevolezza.
Non disse nulla. Si voltò e, nudo com’era, uscì dalla stanza con passo deciso.
Mi accarezzai il pelo, sporco della mia voglia e della sborra di mio marito. Mi passai il dito all’interno della fessura, raccolsi un po’ di quel miele nascosto e me lo portai alle labbra. Lo succhiai avida. Mi piaceva il sapore della mia figa. Mi estasiava.
Ultimamente, i sapori e gli odori del sesso erano divenuti la mia droga.
Riconobbi il suono di due presenze che si avvicinavano. Mi preparai ad accoglierli nel migliore dei modi: nuda sul letto, con le ginocchia raccolte, completamente scosciata, le labbra, gonfie di desiderio, dischiuse e ben in vista, i peli inzaccherati dalla sborra di Luciano che colava fuori dalla vagina. Mentre mi strizzavo le tette, guardando la porta, aspettando la loro comparsa.
Quando varcarono la soglia della camera, li vidi: erano entrambi nudi. I loro membri, già in erezione, erano tesi di desiderio.
L’osceno spettacolo, da me offerto, li fecero fermare per un attimo, esitanti davanti a tanta impudicizia, tanta lussuria!
La brama che leggevo nei loro occhi, specialmente in quelli di Lorenzo, mi fece fremere. Il suo sguardo mi penetrava più di qualsiasi cazzo: lento, profondo, affamato.
Mio marito, rivolto a lui, con la stessa voce di chi offre qualcosa a un amico, indicandomi con la mano aperta, gli disse: “Prego, è tutta tua.” Poi, sorridendo torbido, come se parlasse di una battona, puntualizzò: “Con lei puoi fare tutto.”
Il momento tanto atteso era finalmente arrivato. Avevo giocato con lui tutto il giorno, provocandolo, guidandolo, spingendolo verso quell’unico scopo. Ora, eccoci.
Lorenzo si avvicinò, le mani tese, il respiro già pesante. Mi afferrò per le cosce, le aprì ancora di più, come se volesse scavarmi dentro con lo sguardo prima ancora che con il corpo.
Luciano restava a pochi passi, il cazzo duro che pulsava, le vene gonfie, gli occhi fissi sulle mie tette che continuavo a strizzare: provocante, sporca. Mi sentivo come un altare profano, offerto al culto del piacere. Ogni secondo di attesa era una dolce agonia.
Poi, senza parole, Lorenzo affondò il viso tra le mie cosce, e tutto il resto si dissolse nel suono umido del desiderio. La sua lingua leccava avida, infischiandosene dei rimasugli di sperma che la lordavano; anzi, lo sentivo deglutire, affamato.
Mi inarcavo sotto di lui, le mani strette alle lenzuola, i gemiti mi sfuggivano dalle labbra senza controllo. Luciano si avvicinò, il cazzo teso che sfiorava la mia guancia. Lo presi in bocca con fame, con rabbia, con voglia. Sentivo il sapore salato del suo piscio e quello dolce dei suoi umori; avvertivo il battito del sangue che mi faceva pulsare in bocca quel batacchio. La sua mano mi afferrava i capelli e guidava il ritmo. La sua voce, irriconoscibile, quasi strozzata dalla libidine, mi disse: “Viola, quanto sei troia. Non vedevi l’ora di sbatterti tuo nipote… Vacca, sei una gran vacca.” Gioii dei suoi insulti. Intanto, Lorenzo non si fermava: la sua lingua ingorda era una lama che percorreva inesorabile la fenditura tra le labbra. Mi stuzzicava la clitoride con leggeri e veloci colpettini della punta, che mi facevano inarcare dal piacere. Le tette strette tra le mani, il ventre contratto, la figa che grondava piacere, e il cazzo in bocca. Mi sentivo usata, adorata, sottomessa e regina. Poi Luciano si tirò indietro, gli occhi lucidi, il respiro spezzato. “Adesso voglio vederti mentre lo cavalchi,” disse, con la voce roca. Lorenzo, che aveva sentito, si stese sul letto, il cazzo duro che mi chiamava. Mi posizionai sopra di lui, le gambe aperte, le mani sul suo petto, e mi calai lentamente, sentendolo entrare, riempirmi. Mi stavo facendo sua.
Mi muovevo sopra di lui con lentezza, sentendo ogni centimetro del suo cazzo scivolare dentro, riempirmi, allargarmi. Le mani di Lorenzo mi stringevano i fianchi, mi guidavano, mi incitavano a prenderlo tutto, a cavalcarlo come una puttana affamata.
Luciano si era seduto accanto, il cazzo ancora duro, gli occhi fissi sul mio culo che si muoveva, sulle mie tette che rimbalzavano a ogni spinta. Mi accarezzava, mi graffiava, mi sussurrava oscenità all’orecchio. Il letto scricchiolava sotto di noi, il respiro si faceva più pesante, i gemiti più sporchi.
Sentivo la sborra di Lorenzo salire, il suo cazzo pulsare dentro di me, e io mi stringevo attorno a lui, lo succhiavo con la figa, lo volevo tutto, fino all’ultima goccia. Luciano si alzò, si posizionò dietro di me, e mentre ancora cavalcavo Lorenzo, sentii il suo cazzo sfiorarmi il buco del culo, duro, pronto a entrare. Mi voltai appena, gli occhi pieni di voglia, e sussurrai: “Fallo.” Per la prima volta mi stavo facendo inculare! Lui lo sapeva che li ero vergine: spinse piano, ma inesorabile, senza fermarsi. Il dolore di quella penetrazione era lancinante, ma non quanto godevo.
Mi sentivo puttana come mai: uno nella figa e uno in culo. Sentivo i loro cazzi che si toccavano dentro di me.
Il dolore di quella penetrazione mi lacerava, ma il piacere lo sovrastava, travolgente e assoluto. Sentivo ogni centimetro di lui farsi strada, lento, deciso, mentre Lorenzo sotto di me non smetteva di spingere, affondando più a fondo, più forte. I loro corpi contro il mio, le mani che mi stringevano, le bocche che mi divoravano. Ero incastrata tra due fuochi, e ogni movimento era un’esplosione. Il mio respiro era un rantolo, la mia pelle in fiamme. Non c’era più pudore, né controllo: solo voglia, carne, e il bisogno di sentirli entrambi dentro, fino a perdermi.
Le loro spinte si facevano più sincronizzate, più affamate. Lorenzo mi afferrava i fianchi e mi tirava contro di sé, mentre Luciano, dietro di me, affondava sempre più a fondo. Ogni centimetro era una scarica di piacere e dolore che mi faceva tremare. Le mani mi percorrevano ovunque, seni, ventre, gola, e io mi sentivo aperta, esposta, adorata e posseduta. I gemiti si mescolavano, il ritmo diventava frenetico. Il letto scricchiolava sotto di noi, le pareti vibravano dei nostri suoni. In mezzo a loro, ero un corpo in fiamme, un’anima che si dissolveva nel piacere. Ogni spinta era una dichiarazione, ogni sussurro una promessa oscena. E quando vennero, quasi insieme, sentii il mio corpo esplodere. Non pensavo si potesse godere così: mi liquefacevo, mi perdevo, diventavo solo godimento.
Squassata da tanto piacere, mi lascai andare sul corpo di mio nipote, mescolando il mio sudore al suo.
Intuii che mio marito, era in procinto da scivolare fuori dal culo. Lo fermai: “No, ti prego… aspetta… ancora un po’… non uscire subito.”
Era così bello sentirmi slargata da due cazzi!
Dopo un po’, quando ci stavamo rilassando, stesi sul letto, uno accanto all’altro, Lorenzo, ansimante, mentre mi scompigliava il pelo della figa ancora umido e appiccicaticcio con le dita, mi disse: “Certo che non avrei mai pensato che tu fossi così porca.”
Scoppiai a ridere: “Beh… per dire il vero, neanch’io! Mi sono riscoperta così troia da poco, per la felicità di mio marito.”
A quel momento di spensierata ilarità si unì anche Luciano: “È vero, scopiamo di più adesso di quando ci eravamo appena fidanzati.”
Poi, rivolto a nostro nipote, aggiunse: “Hai ragione, Lorenzo: è proprio una gran maiala!”
Ridemmo tutti di gusto. Quel clima gioviale si protrasse ancora per un po’, finché la stanchezza cominciò a farsi sentire: sbadigli, occhi socchiusi, corpi rilassati.
Prima di andare a dormire, sentii il bisogno di fare pipì. Mi sollevai lentamente, scavalcando mio marito per uscire dal letto. Mentre mi avvicinavo alla porta, Lorenzo mi chiamò: “Dove vai?” Mi voltai e risposi: “Devo andare a pisciare.”
A quelle parole, quasi urlò: “No… ti prego… falla qui, in piedi.” Poi, con voce implorante, aggiunse: “Ti supplico… è un mio sogno.”
Gli sorrisi, incerta. Ci pensai solo un attimo. La sua espressione supplichevole mi convinse. “Va bene, ma poi pulisci tu.»”Sorrise: “Con piacere.”
Mi posizionai a gambe larghe, di fronte a lui. “Così va bene?” Lorenzo balzò giù dal letto. “No, aspetta… visto che poi tocca a me pulire!” Si sedette sul pavimento, il viso rivolto verso l’alto, incorniciato dalle mie cosce. La sua bocca era a un soffio dalla passera, come in adorazione.
Spinsi il bacino in avanti, piegai leggermente le ginocchia. Mi aprii la figa con le dita, divaricando le labbra. Lo guardai sorridendo. “Sei pronto?”
Assentì con un cenno. Mi fissava, gli occhi spalancati, il respiro affannoso. Sembrava rapito.
Io ero ferma, a gambe divaricate, sentivo l’aria fresca tra le cosce. Il suo volto lì sotto, era immobile, in attesa. Chiusi gli occhi. Mi concentrai.
Un primo getto caldo scese, timido. Lo sentii colpire la sua guancia, poi la fronte, infine la bocca. Lui non si mosse. Aprì solo le labbra. Il flusso aumentò. Il rumore liquido rimbalzava sulla sua pelle, lo sentivo deglutire, mentre il suo respiro si faceva più veloce. Mi scappò una risata. “Ma sei fuori.” Lui, con la voce impastata: “È stupendo.”
Si masturbava lentamente, mentre il getto si affievoliva. Protese la lingua, cercando di assaporare ogni goccia.
Quando finii, mi scossi per liberarmi dalle ultime gocce. Lui si alzò, il viso bagnato, gli occhi lucidi, che bruciavano. Mi baciò infilandomi la lingua in bocca, io ricambiai affamata: il sapore della mia piscia era forte e speziato, semplicemente divino. Quando mi staccai dalle sue saporite labbra, mi disse: “Grazie, nonna.” Gli sorrisi: “Non devi ringraziarmi. È stato un piacere.”
Poi, rivolgendomi a mio marito, lo chiamai all’ordine: «Ehi, fannullone!... Vieni ad asciugare la passera della tua mogliettina., che tuo nipote non ci ha pensato!»
I miei maschietti scoppiarono a ridere all’unisono.
Mio marito venne a inginocchiarsi davanti a me, sulla pozza di piscio sul pavimento. Nudo, con lo sguardo acceso: “Comandi, signora,” disse, con un mezzo sorriso. Gli accarezzai i pochi capelli, poi gli presi il mento tra le dita e lo sollevai verso di me: “Fai il bravo, e magari dopo ti premio.”
Lui non rispose. Infilò la faccia tra le mie cosce, la lingua tra il pelo odoroso di residui di sperma, di sudore, intriso di paglierine goccioline piscio. Lo sentii lambire le piccole labbra, leccare all’interno, e ripulirmi con lentezza, preciso, assaporando ogni goccia dell’ambrato liquido. Un brivido mi salì lungo la schiena.
Dietro di me, Lorenzo si era seduto sul letto, le gambe divaricate, il sesso ancora teso tra le dita. Se lo menava piano, rapito: «Che spettacolo,» sussurrò.
Mi voltai verso di lui, con un sorriso malizioso: “Ti piace guardare, eh?” Lui annuì piano, senza smettere di toccarsi.
Tornai a concentrarmi su mio marito, che ora mi stava leccando con più decisione. La sua lingua si muoveva famelica tra le labbra della passera, alla ricerca di altri rimasugli di piscio, di cui sembrava avido. Quelle esplorazioni scatenavano tutto il mio desiderio, trasformandolo in piacere. Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare dall’onda che cresceva lenta ma costante, come una marea.
Cazzo… stavo per venire di nuovo! Urlai il mio piacere.
Mio marito, avvertendo l’imminente esplosione, accelerò il ritmo, accompagnandomi fino in fondo alla mia estasi. Poi, quando i sussulti di piacere si fecero insopportabili, la sua lingua si fece più lieve e premurosa. Mi baciò più volte la clitoride con un affetto che non sembrava rivolto al mio sesso, ma a me.
Eppure, quell’orgasmo non bastò a placare la mia fame. Il desiderio, anziché spegnersi, sembrava essersi riacceso con più forza. Avevo ancora voglia di cazzo. Feci alzare Luciano e mi inginocchiai davanti a lui.
Il suo cazzo in tiro vibrava, quasi sfiorandomi il viso. Lo presi in mano e diressi il glande scappellato verso il naso. Odorava di sborra e intensamente di me; sulla pelle, alcune tracce scure ne svelavano l’origine. Lo presi in bocca: il sapore era amaro, crudo, intriso dei miei residui anali. Proprio quella consapevolezza, il sapere dove era stato, accendeva in me una brama feroce, quasi primitiva.Lo succhiai vorace, persa in quelle viziose elucubrazioni. Mio marito costrinse il bacino in avanti e le sue mani sui capelli, me lo spinsero fino in gola.
La passione con cui lo succhiavo lo portò in breve a riempirmi la bocca di una notevole e calda sborrata. Non ne persi neanche una goccia!
Nel frattempo nostro nipote si stava ancora masturbando, senza riuscire a venire. Feci per avvicinarmi per aiutarlo, poi ci ripensai. Mi girai verso mio marito e gli dissi: «Aiutalo.»
Lui mi guardò stranito. Credeva di aver capito male, e mi chiese: «Non ho capito… cosa vuoi?»
Risposi senza esitazioni: «Prendigli il cazzo in bocca e fallo sborrare!» Poi aggiunsi languida, guardandolo negli occhi: «Se mi ami, devi farlo.»
Lui rimase in silenzio, lo sguardo fisso su di me. Un attimo di esitazione, poi si voltò verso Lorenzo. Si avvicinò lentamente, come se ogni gesto fosse carico di significato. Lui lo guardava, il respiro affannoso, gli occhi pieni di desiderio e sorpresa.
Io li osservavo, il corpo ancora caldo, ancora con il sapore di cazzo in bocca, il cuore che batteva forte. Il silenzio era denso, elettrico. Poi, senza una parola, mio marito si chinò. Lorenzo chiuse gli occhi, lasciando andare ogni resistenza.
Luciano lo prese in mano, lo accarezzò, come a voler saggiare quelle inedite sensazioni. Poi avvicinò il volto, annusando con trasporto. Si girò verso di me: «Vuoi guardarmi mentre lo succhio?»
Risposi con gli occhi che sprizzavano desiderio: «Sì!… Dai… Prendilo in bocca.»
Mi sorrise, con uno sguardo carico di lussuria, si voltò verso Lorenzo e lo prese in bocca senza esitazioni, succhiandolo con palese ingordigia e passione, come non avrei mai creduto, lasciandomi spiazzata, ma piacevolmente colpita.
Lorenzo, gemendo di piacere, gli mise una mano sulla testa per guidarne il ritmo, sollevando il bacino e spingendosi in avanti, infilandogli il cazzo in gola fino alle palle.
Non riuscii a rimanere indifferente a quella scena. Mi portai la mano tra le cosce, accarezzandomi piano, assaporando ogni istante di quello spettacolo indecente. Mi presi una tetta, morbida e generosa, e la sollevai verso il viso. Allungai la lingua, sfiorando il capezzolo con un gesto lento e avido, mentre l’altra mano stuzzicava la mia clitoride, di nuovo gonfia e umida di nuova voglia.
Ma l’apice della libidine lo raggiunsi quando mi accorsi che il mio morigerato marito, per intensificare il piacere del nostro giovane nipote e assaporare appieno quel corpo, non solo lo stava succhiando con passione, ma gli aveva infilato un dito nel culo.
Lorenzo si contraeva e gemeva, visibilmente rapito dal piacere. Io ero di nuovo allagata, eccitata non solo dalla scena che si consumava davanti ai miei occhi, ma anche dal suono liquido e ritmico che provocavo mentre mi masturbavo senza più freni, mi lasciai scivolare in ginocchio tremante.
Udii i gemiti di nostro nipote farsi più intensi, indubbiamente un preludio all’orgasmo. Con tono di voce affannato, avvertì suo nonno: “Sto per venire nonno… guarda che ti sborro addosso!” La risposta di mio marito non si fece attendere: “Vieni… Vienimi in bocca, che ti bevo tutto!” Ma era troppo tardi. Prima che riuscisse a prenderlo in bocca di nuovo, un potente schizzo di sborra lo colpì sulle labbra e sugli occhi. Altri schizzi gli finirono sulla guancia. Riuscì comunque a ingoiarlo prima che Lorenzo finisse di venire del tutto, godendosi gli ultimi spruzzi che gli scivolavano in gola.
Continuò a ripulire il cazzo di Lorenzo, mentre lui sussultava e gemeva, ancora attraversato dalle ultime ondate dell’orgasmo.
Mentre nostro nipote giaceva inerme sul letto, Luciano si voltò verso di me. Era uno spettacolo osceno: colate di sborra, dense e gelatinose, gli scivolavano dal viso al collo, come stalattiti lubriche, lente e lucide, che sembravano scolpite dal desiderio.
Luciano rimase lì, con il viso ancora segnato da quelle tracce dense, mentre il respiro gli tremava sul petto. Mi guardava con occhi lucidi, a metà tra l’appagato e il famelico. Io, ancora inginocchiata, sentivo il cuore battere forte e la passera pulsare, come se non avesse ancora avuto abbastanza. Mi avvicinai lentamente, sfiorando con la lingua una goccia di sborra che gli era scivolata fino al mento. La raccolsi. La assaporai: “Sei ancora duro?” Gli sussurrai, mentre la mia mano tornava a cercarlo tra le gambe. Lo era. E io non avevo ancora finito.
Mio marito, instancabile ed eccitato da quello che era stato il suo primo pompino, non disse una parola. Con una sicurezza che non gli apparteneva, mi afferrò e mi lanciò sul letto, accanto al nostro amico. Mi ringhiò addosso: “Sei una troia… Ti sei divertita a vedermi succhiare il cazzo, vero?”
Poi, con la voce ridotta a poco più di un sussurro, aggiunse: “ Certo che ce l’ho duro… Ma è colpa tua se sono così eccitato. E adesso mi svuoto dentro la tua figa.”
Per la seconda volta in quella lunga notte, mi impalò con una violenza inaudita, che io accolsi con un desiderio senza misura.
Mentre lui affondava in me. Io, come una mantide religiosa, mi nutrivo della sborra che gli colava dalla faccia.
Ci mise poco, con quella foga a venire e a farmi venire.
Quando sentii lo sperma caldo riempirmi la passera, allacciai le sue reni con le gambe e lo abbracciai, per godere di ogni spruzzo, ogni schizzo del suo orgasmo, mentre sentivo il mio corpo sussultare scosso dall’estasi che stavo vivendo grazie al suo desiderio di me che si era liberato nel mio ventre.
Ci stendemmo spossati, l’uno accanto all’altro. Per un po’, le nostre mani si cercarono. Si esplorarono lente, esauste, ma ancora vive. I nostri corpi, ancora caldi, accettavano riconoscenti le nostre reciproche carezze.
Mi stavo assopendo quando avvertii la lingua di nostro nipote lambirmi la passera che stava rigurgitando lo sperma di cui era farcita. Sorrisi senza aprire gli occhi e lasciai fare grata.
Per la seconda volta in quella notte, mi stava ripulendo la figa dalla sborra di suo nonno.
Stanchi, ci stendemmo a dormire tutti stretti nel letto matrimoniale, io in mezzo a loro due, ripromettendoci di fare la doccia e le pulizie il mattino dopo.
La notte si fece presto silenziosa, densa come il desiderio che ancora aleggiava tra le lenzuola. I corpi, esausti e intrecciati, respiravano piano, come se ogni gemito avesse lasciato un’eco nel buio.
Luciano si lasciava cullare dal sonno, il viso segnato, il petto ancora caldo.
Nostro nipote dormiva profondamente, abbandonato al piacere che lo aveva travolto.
Io restavo sveglia, con la pelle ancora vibrante e la mente affollata. Non c’era più vergogna, né pudore. Solo la consapevolezza di aver varcato un confine, e di non voler tornare indietro. Ma mi sentivo serena, rilassata, come poche volte in passato.
Quella notte, quegli ultimi giorni, non erano stati solo sesso. Erano stati rivelazione. E da quel momento, nulla sarebbe più stato come prima.
Le mie mani, quasi da sole, scivolarono lente sul mio corpo nudo, che iniziava di nuovo a vibrare. Accarezzarono le tette, stuzzicarono i capezzoli di nuovo turgidi. Scesero in basso, tra le mie cosce, accarezzarono il pelo folto del pube, le dita si infilarono nella fessura, ancora umida, tra le labbra della passera, cercarono la clitoride. Mi masturbai ancora una volta, cullata dai respiri quieti dei miei amanti.
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