Storia perversa

di
genere
incesti

Il luogo era incantevole: alle nostre spalle, le dune si stagliavano morbide, punteggiate dalla tipica vegetazione costiera che fungeva da naturale cuscinetto tra il mare e una splendida pineta. I maestosi pini marittimi si innalzavano fieri, con le chiome che danzavano leggere al vento, creando un'atmosfera di quiete e bellezza selvaggia.
Nessuno stabilimento balneare interrompeva la naturale bellezza del luogo: niente file ordinate di ombrelloni, né sdraio in plastica a perdita d’occhio. Qui ci si doveva accontentare della sabbia, magari stendendo un asciugamano portato da casa, immersi in un’atmosfera semplice e autentica, lontana dalle logiche del turismo di massa.
La spiaggia non era propriamente uno di quei luoghi consacrati al naturismo, ma chi desiderava godersi il sole in modo integrale era ben tollerato.
Capitava che a volte, sul limitare della spiaggia, verso le dune, qualche guardone si segava guardando i corpi nudi degli amanti dl naturismo. Solitamente senza infastidire più di tanto.
Ero a conoscenza del fatto che all’interno della pineta, al riparo dagli sguardi indiscreti, si potevano vivere incontri decisamente trasgressivi.
Io personalmente, non mi sarei fatta problemi a rimanere completamente svestita, anzi il mio innato piacere nel mostrare a chicchessia figa e tette me lo avrebbe imposto, se non fosse stato per la presenza di mio figlio, con cui, tra l’altro, ho una grande confidenza, ma con cui da un po di tempo, a sua insaputa, con il benestare del mio consorte, ho iniziato un perverso e sottile gioco di seduzione che mi costringeva, almeno per il momento, a un comportamento più morigerato.
Il caldo era opprimente e il sole batteva impietoso, ma a me non dava fastidio. Anzi, lo accoglievo con piacere, stesa sul lettino, decisa a catturare ogni ultimo raggio prima che scivolasse dietro l’orizzonte. Augusto, invece, non la pensava allo stesso modo: si era rifugiato sotto l’ombra improvvisata di un asciugamano, teso tra due rami incrociati come una piccola tenda di fortuna. Ogni tanto mi lanciava uno sguardo accusatorio, come se il mio amore per il sole fosse una strana forma di ostinazione.
Ero girata di schiena, avevo sganciato il reggiseno per evitare l’antiestetico segno della fettuccina sulla pelle. Indossavo un perizoma che copriva appena il necessario, come dice sempre mio marito con il suo solito sarcasmo: «Le mutande col filo interdentale!»
Devo ammettere che, con quella mise, attiravo parecchi sguardi maschili, tra cui quelli di mio figlio. Fingevo di ignorarli, ma in realtà mi piaceva che mi guardassero.
Devo dire che i miei quarantadue anni li portavo bene. Ero un po’ in carne, ma non me ne facevo un problema; anzi, mi sentivo più provocante, più seducente. A mio marito il fatto che io fossi così procace lo attizzava parecchio. Mi diceva: “Hai un bel visino da santarellina in un corpo da troione!”
Il mio seno prosperoso non passava inosservato, ma il mio vero punto forte era il lato B: bello pienotto, ma tornito, con due chiappone che non lasciavano indifferenti.
Quando mi guardavo allo specchio, mi piacevo. I capelli permanentati, di un bel castano chiaro, mi cadevano folti sulle spalle. Gli occhi verde acqua, ereditati da mia madre, erano davvero notevoli. Le labbra carnose spiccavano sul mio viso sensuale. Mio marito, Carlo, con il suo solito tono scherzoso e un pizzico di malizia, diceva che erano «labbra da pompini!»
Tra l’altro, devo dire che, in quell’arte amatoriale, me la cavavo piuttosto bene. Del resto, non mi era mai successo che qualcuno si fosse mai lamentato delle mie qualità di ciuccia cazzi!
Il calore cocente sulla schiena mi distrasse dai pensieri.
Alzai lo sguardo verso Augusto, che sotto la sua fragile ombra fingeva di chattare al telefono, gli occhi fissi sullo schermo, come per ignorare ciò che lo circondava. Ma in realtà, i suoi sguardi si posavano furtivamente e con brama sulle suadenti forme delle signore sdraiate al sole, alcune delle quali del tutto nude, e soprattutto sulle mie curve, che sembravano catturare maggiormente la sua morbosa attenzione.
Fingendomi preoccupata di non ustionarmi, gli chiesi se, per cortesia, mi metteva ancora un po’ di crema solare.
Augusto, che non aspettava altro, acconsentì di buon grado. Si alzò con gentilezza, prese il flacone della crema solare, ne versò un po’ sul palmo e la riscaldò sfregando le mani tra loro. Poi si inginocchiò al mio fianco e iniziò a spalmarmi la lozione, partendo dalle spalle.
Le sue mani scivolarono lente lungo i miei fianchi, indugiando proprio dove la pelle si faceva più sensibile, all’altezza della rotondità dei seni compressi contro l’asciugamano. Sentivo il calore del suo respiro avvicinarsi, il suo desiderio che cresceva esplorando senza fretta. Io non mi opposi. Mi aprii al suo gioco, lasciando che il piacere si insinuasse, lento e profondo. Il maialino si stava divertendo, era affamato di me, si muoveva con una golosità che mi faceva sorridere e fremere insieme.
Mmmm… Era piacevole sentire le sue mani forti sul mio corpo: decise, ma al tempo stesso dolci.
Augusto, al contrario di suo fratello Marco, era più giovane ma decisamente più robusto. Il suo corpo era tonico, scolpito da anni di sport: un bel ragazzo, con una zazzera riccia che gli incorniciava il bel volto.
Mi era capitato di vederlo nudo in più di un’occasione, e ogni volta non potevo fare a meno di provare un sottile orgoglio, come se in qualche modo avessi contribuito a quel risultato. Ma non era solo fierezza. Era qualcosa di più viscerale, più torbido. Guardandolo nudo, ammirando quel bell’attrezzo che aveva tra le gambe, un fremito mi attraversava, lento e profondo, sciogliendo le mie resistenze: non che ne avessi molte veramente!
Si trattava di mio figlio, ma per quanto cercassi di ignorare quei pensieri intensi e perversi, per quanto cercassi di mentire a me stessa, la mia passera bagnata e gonfia di desiderio mi smentiva.
Lui era timido e a sedici anni raramente lo avevo visto in compagnia di una ragazza. In compenso, avevo spesso colto il suo sguardo su di me, sul mio corpo, quando pensava che non lo stessi osservando. Un’attenzione silenziosa, discreta, ma carica di una morbosità che andava ben oltre la semplice curiosità.
Io da buona esibizionista, anche se conscia che si trattava del mio bimbo, non lesinavo certo nel mostrare più di quanto avrei dovuto. Mi divertivo della sua eccitazione, gioivo del tormento che gli provocavo, quando, non vista, lo osservavo toccarsi eccitato, dopo che si era goduto scorci interesanti delle mie intimità.
Mentre mi godevo il suo massaggio, ripercorsi con la mente gli ultimi eventi.
Tutto era cominciato qualche mese prima, quando, mettendo a lavare alcune mie mutande nella lavatrice che avevamo in bagno, le avevo trovate umide di una sostanza viscosa, la cui origine era fin troppo chiara. Ne ebbi conferma avvicinandole al naso e inalando il loro odore.
Si trattava dello stesso effluvio che proveniva dagli slip usati dei miei figli, dallo stesso, anche se meno intenso, che sentivo quando entravo al mattino nella loro camera, prima di arieggiare la stanza: Era odore di sperma!
Lusingata dalle attenzioni dedicate al mio intimo, inalai rapita quella essenza di giovane maschio, di sborra adolescenziale, mescolata agli umori e ai prodotti della mia figa. Passai la lingua sulla pattina lorda delle mutandine, ad assaggiare quelle eccitanti sostanze, fui gratificata da quel voluttuoso sapore tra il dolce e il salato, che ben conoscevo, ma che mi risultava ogni volta inedito. Sentii il mio sesso gonfiarsi di desiderio alla degustazione dell’osceno cocktail, mi sbottonai il grembiule che indossavo e mi infilai una mano nelle mutande a toccarmi la sorca liquefatta dalla voglia.
Il pensiero dei miei figli che si erano segati sul mio intimo, mi fece venire nel giro di pochi minuti!
Nel momento in cui venivo, vidi il mio riflesso nello specchio: la figura di una donna sconvolta, preda di una lussuria infinita, sull’orlo di un confine che non avrei mai dovuto varcare, ma che la mia innata perversione rendeva irresistibile da oltrepassare ed esplorare.
Da quel giorno si susseguirono numerosi eventi che ci trascinarono in una spirale di avvenimenti, che ora vado a raccontare.
Il giorno dopo, come ogni mattina, andai a svegliarli, avevo indossato la solita vestaglietta che mettevo di solito, solo molto più sbottonata.
Quando entrai nella camera fui investita dall’odore intenso dei loro sessi e del loro sudore il testosterone che impregnava la stanza, mi fece fremere.
Faceva caldo, e loro giacevano sul letto indossando soltanto gli slip, con l’erezione mattutina ben delineata sotto il tessuto.
Mi sedetti sul letto di Marco con un’aria disinvolta, fingendo di non accorgermi che il grembiule che indossavo lasciava intravedere il sottile e trasparente indumento intimo. Divertita, notai il suo sguardo soffermarsi tra le mie cosce; il suo volto si tinse di un rosso acceso. Poi si volse verso suo fratello: si scambiarono un sorriso timido, intriso di imbarazzo, ma anche di palpabile desiderio.
Chiesi a Marco: “Mi vuoi bene?” Mi rispose sorridendomi: “Certo che ti voglio bene, lo sai bene no?” Si mise seduto e mi abbracciò, baciandomi dolcemente in volto. Si lasciò scivolare su di me, fino a stendersi con la testa sulle mie cosce. Gli accarezzai affettuosamente i capelli, mentre mi cingeva la vita con le braccia.
Quasi al rallentatore, mi accorsi che esplorava con delicatezza: le sue mani si insinuarono sotto il leggero tessuto del mio abbigliamento, abbracciando la pelle nuda. Lo lasciai fare, la mia resa lo incoraggiò a osare di più; IL suo volto si avvicinò pericolosamente al mio inguine, il suo respiro si fece profondo e affamato. Non mi ero ancora lavata e il suo naso percepì l’odore del mio sudore intimo, dei miei abbondanti umori e il tenue sentore del pelo impregnato dall’aroma di pisciatine notturne.
Avrei voluto tanto premergli la faccia contro la mia patonza in calore, ma non era ancora il momento, desideravo centellinare le mie concessioni, per render tutto molto più sensuale. Per assaporare quegli incestuosi preliminari senza fretta, volevo farli impazzire di desiderio.
Avvertii Augusto stringermi da dietro, le sue braccia avvolgermi il busto con una fame silenziosa, le mani in cerca dei miei seni, appena celati dalla sottile sottoveste. I capezzoli, già tesi, in risposta a quella non troppo velata espressione di desiderio, si piegavano sotto la pressione dei suoi avambracci, facendomi avvertire intense stilettate di godimento. Percepivo la sua esuberante erezione contro la schiena, mentre si strofinava lentamente su di me, come a volersi fondere con il mio corpo.
Li lasciai giocare ancora un po con le mie intimità. Mi ci volle un certo sforzo di volontà per sollevarmi e allontanarmi da quei due porci assatanati, ancora avvolti nel loro desiderio di me.
Mi sforzai di tornare la madre di sempre: “Forza, fannulloni, che è quasi ora!” Mi fissarono ancora stralunati, con quella fame di me che traspariva dai loro volti accesi. Mentre uscivo dalla camera da letto, mi voltai e, con un gesto teatrale, mi sfilai le mutande bagnate di voglia, lanciandole sul letto. “Ecco! Pensatemi, porci!” Uscii ridendo, sguaiata e trionfante, lasciando dietro di me il profumo di femmina in calore.
Scendevo le scale, divertita, mentre sentivo i loro commenti sibilare alle mie spalle: “Che troia…”
Poi: “Una gran vacca in calore.”
E ancora: “Cazzo, che odore di figa…”
Evidentemente stavano già annusando le mie mutande.
Li attesi in cucina per la colazione, con gli umori che mi scendevano lungo le cosce.
Scesero poco dopo, già vestiti per la scuola. Divorarono la colazione in silenzio, con una voracità che sembrava andare oltre il cibo: mi osservavano come se fossi io il vero pasto rimasto da consumare. Io non nascondevo nulla, anzi, lasciai che qualche apertura fortuita del grembiule rivelasse scorci sulla mia sorca pelosa, come un invito silenzioso, lasciando che i loro occhi si perdessero in quel dettaglio che non avrei dovuto mostrare.
Mi salutarono quando uscirono, baciandomi e accarezzandomi in una maniera come non avrebbero dovuto, e io li lasciai fare. Marco si spinse fino ad infilare le mani nell’apertura dell’indumento che indossavo per cercare la figa da cui era uscito, gli presi la mano con dolce fermezza, scostandola, poi mi sollevai sulle punte per sfiorargli le labbra con un bacio fugace. “Suvvia… non sbilanciarti troppo, maialino!” gli sussurrai. “Magari un’altra volta… Chissà!”
Augusto, risentito, volle anche lui la sua parte. Gli sorrisi e lo baciai, lambendogli le labbra con la lingua. Quando cercò di spingersi oltre, infilandomi la lingua in bocca, mi voltai ridendo, divertita dal suo assalto.
Passarono alcuni giorni in cui ero il l’oggetto dei loro desideri, ciò mi lusingava e mi eccitava.
Quando il padre non era presente, cercavano costantemente contatti più intimi, e io, con una calma studiata fingendo una morigeratezza che non mi apparteneva, cedevo solo in parte alle loro avance. Insomma li facevo impazzire, mi divertivo a farli cuocere nel loro brodo.
Mentre il sole mi scottava sulla schiena e sentivo le mani di Augusto avvicinarsi ai punti più sensibili del mio corpo, con delicatezza e rispetto, quasi a voler saggiare le mie reazioni, la mente mi riportò a quella mattina di fine giugno: Stavo stendendo il bucato sul poggiolo, il silenzio fu rotto da suoni sommessi, carichi di un’intensità che non riuscivo subito a decifrare. Provenivano dalla finestra socchiusa della camera dei miei figli. Spinta da un impulso di curiosità, accostai piano l’imposta e sbirciai all’interno, trattenendo il respiro.
Mi si presentò una scena inverosimile: I miei figli erano completamente nudi. Augusto era incollato alle spalle di suo fratello e gli stava tenendo il cazzo in mano, segandolo. Marco, mentre veniva masturbato, stava annusando un paio di mie mutande con aria estatica, mentre guardava sul telefonino che aveva in mano, un video che aveva registrato di nascosto qualche giorno prima: io che, fingendomi ignara delle sue riprese, ero intenta nelle pulizie in pose volutamente hot.
“Si dai così… Dai che sborro!” Poi inalando rumorosamente il mio odore, aggiunse: “Cazzo come puzzano… Che odore di figa e di piscio!!” Poi mostrando il video al fratello, aggiunse: “Guarda che troia che è nostra madre!!” Sul video c’ero io a gambe larghe, accucciata mentre pulivo uno specchio, il riflesso rimandava l’immagine di me, con le tette che quasi sgusciavano fuori, compresse nella scollatura per l’insolita posizione. Tra le cosce, la figa risultava mal celata dalle striminzite mutandine che indossavo, Il tessuto, infilato nella fessura, divideva il pelo in modo netto, lasciando poco all’immaginazione.
Marco, eccitato da quelle immagini, e stimolato dalle esperte mani di suo fratello, venne schizzando abbondanti fiotti di sborra che finirono in parte sulle coperte del letto che aveva davanti e in parte sulla mano di Augusto, che lui portò alla bocca di Marco e gli disse: “Pulisci finocchio!” Vidi, incredula, mio figlio lappare con evidente ingordigia la propria sborra.
Poi si girò verso suo fratello e si baciarono slinguandosi, scambiandosi tra loro il liquido seminale.
Udii Augusto chiedere a suo fratello: “Adesso tocca a te farmi venire… Dai che mi sono eccitato come un maiale!!“ Mi giunse esterrefatta la risposta di Marco: “Va bene, ma solo se me lo lasci succhiare come ieri!” La risposta non si fece attendere: “Fai pure.” Poi sorridendo aggiunse: “Tanto ormai sei esperto!” Porci bastardi!! Dunque non era la prima volta!!
Scostai i lembi del grembiule, ancora sconvolta, e infilai la mano nelle mutande. Solo allora, sentendo quanto ero zuppa, compresi davvero quanto fossi eccitata.
Mi toccai con urgenza, guidata da un fremito che non riuscivo più a contenere, con la necessità di dare sfogo alla mia eccitazione. Davanti a me, Marco tracciava con la lingua una scia lucida sul petto del fratello, scendendo lento, fino a raggiungere il cazzo eretto, con la capella lucida di presperma. La scena mi travolse, dovetti lottare per rimanere in silenzio, per non gemere sconvolta davanti a tanta perversa oscenità.
Scioccata, vidi Marco inginocchiato davanti a suo fratello, imboccarne il cazzo eretto e pulsante di eccitazione.
Dall’appartamento di fronte al mio mi arrivò un fischio. Lucrezia mi aveva colto sul fatto, mentre mi stavo chiaramente sollazzando con la mano sulla figa. Mi osservava con un sorriso complice, sollevando il telefono che teneva in mano, voleva che la chiamassi.
Lei abitava nell’attico del palazzo di fronte, con una visuale privilegiata sul nostro appartamento.
La nostra amicizia, già intensa prima della morte del suo anziano marito, si era trasformata in qualcosa di più profondo, più intimo, dopo la sua scomparsa.
Un tempo donna morigerata e riservata, ormai cinquantacinquenne, dopo il lutto si era riscoperta trasgressiva, libera, e sessualmente insaziabile.
Devo ammettere che in parte fu merito mio. Ma soprattutto fu la consapevolezza di ciò che aveva sacrificato per anni, soffocata dal carattere austero e castigato del marito.
Ora, quel fuoco che aveva tenuto sopito per anni era divampato in un rogo ardente, liberando tutta la sua sensualità repressa.
Le sue forme piene, da donna matura, il viso incorniciato da due occhi scuri e maliziosi, le labbra spesse, cariche di promesse, e le rughe del tempo che non lo deturpavano, ma lo impreziosivano con un’eleganza vissuta, profonda, irresistibile. Tutto in lei parlava delle sue origini meridionali, di un’indole calda, impetuosa, vibrante.
A malincuore, mi allontanai dalla scena di mio figlio che stava spompinando suo fratello. Mi avvicinai alla porta del soggiorno, dove il telefono vibrava sul mobile. Era Lucrezia. E sapevo già cosa voleva: “Ciao troietta!… Cosa stai combinando con le mani nelle mutande, porcona!!” Scoppiai a ridere, poi, vista la confidenza che ci univa, le raccontai dell’amplesso incestuoso tra i miei figli di cui ero stata testimone.
Con la voce incrinata dalla libidine accesa dal mio racconto, e sapendo che mio marito a quell’ora era fuori per lavoro, sussurrò solo: “Non muoverti… sto arrivando.”
Mentre aspettavo sbirciai di nuovo nella camera dei due porci: Marco, stava ripulendo il glande di Augusto, che con il bacino spinto in avanti, teneva il fratello per i capelli per godere degli ultimi istanti di piacere di un intenso orgasmo, le cui lattiginose tracce lordavano ancora il volto di Marco.
Mi allontanai di soppiatto dalla finestra, prima che, dopo essersi riavuti da quell’intenso amplesso, si accorgessero di me.
In quel momento, risposi al telefono che vibrava, la mia amica, giudiziosamente senza suonare, mi avvertiva che era davanti al blindato d’ingresso.
Aprii, e subito fui travolta dalle sue braccia. Mi si incollò addosso con l’impeto che già conoscevo, strofinandosi su di me come se il tempo non esistesse. Le sue labbra cercarono le mie, e in un bacio vorace, profondo, mi infilò la lingua in bocca, andando sovrapporre eccitazione su eccitazione. Quasi venni con la sua coscia tra le mie che mi sfregava la figa mentre io facevo lo stesso con lei, tenendola premuta contro di me con una mano sul culo in una istintiva ricerca del piacere.
Mi prese la mano con cui mi ero masturbata, se la portò alla bocca e mi succhiò e annuso le dita con evidente trasporto, poi mi baciò di nuovo, con la bocca che sapeva di me.
Ci staccammo ansimanti, il respiro ancora caldo tra le labbra, interrotte dal rumore della porta della camera che si stava aprendo. I miei due porcellini stavano per uscire. Ci affrettammo a ricomporci, cercando di cancellare ogni traccia di quel momento prima che apparissero dall’angolo del disbrigo.
Sul volto di Lucrezia colsi un velo di disappunto: quei rumori le negavano la possibilità di assistere ad altre porcate dei due maiali. Beh, ci avrei pensato io a consolare la mia amica!
Quando i miei figli svoltarono dalla nostra parte, rendendosi visibili, incrociarono i nostri sguardi. Con quella naturale intuizione che spesso accompagna la giovinezza, capirono di aver interrotto qualcosa. Salutarono Lucrezia con un sorrisino curioso, quasi indagatore.
Mario mi rivolse un sorriso complice: “Cosa stavate facendo, birichine?”
Brutto maiale… e lui lo chiedeva a me!
Lo fissai per qualche istante, prendendo tempo prima di rispondere, poi dissi con nonchalance: “Niente di che…” E, con tono provocatorio, aggiunsi: “Più o meno quello che facevate voi in camera poco fa.” Beh, se l’era cercata.
Mi guardarono sorpresi, il volto arrossato, cercando di decifrare la mia espressione per capire quanto sapessi. Augusto, sfuggendo al mio sguardo, cercò di difendersi: “Stavamo studiando… non facevamo niente di male.” Sorrisi, ribattendo con malizia: “Ecco… proprio come noi, neanche noi facevamo niente di male!.” Realizzai che i miei figli erano vestiti per uscire e non erano neanche passati dal bagno per darsi una rinfrescata, dopo le loro porcate.
Sul viso di Marco notai una macchia umida, non ancora rappresa, che tradiva ciò che era appena accaduto tra loro.
Non riuscii a trattenermi: “Marco, hai qualcosa di umido vicino alla bocca.” Mi avvicinai e, con il pollice, gli detersi la guancia.
Lui abbassò lo sguardo, visibilmente a disagio, senza sapere dove posare gli occhi.
Strofinai il liquido tra le dita, fingendo curiosità: “È appiccicoso… Cos’è?” Prima che potesse rispondere, le portai al naso, e da brava attrice, recitai: “Boh, l’odore mi ricorda qualcosa” Rosso come un peperone, si fece forza di rispondere: ““Ehm… non saprei proprio, mamma… forse un po’ di saliva.” Lo guardai con un sorrisino malizioso e lo pungolai: “Ah, ecco! Quindi era solo… un po’ di saliva!… Dall’odore avrei detto qualcos’altro!”
Uscirono dalla porta salutando in modo imbarazzato, cercando di sembrare disinvolti. Appena l’uscio si chiuse alle loro spalle, io e Lucrezia ci guardammo negli occhi… e scoppiammo a ridere, divertite, con quella risata liberatoria che solo la complicità più profonda sa regalare.
Presi la mia amica per mano e la trascinai con urgenza nella camera dei miei figli, all’interno della stanza l’aria era satura di un intenso e pungente odore di sperma e di cazzo! Volevo scoparmi la mia amica li dentro, con quei forti aromi di giovane maschio!
La spinsi sul letto, facendola adagiare a pancia in giù. Sollevai con naturalezza la gonnellina da dietro, e non fui affatto sorpresa nel scoprire che sotto… non indossava nulla.
Il pelo, screziato di grigio, si allungava lungo la fessura del culo, fino alla rosetta scura dell’ano, tra le cosce l’apertura della vagina era parzialmente celata da una peluria intima abbondante, le labbra interne, rosse e gonfie sporgevano abbondantemente dalla vulva.
Già a quella distanza potevo sentire l’odore forte di quella bella figona matura.
Mi lasciai scivolare con il volto tra le sue chiappe, l’odore li era più intenso e ben definito, la sentii fremere quando infilai la lingua in quell’osceno antro: “Oh si!… Lo sai che mi pace la tua lingua nel culo!… Lecca maialona… Lecca!!” , non c’era bisogno che mi sollecitasse, allargai le chiappe con le dita, l’ano si aprì palpitando. Tra le pliche interne, delle tracce scure appena percettibili, di alcuni residui di chiara origine, mi attrarrono in maniera morbosa, infilai avidamente la lingua per saggiarne il sapore, con evidente piacere della mia amante che spinse verso l’alto il suo voluminoso e stimolante deretano.
L’effluvio penetrante proveniente dalla sorca della mia amica mi spinse a infilare la faccia tra le sue cosce, lei mi aiutò mettendosi nella posizione della pecorina, affondai la lingua in quella carne calda, morbida e scivolosa, cercai la clitoride turgida tra il pelo, e la presi tra le labbra.
Lucrezia manifestò il suo piacere con gemiti intensi e sussurri carichi di desiderio: “Oh, si!… Brava, mangiamela tutta… Ti piace la mia vecchia patacca vero?… Puttana!!” Percorsi con la punta della lingua la spacca all’interno delle piccole labbra, il sapore salato di residui di urina mi stimolarono a soffermarmi sull’uretra per saggiarne l’orifizio.
Passai con le braccia sotto di lei, impadronendomi, a piene mani dei seni morbidi, maturi e pieni.
Attraverso la stoffa leggera sentivo i capezzoli gonfi di desiderio, premere turgidi contro i palmi.
L’aumento della profondità dl suo respiro, i sussulti del bacino, mi rivelarono l’intensificazione del suo piacere.
Ma volevo di più: Mi alzai sconvolta dagli effluvi delle sue intimità, molto più intensi del solito.
Mi liberai dei pochi vestiti che indossavo, e lei, senza dire nulla, fece lo stesso. Il silenzio tra noi era carico di attesa.
Ci disponemmo l’una sull’altra, in un intreccio perfetto di corpi e intenzioni, nella posizione ideale per donarci piacere reciproco. Ben presto iniziammo a nutrirci l’una del desiderio dell’altra, incapaci di saziarci di quel miele che ci scivolava in bocca, dolce e infinito.
Eravamo perse l’una nel godimento dell’altra, sentii arrivare l’orgasmo come un fiume in piena, ma volevo anche il suo piacere oltre al mio. Avvolta dall’estasi, la mia lingua si fece frenetica sulla clitoride della mia focosa amante, mentre lei, grata si tendeva sotto di me ardente e viva. Raggiungemmo l’estasi dei sensi assieme, urlando il nostro piacere con la faccia affondata l’una nella figa dell’altra.
Rimanemmo ansimanti, per un tempo indefinito, l’una con il volto tra le cosce dell’altra. Ancora più amiche di sempre, ancora più complici, ci ricomponemmo in fretta, cancellando ogni traccia della nostra presenza nella camera dei ragazzi, prima che rientrassero.
Per un attimo pensai di lasciare tutto in disordine, come una firma silenziosa di quello che era successo, ma poi sorrisi, e sistemai ogni cosa, aiutata da Lucrezia.
Sarebbe stato troppo! Un segreto così intenso meritava di restare solo nostro, almeno per ora!.
Ci baciammo felici come bambine al momento di salutarci, ripromettendoci di vederci ancora per poterci amare di nuovo, con quell’impeto e desiderio che ormai ci legava.
Quei ricordi, intrecciati alle carezze del mio giovane massaggiatore, accendevano in me un desiderio profondo, risvegliando la mia intimità con un calore crescente. Mi sentivo avvolta da un’onda di piacere, che mi gonfiava la figa, bagnata di una voglia che sentii colare sull’asciugamano sotto di me.
La mia eccitazione mi riportò a qualche giorno prima, quando mi ero lasciata sorprendere semi svestita da Augusto, che tornava da scuola il primo pomeriggio, a differenza di suo fratello che finiva più tardi.
Al suo rientro da scuola, mentre mio marito era fuori zona per il suo lavoro di rappresentante, mi ero fatta trovare con indosso soltanto un babydoll corto e semi trasparente, impreziosito da inserti in pizzo, che lasciava intuire l’assenza di qualsiasi intimo. Sembrava che fossi rimasta così fin dal risveglio.
In realtà, mi ero preparata poco prima del suo arrivo. Mi ero ammirata davanti allo specchio: Il tessuto leggero lasciava intravedere il triangolo scuro del pelo del pube e le ombre delicate delle aureole, con i capezzoli turgidi che sembravano voler sfiorare, quasi attraversare, la stoffa impalpabile. Uno spacco nella parte posteriore si apriva quando mi abbassavo, mostrando il culo nudo e se mi abbassavo un po di più, la figa tra le cosce.
Guardandomi riflessa, provando varie pose, mi sono eccitata fino a dovermi masturbare, pensando all’effetto che avrei avuto su Augusto.
Infatti quando mi vide così, abbigliata in modo tanto provocante, rimase immobile per un istante. I suoi occhi, colmi di desiderio, mi percorsero tutta, indugiando su ogni curva, ogni dettaglio, mi stava praticamente scopando con gli occhi!!
La sua eccitazione era palese, quella fame di me che traspariva dai suoi occhi, mi fece bagnare copiosamente.
Mentre versavo il cibo nei piatti, chinandomi più del dovuto, lo vidi armeggiare con il telefonino, con movimenti rapidi e furtivi. Non c’era bisogno di spiegazioni. Sapevo perfettamente cosa stava facendo: mi stava riprendendo da dietro, per poi riguardami in seguito, nell’intimità della sua camera, mentre si dava piacere masturbandosi, o magari sarei stata di ispirazione a qualche altro giochino incestuoso tra lui e suo fratello.
Solo l’idea di essere il loro oggetto del desiderio, di essere osservata e custodita in quel video segreto, mi fece fremere. Bastava solo il pensiero per sentire l’onda salire travolgente. Quasi venni senza sfiorarmi.
Avevo confidato a mio marito l’interesse che i nostri figli sembravano nutrire nei miei confronti, evitando accuratamente di menzionare che ero stata io a incoraggiarli. Ricordo che il suo sguardo si fece improvvisamente torbido; per un istante temetti che la gelosia potesse prendere il sopravvento: Non sapevo quanto mi sbagliavo!! Con uno sguardo che non riuscivo ad interpretare, disse: “E’ l’età!… Anch’io alla loro, ero interessato a mia madre, sapessi quante seghe le ho dedicato e quante volte l’ho spiata dal buco della serratura della porta del bagno!”
Sdrammatizzando, disse con tono beffardo: “Non farti problemi, è normale. Sono adolescenti, pieni di testosterone. Se si fanno una sega pensando a te, pazienza, cosa vuoi che sia!?” Mi fissò con uno sguardo che mescolava complicità e provocazione, poi aggiunse: “Anzi, mettiti qualcosa di leggero quando sei in casa… lasciali sbirciare un po’. Magari gli dai l’ispirazione giusta per i loro momenti di… relax”
Che porco mio marito! Avrei voluto dirgli: “Già fatto amore” ma non glielo dissi, naturalmente.
Quella sera mi prese con un impeto inedito. Capii subito che le mie confidenze avevano scatenato qualcosa di nuovo, quasi selvaggio, nella sua libido. Era come se avesse bisogno di possedermi per affermare qualcosa, per marcare un territorio che sentiva minacciato… o forse era proprio l’idea di condividermi con i nostri figli a infervorarlo in quel modo. Fatto sta che mi fece godere come mai prima.
Una carezza, appena più audace del solito, mi distolse dai miei ricordi. Avvertii le mani, tremanti ed esitanti, di mio figlio, accarezzarmi i glutei, sfiorandoli appena.
Tra me e me, sorrisi della sua titubanza, della sua esitazione. Capivo che non sapeva fin dove potesse spingersi. Quella carezza mi fece fremere. Dovetti concentrarmi per non oscillare i fianchi, travolta da un’onda di piacere che quel tocco aveva innescato, un gesto che sfiorava il confine dell’incesto.
Aprii gli occhi che avevo chiusi, guardai in basso, verso il pantaloncino da bagno di mio figlio, fui lusingata nel vedere la sua erezione malamente occultata dalla stoffa dell’indumento.
Le sue dita, incoraggiate dal mio apparente disinteresse, scivolarono leggere lungo la curva dei glutei, sfiorando con un tocco incerto la rosetta dell’ano, coperta solo da una sottilissima fettuccina di stoffa.
Questa volta non riuscii a celare il piacere: il tremito mi tradì, e lui lo percepì. Istintivamente, allargai le gambe in un gesto che sapeva di offerta.
In uno sprazzo di lucidità, cercai di mascherare quell’abbandono con un moto di contrarietà. Falsa come Giuda, lo ripresi con tono tagliente. “Ehi, Maialino… non allargarti troppo: dopo tutto, sono sempre tua madre!”
Mi rispose con un mugugno sommesso, quasi una scusa, ma il suo sguardo eccitato diceva tutt’altro.
In realtà avrei tanto voluto che mi infilasse un dito nel culo! Ma non volevo che succedesse tutto troppo in fretta! E poi, non lontano da noi, c’erano altri bagnanti, e non mi sembrava il caso!
Il mio bimbo, dopo avermi ben impomatato la schiena con la lozione solare, mi chiese di girarmi. Mentre mi voltavo, fingendo con un gesto distratto di sistemare il reggiseno slacciato, mi stesi sulla schiena. Sembrava un tentativo di coprirmi, ma in realtà lasciai che un uno dei miei notevoli capezzoli facesse capolino tra le pieghe dell’esigua stoffa. I suoi occhi che brillavano, colmi di desiderio, mi confermarono che la cosa non gli era sfuggita!
Avrei potuto stendermi la lozione da sola, certo… ma c’era qualcosa di infinitamente più piacevole nel sentire le sue mani forti scivolare sulla pelle, anche se esitanti per l’mozione di accarezzare un corpo femminile maturo, il fatto che fosse mio figlio a farlo mi faceva sentire viziosa e depravata fino al midollo.
Il misero triangolino di stoffa che mi copriva la mia patata gonfia di voglia, nel movimento di girarmi, si era leggermente spostato, esponendo una parte della mia passera alla vista di Augusto. E non solo alla sua: infatti, alcuni sguardi maschili, accesi da un desiderio malcelato, si incrociavano con quelli, più severi e giudicanti, di alcune donne. Dentro di me, ridevo divertita e lusingata di quei sguardi.
Sorrisi a mio figlio, che mi guardava cianotico in volto, rapito dalla dolce leggerezza con cui la mamma si lasciava fare."
Con un finto gesto di pudore, mi sistemai la mutandina.
Con la naturalezza che solo le donne sanno avere, sollevai la stoffa dal corpo.
Il movimento, studiato, lasciò intravedere, la passera con nitida precisione, con appena una striscia di pelo che non riusciva a celare le piccole labbra gonfie e umide di voglia. Fu solo per un istante, ma sufficiente a far salire la temperatura a mio figlio e a diversi maschietti poco lontano. Alcuni erano completamente nudi, taluni di loro, stimolati dalla esibizione del mio sesso, nascosero la loro iniziale erezione, girandosi sulla pancia. Erano tutti lì che stavano sbavando su di me con mio sommo piacere.
Se devo essere sincera, neanch’io ero indifferente a tanti bei cazzoni, così ben esposti! Avrei voluto sentire il loro turgore tra le mani, inebriarmi del loro odore, saggiarne il sapore salato.
Mi sentivo la protagonista di un film erotico girato tra gli ombrelloni.
Ormai, ero così eccitata, che mi sarei fatta sbattere da tutti i presenti.
Avvertii le mani di Augusto, come carboni accesi, posarsi sulla pancia e iniziare a spalmare la crema, massaggiando in cerchi concentrici.
Chiusi gli occhi per godermi bene le sue dita. Dopo solo qualche minuto, mio figlio disse: “Mamma, togliti il reggiseno, altrimenti non riesco a fare un buon lavoro.” Aprii gli occhi: per poco non scoppiavo a ridere, guardando il volto speranzoso del giovane porco.
Con la disinvoltura di un’attrice navigata, mi mostrai scandalizzata e obiettai con tono teatrale: “Ma dai… cosa penseranno tutti?” Lui, con la prontezza che speravo, furbetto, ribatté: “Cosa vuoi che pensino? Che sono solo un ragazzino che mette la lozione solare alla sua mamma! ” Con una certa ragione, aggiunse: “Poi guarda quanti sono nudi, cosa vuoi che sia se ti togli il reggiseno!?”Feci finta di riflettere, poi, spostando l’indumento intimo con un gesto lento e studiato, sussurrai: “Forse hai ragione… Spalmami pure la crema, non sarà mica un delitto.”
Non ebbe neppure un attimo di esitazione: le sue mani si posarono sui miei seni con una naturalezza disarmante, iniziando a massaggiarli come se avesse atteso quel momento da sempre.
Le sue dita esplorarono decise le tette: i capezzoli, già turgidi, si piegavano e rimbalzavano, rispondendo al tocco con scosse di piacere che mi facevano fremere, irradiandosi fino al basso ventre, fino alla figa pulsante di goduria, dove il desiderio prendeva forma e mi sconvolgeva facendomi bagnare, lasciando una evidente macchia scura di umidità sul triangolino fucsia del costume da bagno, in corrispondenza della fessura della passera eccitata.
Il piccolo porco non desisteva e continuava a massaggiare, non riuscivo a tenere ferme le gambe, era difficile dissimulare tanto piacere.
Il piccolo bastardo, rendendosi ben conto del mio stato, mi chiese sadico: “Ti piace mamma?” Con la voce alterata dal godimento e dall’estasi, risposi: “Oh, sì!… E’ bellissimo!… Sei proprio bravo, continua!!” Poi riprendendomi, realizzando che stavo palesando in maniera troppo evidente il mio piacere, cercai di ricompormi: il tono si fece più misurato, mentre correggevo: “Bravo, stai proprio spalmando bene la crema alla mamma!” Aggiunsi: “spalmala anche sulle gambe!” Mi guardò felice: “Volentieri mamma.”: Il maialino stava già fantasticando sulle possibilità che quella mia richiesta aveva appena dischiuso.
Cambiò posizione, si sedette a cavalcioni delle mie gambe.
Partendo dalle ginocchia, mi accarezzava le cosce, risalendo lentamente, sfiorando l’inguine e massaggiando con movimenti circolari, dall’alto verso il basso. Con la scusa di allungarsi su di me per stendermi il trattamento solare fino al petto, si chinava sul ventre, abbassando la testa fino a sfiorare l’esiguo triangolino di stoffa, ormai umido, tra le mie cosce.
Non impiegai molto a comprendere che quel gesto serviva ad assaporare il profumo della mia eccitazione, del mio sesso sudato!
Quella consapevolezza mi fece inarcare il busto verso l’alto, travolta da un fremito incontrollabile, impossibile da celare.
Le sue mani si fecero più intraprendenti: le dita si infilarono negli elastici delle mutandine, tendendo il perizoma finché il tessuto non si insinuò tra le labbra intime, scoprendo parte del sesso e lasciando intravedere il pelo.
Il tessuto mi stimolò la clitoride e gemetti di piacere. Mi portai le mani sui seni, strizzandoli con forza, per cercare sollievo nell’intensità del desiderio.
Mi sfuggirono dei gemiti di goduria che non riuscii frenare. Il fuoco interiore che mi stava divorando, mi faceva inarcare il bacino verso l’alto, a cercare altro piacere.
Mio figlio si strusciava il cazzo in erezione sulle mie gambe. Guardai in basso: Il suo pantaloncino da bagno, non riusciva più a contenere l’erezione, Il glande spuntava congestionato dalla parte superiore dell’indumento. Cazzo, come avrei voluto infilarmelo in bocca!!
Il porco mi guardò con gli occhi accesi dal desiderio e chiese, con voce roca: “Va bene così mamma?” Sentivo il suo respiro farsi più caldo, più vicino. “Posso continuare?” aggiunse, mentre la sua mano scivolava sotto le mutandine, sfiorandomi la figa. Un dito percorse lentamente la fessura, seguendone la curva con una delicatezza che mi fece tremare. “Cazzo… non fermarti, non adesso,” sussurrai, travolta da un piacere che cresceva come un’onda.
Il suo dito, inconsapevole e inesperto, mi sfiorò quasi per caso il rorido bottoncino del piacere, teso e gonfio di desiderio. Bastò quel tocco incerto, quasi ingenuo, per scatenare in me una sequenza di scariche incontenibili, intense, che mi attraversavano come onde elettriche. L’estasi cresceva, impetuosa, e già sentivo il corpo sul punto di traboccare, come un calice colmo fino all’orlo, pronto a versarsi senza controllo.
Proprio nel momento in cui l’intensità del piacere era al massimo, lui tolse le dita a causa di alcuni sconvenienti commenti da parte di un bagnante, poco lontano, che aveva assistito alla scena, ma ormai era troppo tardi: Sentii l’onda di piacere travolgermi come uno tsunami. Gridai forte il mio orgasmo, in preda all’estasi, non riuscii a trattenere degli involontari schizzi di urina che spriizzarono dall’uretra, bagnando la stoffa della mutandina e scendendo lungo i lati interni delle cosce, bagnando l’asciugamano e la sabbia sotto di me.
Non capivo più niente. Mi succedeva spesso di schizzare urina quando venivo.
Incurante dei presenti, con una mano mi spostai il perizoma, mentre ancora stava sgorgando del piscio, mi massaggiai con fervore la clitoride con un dito, in un movimento circolare, per godermi gli ultimi istanti di piacere, che segnavano la fine dell’orgasmo che ancora mi scuoteva.
I miei maneggi fecero aumentare la pressione con cui sgorgava l’urina, che in parte schizzò Augusto sulla pancia. Lui, che con una mano, si stava masturbando guardandomi, con l’altra si massaggiò spalmandosi il mio piscio addosso. Nel momento dell’orgasmo si portò la mano alla bocca, leccandosela mentre mi sborrava sulla pelle, con potenti e copiosi getti che mi lordarono le tette, la pancia e la figa, alcuni schizzi mi sfiorarono persino le labbra, che accolsi istintivamente con la lingua, assaggiando il sapore del suo orgasmo.
Sentii alcuni riprovevoli commenti, che mi eccitarono ulteriormente: “Che troia!!” Poi, una voce tra il sorpreso e lo scandalizzato: “Ma, ho capito bene: è suo figlio!?” e ancora: “Che porci!!” di nuovo: “Cazzo! Che vacca!” altri ancora: “Ma sono pazzi!.. dove pensano di essere!”
Ma non tutti si mostrarono indignati di fronte alla nostra performance pubblica: Infatti un trio di maschi nudi di mezza età, si masturbavano in piedi, a pochi passi da noi, guardandoci, incuranti di tutto e tutti, con lo sguardo che trasudava lussuria.
Altri più lontani, si toccavano con le mani infilate nei pantaloncini da bagno.
Una signora nuda si stava accarezzando le tette. Un’altra, più coraggiosa e disinibita, anche lei nuda, si stava masturbando. Mentre altre, più timide, ci guardavano chiaramente rapite dallo spettacolo, sfregando le ginocchia tra loro.
Una signora prese un ragazzino, dell’età di mio figlio, per un braccio e lo trascinò via, suo malgrado: “Non è possibile… Adesso chiamo i carabinieri!!” Quest’ultimo commento ci fece prontamente alzare: recuperammo la borsa da spiaggia, sporca della sborra di uno dei segaioli, raccattammo qualche indumento e guadagnammo in tutta fretta l’uscita dalla spiaggia, verso la pineta.
Affondando i piedi nella sabbia del sottobosco, ormai fuori pericolo, incrociai lo sguardo di Augusto e ci scambiammo un sorriso complice e liberatorio.
Il riflesso sul cristallo opaco di un furgone mi colse di sorpresa.
Ero a seno nudo, la pelle ancora salata, e il triangolo delle mutandine, bagnato e scomposto, lasciava intravedere gran parte della mia figa. Solo allora notai gli sguardi, avidi e silenziosi, di alcuni passanti che passeggiavano lungo il sentiero tra gli alberi della pineta. Il loro passo rallentava, gli occhi si soffermavano su di me, indugiando senza pudore sulle mie intimità. Qualcuno nudo, si toccava guardandomi.
Sorrisi tra me e me: Un brivido mi attraversò la schiena, non di freddo, ma di consapevolezza, mi piaceva essere guardata.
Ma per sentirmi in ordine, per darmi una parvenza di decenza, afferrai il copricostume che stringevo tra le dita e lo indossai. Era leggero, corto, quasi inutile contro il vento birichino che sembrava divertirsi a sollevarlo, cosa che io mi guardavo bene dal contrastare.
Diretti al parcheggio, passammo davanti a un chiosco dove un uomo di mezza età, seduto su uno sgabello, chiacchierava con la barista. Con aria indifferente, teneva il bacino avvolto in un asciugamano, e tra le gambe aperte si intravedeva un notevole cazzo ciondolante, che non passava inosservato. Non sembrava minimamente imbarazzato, forse, in fondo, era semplicemente un esibizionista, come lo ero io del resto. Quando i suoi occhi incrociarono i miei, consapevole dell’interesse con cui lo osservavo, aprì le gambe ulteriormente, sorridendomi con un cenno complice. Ricambiai il sorriso, umettandomi le labbra.
Giunti al parcheggio, prima di salire in auto, Augusto si liberò di un bisogno impellente accanto alla macchina, senza curarsi di sguardi indiscreti. Sorrisi: ormai si era perfettamente adattato agli usi e costumi del posto. Rimasi lì, a pochi passi da lui, osservando la scena con una certa complicità, mentre il getto deciso e dorato disegnava un arco sul terreno.
Mentre guidavo verso casa, mio figlio mi tempestò di domande: Se mi era piaciuto quello che era successo, se mi ero eccitata, se ero venuta, se era stato il suo massaggio a provocarmi. Risposi sì a tutto. Non ce ne sarebbe stato bisogno, ma capii che cercava conferme, come se volesse sentirle pronunciare da me, una per una.
Gli chiesi cosa pensasse di me. Se mi considerava una madre indegna. Se, in fondo, mi vedeva come una puttana. Prima di rispondere, si prese un momento. Rimase in silenzio, lo sguardo perso nel vuoto, immerso nei suoi pensieri. Poi disse, con voce calma: «Mamma, io penso solo che papà è spesso via per lavoro, e tu ti senti sola. Forse io e Marco possiamo aiutarti a sentirti meno triste. E poi… dopo tutto, rimarrebbe tutto in famiglia.» Gli sorrisi, grata per quella dolcezza inattesa. Ma lui non aveva ancora finito. «Sì,» aggiunse con esitazione, «a volte ti vedo come… ehm… provocante, forse anche un po porca, visti gli ultimi sviluppi, ma è proprio questo che mi piace di te. Mi piacerebbe pensare che tu possa essere la mia ragazza… oltre che mia madre.” Mi guardò con occhi che esprimevano il suo imbarazzo: “Mi piaci tanto mamma… intendevo come donna.” Poi con uno sguardo da innamorato, che mi fece sciogliere: “Aggiunse ti amo mamma!!”
Feci fatica a trattenere un sorriso ascoltando quelle affermazioni così ingenue, così pronte a giustificare il mio comportamento, così piene di confusione e desiderio.
Con tutto il coraggio che riuscì a raccogliere, mi sfiorò tra le gambe. Il gesto fu incerto, timido, ma carico di desiderio, mi chiese con voce titubante: “Posso?”
Gli sorrisi dolcemente: “Certo, tocca pure se ti va.” Allargai leggermente le gambe per fargli posto e guardandolo accondiscente, continuai: “Mamma ti lascia fare… Tanto hai detto che sono la tua ragazza, no?” Credo che la voglia mi si leggesse in faccia. Aggiunsi ancora: “E poi la mamma ne ha tanto bisogno!” Rispose con un sossurro: “Oh, si! Mamma” Mi infilò le mani sotto alle mutandine bagnate del mio piscio con un “wow”Liberatorio. La sua mano ingenua, giovane e inesperta, mi frugò senza sapere esattamente dove toccare, Quelle sue carezze, esitanti ma impetuose, accesero in me un desiderio travolgente.
Quella sua irruente focosità non mi permise di concentrarmi nella guida, svoltai in una stradina della pineta, poco più di un sentiero, e mi fermai.
Frenai il suo impeto: “Aspetta…” Mi tolsi il perizoma bagnato, mi slacciai il pareo” Mi denudai completamente, tutta per lui, mentre il suo sguardo si perdeva in me, incredulo e rapito. Gli sorrisi, consapevole dell’effetto che gli facevo, mentre il desiderio che leggevo nei suoi occhi alimentava il mio piacere.
Allontanai il sedile dal volante e lo abbassai, lasciai scivolare le braccia lungo i fianchi, spalancai le gambe e con la sicurezza di chi sa di essere desiderata, dissi piano: “Sono qui… Fai con calma… abbiamo tutto il tempo.”Ma il tempo, per lui, sembrava un ostacolo. Si avvicinò con impeto, travolto da un’energia giovane e affamata. La sua bocca si impadronì di un capezzolo, suggendolo avido. La sua mano spinse le dita all’interno della figa da dove era uscito Il suo tocco era urgente, quasi brutale, come se ogni gesto fosse spinto da un bisogno che non poteva più contenere. Io lo accolsi, lasciando che quel desiderio impetuoso si mescolasse al mio.
Quando la sua bramosia si fece troppo irruenta, lo fermai con dolce fermezza: “No,… Piano,” gli presi la mano con cui mi stava toccando con troppa urgenza e lo guidai: “Qui!… tocca qui!” sussurrai, lasciando che le sue dita seguissero il ritmo che avevo scelto per il mio piacere.
Ora che il suo tocco si era fatto più leggero, il mio desiderio si fece più profondo, inarcai il bacino verso l’alto contorcendomi dal piacere, La sua lingua, divenuta più morbida e delicata sul capezzolo, mi diede il colpo di grazia: Misi i piedi sul cruscotto, ai lati del volante, mi inarcai sulla schiena e venni urlando il mio orgasmo, spruzzando per la seconda volta in quella giornata, abbondanti schizzi di urina, che finirono sulla consolle dell’auto e sul cristallo.
Mi lasciai ricadere spossata sul sedile, mi girai verso mio figlio e sorrisi ansimante, mentre guardavo la sua espressione, felice e orgogliosa per aver fatto godere, quella che probabilmente era, la sua prima donna!
Inalai golosa l’odore di figa e di pipì che saturava l’auto.
Augusto con sguardo titubante, quasi implorante, mi chiese: “Ti prego, me la fai leccare?” Scoppiai a ridere: “Ma è tutta sporca di piscio… non ti fa schifo?” Lui, con tono grave mi disse: “Non mi fa schifo niente di te!” Gli sorrisi dubbiosa, accompagnando la frase con un gesto della mano, indicando la passera, gli dissi: “Prego!” I miei dubbi sulla sua ritrosia a leccare la figa sporca, furono fugati dall’impeto con cui ci si dedicò a lungo, sembrava non essere mai sazio di quei speziati residui e del miele dei miei copiosi umori.
Se mai avessi avuto sospetti sull’orientamento sessuale di mio figlio, la sua voglia di figa me li fece dissipare!
Allungai la mano tra le gambe di Augusto, gli presi in mano il cazzo eretto, che sporgeva dalla parte superiore della mutandina da bagno, il glande scappellato era umido e scivoloso di voglia.
Lo sentii sussultare al tocco, si sollevò dalla passera e con il volto trasfigurato dal piacere mi farfugliò: “Oh si, mamma” E mi baciò, con la bocca che sapeva dei miei succhi, mentre lo palpavo.
Continuando a toccarlo, passandogli il pollice sul prepuzio, gli dissi: “Adesso la mamma ti fa un bel regalino!”
Lo feci stendere sul sedile, mi abbassai sul cazzo svettante, mi inebriai con l’odore do quella verga adolescenziale, pregna dei forti odori virili di quella età.
Leccai quel bel glande lucido e salato, addolcito da alcune gocce di presperma.
infilai la testa tra le sue cosce a leccare lo scroto.
Il suo corpo si inarcò verso l’alto per esigere altro piacere, contorcendosi e sussultando dalla goduria.
Lo ingollai, spingendomelo sino in gola, alzandomi e abbassandomi sul cazzo, facendolo quasi uscire per poi tornare a farmelo scendere in profondità di nuovo, lentamente… molto lentamente!
Le sue mani sulla nuca e il movimento deciso del suo bacino guidavano ogni affondo, spingendo la verga così in profondità da sfiorare il confine tra respiro e desiderio. Solo la mia esperienza mi permetteva di accogliere quell’intensità senza soffocare.
Suoi gemiti, sempre più vicini e vibranti, Le sue mani, strette tra i miei capelli come artigli di passione, mi svelarono l’approssimarsi dell’orgasmo.
Sentii il suo cazzo gonfiarsi di colpo, poi esplodere in bocca con fiotti pastosi, caldi e abbondanti, il sapore intenso mi riempì la gola, mentre lo accoglievo senza esitazione.
Prima di inghiottire, lasciai che le mie papille gustative si saziassero di quella densa e saporita essenza del suo piacere, assaporandola fino all’ultima goccia.
Finii di lucidare quel bel cazzo, prima di alzarmi e passarmi la lingua sulle labbra, in cerca di eventuali residui.
Intanto che lui aveva ancora gli occhi chiusi, mantre l’uccello ancora sussultava per le ultime stille di piacere, mi avvicinai piano e lo baciai con le labbra umide della sua sborra.
Quando aprì gli occhi, mi guardò trasognato, sussurrò: “E’ stato bellissimo, mamma!… Non credevo fosse così bello! Sei stata bravissima” Gli sorrisi lusingata. Appagata, gli dissi che anche per me era stato stupendo.
Ci ricomponemmo: lui vestendosi con i vestiti che avevamo in auto, ed io avvolgendomi il corpo nudo con il solo pareo.
Presi delle salviette per asciugare il piscio che ancora bagnava il cruscotto ed il cristallo.
Augusto mi riempiva di baci continuando a ringraziarmi, mentre io rimettevo in moto alla volta di casa.
Scesi in garage con l’auto, e una volta parcheggiata, uscii senza curarmi di chiudere i lembi del pareo, che aprirono con naturalezza, rivelando le mie intimità. Una signora del mio stesso piano, appena uscita dalla cantina, incrociò il mio sguardo. La salutai con disinvoltura, chiedendole come stava e se c’erano novità sul marito, che sapevo non essere in ottima salute. Lei mi rispose con voce incerta, gli occhi smarriti, il suo disagio si fece più evidente quando si rese conto che mio figlio vedeva tutto quello che vedeva lei. Dentro di me, un sottile piacere mi faceva gioire del suo imbarazzo.
Salimmo insieme in ascensore, e subito mi resi conto che forse non era stata una buona idea. Il mio corpo, praticamente nudo sotto il pareo, emanava un odore intenso che presto saturò il piccolo spazio dell’elevatore. La signora mi osservava incredula, arricciando il naso con evidente disagio. Quando le porte si aprirono, uscì senza salutare, il passo svelto e lo sguardo sfuggente. Io la seguii con una risatina di scherno, assaporando il suo imbarazzo.
Nel tardo pomeriggio rientrò Marco. Lo accolsi indossando ancora lo stesso abbigliamento con cui ero tornata insieme ad Augusto, lui non sembrò più di tanto stupito, anche se ammirava con notevole interesse. Con una parvenza di normalità, la sera scivolò tranquilla: Io e Augusto ci facemmo la doccia e poi cenammo, scambiando parole leggere, entrambi stanchi per l’intensità della giornata. Dopo un po di televisione ci ritirammo a dormire.
Durante la cena, Marco mi osservava con uno sguardo strano, come se cercasse risposte tra le pieghe del mio volto. Probabilmente suo fratello gli aveva accennato qualcosa sull’andamento della giornata. Non me ne stupii: in fondo, ero quasi certa che l’avrebbe fatto. E, a dirla tutta, non mi dispiaceva affatto che l’avesse fatto.
Mi addormentai con un sorriso appena accennato, consapevole che da quel momento in poi non sarei più dipesa soltanto dalle rare attenzioni di mio marito. A lenire le mie pene passionali ci sarebbero stati anche i miei figli, complici discreti, pronti a colmare ciò che lui lasciava vuoto. E devo ammettere che quella prospettiva, non mi dispiaceva affatto.
Il mattino mi alzai contenta, era sabato, mio marito sarebbe tornato la mattina dopo, ero felice di vederlo anche se sarebbe stato stanco del viaggio aereo. I miei figli erano a casa da scuola e li lasciai dormire: Beata gioventù!
Dopo colazione, dopo aver indossato un vestitino corto e leggero, scesi al piano terra del condominio, attraversai il cortile e salii fino all’attico dell’edificio adiacente, a trovare Lucrezia, come facevo spesso ormai, ma oggi avevo un piano ben preciso.
Mi aprì la porta indossando un cortissimo negligè. In trasparenza, notai, come sempre, che non indossava nient’altro, potevo vedere l’ombra dell’abbondante pelo inguinale e le i capezzoli rossi e notevoli, al centro di due larghe aureole scure, tutta roba che conoscevo bene, e che lei esponeva con la consueta naturalezza.
Eppure, su una donna matura come lei, con un fisico ancora procace ma segnato qua e là dalla cellulite, quella disinvoltura poteva apparire quasi sconveniente, quasi oscena, ma era proprio quello che la rendeva così provocante!
Sentii la voce di Luciano provenire dalla camera in fondo al corridoio: stava chiedendo chi fosse alla porta. Sua madre gli rispose che ero io.
Stupita, non potei fare a meno di osservare la quasi totalità delle nudità della mia amica, esposte con tanta disinvoltura, nonostante l’insolita presenza in casa di suo figlio.
Lei indovinò i miei pensieri, e disse: “E dai!… Cosa vuoi che sia, è mio figlio no?”
Risi della sua risposta, e poi io ero l’ultima persona che avrei potuto redarguirla!
Poi stupendomi, guardandomi maliziosa, aggiunse: “E poi gli ho appena fatto una sega” Si giustificò, anche se non ce n’era bisogno: “E da un po che sua moglie lo ha lasciato e lui ha le sue esigenze!” E io ironica continuai: “E già… E chi meglio di una madre può aiutare un figlio bisognoso!” lei con la stessa ironia mi rispose: “Vedo che lo sai bene!!”
Scoppiammo a ridere divertite.
La spinsi in cucina, lontano dalla porta della camera, e incollai le mie labbra alle sue in un bacio vorace. Quando mi staccai, la guardai sorpresa: il sapore sulle sue labbra era intenso, quasi pungente, un odore che conoscevo fin troppo bene. Lei, intuendo ancora una volta la causa del mio stupore, si mise sulla difensiva: “Ma sì, dai… l’ho finito con la bocca!… E allora?… Che c’è di male!?” Scoppiai a ridere di nuovo divertita, Poi sdrammatizzando, abbassando la voce per non farmi sentire da Luciano, dissi: “Certo che non ci sono tante troie come noi, che si scopano anche i propri figli!” Scoppiò a ridere a squarciagola! Poi puntualizzò: “si è vero siamo proprio due zoccole!” Lo aveva detto a voce alta, senza preoccuparsi di farsi sentire.
Poco dopo, suo figlio uscì di casa salutandoci con naturalezza. Si rivolse a sua madre, ancora mezza nuda, e senza mostrare il minimo imbarazzo per la mia presenza, la baciò in bocca con trasporto, mentre le palpava le tette in maniera ostentata, poi si girò verso di me, mi fece l’occhiolino sorridendo e poi uscì.
Rimasi interdetta per un istante, poi capii: doveva avergli parlato di me, di lei… e forse anche di molto altro.
Un pensiero mi sfiorò, fugace, ma nitido ed eccitante: forse, prima o poi, me lo sarei fatto anch’io!
Rimaste sole, raccontai a Lucrezia una piccola idea che mi era balenata in mente durante la notte. Lei mi ascoltò con attenzione e ne fu subito entusiasta. Con un sorriso malizioso mi disse: “Li faremo impazzire, quei due ragazzini… non vedo l’ora di aiutarti a svezzarli per bene!” Detto questo, le chiesi di seguirmi a casa per iniziare a mettere in pratica il nostro piano. Volevo che tutto fosse studiato nei minimi dettagli, con la giusta dose di complicità e sorpresa. Lucrezia annuì divertita, pronta a calarsi nel suo ruolo con naturalezza e una buona dose di spregiudicatezza.
Indossò un soprabito sopra l’audace abbigliamento da notte, poi insieme scendemmo le scale, attraversammo il cortile e salimmo da me.
Quando l’ascensore si fermò al piano della mia abitazione e le porte si aprirono, mi trovai di fronte la signora che avevo messo in imbarazzo il giorno prima. La salutai con garbo, ma lei evitò ogni convenevole, limitandosi a un cenno appena accennato. Il suo sguardo si posò immediatamente sull’abbigliamento di Lucrezia, e non riuscì a nascondere un evidente moto di inquietudine e insofferenza. La mia amica indossava lo stesso leggerissimo indumento intimo di prima, appena coperto dal soprabito indossato in fretta prima di uscire, malamente allacciato in vita, che lasciava intravedere molto più di quanto il buon costume avrebbe consentito. A dire il vero, risultava persino più provocante di quanto non sarebbe stata se fosse stata completamente nuda.
Mentre lei entrava e noi uscivamo dall’elevatore, la sentii mormorare tra i denti: “Ma qua sono tutti impazziti! Ma per Dio, ma neanche le prostitute!… che… che razza… che genere…” Non riusciva a trovare le parole, così la aiutai e con un sorriso pungente, dissi: “Che troie?” Girò la testa sdegnata, senza rispondere, ma il rossore sul suo viso parlava da sé.
Quando le porte si stavano chiudendo, la vidi fissarci con uno sguardo stizzito e furente, mentre noi ridevamo della sua rabbia: Se avesse potuto ci avrebbe incenerito!
Varcammo la soglia di casa ridendo ancora, il fiato corto e le guance arrossate dall’euforia. Mi voltai verso Lucrezia e le feci cenno di abbassare la voce. Lei mi lanciò uno sguardo complice, ancora divertita, e si portò una mano alla bocca per soffocare una risata. “Hai visto la sua faccia?” sussurrò, mentre chiudevo la porta alle nostre spalle. Annuii, cercando di riprendere fiato. “Sembrava sul punto di esplodere.” Sul volto della mia amica passò un’ombra d’inquietudine. “Pensi che ce la farà pagare?” Esitai un istante. “Probabile. Ma ne è valsa la pena.” Ci guardammo complici, con un sorriso divertito.
Preparammo un buon caffè e, sedute comode, ci lasciammo andare a pettegolezzi sui nostri comuni conoscenti, intanto che aspettavamo che i due dormiglioni si alzassero.
Non dovemmo aspettare troppo, poco dopo sentimmo il rumore della cassetta dell’acqua del bagno: si stavano svegliando. Dopo qualche minuto entrarono in cucina, come al solito, indossando solo i boxer. Appena notarono la presenza di Lucrezia, si scusarono per la loro tenuta da casa e stavano per tornare in camera a vestirsi, ma li fermai. Con un sorriso dissi: “Ma dove andate! Lucrezia è una mamma, è abituata a vedere ragazzi in mutande. Dai, venite: la colazione è pronta!” Si sedettero sorridendo, ancora un po’ imbarazzati. Lucrezia si spostò sul divano per lasciare spazio ai ragazzi, mentre io finivo di servire la colazione. Poi mi accomodai accanto a lei sul sofà.
Come da me, precedentemente suggerito, Lucrezia, fingendo una certa noncuranza, teneva il soprabito appena accostato, lasciando intravedere gran parte delle sue intimità, appena velate dall’intimo che indossava sotto. I miei ragazzi cercavano di mantenere un’aria indifferente, ma i loro sguardi sfuggenti e i movimenti nervosi sulle sedie tradivano il turbamento provocato da quella provocazione così esplicita.
Lucrezia, con naturalezza, avviò una conversazione chiedendo della scuola e di eventuali faccende di cuore. Intanto, mentre la chiacchierata proseguiva, il soprabito si apriva sempre di più, rivelando senza più ambiguità che sotto non c’era altro se non quel sottile velo di lingerie.
Le sue cosce abbondantemente scostate, mostravano la figa matura, con quelle grosse labbra sporgenti e visibilmente umide, che tanto mi piaceva succhiare. L’abbondante pelo incolto rendeva quel sesso semplicemente lussurioso, molto vissuto, visibile in tutti i suoi dettagli, appena velato dal leggerissimo indumento.
Il seno, pieno e prorompente, sembrava sfidare il tessuto sottile, le larghe aureole scure risaltavano ben evidenti sul colore scuro del negligè, i grossi capezzoli, resi turgidi dall’eccitazione, sembravano voler bucare l’impalpabile tessuto.
I miei figli, pur cercando di mantenere un’aria composta, davanti a tanta oscena e sfrontata esibizione, non riuscivano a nascondere il loro turbamento e la loro eccitazione, del resto l’erezione che spingeva sui loro boxer rendeva palese il loro stato. Marco, era così preso dalla troia esibizionista, che non si accorse di avere il cazzo che era uscito dall’apertura frontale dell’intimo, il glande lucido e umido di voglia, sporgeva dalla fessura dei boxer bianchi: Mmm… come avrei voluto chinarmi tra le sue gambe ad assaggiarlo!
Invece mii alzai per versare altro caffè, quando mi girai per tornare a sedermi sul divano, a fianco della mia amica, ebbi un tuffo al cuore: La scena indecente che mi si parava davanti mi fece sciogliere all’istante. Lucrezia era a gambe larghe, mostrando tutto con una spregiudicatezza che non lasciavano dubbi sulla sua disponibilità: la figa palesemente bagnata, con le labbra gonfie e umide di desiderio, la clitoride grossa e turgida ben evidente. Il miele che colava sulla stoffa del divano, inumidiva il pelo scomposto e screziato di grigio. Una spallina che era scesa scoprendo completamente un seno, rendeva tutto di una sconcezza assurda.
Le sarei saltata addosso, sentivo la mia voglia scendere liquida lungo le cosce, non frenata dall’intimo che non indossavo!
Mi sedetti scombussolata a fianco di quella vaccona che ormai aveva perso ogni freno inibitore, andando al di là di ogni mia istruzione, sembrava inebriata da quel clima di perdizione!
La gonna, umida della mia stessa eccitazione, aderiva alla figa mentre osservavo i volti dei miei figlii: sconvolti, rapiti da una lussuria travolgente. Faticavo a trattenere il sorriso, a restare impassibile davanti a quelle espressioni sbalordite e desideranti, quasi ipnotizzate dallo spettacolo di quella troia tardona, così sicura e inarrivabile.
Intanto che Lucrezia, Imperturbabile, continuava a discutere tranquillamente come se niente fosse con i loro balbettanti interlocutori, io rincarai la dose: allargai le gambe e ne appoggiai una sul divano, lasciando che la mia passera, palesemente umida di desiderio, si rivelasse senza pudore agli occhi dei due poveri interlocutori.
E interrompendo la mia amica, mi intromisi: “Che ne dici, Lucrezia, li abbiamo cotti abbastanza, questi due poveri diavoli?” Lei scoppiò a ridere, facendo ondeggiare il seno, subito seguita dalle risate di Marco e Augusto, che a quel punto capirono di essere caduti in un tranello.
Augusto, con l’eccitazione ancora a mille, ma con un’aria più rilassata, mi sorrise e disse: “Scusa mamma, ieri ti ho detto che non sei una puttana,” dopo una pausa ad effetto, aggiunse con voce sostenuta: “Ma invece sei proprio una troia!.. tu e anche lei!” proseguì indicando Lucrezia. Poi continuò: “Due bagasce! due vaccone!… Ecco quello che siete!!” Alzandosi ed avvicinandosi a noi, con la faccia sconvolta dalla libidine. Lamentandosi, disse: ”Cazzo! Non potete giocare così, con noi in questo modo!” Con voce più ferma, aggiunse: “Adesso ci vendichiamo.“ Scoppiai a ridere divertita, sempre s gambe larghe, con tutto ben in vista: “Ecco, bravi! E’ come pensate di vendicarvi?” Lui, senza rispondere, si girò verso suo fratello: “Marco, vieni che ce le facciamo queste due troie” Lucrezia, seduta in modo scomposto, con i piedi raccolti sulla seduta del divano e le cosce disinvoltamente aperte, riuscì a parlare tra le risate:“Certo, sempre che sappiate come fare e se riuscite a trovare il buco dove infilarlo” Augusto rispondendo alla maialona, disse: “Beh da come sei seduta, direi che non dovrei fare fatica a indovinare dove metterlo” Intanto che io e Lucrezia ridavamo in modo sguaiato alla battuta di mio figlio, Marco, ancora con il cazzo che spuntava dall’abbottonatura dei boxer, venne verso di me e mi intimò: “Intanto tu rendimelo in bocca troia!… Anzi… Mammina troia!!” Ulteriormente eccitata da quel turpiloquio, con la voce resa roca dalla voglia, lo incitai: “Si!… Dai!… Sbattimelo in bocca, vieni a sborrare in bocca alla tua mamma troia!!” Mentre finivo di parlare, il glande di mio figlio mi sfiorò le labbra. Quando gli abbassai i boxer, notai il colore paglierino di alcune gocce di piscio asciugatesi sul candido tessuto.
Mi avvicinai piano con il naso al glande lucido. Le note speziate di quella ciondolante appendice mi fecero eccitare. Un insieme di aromi virili, tra cui primeggiava un penetrante odore di sperma, di seghe asciugate sul cotone. Un persistente sentore di sudore e urina rappresa completava quegli effluvi, lasciando nell’aria una traccia cruda di un’igiene sommaria, una trascuratezza tipica della giovane età maschile.
Allungai la lingua a toccare quella punta salata e morbida, imperlata da una goccia traslucida di dolce nettare che spuntava dal meato, che leccai avida: Mmmm… Buono!! Come mi piaceva il sapore del cazzo e del suo nettare!
Sentii le sue mani appoggiarsi sulla testa e con un movimento del bacino mi affondò fino in gola quella bella mazza, fino a colmarmi completamente.
Gli tolsi le mani dai capelli: volevo essere libera di assaporare quel momento a modo mio, seguendo il ritmo che il desiderio mi suggeriva.
Cominciai un movimento lento, un dolce andare e venire, dentro e fuori dalla mia bocca, gustando centimetro dopo centimetro quel bel cazzo, caldo e pulsante, che mi possedeva oralmente. I suoi gemiti, sempre più profondi, erano la conferma che stavo conducendo il gioco nel modo giusto.
Alcuni intensi sospiri femminili di piacere mi fecero voltare il capo verso destra. La scena che mi si presentò era di una lussuria travolgente, tanto esplicita da risultare quasi sconvolgente nella sua oscenità: Lucrezia, si era lasciata scivolare in avanti sul divano, passandosi le braccia sotto le ginocchia e tirandosele contro il petto, le cosce ben divaricate. In quella posizione era completamente esposta e aperta ad Augusto, che la stava assaporando con vorace dedizione, passando dal buco del culo, alla clitoride percorrendo tutto l’interno della laida figa. allungando le mani fino ai seni, torcendogli i capezzoli con le dita, senza cattiveria, ma con tanta voglia di suscitare piacere. E da come urlava la troia, ci riusciva bene!
A quanto pare, la pratica che aveva fatto con me, il giorno prima, era servita a qualcosa!
Sentendomi una principiante davanti alle performance di Lucrezia, tornai ad occuparmi del cazzo di Marco che ingollai fino a quando i peli mi solleticarono il naso, era una cosa che suo padre apprezzava molto… e da come mugolava suo figlio, sembrava avere gli stessi gusti.
Venne in fretta, più di quello che avrei voluto, mi riempì la bocca di una pastosa e calda sborrata, di cui ero sempre stata avida, che ingoiai non prima di essermela abbondantemente gustata in bocca, come mi piaceva sempre fare!
Tornai a prendere in bocca la verga di mio figlio per pulirlo bene da tutti i residui dlel suo abbondante orgasmo. Con sorpresa lo sentii già tornare a indurirsi, nonostante fossero passati solo pochi minuti dalla sua eiaculazione: benedetta giovinezza!
Nel frattempo, Augusto si stava dedicando alla figa di Lucrezia con una maestria e una ingordigia che non potei fare a meno di notare. Il modo in cui la esplorava, con movimenti sicuri e affamati, mi fece provare un sottile brivido di gelosia, come se, per un istante, avessi desiderato essere al suo posto. Beh… tempo al tempo.
Intanto avrei potuto fare quello per cui tutto questo era cominciato: Fare la nave scuola dei miei figli!
Mi voltai verso Marco, gli sorrisi con malizia e dissi: “Adesso ti insegno come si lecca una vera donna… non quelle ragazzine inesperte a cui sei abituato.”
Mi spogliai completamente nuda, lo presi per il cazzo già di nuovo in tiro, lo trascinai verso la camera da letto mia e di suo padre, dove saremmo stati più comodi e dove sarebbe stato più intrigante scopare!
Mi stesi sul letto enorme, extra large, voluto espressamente da mio marito.
Ero sdraiata sulla schiena a gambe larghe e ciondolanti sul bordo del letto, mi allargai le gnocca con le dita e lo invitai: “Annusa la figa di una donna matura e senti come è diversa dalla passerina al profumo di ciclamino delle tue coetanee.“
Si avvicinò al sesso con qualche riserva, ma quando il naso percepì l’aroma intenso della mia sorca, chiuse gli occhi e inalò estasiato: “Dio… che profumo… che odore… oh, mamma!… è incredibile. Non riesco a staccarmi… è fantastico.”
Risi dei suoi apprezzamenti, divertita e complice. “Oh, sì… è un profumo che non si spiega. Ti entra nel cervello, ti avvolge, ti fa impazzire… Lo so!… È l’odore di una femmina in calore.”
Dovetti allontanarlo con delicatezza dalla mia sorca, prendendolo per i capelli, gli indicai la clitoride turgida e con voce bassa e complice gli sussurrai: “Qui… concentrati qui. Sfiorala con le labbra, succhiala piano. Lasciati guidare dal suo intenso odore e dal suo sapore.” Lui esitò solo un istante, poi si chinò, seguendo le mie istruzioni senza esitazione. Il suo respiro si fece più profondo, lo sentivo saggiare con estasi e trasporto, non più guidato dalle mie indicazioni, ma dal suo istinto primordiale di maschio. Chiusi gli occhi e mi lasciai cullare dal piacere delle sue labbra, ancora esitanti… ma proprio per questo incredibilmente eccitanti.
La sua lingua si fece sempre più audace e sicura, curiosa di assaggiare ed esplorare tutto, spingendosi fino al buco del culo, senza preoccuparsi dell’intenso effluvio: il mio ragazzo stava imparando in fretta!
In pochi minuti, il pensiero che fosse mio figlio a darmi piacere, il fatto di farlo sul letto matrimoniale, dove scopavo con suo padre, mi fece perder completamente il controllo: Sentii impetuoso arrivare un’orgasmo che gonfiava il mio piacere vome un’onda travolgente che gonfiava il mio corpo di estasi. Mi lasciai trasportare, cullata da quella quella deliziosa estasi, quasi persi i sensi, mentre mi contorcevo sotto i colpi di lingua di mio figlio, che non voleva più saperne di scostarsi dalla figa che pulsava dal troppo piacere!
Ritornai lentamente in me, richiamata da una voce che mi chiamava e da lievi schiaffi sul viso. Era Lucrezia, che mi osservava con dolce apprensione, allertata da Marco, visibilmente turbato. Alla fine avevo perso i sensi veramente! Le sorrisi, ancora stordita dal piacere, e mormorai con un filo di ironia: “Che fai… mi picchi?” Scoppiammo a ridere insieme, mentre lei si chinava su di me e mi baciava sulle labbra, con una passione che non lasciava spazio a esitazioni. La sua lingua si intrecciò alla mia, e in quel momento sentii gli sguardi dei miei figli su di noi, affascinati, rapiti, spettatori silenziosi di uno spettacolo per loro nuovo, inaspettato, e irresistibilmente intrigante.
Lucrezia si staccò lentamente dalle mie labbra, lasciando un filo di saliva argentea che univa le nostre bocche, i suoi occhi, profondi e accesi, mi scrutavano con complicità. Marco e Augusto erano immobili, rapiti da quella scena che sembrava uscita da un sogno proibito. L’aria era densa di desiderio e stupore.
Lucrezia si voltò verso di loro, con un sorriso che sapeva di sfida e invito: “Vi piace quello che vedete? Adesso viene il bello!… Continuate a guardare!” Sussurrò, la voce bassa e vellutata. Poi tornò a guardarmi, e mi accarezzò il viso con la punta delle dita, poi scese, con la mano, prima sul mio seno, accarezzando leggera, stuzzicando i capezzoli, come solo un’altra donna sa fare e poi prosegui fino tra le mie cosce, sulla passera, cercando la clitoride e dopo aver bagnato un dito con gli umori, che mi inondavano il sesso, ritornarono sul mio bottoncino, ancora sensibile per l’orgasmo appena avuto, e lo stimolarono con un movimento circolare, facendomi di nuovo gemere di un intenso piacere.
Persa, per l’ennesima volta in quello stato di piacevole abbandono, ebbi la forza di alzarmi sui gomiti i e le mormorai all’orecchio: ““Facciamoli impazzire!” Lucrezia con un sorriso malizioso: “Mostriamo loro quanto può essere sublime il sesso tra due donne!”
I due spettatori si stavano godendo il debutto a quello spettacolo che stava iniziando, accarezzandosi li loro cazzi in erezione.
A Lucrezia bastò sfilarsi l’inutile capo intimo che indossava, per denudarsi completamente. La scavalcai con le cosce. posizionandole una a destra ed una a sinistra della sua testa, ci intrecciammo, invertendo le nostre posizioni, per donarci piacere a vicenda.
Davanti a me avevo la figa gonfia e piena di umori di Lucrezia. Con le dita scostai il pelo e le sue labbra, grosse e grinzose, si aprirono: Dall’orifizio della vagina stava colando un gelatinoso liquido traslucido, che grazie anche al penetrante odore, identificai come sperma. Capii subito: la sua figa era farcita dalla sborra di mio figlio, che a quanto pare la aveva chiavata! Affondai avida la lingua a gustarmi quella traccia colante e lattiginosa che mi lasciai scendere in gola, gustandola con oscena cupidigia, mentre la lingua di Lucrezia mi faceva impazzire di piacere, non riuscivo a rimanere ferma’ e mi dimenavo come un’ossessa, gridando la mia estasi.
Vidi i ragazzi avvicinarsi, attratti, desiderosi di osservare da vicino mentre leccavo la passera della mia vicina di casa, girai lo sguardo verso di loro, con un sorriso malizioso: “Osservate bene… nessuno meglio di una donna sa insegnare l’arte di leccare la figa!” Poi guardando Augusto negli occhi maliziosa, infilai la lingua in profondità nella vagina di Lucrezia e la ritirai piena del suo seme, aprii la bocca in modo che vedesse bene e poi ingoiai : “E la sto ripulendo dalla tua sborra!” Gli dissi con sguardo malizioso.
Presi da quella perversa scena, mentre continuavano a masturbarsi con fervore, non risposero, i loro occhi, affascinati e colmi di desiderio, mi osservavano in silenzio, rapiti dal mio fare. Quegli sguardi densi di voyeurismo, intensi e bramosi, accendevano in me un’eccitazione profonda, difficile da contenere.
Mi immersi nuovamente tra le cosce della mia amica, affondando faccia tra le sue morbide e umide intimità, con il naso sul buco del culo, ad annusarne il forte aroma e la lingua infilata nella vagina, ad assaporarne le essenze.
finii di ripulire tutto, mi lasciai guidare dal suo respiro affannoso e dai movimenti del suo bacino, che cercava il mio contatto con crescente impazienza, gemendo di piacere.
Il culmine non tardò ad arrivare. Stimolata dalla presenza discreta ma intensa dei nostri spettatori, Lucrezia raggiunse per prima l’apice del piacere, incendiando la miccia che fece capitolare anche me. Ci abbandonammo all’estasi, in un’esplosione condivisa di emozioni, urlando il nostro orgasmo, infischiandocene di chi avrebbe potuto sentire.
Con la coda dell’occhio, vidi Augusto che godeva spruzzando abbondanti schizzi di sborra in aria, alcuni dei quali ci finirono addosso. Marco stava ancora segandosi, suo fratello, appena reduce dall’orgasmo, pensò di aiutarlo accarezzando, in un gesto laido, il culo di suo fratello, infilandogli un dito nell’ano, il quale si era piegato leggermente in avanti per lasciargli spazio e gioire di quel tocco perverso che lo portò all’estasi nel giro di pochi secondi. Ci guardarono , ansimanti e sorridenti, senza preoccuparsi dei nostri giudizi.
Mentre io e Lucrezia ci sciogliemmo lentamente dal nostro abbraccio. I nostri corpi, ancora caldi e vibranti, si distesero l’uno accanto all’altro, avvolti da un silenzio complice e carico di emozioni. Solo il ritmo del nostro respiro, ancora affannoso, accompagnava le ultime onde di piacere che lentamente si dissolvevano, lasciando spazio a una quiete dolce e profonda.
In quel momento di quiete, quando i sensi non erano più travolti dall’urgenza del piacere, percepii con chiarezza l’odore intenso di sesso che aleggiava nella stanza, denso e caldo. Era un odore penetrante di corpi accaldati, di figa eccitata, dell’odore che emana il cazzo scappellato, di intenso afrore di culo sudato e di tutti quelle emanazioni che accompagnano il sesso.
Ci sorridemmo complici, avvolti in quell’effluvio afrodisiaco, Io e Lucrezia, distese e rilassate, i miei figli, invece, sembravano trattenere il respiro, i volti arrossati, gli sguardi accesi da un’evidente eccitazione, confermata dal turgore dei loro cazzi, dal sudore che colava dalla loro fronte e dal viso arrossato, tutte testimonianze silenziose, eloquenti, di un desiderio ormai incontenibile, causato dallo spettacolo che avevamo intessuto, non tanto per il nostro piacere, quanto per scatenare quella prorompente libido che traspariva dai loro occhi, che Lucrezia pensò bene di sfruttare: “Ehi!… Voi vi siete divertiti a guardarci lesbicare, ma adesso vorremmo che anche voi ci faceste un bello spettacolo!” Io pensai bene di rincarare la dose: “Forza!… datevi da fare, fateci vedere come siete capaci di giocare tra di voi!” Certo!… Avrei potuto dirgli che sapevo benissimo che lo facevano di loro, ma non volevo interrompere quell’atmosfera sospesa che si era creata in quel momento.
I ragazzi si guardarono un istante, incerti, quasi intimiditi dalla sfida lanciata da Lucrezia. Ma alla fine il desiderio che leggevo nei loro occhi prese il sopravvento. Augusto fu il primo a muoversi: si alzò lentamente, lo sguardo fisso su di noi, come a voler capire fino a che punto poteva spingersi. Suo fratello lo seguì, più timido, ma visibilmente eccitato.
Si avvicinarono l’uno all’altro, seduti sul letto, senza dire una parola, si guardarono in faccia per decidere chi doveva fare cosa.
Marco allargò le gambe e Augusto, senza esitare, con evidente brama, si chinò su di lui, quasi si avventò, prendendogli in bocca il cazzo eccitato e con una maestria che denotava una notevole esperienza, iniziò un maestoso pompino andando su e giù, facendoselo entrare ed uscire di bocca, provocando degli osceni rumori di risucchio, che rivelavano con quanta passione lo faceva.
Io e Lucrezia, sdraiate nude, l’una che trastullava piano la figa dell’altra, accarezzando leggere il pelo con le dita, osservavamo, rapite e estatiche, Marco, concentrato e sicuro che sembrava conoscere ogni punto, ogni ritmo per provocare quell’estasi che Augusto esprimeva con gemiti di goduria, tenendo chiusi gli occhi, con il corpo attraversato da fremiti che parlavano più di mille parole. Mentre spingeva sulla testa di suo fratello per accompagnarlo nel suo succoso lavoro di bocca.
Noi, estatiche, ci lasciavamo trasportare da quella scena, nutrendoci della loro voglia.
La mano di Lucrezia che, leggera come una piuma, senza fretta, stava frugandomi la figa, mi fece desiderare di più: “Ragazzi!… Vi prego, siete bellissimi!… Succhiatevelo a vicenda, vi prego, fatelo!… E’ la mamma che ve lo chiede!”
Le mie parole avevano acceso una nuova scintilla. I ragazzi si scambiarono uno sguardo, si sorrisero complici e dopo essersi baciati con un salivoso lingua in bocca omosessuale, scambiandosi sapori ed essenze. Con calma, si stesero a posizione invertita, l’uno sopra l’altro, con i cazzi, eretti, scappellati e odorosi che sfioravano le reciproche labbra.
Dopo essersi assuefatti agli aromi pungenti dei reciproci sessi, se li assaporarono con mutuo trasporto e piacere.
Staccavamo gli occhi da quella trasgressiva scena solo per dei fugaci baci, brevi ma travolgenti, infiammate ci toccammo reciprocamente sempre con più decisione e trasporto. Il loro piacere alimentava il nostro.
Osservammo rapite quell’incestuoso scambio di favori, fino a quando Augusto, riempì per primo la bocca di Marco con una copiosa sborrata che lui accolse con una voracità che tradiva l’imminente esplosione del suo stesso desiderio, come se quella fame bramosa fosse la prime scintilla di un’imminente incendio.
Continuarono a esplorarsi con passione, succhiandosi a vicenda fino a quando l’onda dell’orgasmo si placò del tutto e anche oltre, spinti dal desiderio di prolungare quell’intimità, di rubare anche le ultime stille di piacere.
Noi due, rapite da quell’intensa scena intrisa di lussuria, ci abbandonammo l’una all’altra con fame, esplorando i nostri corpi senza pudore né riserve. Le mani si inoltravano nelle umide intimità dell’altra, le bocche si cercavano in baci succosi, mentre le lingue si intrecciavano in un gioco febbrile. I gemiti, intensi e sinceri, erano la colonna sonora del nostro piacere. Con un senso di rinuncia, frenai la mano di Lucrezia che mi stava sgrillettando con passione la passera, proprio mentre il piacere minacciava di travolgermi. Gli dissi non così, non voglio venire in questa maniera, lei mi sorrise comprensiva. Poi si stese allungata sul letto, con le gambe larghe, completamente offerta, e mi disse in un dolce sussurro: “Allora finisci me, non me lo feci ripetere, mi sdraiai distesa sulla pancia, tra le sue cosce, davanti alla sua pelosissima figa grondante di umori. Alzai lo sguardo e incrociai quello di Lucrezia. Si stava mordendo il labbro inferiore, gli occhi pieni di desiderio, mi mise una mano sulla testa e me la premette sulla sorca profumata di voglia. Chiusi tutte le porte della coscienza, attorno a me non esisteva più niente. Mi concentrai solo sul mio piacere che trasmisi attraverso la lingua alla mia amica che fremette, e in quel fremito c’era tutto il desiderio di di appartenerci, di perderci l’una nell’altra.
Intanto che i due ragazzi giacevano sul letto, ansimanti e rilassati, con un sorriso stanco e appagato stampato sul volto, Lucrezia si abbandonò all’ennesimo spasmo, travolta da una sequenza di orgasmi che la scuotevano come onde in piena. Non sapevo fosse multi orgasmica, ma forse era il risultato di quel giorno infinito, della lussuria che ci aveva condotti fin lì!
Ci rilassammo, esausti per quella maratona del sesso che stavamo vivendo.
Io però non ero ancora appagata del tutto, guardi i miei figli che ci guardavano con i cazzi già barzotti, sulla buona strada di una nuova erezione, evidentemente non erano rimasti indifferenti all’ultimo siparietto offerto da me e la mia amica.
Mi rivolsi a Lei: “Che ne dici se adesso ci prendiamo una buona razione di cazzo!”
Mi guardò, cercando di capire se parlavo seria o scherzavo: “Hai ancora voglia?ninfomane che non sei altro!?” Chiese ridendo. Io indispettita, ribattei: “Guarda che io mica l’ho preso ancora, tu oggi ti sei fatta tuo figlio e i miei, ma io non sono stata ancora aperta da un bel cazzo!!” Ci pensò un attimo prima di rispondere: “Hai ragione, adesso tu te li fai tutti e due ed io rimango a guardarvi!” Non capii subito:“Tutti e due!?” chiesi, con una voce che cercava conferma. “Esatto… tutti e due,” rispose Lucrezia, poi, dopo un attimo di riflessione, precisò: “Intendo insieme.” Cominciavo a intuire. “Ma… come…? Vuoi dire…” Lei annuì con un sorriso deciso. “Uno in culo, uno in figa.” Quella sì che era chiarezza.
Mi voltai verso i ragazzi, che nel frattempo erano rimasti in silenzio, quasi dimenticati durante il nostro scambio.
Mi osservavano con sguardi interrogativi: avevano sicuramente sentito, ma forse non avevano compreso appieno il loro ruolo. Sorrisi con malizia, lasciando che il mio sorriso più sensuale facesse il resto. “Vi va di farvi la mamma insieme? O siete troppo stanchi?”
Si guardarono sorpresi tra loro, poi Marco rispose per tutti e due: “Stanchi?… Ma scherzi mamma!! Siamo pronti a chiavarti immediatamente” Poi si guardarono dubbiosi tra loro, e lui aggiunse: “Uno davanti uno dietro assieme?… Ho capito bene?” Scoppiai a ridere dei loro dubbi: “Certo!… Ho due buchi no?” Risposi divertita. Poi, rivolgendomi a Lucrezia, le chiesi: “Tu ci aiuti, vero?” “Ma volentieri, scherzi?” rispose lei.
Mi alzai dal letto e mi diressi verso la cucina: “Prendo un goccio di olio” Informai.
La voce di Lucrezia mi fermò prima che varcassi la soglia: “Dove vai!!… Vieni quà che ci penso io!” Capii le sue intenzioni, mi posizionai a quattro zampe sul letto, in attesa. Lei si mise dietro e dopo avermi allargato le chiappe, girò lo sguardo verso i ragazzi e in maniera maliziosa disse: “Rifatevi gli occhi e imparate!.. E sopratutto, fatevi venire il cazzo duro, che tra poco ne avrete bisogno!” Poi sorridendo con faccia allusiva e civettuola, finì la frase: “Altrimenti mi sacrificherò io a farvelo tirare!!” Poi mi infilò più in profondità possibile la lingua nel culo, ripetendo più volte l’operazione, poi si bagnò il dito medio con la saliva e mi penetrò infilandolo del tutto, rigirandolo più volte, anche in quel caso, l’operazione di insalivazione e penetrazione, la ripetè più volte. L’ultima volta che lo estrasse me lo mostrò, sulla punta era sporco di una patina marrone, non ci voleva tanta fantasia per capire cosa fosse.
Mi fece l’occhiolino, poi si portò il dito alle labbra e lo succhiò per pulirlo: “Beh… A volte succede!” Disse dopo averlo pulito, schioccò la lingua, come se avesse assaggiato una prelibatezza. Che troia perversa!!.
Si rivolse ai miei figli, che dopo quello spettacolo non avevano certo bisogno del suo aiuto per farselo inturgidire, e chiese: “Avete deciso, chi nel culo e chi nella figa?… O volete tirare a sorte!?” Augusto rispose per primo con enfasi: “Io il culo!!” Marco rise ed acconsentì.
Lucrezia disse a marco, stenditi sul letto, con le gambe a penzoloni, lui ubbidì senza esitazioni, io salii sul letto, e mi posizionai sopra di lui, le cosce aperte ai lati del bacino. Con un movimento lento e consapevole, mi lasciai scivolare fino ad impalarmi su quel notevole cazzo.
Chiusi gli occhi per il piacere di sentirmi riempita. Finalmente!!
Mario iniziò a muoversi in maniera quasi istintiva, guidato dalla sua voglia. Avrei tanto voluto lasciarlo continuare, ma con notevole sforzo di volontà, lo ripresi: “No amore, fermati, non muoverti, aspetta che tuo fratello me lo metta nel culo!” Non volevo che rischiasse di venire prima ancora che tutto iniziasse.
Mi girai verso Lucrezia che aveva in bocca il cazzo di Augusto e lo succhiava con l’intento di lubrificarlo. Dopo un po che aspettavo e vedevo mio figlio che chiudeva gli occhi estasiato per il lavoro di bocca della mia amica, con voce decisa la richiamai all’ordine: “Ehi… Guarda che deve sborrarmi nel culo, non nella tua bocca!!” Risero tutti della mia battuta. Lucrezia, dopo averlo lasciato uscire controvoglia e dopo un’altra leccatina al mio culo, lo prese in mano per aiutare Augusto a penetrarmi.
Sentii il glande sfiorarmi l’ano, per mettersi in posizione: Solo quel leggero tocco, unito al cazzo che già mi riempiva la figa mi fece fremere di piacere: “Spingi amore… Spingi forte, mettilo tutto dentro nel culo della mamma!” Come mi piaceva dire - “Mamma!” - L’idea, perversa e contro natura, di essere così troia, da farmi possedere dai miei figli mi faceva impazzire! Già solo al pensiero godevo!
Sentii la voce di Lucrezia: “Dai… Spingi!” Quelle furono le ultime parole che sentii distinte, poi quando mi sentii invadere da quell’uccello che mi spaccava, e quando sentii le sue braccia muscolose cingermi il bacino, fu tutto un turbinio di estasi, di sensazioni, di desiderio incontrollabile. Raggiunsi vette di piacere inarrivabili. Quasi in catalessi, mi sentivo sbattere come se fossi stato un pupazzo, un giocattolo nelle mani dei miei forzuti ragazzi. Riempita come più non potevo.
Non ricordo molto, so che raggiunsi non so quanti orgasmi, mentre loro, incuranti di me, mi sbattevano con forza, alla ricerca di un’estasi che tardava ad arrivare per i troppi orgasmi già avuti.
Ricordo che, a un certo punto di quell’amplesso, mentre sentivo le labbra di Marco suggermi bramose i capezzoli, mentre mi mungeva stringendomi le tette con le mani, fui investita da un getto caldo e pungente, il cui odore penetrante mi avvolse all’istante. degli abbondanti spruzzi mi raggiunsero il viso, entrandomi nella bocca che tenevo dischiusa: Il sapore acre che percepii mi rivelò che si trattava di piscio. Leccai avida le labbra bagnate, alla ricerca di atro nettare che avevo imparato a gustare grazie alle perversioni di mio marito.
Confusa ed in preda ad un’estasi senza fine, mi volsi, con movimento rallentato, verso la direzione da cui era arrivato quel caldo e aromatico liquido, intensamente scossa dai miei due giovani amanti, che continuavano, instancabili, a spingere i loro cazzi dentro di me, con impeto e vigore. I miei occhi annebbiati scorsero Lucrezia, che in una posizione oscena, facendo perno sulle gambe tenute allargate, inarcandosi verso l’alto dalla posizione distesa, con il viso trasformato in una maschera di lussuria, stava raggiungendo un incontenibile orgasmo mentre si masturbava smanettandosi forsennatamente con le dita.
Dalla sua sorca sprizzava un energico fiotto, liquido e dorato, che zampillava con vigore, tracciando nell’aria un arco che ci colpiva, unendosi al sudore dei nostri corpi.
Spalancai la bocca cercando di intercettare altri spruzzi di quel liquido paglierino, chiusi gli occhi: Sapevo per esperienza che bruciava.
Dopo un tempo che sembrava eterno, in cui il mio corpo continuava a essere scosso da orgasmi incessanti, ormai più simili a vertigini che a piacere, avvertii una colata calda e abbondante riempirmi il culo in profondità. Seguita, dopo pochi secondi, da una generosa sborrata che sentii, altrettanto calda, invadermi il condotto vaginale. Le urla del loro piacere mi giungevano confuse e ovattate alle orecchie. In mezzo a quel delirio, epiteti come troia, bagascia, puttana, zoccola , non si contavano.
Dietro di me Augusto si accasciò ansimante sulla mia schiena, mentre Marco davanti, ancora dentro di me, il cazzo ancora che pulsava, aveva gli occhi chiusi e si godeva gli ultimi rilassanti spasmi di piacere: Ero inerme, schiacciata tra loro, tuttora invasa, distrutta, consumata e ansimante. Felice, decisamente provata, ma finalmente completamente appagata.
Finalmente il corpo sudato di Augusto, percependo la mia difficoltà a respirare, scivolò di lato. Io mi lasciai cadere spossata, distesa su un lato ad occhi chiusi, una gamba allungata e una raccolta contro i petto. Sentivo uscire lo sperma dai miei due buchi. Avvertii una faccia infilarsi da dietro e una lingua leccare quei sbrodolanti liquidi che fuoriuscivano da me. I capelli folti contro le natiche, mi fecero capire che si trattava di Lucrezia. La ringraziai mentalmente per quell’oscena opera di pulizie. Mi lasciai accarezzare dalla sua lingua che mi procurava sollievo dall’uso prolungato e intenso delle mie parti intime da parte dei miei impetuosi amanti
L’aria della stanza era densa, satura dell’odore acre di urina e degli afrori intensi del sesso, distinsi distintamente un forte odore di secrezioni anali, credo che dal culo, oltre allo sperma, mi fosse uscito anche qualche residuo fecale. Mi voltai verso Lucrezia, stesa al mio fianco, ancora con il viso bagnato di umori vari tra cui anche quelli del mio culo probabilmente, con voce stanca ma gentile, le chiesi se poteva aprire la finestra per far entrare un po’ d’aria per purificare la camera.
Mi sentii toccare gentilmente e la voce scherzosa di Augusto chiedere: “Ehi… Ci sei ancora?… Ti abbiamo spupazzato per bene, vero?!” Le fece immediatamente eco la voce preoccupata di Marco, più sensibile di suo fratello, chiese: “Va tutto bene? Come ti senti?” Le sue labbra sfiorarono la mia guancia con un bacio tenero, e in quel gesto c’era qualcosa di più profondo, un affetto che andava oltre il momento: “Ti voglio bene, mamma.” sussurrò.
Aprii gli occhi, voltai lentamente il viso verso di loro e li guardai. Un sorriso lieve mi affiorò sulle labbra, colmo di quella tenerezza che solo una madre sa donare.
Li abbracciai commossa, in quel momento non erano più amanti, ma solo figli! Una lacrima solitaria mi rigò il viso.
Dissi ai due ragazzi: “Abbiamo tutti bisogno di una bella doccia… andate, poi tocca a me.”
Ma non tutto era ancora finito.
Lucrezia, la bagascia di amica che mi ritrovavo, che evidentemente non ne aveva ancora avuto abbastanza, si stiracchiò, arcuando il corpo con una certa teatralità, spingendo in avanti i seni imponenti, e appesantiti dal tempo, che oscillavano con una grazia stanca. Quel gesto, che voleva essere sensuale, mise impietosamente in risalto la cellulite che le segnava cosce e natiche, testimoniando il peso degli anni. Eppure, nonostante tutto, nonostante quelle cosce martoriate, nonostante il corpo segnato dal tempo, Lei non aveva perso la sua fame smodata per i piaceri del sesso.
Con un sorriso malizioso e disse: “Ma scusa… gliela facciamo noi la doccia!” Si rivolse ad Augusto e Marco con uno sguardo complice: “Stendetevi a terra.” I due si scambiarono un’occhiata divertita, quel tipo di sorriso che nasce quando si sa già come andrà a finire. A quel punto avevo capito anch’io!
Lucrezia mi guardò con uno sguardo carico di sottintesi, mi fece un cenno e, con quella voce roca che aveva quando voleva coinvolgermi in qualche maialata, mi disse: “Dai, vieni… Che concludiamo il pomeriggio in bellezza!” Le sorrisi maliziosa, mentre mi avvicinavo. Di nuovo troia! La mia amica sapeva come trascinarmi, come farmi dimenticare ogni freno, ogni morale, ogni stanchezza.
Mentre mi avvicinavo, Augusto e Marco si stesero sul pavimento, uno a fianco dell’altro, pronti.
Lei si dispose in cima ad Augusto, a gambe larghe, si girò verso di me, invitandomi a raggiungerla, mi misi al suo fianco, sopra a Marco, Eravamo lì, nude e vive, sconvolte dalla lussuria.
Ci spostammo sopra alle teste dei due maialini, che ci guardavano da sotto, ammirandoci da una prospettiva che doveva essere molto interessante, I loro occhi erano pieni di attesa, di fame, di desiderio, spettatori di qualcosa che sta per esplodere.
Lucrezia guardò mio figlio sotto di se, e gli chiese provocatoria: “Cosa vuoi?… Cosa stai aspettando?” Negli occhi di lui lessi una brama assurda: “Dai!… Troia!… Lo sai cosa voglio! Piscia puttana!” Lucrezia scoppiò a ridere, sentendosi padrona della scena. Fletté le ginocchia, spostò in avanti il bacino e si aprì le labbra della figa con le dita, teatrale e provocante. Poi, con voce ferma e ironica, lo rimise al suo posto: “No, non va bene così, devi chiedermelo gentilmente.”
Augusto, con la bocca aperta in attesa, mentre allungava la lingua, quasi a voler accorciare lo spazio tra la sua bocca e la passera, che sembrava sul punto di rilasciare quel nettare speziato che lui stava anelando, implorò: “Ti prego, per favore, pisciami addosso!… Ti prego fallo!”
Lucrezia, sempre nella posizione di prima, si voltò verso di me, complice, e mi fece l’occhiolino. “Vedi? Noi donne tra le gambe abbiamo il potere sugli uomini!” Rise della sua battuta.
Poi rivolse lo sguardo su Marco sotto di me: “Sei pronto a farti docciare dalla mammina?” Lui rispose con un sussurro, rivolto a me: “Ti prego mamma… Fallo!”
Gli sorrisi seducente.
Lucrezia mi chiese: “Sei pronta?” Gli sorrisi e mi misi nella sua stessa posizione: “Pronta!” Lei mi incitò: “Vai!” Rivolta a Marco, gli dissi: “Chiudi gli occhi.”
Rilasciai la vescica, e sentii fluire immediatamente dall’uretra una cascata di piscio dorato e fumante, che trattenevo da un po, che investì la faccia di mio figlio, che si lasciò riempire la bocca. Indietreggiai mentre continuavo a urinare bagnandogli il petto e poi l’uccello, ancora sporco della sborrata di prima, che lui si segava in estasi.
Girai la testa dalla parte di Lucrezia, il suo getto era molto meno imponente del mio, d’altronde non era molto che si era liberata.
Sotto di lei Augusto cercava di intercettare quel flusso salato, mulinando la lingua fuori dalla bocca.
Decisi di aiutarla e mi spostai sopra a mio figlio minore, dandole man forte.
Ci incontrammo una davanti all’altra, mentre ancora la piscia fluiva dalle nostre fighe. Lei sussurrò: “Fammi bere.” Si chinò davanti a me e si mise a bocca aperta tra le mie cosce aperte e si fece riempire la bocca deglutendo un paio di volte, poi si chinò su Augusto leccando, suggendo avida, dal suo corpo bagnato, mentre io finivo di vuotarmi sulla sua testa sotto di me.
Mi spostai sopra a Marco e china come la mia amica, imitandola, leccai e aspirai la mia stessa urina sul suo corpo. Mmmm… Come mi piaceva! Avevo una passione per quel speziato liquido acre, anzi… più il sapore e l’odore erano forti più mi piaceva!
io e Lucrezia ci baciammo, con il respiro e le labbra intrisi del sapore acre e penetrante della nostra stessa urina. Intanto, i due porcellini, distesi sul pavimento bagnato, si abbandonavano ancora una volta al piacere, accarezzandosi e succhiandosi con rinnovata brama, osservandoci, mentre ci baciavamo, con occhi colmi di desiderio.
Quando tutto finì, restammo lì. Sudate, sporche, esauste. Ci scambiammo uno sguardo silenzioso, sorridendoci con intesa. Ci avvicinammo lentamente, sfiorandoci le labbra in un bacio fugace, colmo di affetto e tenerezza.
Lucrezia, indicando i ragazzi stremati, disse con un sorriso malizioso: “Li abbiamo messi al tappeto. Non sono ancora nati uomini capaci di tenerci testa.” Scoppiammo a ridere, leggere e felici, stringendoci in un abbraccio sincero e complice.
I ragazzi si erano alzati e si erano lasciati cadere stanchi sul letto, inermi, così com’erano, tutti bagnati di piscio.
Mi guardai attorno sconsolata, la puzza di urina era asfissiante, il letto sfatto con lenzuola e coperte da lavare. Dovevo pulire tutto, prima dell’arrivo di mio marito, il giorno dopo.
Lucrezia si premurò di aiutarmi. Adoperammo le lenzuola da lavare per assorbire l’urina sul pavimento e poi le misi in lavatrice, mentre i ragazzi si facevano la doccia, Poi, collaborativi, loro lavarono il pavimento, intanto che ci docciavamo io e Lucrezia. Naturalmente restammo nudi tutto il tempo.
Ancora umidi di doccia, ci eravamo stesi sul letto appena rifatto. La stanza odorava di pulito, di sapone e lenzuola fresche. Non più di sesso, non che quell’odore non mi piacesse, anzi, ma adesso avevamo bisogno di quiete e di respirare aria pulita.
Il silenzio era morbido, Lucrezia si voltò verso di me, con quel sorriso che conoscevo bene, e mi accarezzò il viso con la punta delle dita. Era un gesto semplice, ma pieno di tutto: affetto, desiderio, pace. In quel momento, non servivano parole, sarebbero state di troppo.
Ormai era ora di cena e non avevo nessuna intenzione di mettermi ai fornelli e non avevo voglia di uscire.
I nostri cavalieri si proposero di andare a prendere del sushi, che io adoravo, per consumarlo tutti e quattro attorno a un conviviale tavolo. L’idea ci fece ridere: dopo il caos dei corpi, la fame vera, quella dello stomaco, si faceva sentire.
Mi divertii a essere testimone silenziosa degli eventi successivi. Lucrezia, ancora spettinata e con le guance arrossate, si occupava di preparare il tavolo per la cena con una grazia disordinata, mentre si riprendeva dagli accadimenti della giornata. Marco, rilassato, cercava le chiavi dell’auto con l’aria di chi ha appena vissuto qualcosa di irripetibile e non ha fretta di tornare alla realtà. Augusto, invece, con fare da intenditore, si propose di scegliere il vino, all’enoteca sotto casa.
Io li osservavo, ancora nuda sotto una vestaglia leggera tenuta aperta, con un bicchiere in mano e il corpo caldo di emozioni.
quando uscirono, e Io e Lucrezia ci accomodammo sul divano, e in attesa del loro ritorno, io mi stesi con la testa sulle cosce della mia amica, lei mi accarezzava i capelli in silenzio. Dopo un po quando le sue mani si fecero più esplorative, più audaci, e il mio corpo iniziava a rispondere, un rumore familiare ci riportò alla realtà: i miei figli erano rientrati.
La stanza si riempì dell’aroma confortante del riso caldo, del pungente profumo di wasabi e della dolcezza della salsa di soia. Ci sedemmo al tavolo, le bacchette tra le dita, i sorrisi complici sulle labbra. Sotto il tavolo, le ginocchia si cercavano, si sfioravano, come a ricordarci che quello che avevamo vissuto non era finito, ma solo sospeso.
il vino versato con troppa generosità, e le luci basse rendevano tutto più complice..
Lucrezia mi sfiorò la mano sotto il tavolo. «Ti sei divertita?» chiese, con un sorriso che non cercava risposta. Io annuii, lasciando che il silenzio parlasse per me.
I miei figli ci coccolarono con gentilezza per tutta la durata della cena, forse un modo per ringraziarci. Dopo tutto eravamo due inarrivabili donne mature, che si erano concesse senza riserve, che si erano date completamente.
Mi ero appena coricata quando il telefono vibrò. Era un messaggio WhatsApp di mio marito. C’era scritto solo: “Guarda”. Sotto, un file video.
Stupita dal tono enigmatico, lo aprii senza pensarci troppo. Le prime immagini iniziarono a scorrere… e il sangue mi si gelò nelle vene. Quel filmato mostrava, in sequenza, tutto ciò che era accaduto quel giorno. Ogni dettaglio, sia quello che era successo in cucina che quello che era successo sul talamo matrimoniale!
Mi alzai di scatto, il cuore in gola. Il video continuava a scorrere, impietoso, mostrando ogni dettaglio, ogni sussurro, ogni sguardo. Non riuscivo a staccare gli occhi dallo schermo, paralizzata.
Mi sedetti sul bordo del letto, cercando di riprendere fiato. Mille pensieri mi attraversavano la mente: rabbia, paura, vergogna… ma sopra ogni cosa, una domanda bruciava più di tutte. Perché lo aveva fatto? Cosa voleva scoprire? E soprattutto… da quanto tempo ci stava osservando?
Mi sollevai di colpo, spinta da un pensiero improvviso. Il cuore batteva forte mentre scrutavo la stanza, cercando di capire con cosa mi avesse ripreso. Ogni angolo sembrava improvvisamente sospetto. Ogni oggetto, una possibile trappola.
Poi la vidi. Lì, mimetizzata tra vecchie scatole in cima all’armadio, c’era una piccola telecamera. Un brivido gelido mi attraversò la schiena.
Mi diressi verso la cucina, convinta che anche lì avesse nascosto qualcosa per spiarmi. E non mi sbagliavo. La trovai quasi subito: identica a quella sopra l’armadio, celata tra due porta foto. Uno di quei ritratti mostrava me e lui, sorridenti, il giorno del nostro matrimonio: Che strano senso dell’umorismo che aveva il porco!
In quel momento sentii la suoneria provenire dalla camera. Prima che i miei figli si svegliassero, corsi a rispondere.
Era lui. Una videochiamata. Presi il telefono e lo tenni in grembo per un istante, come se quel gesto potesse proteggermi da ciò che stava per accadere. Il cuore mi batteva forte, le mani sudate tremavano appena. Poi, con un respiro profondo, sfiorai lo schermo e risposi con voce incerta:“Pronto?” Sul display apparve il viso sorridente di mio marito. Con voce tranquilla, quasi allegra, mi salutò come se nulla fosse: “Ciao amore!”
Poi, con la stessa leggerezza con cui si chiederebbe che tempo fa, aggiunse: “Visto il video?” Rimasi spiazzata, incerta risposi con un flebile: “Si.”
Allontanò il video, appoggiò il telefono da qualche parte, apparve lui completamente nudo disteso sul letto, che si stava accarezzando il cazzo in erezione! E disse: “Anch’io!… e non una sola volta.” Adesso si stava proprio masturbando. Stetti zitta, in attesa di evoluzioni. Lui continuò: “Certo che sei proprio una troia!” Aveva aumentato la foga con cui se lo menava. con voce malferma, aggiunse: “Anzi, sei più troia di quello che pensavo, sapevo che avresti finito per farti scopare da Augusto e Marco, ma tutto quello che hai fatto oggi… “
Mi guardò con gli occhi persi nella lussuria: “Spogliati, troia!… Spogliati anche per me!… non solo per gli altri!… Puttana!” Sentii la tensione lasciarmi, risi e mi spogliai della corta sottoveste che indossavo, sotto non avevo altro: “Brutto bastardo spione!.. Sei contento che i tuoi figli ti hanno fatto cornuto, vero?!… Ti piace vedere quanto è porca tua moglie!” Allargai le gambe e mi toccai la figa, aprendo le labbra con le dita e me la ripresi in primo piano: “Sapessi che slargata che ha preso oggi la mia farfallina!… Ti piace guardarla, amore?…Ti piacerebbe infilarci il cazzo, vero porco?” Ormai avevo capito che non era affatto arrabbiato, anzi era quello che sperava succedesse.
Sentii dei gemiti, guardai il video proprio mentre stava sborrando. Mi piaceva guardarlo venire. Sentii i miei umori bagnarmi le dita.
Lo vidi leccarsi le dita sporche della sua sborra. Poi mi disse: “Domani mattina, quando ti alzi, rimani nuda, tanto ormai i nostri figli quello che dovevano vedere, lo hanno visto, che quando arrivo voglio scoparti in cucina mentre loro guardano!” Risi divertita ed eccitata: “Non so se mi basti tu per accontentarmi, magari mi faccio scopare di nuovo a sandwich da loro, mentre tu guardi!”
L’immagine si formò nitida nella mia mente, intensa, travolgente. E mentre la fantasia prendeva il sopravvento, il mio corpo reagì. Un’ondata di piacere mi attraversò, improvvisa, potente. Venni, senza riuscire a trattenermi.
Sul display, lui mi osservava in silenzio, con un sorriso che sembrava mescolare soddisfazione e tenerezza. Poi, con voce calma e complice, disse: “Dormici su, amore. Domani sarà ancora più bello.”
Un ultimo sguardo, un cenno appena accennato. La chiamata si chiuse. E io rimasi lì, nel silenzio della stanza, con il respiro ancora affannoso e mille pensieri che mi affollavano la mente.
Mi aspettavo una sfuriata, un confronto acceso, parole taglienti. E invece… avevamo goduto assieme.
In modo assurdo, distorto, ma reale.
Sicuramente questa non è la fine. È solo l’inizio. L’inizio di qualcosa che non avevo previsto, che non avevo chiesto… ma che ora mi appartiene.
E io, ora, sono pronta a vedere dove mi porterà tutto questo.
E voi?
scritto il
2025-10-17
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