Pesanti
di
john coltrane
genere
confessioni
Questa è una storia che mi ha raccontato una donna che ho conosciuto a Praga, qualche anno fa. Era in quella città per un congresso, io per concludere un lavoro. Una sera siamo andati un pub e ci siamo ubriacati. Mi ha detto di essere una bibliotecaria. Era piccola di statura, magrina, con i capelli corti a caschetto, nerissimi. Sui 35 anni. Non l’avrei detta “bella” ma neanche sgradevole. L’avrei detta un po’ “torbida”. E alla fine della sua storia, ho capito che avevo ragione, e che non avevo chance con lei.
Cristina era sposata, con un figlio. Si dichiarava soddisfatta del suo lavoro e della sua vita. Una settimana sì e una no andavano a trovare i genitori di lei, persone per bene. Per il resto, la vita di tutti: gite domenicali, due vacanze all’anno, pizze, a volte uscite con qualche altra coppia.
C’era però qualcosa di irrisolto. Delle fantasie, all’inizio.
- È normale – ho detto.
- Dipende dalle fantasie.
Vero anche questo. Infatti stavo diventando curioso, e temendo che smettesse di parlare, in fondo ci eravamo conosciuti per caso, in albergo, solo il giorno prima, ho ordinato altre due birre grandi.
Una volta – ha iniziato – erano andati in vacanza in un agriturismo. Il proprietario era un contadino vero. La moglie gestiva la parte dell’accoglienza, con una donna a contratto che l’aiutava con le camere e le colazioni. Mentre il marito teneva gli animali, mucche, cavalli, maiali, assieme ai due figli.
Uno di questi due figli, quando erano arrivati, l’aveva squadrata spudoratamente. Cristina aveva retto lo sguardo un secondo di troppo. A quanto pare, era un ragazzone, grande e grosso. Era questo che le aveva fatto scattare qualcosa. Stranamente, suo marito era magro e alto, faceva un sacco di bicicletta e quindi era asciutto come una zucchina lasciata troppo al sole.
Questo gioco di sguardi è andato avanti per due giorni. Un paio di volte lei si era messa in costume e aveva approfittato della piscina, in entrambe le occasioni il ragazzo era passato di lì per caso e le aveva parlato, anche se si capiva che con le parole non era proprio bravo.
Il terzo giorno, marito e figlio si sono alzati presto e sono andati a fare un’escursione in alta montagna. Cristina è rimasta in agritur, e ha iniziato a vagare fra piscina e stalle con aria apparentemente annoiata. Ma dentro era in subbuglio.
Alla fine il ragazzone puntualmente è comparso. Le ha chiesto se voleva vedere le vacche.
- Volentieri – ha detto Cristina. Anche se aveva delle ciabatte infradito, non le calzature ideali per entrare in una stalla.
Dentro, lui le ha illustrato le varie bestie, che lei peraltro aveva già visto con il figlio, assieme al padre del ragazzo. Arrivati in fondo l’ha fatta uscire per mostrarle il fienile.
- Non so cosa avessi. Ero lì con i pantaloncini corti e la canottiera. Mi tremavano le gambe. Mi aspettavo solo che lui facesse la prima mossa.
Ma il giovane non si decideva, le spiegava balbettando di come da sopra facessero scendere il fieno di sotto, attraverso una botola, Cristina non capiva niente.
Così lo ha guardato esplicitamente. E poi ha allungato la mano, sfiorandogli il cazzo, dentro i pantaloni da lavoro.
- Era una cosa che non facevo da dieci anni, cioè da quando avevo conosciuto mio marito. Prima sì, l’avevo fatto altre volte perché avevo capito che spesso i ragazzi non si decidono, fanno tanto gli spacconi ma al dunque si tirano indietro. Dopo la prima volta, l’avevo trovato anche divertente, perché loro rimanevano regolarmente a bocca aperta.
Anche questo ragazzotto ovviamente è rimasto di sale, per dirla elegantemente. Poi lei si è sdraiata, per fortuna non soffriva di allergie, e lui se l’è scopata sul fieno, un classico in campagna. Se l’è scopata e non aveva nemmeno il preservativo, lei gli ha detto solo di non venirle dentro, e lui all’ultimo si è tirato indietro e le ha schizzato sulla pancia.
- Dopo, ripensandoci, a parte l’imbarazzo, e un leggero senso di colpa, ho capito che cosa veramente avevo desiderato. Un ragazzo grosso così. Avevo adorato sentire il suo peso addosso, schiacciarmi.
La conferma è arrivata poco dopo. Cristina nel frattempo si era iscritta in una palestra. Ufficialmente per distrarsi, e anche per compensare il suo lavoro molto sedentario. In realtà perché sperava di trovare in un posto del genere il tipo d’uomo che potesse soddisfare le sue fantasie.
E lo trovò.
- Era il classico addicted. Tutte le volte che andavo in palestra, circa tre volte in settimana, lui era lì. Non mancava mai. Quindi ho pensato che ci andasse tutti i giorni. Era un uomo sulla cinquantina. Passava il tempo a caricare i bilancieri. Sollevava quattro volte i pesi che sollevavo io. Aveva braccia grosse, schiena larga e testa piccola. Non bello, ma cortese, mi aiutata quando dovevo cambiare un peso o quando volevo provare una nuova macchina.
Ce ne ha messo di tempo a capire. Con lui non potevo permettermi di essere troppo esplicita, avevo paura che lo venisse a sapere tutta la palestra. E dopotutto, a parte il mio losco ‘secondo fine’, a me piaceva andare lì.
Ma alla fine, alla terza volta che dopo la palestra l’ho invitato a mangiare un hamburger al fast food dall’altra parte del parcheggio, lo ha capito, finalmente.
Dopo aver pagato, siamo usciti e senza una parola l’ho seguito nella sua macchina. Un suv bello grande.
Non siamo andati troppo lontano.
Prima gliel’ho succhiato un po’, si era appena fatto la doccia e sapeva di pulito.
Poi gli ho proposto di andare dietro. Mi sono tolta i pantaloni e le mutande e mi sono sdraiata sul sedile posteriore. È entrato in me senza una parola. Per un po' è rimasto distante, si era messo le mie caviglie sulle sue spalle e mi pompava così. Ma ad un certo punto gli ho detto di sdraiarsi su di me. Era doppiamente stupito, ma mi ha accontentato. Non si è lasciato andare con tutto il peso, come avrei voluto, ma almeno l’ho sentito sopra, ho sentito la sua grande pancia sulla mia.
Era molto resistente e ci ha impiegato tantissimo a venire. Quando è successo io ero già stravenuta ma lui non se non se n’era neanche accorto, sono di quelle donne che di solito riescono a godere in silenzio.
Poi si è tirato su e si è tolto il preservativo. Non ho resistito a riprenderlo in bocca per un po’, fino che non è rimpicciolito del tutto. Gli ero grata. Avevo goduto tanto grazie a lui.
In palestra ci sono andata ancora per poco più di un mese, poi ho smesso perché mi imbarazzava incontrarlo sempre. E, anche se mi piaceva, percepivo la sua insicurezza. Era un uomo sposato. Non aveva mai avuto una relazione extraconiugale. A conti fatti a lui bastava la palestra.
Meglio così. Neanch’io sapevo cosa volevo o dove quella strana perversione mi stesse portando.
Ma dovevo scoprirlo. Così ho messo un annuncio su un sito di dating. Questa volta sono stata esplicita. Cercavo uomini grassi. Non mi bastava che fossero robusti. Li volevo giganti. Li volevo pesanti. Volevo che mi sotterrassero.
Dei tanti che risposero, mi buttai su un camionista. Mi disse dove andare, in un parcheggio. Non avevo paura? Sì. Certo. Faceva parte del gioco. Poteva succedermi qualsiasi cosa.
Ma ero come…drogata.
Trovai il parcheggio e il suo camion. Mi fece salire. Non ero mai salita su uno di quei truck, con la cuccetta dietro.
Lui era come nella foto. Una montagna. Con barba e baffi.
Bene arrivata, mi disse, quando mi fui arrampicata sulla cabina. Non volevo troppe parole, mi bastavano quelle che ci eravamo scambiati via mail, perciò andai dietro e mi spogliai.
Lui mi raggiunse. Era stupito di quanto fossi piccolina. Mi toccò un poco in mezzo alle gambe, ma ero già bagnatissima, quindi si tolse maglietta e pantaloni e mi inforcò. Gli avevo detto come volevo essere presa: alla missionaria, tutto lì. Ed è quello che fece. Stando sotto, e abbracciandolo, mi sembrava di essere presa da un gorilla. Certo spingeva piano, non era molto atletico, vista la stazza, ma anche quello a me andava bene. Volevo che mi gravasse addosso, che mi togliesse il respiro.
Poi, dopo, mi chiese che cosa cercassi in quelle esperienze a parte il cazzo. Non era un intellettuale, ma aveva le sue curiosità.
Per la prima volta cercai di spiegarlo ad un’altra persona, una persona che non fosse quella che avevo dentro la mia testa.
Non cercavo sottomissione, non era questo. Non volevo nemmeno essere annientata, anche se ci eravamo andati vicino, con lui, vista la mia taglia extra-small. Gli dissi che credevo fosse un desiderio di protezione. E, sì, di annullamento. Ma che non aveva niente a che fare con l’essere punita, ad esempio, o maciullata. Era come se sentendo quelle masse pesanti di carne sopra di me io pensassi di essere assorbita da loro.
Non sono sicura che mi capì. Non mi capisco neanch’io. Ma lo facemmo una seconda volta. Gravò su di me fino a togliermi il fiato, io con la bocca non gli arrivavo neanche al collo, lo abbracciavo e le mie mani non si toccavano, lui spingeva e io non respiravo più, speravo di svenire, speravo di morire soffocata, ma dopo essere venuta per l’ultima volta.
Quando me ne andai mi salutò gentilmente, dandomi un bacio sulla guancia.
Alla fine arrivò il budda. Anche lui l’avevo trovato via internet. Andai a casa sua. Era ricco, aveva una villa con piscina. Lui viveva dentro casa tutto il tempo, e pesava più di duecento chili. Aveva una sessantina d’anni, le mogli l’avevano lasciato, già tre.
Era anche colto. Prima di andare a letto parlammo a lungo, nella biblioteca, io su una sedia, lui su una poltrona su misura, di perversioni, e dei significati che nascondevano.
Quando fummo nudi entrambi capii che avrebbe avuto qualche difficoltà a salire sopra di me. Così, la prima volta, salii io in braccio a lui. Mi issai su quell’Everest roseo, su quella pelle tesa, quasi senza peli, bianca, sopra il suo stomaco tremolante, sopra la larga piega della pancia che nascondeva il suo cazzo, e alla fine, facendo un po’ di attenzione, riuscii a impalarmi. Fu un momento di comunione assoluta. Mi mossi piano su quell’isola di gelatina, e con una mano, mentre ondeggiato, gli accarezzai i testicoli, grossi, quasi glabri. Lo feci venire una prima volta quasi subito, mi inondò. Poi, con un po’ di pazienza, una seconda volta, sempre stando sopra io.
Solo alla terza ebbi l’dea di mettermi a quattro zampe. Gli proposi di prendermi così, come una cagna. Lui si mosse pesantemente su quel letto rinforzato,si mise in ginocchio, trovò la posizione. Mi infilò dentro due dita come wurstel, poi alla fine entrò in me con il suo cazzo. Io spinsi verso di lui per farlo entrare tutto, e fu bellissimo anche così, anche così percepivo il suo peso, la sua grandezza, il suo volume di muscoli, grasso e ossa, come una balena, come una montagna, che si infrangeva su di me, sul mio piccolo sedere, per entrare, attraverso una fessura ancora più piccola, per entrare in me, per scaricarsi in me, per versarsi in me, premendo la mia faccia sul lenzuolo, minacciando di spezzare le mie reni come grissini, se fosse crollato.
Questa volta urlai anch’io.
E poi glielo dissi. - Mi hai fatta urlare. Non mi succede mai.
Lui era contento, come lo sono tutti gli uomini a cui una donna dice una cosa così. Mi disse che erano anni che non si faceva una scopata.
Cristina finì la sua terza birra e poi disse: - Devo andare. Domani ho la mia relazione. In inglese!
Era una relazione di biblioeconomia. Me ne aveva parlato, quando ci eravamo conosciuti, nella sala colazioni dell’hotel.
Io a quel punto ero molto eccitato, sapevo che avrei dovuto come minimo masturbarmi appena tornato in camera. E il giorno dopo ripartivo. - Senti – le ho chiesto – ma adesso?
- Adesso cosa?
- Voglio dire: adesso cosa pensi che ci sia? Non puoi continuare così, altrimenti finirai sotto un elefante. Giusto?
Si mise a ridere. Eravamo ormai entrambi completamente andati, per fortuna l’hotel era lì a due passi.
- Adesso non lo so – rispose – Se proprio lo vuoi sapere, non lo so. Per ora, sto cercando di calmarmi. Ma…
Portò un indice alla testa. – È qui, il problema. Non là sotto. Non so cosa succederà qui, dentro la mia testa.
- Posso lasciarti la mia mail? – le ho chiesto. Ho anche estratto un biglietto da visita e gliel’ho dato.
- Uh, grazie – ha risposto – Grazie tante. Allora, semmai…ci teniamo in contatto così, va bene?
Ma lei il suo indirizzo non me lo ha dato. E finora non si è fatta viva.
per parlarsi coltranejohn39@gmail.com
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