Sotto Pelle - 04
di
Tanya Romano
genere
saffico
Erano le sei del mattino.
In cucina c’era solo Irene, seduta con la schiena dritta, una camicia maschile addosso, nulla sotto.
Chiara arrivò poco dopo. Indossava solo una t-shirt larga, i capelli sciolti, il corpo ancora stanco del sonno non finito.
«Non è tornata?» chiese, mentre si versava l’acqua.
«No» disse Irene.
Poi, i tacchi.
Piano. Ritmati.
La porta d’ingresso si aprì.
Viola.
Trench nero sulle spalle, nulla sotto.
I capelli spettinati. Il rossetto sfumato. Gli occhi spenti.
Si fermò sulla soglia della cucina. Le guardò.
Chiara le parlò per prima.
«Tutto bene?»
Viola annuì.
Poi si tolse il trench.
Lo posò sulla sedia.
Era completamente nuda, tranne i guanti.
Irene la guardava.
Con attenzione.
Perchè quella non era la solito Viola.
Un silenzio. Non scomodo. Solo vero.
Chiara le si avvicinò.
Le prese il viso tra le mani.
Le labbra si posarono sulle sue, lentamente.
Un bacio senza fame, senza sesso. Solo presenza.
Poi la guardò negli occhi.
«Sei qui con noi.
Che succede?»
Irene si mosse piano.
Le accarezzò la schiena nuda, poi le diede un bacio. Lì, tra le scapole.
Un bacio asciutto. Caldo. Reale.
E lì, Viola crollò.
Le spalle cedettero. Le gambe quasi si piegarono.
Le lacrime uscirono di colpo.
Non grida. Solo singhiozzi.
Forti. Irregolari. Amari.
Chiara la tenne ferma tra le mani.
La testa di Viola ancora lì, contro la sua.
Viola sussurrò, ma era un sussurro che bucava l’aria:
«Hanno abusato di me.»
Irene la circondò da dietro.
Le braccia attorno al corpo, strette.
Chiara le prese la mano.
Le guidò lentamente verso il divano.
La fece sedere, poi stendere.
Irene si inginocchiò.
Le sfilò gli stivali con gesti lenti. Come se ogni centimetro contasse.
Chiara si sedette sul tappeto, accanto a lei.
Le accarezzava i capelli con dolcezza, senza fermarsi.
Senza parlare.
Irene poggiò gli stivali a terra.
Si mise di fianco a Chiara.
Le mani sulle ginocchia. Lo sguardo solo su Viola.
Viola tremava.
La voce usciva a tratti, rotta.
«Erano in tre…
Mi hanno preso tutti i vestiti…
Poi mi hanno caricata su una macchina.
Non riuscivo a muovermi.
Sentivo tutto. Ma il corpo non mi rispondeva.»
Irene abbassò la testa.
La poggiò sul petto di Viola.
Un gesto muto. Di rifugio.
Chiara non smetteva.
Le passava la mano sulla fronte.
Sulle tempie.
Sulle guance bagnate.
Viola continuò.
I dettagli venivano fuori in pezzi.
Ma bastavano.
Facevano male.
Erano veri.
Chiara disse solo:
«Parla.Sei qui a casa con noi.»
Irene restava lì.
Ad ascoltare col corpo.
La tazza era calda tra le mani.
Viola era seduta sul divano, le gambe coperte da una coperta leggera.
Chiara le si era seduta accanto, in silenzio, dopo averle preparato la tisana.
Irene sul bracciolo, una mano appoggiata dietro la sua schiena.
Viola aveva ancora gli occhi lucidi, ma il respiro era più calmo.
«Ero uscita ieri sera…»
La voce era bassa, ma chiara.
«Ero vestita normale. Niente di provocante.
Ero con delle amiche. Abbiamo preso un drink.
Niente di eccezionale.»
Bevve un sorso.
«Poi sono andata a prendere la macchina. Era tardi.
Quando sono arrivata al parcheggio, si è accostata un’altra auto.
Mi hanno apostrofata.»
Fece una pausa.
Nessuna delle due la interruppe.
«Uno di loro è sceso.
Mi ha aperto il trench.
Ha visto… il mio sesso. Ero rilassata.
Ha detto… parole che non voglio ripetere.»
Altro sorso. Le mani tremavano appena.
«Gli altri due sono scesi.
Mi hanno bloccata e caricata nella loro macchina.
Mi hanno portata in un casale.
Lì… hanno abusato di me.
Tutta la notte.»
Un nodo alla gola. Ma non smise di parlare.
«Mi hanno lasciata lì, da sola. Solo con il trench.
Ho camminato per chilometri.
Ho preso un autobus. Poi la metro.
Non sapevo dove guardare.
Mi vergognavo.»
Chiara le prese la mano.
La strinse. Piano.
Viola continuò.
«Quando sono arrivata qui, non avevo più niente.
Si sono tenuti tutto.
La mia fortuna è che le chiavi le avevo nel trench.»
«Ma il portafogli ce l’hanno loro.»
Silenzio.
Poi Irene parlò, con voce calma ma ferma.
«Viola… ora dovrai sporgere denuncia.»
Viola scattò con gli occhi, spaventata.
«No! No, non posso…»
Le mani strette sulla tazza.
«Ho paura. Se lo faccio… potrebbero trovarmi.
Potrebbero farmi qualcos’altro.»
Chiara si sporse, le posò una mano sulla guancia.
La guardò con dolcezza.
Ma con determinazione.
«No, amore. Non possono passarla liscia così.»
Il silenzio che seguì non era vuoto.
Era pieno di qualcosa che stava cambiando.
Irene accompagnò viola nella sua camera.
L'aiutò a fare una doccia, poi l'aiutò a mettersi a letto.
In cucina, il telefono tra le mani, ancora in maglia larga, i capelli sciolti, lo sguardo pieno di qualcosa che non si poteva ignorare.
Fece scorrere la rubrica.
Toccò un nome.
Elise.
Portò il telefono all’orecchio.
Dopo due squilli, la voce calda di Elise.
«Ciao bellissima…»
Chiara sorrise appena, ma il tono era diverso.
«Ciao amore. Volevo chiederti se per questa sera… puoi venire qui a cena da noi.»
Un piccolo silenzio, poi una domanda dall’altra parte.
Chiara si affrettò:
«No, niente di erotico. Abbiamo un problema serio.»
Altro silenzio.
Poi la voce di Elise si fece più tesa.
Chiara la rassicurò subito.
«No, tranquilla. Tutto bene.
Solo che Viola ha avuto un problema.»
Attimo di pausa.
Poi Chiara concluse:
«Ok, cucciola. A dopo.
Bacio.»
Chiuse la chiamata. Respirò.
Poi scorse un altro nome.
Lara.
Tono più morbido, ma altrettanto sincero.
«Ciao tesoro.
Sì, sì, abbastanza bene.
Ascolta… volevo chiederti se stasera sei libera per cena.»
Risata breve dall’altra parte.
Chiara aggiunse:
«Una serata tranquilla, tra amiche. Niente di che.»
Pausa. Un sorriso più pieno.
«Grazie amore.
Ti aspettiamo.»
Chiuse anche quella chiamata.
Poggiò il telefono.
Guardò verso la stanza dove Viola dormiva ancora.
Poi si versò dell’acqua.
Si sedette.
E aspettò.
Non più da sola.
La cucina era piena di profumi leggeri.
Ogni tanto, una delle due si affacciava alla porta della stanza di Viola.
Piano. Senza rumore.
Solo per vedere se dormiva ancora, o se si fosse mossa.
Dopo la confessione, Irene, aveva passato quasi un’ora in bagno con lei.
Aveva applicato una crema lenitiva sulla pelle segnata.
Sui glutei, sulle gambe, sul fianco sinistro.
I segni erano evidenti.
Ma Viola, esausta, si era addormentata in silenzio.
La porta d’ingresso suonò.
Chiara aprì.
Elise entrò per prima.
Chiara la abbracciò. Forte.
Elise ricambiò subito. Senza domande.
Irene arrivò con uno strofinaccio in mano.
La abbracciò anche lei.
Le dita che si stringevano più a lungo del necessario.
«Grazie per essere venuta» disse, a voce bassa.
Dopo dieci minuti, la porta suonò di nuovo.
Lara.
Chiara la accolse con un bacio sulla guancia e un sussurro.
«Ti volevamo qui.»
Poi Viola apparve.
In cima alle scale.
Indossava una maglia larga di Irene, che le copriva fino a metà coscia. Nuda sotto.
Gli occhi un po’ gonfi. Ma lucidi.
Elise la vide. Si alzò subito.
Le andò incontro.
Le prese il viso tra le mani.
Le baciò la fronte.
«Sono qui.»
Viola chiuse gli occhi un istante.
Poi annuì.
La cena iniziò tranquilla.
Si mangiava piano.
Qualche parola sulla giornata, sulle ricette.
Due bicchieri di vino.
Pane caldo da spezzare con le mani.
Poi fu Irene a rompere il silenzio.
«C’è una cosa che dovete sapere.
Viola ieri notte… ha subito una violenza.»
Elise abbassò lo sguardo.
Lara smise di tagliare.
Chiara continuò.
«Tre uomini. Uno le ha aperto il trench.
Hanno visto il suo corpo. E hanno deciso che potevano prenderselo.
L’hanno portata via. Hanno abusato di lei.
L’hanno lasciata nuda. Persa.
È tornata a casa da sola. A piedi."
Viola non parlava.
Ma ascoltava.
Con le mani strette attorno al bicchiere.
Irene la guardò.
Poi aggiunse piano:
«Ha paura. E ha bisogno di noi.»
Lara fu la prima a parlare.
«Avete fatto bene a chiamarmi.
Non passerà liscia. Ve lo prometto.»
Elise annuì.
Ma i suoi occhi erano già pieni di pensieri.
Elise aveva le dita intrecciate sul bicchiere.
Lara, seduta in posizione dritta, osservava Viola da qualche minuto.
Irene la guardava.
Chiara le teneva una mano sopra la coscia, a palmo aperto, come se bastasse quel gesto per tenerla connessa.
Fu Elise a rompere il silenzio.
«Avete pensato a denunciarli?»
Viola non parlò.
Fu Irene a rispondere.
«Sì. Ma ha paura. E la capisco.»
Chiara aggiunse:
«Non si fida delle forze dell’ordine. Non dopo quello che ha passato.
E non possiamo costringerla.»
Lara non disse niente per un momento.
Poi, a bassa voce:
«Se voleste… potremmo capire chi sono.
Conosco persone che possono cercare. In silenzio.
Senza far rumore.»
Viola alzò lo sguardo.
I suoi occhi cercarono i suoi.
«Persone come chi?»
Lara le sorrise.
Ma non rispose subito.
Prese un sorso d’acqua.
Poi:
«Solo gente che sa come si fa a ottenere giustizia… senza restare esposte.
Ma per ora, è solo un’idea."
Elise la guardò.
Occhi attenti.
«Tu parli come una che ha già fatto questo.»
Lara alzò le spalle.
«Io mi sono sempre protetta. E ho protetto anche altre donne.
Non è un vanto. È un fatto.»
Viola si accasciò leggermente indietro.
Il respiro un po’ più corto.
Ma poi annuì. Piano.
«Va bene. Ma deve restare tra noi.
Nessuna foto. Nessun nome.
Solo… sapere chi sono. E che non siano più liberi di farlo a qualcun’altra.»
Irene si avvicinò.
Le prese la mano.
«Sarà tutto sotto controllo.
Ma stavolta, non restiamo ferme.»
Chiara si voltò verso Lara.
«Da dove si comincia?»
Lara sorrise.
Un sorriso lento.
E disse solo:
«Dal volto. Uno solo. Poi vi bastano due domande.
E il resto… arriva.»
Il silenzio tornò nella stanza, denso ma non ostile.
Lara poggiò il bicchiere sul tavolo.
Poi si voltò verso Viola.
«Viola… ti fidi di noi?»
La domanda era semplice.
Ma bastava a far tremare qualcosa.
Viola abbassò lo sguardo.
Le mani strette intorno alla tazza.
Come se la vergogna fosse ancora lì, anche se nessuna la vedeva così.
Poi… un cenno.
Minimo.
Ma chiaro.
Lara si avvicinò un poco.
Non invase lo spazio. Solo lo occupò con la voce.
«Ascolta.
Ho una persona di cui mi fido ciecamente.
L’ho sposato.»
Chiara e Irene si scambiarono uno sguardo.
Elise restò immobile, ma il bicchiere tra le mani si fermò a metà corsa.
«Irene e Elise lo hanno conosciuto… anche se non in una maniera normale.»
Un piccolo sorriso negli occhi.
Poi un sorso di vino.
La voce calda, ferma.
«Ma ti assicuro che il tuo nome non apparirà da nessuna parte.
Lui lavora in questura.
E sa cosa significa non dover sbagliare.»
Viola alzò lo sguardo piano.
Non parlava. Ma ascoltava.
Lara continuò.
«Dovrai parlargli.
Dirgli tutto quello che ricordi. Anche i dettagli piccoli.
Anche quelli che ti sembrano inutili.
Saranno quelli a fare la differenza.»
Altro silenzio.
Poi, con dolcezza:
«Una sera ceniamo tutte insieme. A casa mia.
Lui sarà lì. Ma non in uniforme.
Solo per ascoltarti. Solo per te. Nessuno farà domande che non vuoi.»
Poi le prese le mani.
«Fidati, Viola.
Gliela faremo pagare.
Ma con intelligenza.
E con giustizia.»
Viola strinse piano le dita di Lara.
Non disse ancora sì.
Ma non disse no.
E quello, era già un inizio.
CONTINUA...
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