Le Piacevoli Disavventure di Letizia ep.3
di
Dominus Noctis
genere
prime esperienze
Cari lettori, bentrovati. Scusate l'assenza ma purtroppo ho avuto diversi impegni. Vedo che il racconto sta piacendo, se potrebbe interessare valuterò l'apertura di un canale di comunicazione diretto per scambiarsi opinioni sul racconto e sull'evoluzione.
Come detto il racconto si basa in parte su eventi reali ed in parte su fantasia, ma sta a voi capire quando si tratta di uno e quando dell'altra.
PS non sono Letizia, nel caso vi fosse sorto il dubbio leggendo.
Letizia si passò una mano tra i capelli, le dita che affondavano lente nelle ciocche castane, e si morse piano il labbro. Il libro era aperto sul tavolo, ma le parole scivolavano via. La testa era altrove, e ormai non aveva più senso fingere. “Tanto vale mollare…” pensò, sospirando.
La casa era avvolta dal silenzio. Le sorelle erano uscite, la madre al lavoro. Avrebbe potuto mettere su un film, magari sfogliare un libro, ma non era quello che voleva davvero, e lo sapeva.
Dentro di lei cresceva un bisogno più profondo, più carnale. Un pensiero che ancora faticava a dirsi ad alta voce.
“Voglio essere dominata… come ieri sera.” Poi si corresse, lasciando che la verità affiorasse senza filtri. “No. Voglio sottomettermi. Lasciarmi andare. Farmi trattare come una troia.”
Si alzò dalla sedia con lentezza, le anche che oscillavano morbide a ogni passo. Nessuno la guardava, eppure si muoveva come se fosse al centro della scena. Una gatta in cerca di attenzione. Si immaginò in discoteca: la musica nelle orecchie, il corpo fasciato da un tubino stretto che metteva in risalto il culo. Tutti quegli sguardi su di lei. La volevano. La spogliavano con gli occhi. Si piegò in avanti, gambe appena divaricate, le mani sulle ginocchia a tenersi. Nella sua testa, l’orlo del vestito saliva di colpo, scoprendole il culo. Lo sentiva nudo, sporgente, esposto, col perizoma che gli tagliava in mezzo e spariva. Se qualcuno fosse stato dietro, avrebbe visto tutto. E forse era proprio quello il punto.
Forse non avrebbe indossato nulla sotto al vestito. L’idea la fece fremere. Sentendo una risposta in basso, sentandosi calda e bagnata. Continuò a muovere i fianchi, come se danzasse per un pubblico invisibile, stuzzicando fantasie. Si sentiva desiderata, provocante. Una puttana consapevole, che gode del potere che ha sul desiderio altrui. E lo alimenta. Afferrò il bordo della felpa con entrambe le mani e iniziò a sollevarla lentamente, centimetro dopo centimetro, lasciando che il tessuto scorresse sulla pelle come un amante lento e paziente. Si guardava dritta negli occhi, nello specchio, trattenendo il fiato. Ogni movimento era studiato, come se si stesse esibendo per qualcuno, anche se era sola. O forse proprio per questo: era libera di essere se stessa.
La felpa salì oltre l’ombelico, rivelando la pancia piatta e la curva delicata dei fianchi. Poi più su, sopra il seno, e lì si fermò un istante, lasciando scoperti i capezzoli, tesi sotto la maglia leggera che indossava sotto. Durissimi, pronti, come se aspettassero solo di essere afferrati. Sentiva la stoffa sfiorarli e ogni sfioramento era un piccolo colpo, un brivido che si irradiava giù, fino al basso ventre.
Sfilò del tutto la felpa e la lasciò cadere ai suoi piedi. Poi sollevò la maglia leggera, arrotolandola lentamente, mostrando un centimetro alla volta di pelle, finché i seni non si liberarono completamente. Si mossero leggermente, tesi, vibranti, e Letizia li osservò con occhi affamati, quasi non fossero i suoi. Si portò una mano sotto, sollevandoli appena, come a pesarli, poi passò il pollice sul capezzolo destro, e sussultò. Il contatto fu breve, ma bastò a farle emettere un sospiro.
Si morse il labbro e sorrise al proprio riflesso, ammiccando. Ruotò il bacino, fece ondeggiare le anche in un piccolo movimento di danza, sensuale e lento. Lo sguardo era basso, poi si sollevava di scatto, provocante, come se dicesse: “Guarda cosa potresti avere, se solo te lo permettessi.” Iniziò a ballare da ferma, movimenti sinuosi delle spalle, delle braccia che le accarezzavano il corpo, scendendo lentamente sui fianchi, poi sulle cosce. Ogni gesto era una carezza. Ogni posa, un invito.
Portò le mani alla vita dei jeans, li sbottonò con calma, tirò giù la zip con un gesto lento, quasi pigro. Si girò di tre quarti, offrendo allo specchio il profilo del culo. I jeans scivolarono giù, carezzandole le cosce, poi le gambe, fino ai piedi. Restava solo il perizoma nero, sottile, madido al centro. Una macchia scura, netta, segnava il punto esatto del suo desiderio. E lei la fissava, ipnotizzata, eccitata da sé stessa, dal proprio corpo che rispondeva docile a quella danza solitaria.
Si chinò piano per sfilarli del tutto, le gambe tese, il sedere proteso all’indietro, sapendo — e godendo del fatto — che sembrava una posa da porno. Poi si raddrizzò, portò le mani dietro la schiena, mimando il gesto di slacciarsi il reggiseno che non indossava. Era puro gioco, teatro erotico. Nulla da togliere, ma il gesto le strappò un sorriso. Si sentiva dentro la parte. E il suo corpo bruciava.
Le dita le scivolarono lungo le cosce, lente, morbide, come se volessero chiederle il permesso. Quando sfiorarono la figa, sopra il perizoma zuppo, il corpo reagì da solo. Un sussulto, il respiro spezzato. Il desiderio saliva denso, come una marea che non voleva più ritirarsi. Si toccò appena. Un tocco veloce, quasi un cenno. Bastò. La miccia era accesa. Ogni gesto le faceva tremare le gambe. Ogni immagine, ogni pensiero, la spingeva oltre.
Si sentiva bella. Calda. Sporca. Viva. E bagnata da vergognarsi. Da impazzire.
Poi, il ricordo. La sera prima. BeyondLimit. Andrea. La voce roca, l’ordine sussurrato all’orecchio con quella calma autoritaria che le dava i brividi: «Stringi i capezzoli per me.»
Lo fece. Senza pensarci.
Il dolore arrivò secco, tagliente, ma subito si fuse al piacere. Un lampo che le attraversò la schiena, violento, crudo. Elettrico. Un gemito le uscì dalla gola, rauco, quasi un ringhio.
Il perizoma le si era incollato alla pelle. Sentiva la figa pulsare, gonfia, affamata. Un fremito le montò nel ventre, sporco e vivo. “Cazzo… ancora. E ieri sera ho già goduto. Sembro una puttana in calore.”
E il pensiero, anziché bloccarla, la fece arrossire. Non per vergogna. Per eccitazione.
Poi Giulia. Il modo in cui l’aveva guardata, spogliata con gli occhi. Quella frase, mezza risata e mezza provocazione: «Ti stai toccando?» Letizia aveva sorriso. Ma dentro si era sciolta.
E poi Diego. La sua assenza la sera prima. Quella distanza che adesso le pesava addosso, come qualcosa che non riusciva a mettere a fuoco. Che non voleva affrontare.
Sbloccò il telefono. Nessun messaggio. Un paio di like su Instagram, due vocali nel gruppo delle amiche. Li ignorò. Aprì WhatsApp.
L: «Che fai? Ho un problema… e non riesco a risolverlo da sola.» D: «Dimmi. Vediamo se posso aiutarti.» L: «Ecco.» *Inviò una foto: allo specchio, di profilo, senza maglia. Un piegamento appena accennato, giusto per far risaltare il culo.* D: «Mi sa che il problema è che non ci sono io dietro a fotterti.» L: «Esattamente.»
Si sdraiò sul letto, le gambe aperte, la schiena appoggiata alla testiera. Iniziò ad accarezzarsi sopra il perizoma, ormai fradicio. Un gemito le scappò piano.
D: «Questo può aiutare, Leti?» *foto allo specchio: il suo cazzo in primo piano, teso, con le palle in evidenza* L: «Sì. Se me lo sbattessi in faccia.»
Si morse il labbro mentre la mano scostava il tessuto e cominciava a massaggiarsi il clitoride. La foto le bruciava negli occhi.
D: “Solo se apri la bocca e tiri fuori la lingua. Come piace a me.” Letizia inviò un selfie: volto ripreso dall’alto lingua fuori, occhi sgranati e languidi, facendo in modo che si vedesse la sua posizione a gambe aperte e il seno. Diego non rispose subito. Ma non importava.
Aprì Safari in modalità incognito. Un gesto inutile, lo sapeva. Nessuno controllava il suo telefono. Ma la finzione della colpa serviva a qualcosa: la faceva sentire sporca, trasgressiva, e questo bastava a farle salire il calore tra le gambe.
Digitò di getto: “dominazione soft”. Niente. Troppo vago, troppo edulcorato. Provò con: “controllo mentale e desiderio”. Poca roba, sempre le solite fantasie mal scritte. Cancellò tutto. Esitò un secondo, poi digitò con più decisione: “storie erotiche sottomissione femminile”.
Scrollò i risultati. Qualche titolo era troppo esplicito, rozzo. Ma altri… le fecero pizzicare le dita. Un brivido le salì lungo le braccia. Ne aprì uno: solo testo, nessuna immagine. Meglio. Poteva chiudere gli occhi e vedere tutto con la propria immaginazione.
La protagonista era una studentessa. Una sera, lui la costringeva a restare ferma, legata al letto. Le parlava piano, con autorità. Le sussurrava all’orecchio cosa avrebbe fatto: «Ti voglio tutta. Voglio spogliarti, non dei vestiti ma del controllo. Una carezza alla volta. Arriverai a chiedermi tu di essere presa, scopata. Arriverai ad implorarmi di farlo. E ti vergognerai di quanto lo desideri. Ma la cosa ti ecciterà.»
Letizia deglutì. Le dita scorrevano sullo schermo, ma a ogni frase il respiro si faceva più corto. Si strinse le cosce. La figa pulsava. Le parole le scavavano dentro. Quelle frasi, fredde, dirette, senza inutili orpelli, sembravano scritte per lei. Era la ragazza legata. Era lei che si sentiva dire quelle cose. Lei che si offriva, che non voleva altro.
Continuò a leggere, più veloce. Ogni frase era una spinta. «Ti guardo mentre tremi. Ti sfioro solo dove non vuoi. Ti chiedo di dirmi che sei la mia troia, e tu me lo dici»
Letizia si morse il labbro. Il cuore batteva in gola. Si sentiva calda, bagnata, tesa. Quella storia la stava mandando fuori di testa.
Si morse il labbro. La mano scivolò tra le cosce, pelle calda e liscia sotto i polpastrelli. Un brivido immediato, netto, le salì lungo la schiena.
Sfiorò le labbra della figa con un dito. Leggera. Incerta. Ma il corpo reagì subito, come se fosse stato in attesa da ore. Si aprì senza esitazioni. Bagnata. Gonfia. Calda.
Un dito. Poi due. Entrarono senza fatica. La accolse con una fame silenziosa, viscosa. Iniziò a muoversi. Lenta all’inizio, accompagnando il respiro. Poi più forte, più a fondo, più ritmica.
Le anche si sollevarono appena, seguendo il movimento. Il fiato spezzato, la bocca socchiusa in un gemito soffocato sul cuscino. Gli occhi chiusi.
Non c’era più Diego.
Solo immagini. Crude. Dure. Un uomo le ordinava di restare ferma. La voce profonda, autoritaria. Una mano stretta intorno alla gola. La testa bloccata. Il corpo legato al letto, braccia e gambe immobilizzate. Impotente. Offerta. Disponibile.
E poi presa. Con lentezza. Con forza. Una penetrazione inesorabile, che non ammetteva rifiuto. Da dietro. La pelle premuta contro le lenzuola, il ventre teso, le guance umide. Uno sguardo fisso che la dominava, che la possedeva prima ancora di toccarla. Forse era Diego. Forse no. Forse erano in due. Forse lei lo voleva così.
Il piacere arrivò in un colpo. Violento. Denso. La investì senza preavviso. Un’onda che le attraversò l’addome, le fece contrarre le cosce, inarcare la schiena, gemere. Forte. Senza ritegno.
Le dita ancora dentro, strette dai muscoli che si chiudevano attorno. Il respiro ansimante. Il cuore impazzito. Il sudore che le scivolava tra i seni.
Riaprì gli occhi piano, tremando ancora.
Letizia rimase lì, stesa, nuda e ansimante, come se il suo corpo fosse appena stato attraversato da un terremoto. Il cuore le martellava nel petto, ma non era solo il cuore: anche il ventre, le gambe, le dita. Ogni parte di sé pulsava, ancora carica, ancora sporca di piacere. Aveva le cosce bagnate, le dita umide, e la pelle appiccicosa di sudore.
Sentì un fremito correrle lungo la schiena, crudo e senza grazia, come uno scatto nervoso. Il corpo tremava ancora, senza il suo consenso. E più che spossatezza, era… qualcosa di più. Qualcosa che non riusciva a nominare, ma che la faceva sentire piena. Sazia. E allo stesso tempo affamata.
Abbassò lo sguardo. Il lenzuolo era inzuppato. Non solo bagnato. Macchiato. Come se dentro di lei si fosse rotto qualcosa. Come se avesse lasciato andare tutto. E in quel tutto, ci fosse qualcosa che non aveva mai conosciuto prima.
Le guance le si scaldarono. Non per imbarazzo, non del tutto. Era stupore, era desiderio. “Ho squirtato da sola.” Non lo pensò con parole gentili. Non era un miracolo romantico. Era un fatto. Grezzo. Violento.
La stanza sembrava aver partecipato con lei. Il pavimento era cosparso di vestiti, il cuscino aveva l’impronta della sua guancia, lo specchio la restituiva spettinata, con gli occhi lucidi e le labbra gonfie come se fosse appena uscita da un sogno torbido. Ma non era un sogno. Era tutto vero. Era tutto suo.
Rimase così, a guardarsi. Le mani ancora umide. Il respiro lento. Si sentiva potente. Come se avesse appena varcato una soglia. “Io sono questa.” Niente più dubbi. Nessuna vergogna.
Letizia rimase seduta sul bordo del letto, le lenzuola fradicie sotto le cosce, la pelle ancora tesa, il cuore martellante. L’aria intorno a lei sembrava densa, satura, impastata del suo odore — un odore forte, animale, impossibile da ignorare. Cercò di respirare a fondo, ma ogni respiro sembrava tirare dentro anche tutto quello che era successo.
Si chinò a raccogliere la felpa, poi il perizoma abbandonato a terra, appallottolato come un resto. Ogni gesto, lento, scandiva una realtà che il cervello cercava ancora di negare. Le dita tremavano appena, ma non era stanchezza. Era qualcosa di più profondo. Di più scomodo.
“Non è normale…” pensò. Subito dopo: “Non è giusto”. Ma le parole non avevano peso. Erano solo tentativi goffi di tenere insieme qualcosa che si era già spezzato. La verità era lì, inchiodata nel corpo. Ed era inutile far finta.
Ripiegò le lenzuola senza guardarle troppo. Ogni macchia era un promemoria. Ogni piega, una voce. “È stato solo uno sfogo. Un momento.” Provò a convincersi. Ma mentre lisciava il copriletto con la mano, quella menzogna le si sgretolò tra le dita.
Il piacere era stato brutale. Reale. Senza sconti. E non era venuto da fuori. Era nato da lei. Da qualcosa che fino a poco prima non voleva nemmeno ammettere.
Una parte di lei urlava ancora no: non sei così, non vuoi questo, controllati. Ma l’altra, quella che si era spalancata in silenzio, che adesso ringhiava sotto pelle, non aveva più voglia di tacere.
“Mi ha eccitata” si disse, con un misto di rabbia e vergogna. “Quel racconto. Quel tipo di desiderio. L’idea di essere dominata, piegata, messa in ginocchio, presa.”
Strinse il lenzuolo tra le mani. Lei, che si era sempre vista forte, indipendente, capace di comandare; si era sciolta in pochi minuti. Il corpo aveva deciso da solo. Come se sapesse da sempre dove voleva finire.
Si fermò davanti allo specchio. Occhi lucidi, capelli arruffati, labbra gonfie. Non era brutta. Ma nemmeno la stessa. Qualcosa si era spostato. E non avrebbe fatto marcia indietro.
“Non so cosa mi stia succedendo. Ma non posso più ignorarlo.”
Intorno a lei la stanza portava ancora i segni: lenzuola tirate, cuscini sbattuti, vestiti ovunque. Tracce. Prove. Ogni cosa la riportava lì, a quell’istante in cui aveva smesso di fingere.
Si inginocchiò, gli occhi fissi nel riflesso. Annuì, quasi per accettare ciò che fino a un attimo prima avrebbe negato. Senza accorgersene, le uscì un sussurro. «Sono una troia… sottomessa… in calore.» Le guance si accesero, ma il corpo reagì prima della mente: un calore improvviso, umido, pulsante tra le cosce. Le labbra si aprivano da sole, come in attesa.
Un dito sfiorò appena il clitoride. Troppo sensibile. Un fremito la piegò in avanti. Si vide riflessa, contorta dal piacere. E senza sapere bene perché, si mise a quattro zampe. Come se fosse naturale. Come se fosse sempre stato lì, dentro di lei.
«Ecco cosa sei, Letizia.» Il pensiero le attraversò la mente come una scossa. Sentì un brivido salire dalla schiena, esplodere in un micro-orgasmo, improvviso, incontrollabile.
Immaginò la voce di Andrea. «Sei la mia cagna, Letizia. Guardati. Ti piace sentirti così, vero? Umiliata… spezzata.» Una parte di lei avrebbe voluto ribattere. «Io non sono così.» Ma sapeva già come sarebbe finita. Lo sguardo di lui, il tono che la zittiva, il piacere che la tradiva.
«Se non lo sei, allora perché sei così bagnata?» La domanda si ripeteva nella mente, cruda, chiara. E mentre immaginava quelle parole, uno schiaffo la raggiunse tra le cosce. Precisamente sul sesso. Come se la mano fosse posseduta. Uno schiocco umido, imbarazzante.
Le vennero le lacrime agli occhi. Non di dolore. Di resa. La mano tremava mentre tornava tra le gambe. «Sono una cagna…» sussurrò. «Bau… bau…» E il corpo la travolse. L’orgasmo la squassò con una violenza nuova, quasi cancellando tutto il resto.
Come detto il racconto si basa in parte su eventi reali ed in parte su fantasia, ma sta a voi capire quando si tratta di uno e quando dell'altra.
PS non sono Letizia, nel caso vi fosse sorto il dubbio leggendo.
Letizia si passò una mano tra i capelli, le dita che affondavano lente nelle ciocche castane, e si morse piano il labbro. Il libro era aperto sul tavolo, ma le parole scivolavano via. La testa era altrove, e ormai non aveva più senso fingere. “Tanto vale mollare…” pensò, sospirando.
La casa era avvolta dal silenzio. Le sorelle erano uscite, la madre al lavoro. Avrebbe potuto mettere su un film, magari sfogliare un libro, ma non era quello che voleva davvero, e lo sapeva.
Dentro di lei cresceva un bisogno più profondo, più carnale. Un pensiero che ancora faticava a dirsi ad alta voce.
“Voglio essere dominata… come ieri sera.” Poi si corresse, lasciando che la verità affiorasse senza filtri. “No. Voglio sottomettermi. Lasciarmi andare. Farmi trattare come una troia.”
Si alzò dalla sedia con lentezza, le anche che oscillavano morbide a ogni passo. Nessuno la guardava, eppure si muoveva come se fosse al centro della scena. Una gatta in cerca di attenzione. Si immaginò in discoteca: la musica nelle orecchie, il corpo fasciato da un tubino stretto che metteva in risalto il culo. Tutti quegli sguardi su di lei. La volevano. La spogliavano con gli occhi. Si piegò in avanti, gambe appena divaricate, le mani sulle ginocchia a tenersi. Nella sua testa, l’orlo del vestito saliva di colpo, scoprendole il culo. Lo sentiva nudo, sporgente, esposto, col perizoma che gli tagliava in mezzo e spariva. Se qualcuno fosse stato dietro, avrebbe visto tutto. E forse era proprio quello il punto.
Forse non avrebbe indossato nulla sotto al vestito. L’idea la fece fremere. Sentendo una risposta in basso, sentandosi calda e bagnata. Continuò a muovere i fianchi, come se danzasse per un pubblico invisibile, stuzzicando fantasie. Si sentiva desiderata, provocante. Una puttana consapevole, che gode del potere che ha sul desiderio altrui. E lo alimenta. Afferrò il bordo della felpa con entrambe le mani e iniziò a sollevarla lentamente, centimetro dopo centimetro, lasciando che il tessuto scorresse sulla pelle come un amante lento e paziente. Si guardava dritta negli occhi, nello specchio, trattenendo il fiato. Ogni movimento era studiato, come se si stesse esibendo per qualcuno, anche se era sola. O forse proprio per questo: era libera di essere se stessa.
La felpa salì oltre l’ombelico, rivelando la pancia piatta e la curva delicata dei fianchi. Poi più su, sopra il seno, e lì si fermò un istante, lasciando scoperti i capezzoli, tesi sotto la maglia leggera che indossava sotto. Durissimi, pronti, come se aspettassero solo di essere afferrati. Sentiva la stoffa sfiorarli e ogni sfioramento era un piccolo colpo, un brivido che si irradiava giù, fino al basso ventre.
Sfilò del tutto la felpa e la lasciò cadere ai suoi piedi. Poi sollevò la maglia leggera, arrotolandola lentamente, mostrando un centimetro alla volta di pelle, finché i seni non si liberarono completamente. Si mossero leggermente, tesi, vibranti, e Letizia li osservò con occhi affamati, quasi non fossero i suoi. Si portò una mano sotto, sollevandoli appena, come a pesarli, poi passò il pollice sul capezzolo destro, e sussultò. Il contatto fu breve, ma bastò a farle emettere un sospiro.
Si morse il labbro e sorrise al proprio riflesso, ammiccando. Ruotò il bacino, fece ondeggiare le anche in un piccolo movimento di danza, sensuale e lento. Lo sguardo era basso, poi si sollevava di scatto, provocante, come se dicesse: “Guarda cosa potresti avere, se solo te lo permettessi.” Iniziò a ballare da ferma, movimenti sinuosi delle spalle, delle braccia che le accarezzavano il corpo, scendendo lentamente sui fianchi, poi sulle cosce. Ogni gesto era una carezza. Ogni posa, un invito.
Portò le mani alla vita dei jeans, li sbottonò con calma, tirò giù la zip con un gesto lento, quasi pigro. Si girò di tre quarti, offrendo allo specchio il profilo del culo. I jeans scivolarono giù, carezzandole le cosce, poi le gambe, fino ai piedi. Restava solo il perizoma nero, sottile, madido al centro. Una macchia scura, netta, segnava il punto esatto del suo desiderio. E lei la fissava, ipnotizzata, eccitata da sé stessa, dal proprio corpo che rispondeva docile a quella danza solitaria.
Si chinò piano per sfilarli del tutto, le gambe tese, il sedere proteso all’indietro, sapendo — e godendo del fatto — che sembrava una posa da porno. Poi si raddrizzò, portò le mani dietro la schiena, mimando il gesto di slacciarsi il reggiseno che non indossava. Era puro gioco, teatro erotico. Nulla da togliere, ma il gesto le strappò un sorriso. Si sentiva dentro la parte. E il suo corpo bruciava.
Le dita le scivolarono lungo le cosce, lente, morbide, come se volessero chiederle il permesso. Quando sfiorarono la figa, sopra il perizoma zuppo, il corpo reagì da solo. Un sussulto, il respiro spezzato. Il desiderio saliva denso, come una marea che non voleva più ritirarsi. Si toccò appena. Un tocco veloce, quasi un cenno. Bastò. La miccia era accesa. Ogni gesto le faceva tremare le gambe. Ogni immagine, ogni pensiero, la spingeva oltre.
Si sentiva bella. Calda. Sporca. Viva. E bagnata da vergognarsi. Da impazzire.
Poi, il ricordo. La sera prima. BeyondLimit. Andrea. La voce roca, l’ordine sussurrato all’orecchio con quella calma autoritaria che le dava i brividi: «Stringi i capezzoli per me.»
Lo fece. Senza pensarci.
Il dolore arrivò secco, tagliente, ma subito si fuse al piacere. Un lampo che le attraversò la schiena, violento, crudo. Elettrico. Un gemito le uscì dalla gola, rauco, quasi un ringhio.
Il perizoma le si era incollato alla pelle. Sentiva la figa pulsare, gonfia, affamata. Un fremito le montò nel ventre, sporco e vivo. “Cazzo… ancora. E ieri sera ho già goduto. Sembro una puttana in calore.”
E il pensiero, anziché bloccarla, la fece arrossire. Non per vergogna. Per eccitazione.
Poi Giulia. Il modo in cui l’aveva guardata, spogliata con gli occhi. Quella frase, mezza risata e mezza provocazione: «Ti stai toccando?» Letizia aveva sorriso. Ma dentro si era sciolta.
E poi Diego. La sua assenza la sera prima. Quella distanza che adesso le pesava addosso, come qualcosa che non riusciva a mettere a fuoco. Che non voleva affrontare.
Sbloccò il telefono. Nessun messaggio. Un paio di like su Instagram, due vocali nel gruppo delle amiche. Li ignorò. Aprì WhatsApp.
L: «Che fai? Ho un problema… e non riesco a risolverlo da sola.» D: «Dimmi. Vediamo se posso aiutarti.» L: «Ecco.» *Inviò una foto: allo specchio, di profilo, senza maglia. Un piegamento appena accennato, giusto per far risaltare il culo.* D: «Mi sa che il problema è che non ci sono io dietro a fotterti.» L: «Esattamente.»
Si sdraiò sul letto, le gambe aperte, la schiena appoggiata alla testiera. Iniziò ad accarezzarsi sopra il perizoma, ormai fradicio. Un gemito le scappò piano.
D: «Questo può aiutare, Leti?» *foto allo specchio: il suo cazzo in primo piano, teso, con le palle in evidenza* L: «Sì. Se me lo sbattessi in faccia.»
Si morse il labbro mentre la mano scostava il tessuto e cominciava a massaggiarsi il clitoride. La foto le bruciava negli occhi.
D: “Solo se apri la bocca e tiri fuori la lingua. Come piace a me.” Letizia inviò un selfie: volto ripreso dall’alto lingua fuori, occhi sgranati e languidi, facendo in modo che si vedesse la sua posizione a gambe aperte e il seno. Diego non rispose subito. Ma non importava.
Aprì Safari in modalità incognito. Un gesto inutile, lo sapeva. Nessuno controllava il suo telefono. Ma la finzione della colpa serviva a qualcosa: la faceva sentire sporca, trasgressiva, e questo bastava a farle salire il calore tra le gambe.
Digitò di getto: “dominazione soft”. Niente. Troppo vago, troppo edulcorato. Provò con: “controllo mentale e desiderio”. Poca roba, sempre le solite fantasie mal scritte. Cancellò tutto. Esitò un secondo, poi digitò con più decisione: “storie erotiche sottomissione femminile”.
Scrollò i risultati. Qualche titolo era troppo esplicito, rozzo. Ma altri… le fecero pizzicare le dita. Un brivido le salì lungo le braccia. Ne aprì uno: solo testo, nessuna immagine. Meglio. Poteva chiudere gli occhi e vedere tutto con la propria immaginazione.
La protagonista era una studentessa. Una sera, lui la costringeva a restare ferma, legata al letto. Le parlava piano, con autorità. Le sussurrava all’orecchio cosa avrebbe fatto: «Ti voglio tutta. Voglio spogliarti, non dei vestiti ma del controllo. Una carezza alla volta. Arriverai a chiedermi tu di essere presa, scopata. Arriverai ad implorarmi di farlo. E ti vergognerai di quanto lo desideri. Ma la cosa ti ecciterà.»
Letizia deglutì. Le dita scorrevano sullo schermo, ma a ogni frase il respiro si faceva più corto. Si strinse le cosce. La figa pulsava. Le parole le scavavano dentro. Quelle frasi, fredde, dirette, senza inutili orpelli, sembravano scritte per lei. Era la ragazza legata. Era lei che si sentiva dire quelle cose. Lei che si offriva, che non voleva altro.
Continuò a leggere, più veloce. Ogni frase era una spinta. «Ti guardo mentre tremi. Ti sfioro solo dove non vuoi. Ti chiedo di dirmi che sei la mia troia, e tu me lo dici»
Letizia si morse il labbro. Il cuore batteva in gola. Si sentiva calda, bagnata, tesa. Quella storia la stava mandando fuori di testa.
Si morse il labbro. La mano scivolò tra le cosce, pelle calda e liscia sotto i polpastrelli. Un brivido immediato, netto, le salì lungo la schiena.
Sfiorò le labbra della figa con un dito. Leggera. Incerta. Ma il corpo reagì subito, come se fosse stato in attesa da ore. Si aprì senza esitazioni. Bagnata. Gonfia. Calda.
Un dito. Poi due. Entrarono senza fatica. La accolse con una fame silenziosa, viscosa. Iniziò a muoversi. Lenta all’inizio, accompagnando il respiro. Poi più forte, più a fondo, più ritmica.
Le anche si sollevarono appena, seguendo il movimento. Il fiato spezzato, la bocca socchiusa in un gemito soffocato sul cuscino. Gli occhi chiusi.
Non c’era più Diego.
Solo immagini. Crude. Dure. Un uomo le ordinava di restare ferma. La voce profonda, autoritaria. Una mano stretta intorno alla gola. La testa bloccata. Il corpo legato al letto, braccia e gambe immobilizzate. Impotente. Offerta. Disponibile.
E poi presa. Con lentezza. Con forza. Una penetrazione inesorabile, che non ammetteva rifiuto. Da dietro. La pelle premuta contro le lenzuola, il ventre teso, le guance umide. Uno sguardo fisso che la dominava, che la possedeva prima ancora di toccarla. Forse era Diego. Forse no. Forse erano in due. Forse lei lo voleva così.
Il piacere arrivò in un colpo. Violento. Denso. La investì senza preavviso. Un’onda che le attraversò l’addome, le fece contrarre le cosce, inarcare la schiena, gemere. Forte. Senza ritegno.
Le dita ancora dentro, strette dai muscoli che si chiudevano attorno. Il respiro ansimante. Il cuore impazzito. Il sudore che le scivolava tra i seni.
Riaprì gli occhi piano, tremando ancora.
Letizia rimase lì, stesa, nuda e ansimante, come se il suo corpo fosse appena stato attraversato da un terremoto. Il cuore le martellava nel petto, ma non era solo il cuore: anche il ventre, le gambe, le dita. Ogni parte di sé pulsava, ancora carica, ancora sporca di piacere. Aveva le cosce bagnate, le dita umide, e la pelle appiccicosa di sudore.
Sentì un fremito correrle lungo la schiena, crudo e senza grazia, come uno scatto nervoso. Il corpo tremava ancora, senza il suo consenso. E più che spossatezza, era… qualcosa di più. Qualcosa che non riusciva a nominare, ma che la faceva sentire piena. Sazia. E allo stesso tempo affamata.
Abbassò lo sguardo. Il lenzuolo era inzuppato. Non solo bagnato. Macchiato. Come se dentro di lei si fosse rotto qualcosa. Come se avesse lasciato andare tutto. E in quel tutto, ci fosse qualcosa che non aveva mai conosciuto prima.
Le guance le si scaldarono. Non per imbarazzo, non del tutto. Era stupore, era desiderio. “Ho squirtato da sola.” Non lo pensò con parole gentili. Non era un miracolo romantico. Era un fatto. Grezzo. Violento.
La stanza sembrava aver partecipato con lei. Il pavimento era cosparso di vestiti, il cuscino aveva l’impronta della sua guancia, lo specchio la restituiva spettinata, con gli occhi lucidi e le labbra gonfie come se fosse appena uscita da un sogno torbido. Ma non era un sogno. Era tutto vero. Era tutto suo.
Rimase così, a guardarsi. Le mani ancora umide. Il respiro lento. Si sentiva potente. Come se avesse appena varcato una soglia. “Io sono questa.” Niente più dubbi. Nessuna vergogna.
Letizia rimase seduta sul bordo del letto, le lenzuola fradicie sotto le cosce, la pelle ancora tesa, il cuore martellante. L’aria intorno a lei sembrava densa, satura, impastata del suo odore — un odore forte, animale, impossibile da ignorare. Cercò di respirare a fondo, ma ogni respiro sembrava tirare dentro anche tutto quello che era successo.
Si chinò a raccogliere la felpa, poi il perizoma abbandonato a terra, appallottolato come un resto. Ogni gesto, lento, scandiva una realtà che il cervello cercava ancora di negare. Le dita tremavano appena, ma non era stanchezza. Era qualcosa di più profondo. Di più scomodo.
“Non è normale…” pensò. Subito dopo: “Non è giusto”. Ma le parole non avevano peso. Erano solo tentativi goffi di tenere insieme qualcosa che si era già spezzato. La verità era lì, inchiodata nel corpo. Ed era inutile far finta.
Ripiegò le lenzuola senza guardarle troppo. Ogni macchia era un promemoria. Ogni piega, una voce. “È stato solo uno sfogo. Un momento.” Provò a convincersi. Ma mentre lisciava il copriletto con la mano, quella menzogna le si sgretolò tra le dita.
Il piacere era stato brutale. Reale. Senza sconti. E non era venuto da fuori. Era nato da lei. Da qualcosa che fino a poco prima non voleva nemmeno ammettere.
Una parte di lei urlava ancora no: non sei così, non vuoi questo, controllati. Ma l’altra, quella che si era spalancata in silenzio, che adesso ringhiava sotto pelle, non aveva più voglia di tacere.
“Mi ha eccitata” si disse, con un misto di rabbia e vergogna. “Quel racconto. Quel tipo di desiderio. L’idea di essere dominata, piegata, messa in ginocchio, presa.”
Strinse il lenzuolo tra le mani. Lei, che si era sempre vista forte, indipendente, capace di comandare; si era sciolta in pochi minuti. Il corpo aveva deciso da solo. Come se sapesse da sempre dove voleva finire.
Si fermò davanti allo specchio. Occhi lucidi, capelli arruffati, labbra gonfie. Non era brutta. Ma nemmeno la stessa. Qualcosa si era spostato. E non avrebbe fatto marcia indietro.
“Non so cosa mi stia succedendo. Ma non posso più ignorarlo.”
Intorno a lei la stanza portava ancora i segni: lenzuola tirate, cuscini sbattuti, vestiti ovunque. Tracce. Prove. Ogni cosa la riportava lì, a quell’istante in cui aveva smesso di fingere.
Si inginocchiò, gli occhi fissi nel riflesso. Annuì, quasi per accettare ciò che fino a un attimo prima avrebbe negato. Senza accorgersene, le uscì un sussurro. «Sono una troia… sottomessa… in calore.» Le guance si accesero, ma il corpo reagì prima della mente: un calore improvviso, umido, pulsante tra le cosce. Le labbra si aprivano da sole, come in attesa.
Un dito sfiorò appena il clitoride. Troppo sensibile. Un fremito la piegò in avanti. Si vide riflessa, contorta dal piacere. E senza sapere bene perché, si mise a quattro zampe. Come se fosse naturale. Come se fosse sempre stato lì, dentro di lei.
«Ecco cosa sei, Letizia.» Il pensiero le attraversò la mente come una scossa. Sentì un brivido salire dalla schiena, esplodere in un micro-orgasmo, improvviso, incontrollabile.
Immaginò la voce di Andrea. «Sei la mia cagna, Letizia. Guardati. Ti piace sentirti così, vero? Umiliata… spezzata.» Una parte di lei avrebbe voluto ribattere. «Io non sono così.» Ma sapeva già come sarebbe finita. Lo sguardo di lui, il tono che la zittiva, il piacere che la tradiva.
«Se non lo sei, allora perché sei così bagnata?» La domanda si ripeteva nella mente, cruda, chiara. E mentre immaginava quelle parole, uno schiaffo la raggiunse tra le cosce. Precisamente sul sesso. Come se la mano fosse posseduta. Uno schiocco umido, imbarazzante.
Le vennero le lacrime agli occhi. Non di dolore. Di resa. La mano tremava mentre tornava tra le gambe. «Sono una cagna…» sussurrò. «Bau… bau…» E il corpo la travolse. L’orgasmo la squassò con una violenza nuova, quasi cancellando tutto il resto.
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