Milano - Parte 4
di
Ale_Ross
genere
gay
La mattina dopo, Lorenzo si svegliò presto. La luce che filtrava dalle tende disegnava linee sottili sul pavimento, ma non riusciva a concentrarsi su nulla di ciò che vedeva. La notte trascorsa era confusa, un miscuglio di emozioni e sensazioni che ancora non riusciva a mettere a fuoco del tutto. Quel tipo di notte non si dimentica facilmente, ma Lorenzo non era sicuro di come gestirla. Non si trattava solo di cosa fosse successo, ma di come si sentiva ora.
Guardò Andrea che dormiva accanto a lui, il volto rilassato, quasi ignaro delle preoccupazioni di Lorenzo. Ma lui non riusciva a restare tranquillo. La sua mente correva a tutta velocità, domandandosi come tutto questo si sarebbe intrecciato con la vita che avevano fuori da quella stanza, il lavoro, i colleghi, la quotidianità.
Non voleva che le cose si complicassero, ma allo stesso tempo non poteva ignorare quello che sentiva.
Lorenzo si alzò piano, si vestì in silenzio e, prima di uscire dalla stanza, si fermò un momento a guardarlo. Andrea sembrava così lontano, come se tutto quello che era accaduto tra loro fosse un sogno, un’illusione che non avrebbe mai trovato una forma concreta.
Quando Andrea si svegliò, Lorenzo era già seduto al tavolo della cucina, la testa tra le mani. L'aria era tesa. Sapeva che dovevano parlare, ma non sapeva da dove cominciare.
Andrea lo raggiunse, i capelli scompigliati, e si sedette davanti a lui senza dire nulla, ma con un’espressione che tradiva una certa preoccupazione. «Cosa c’è, Lorenzo?» chiese, finalmente.
Lorenzo alzò gli occhi, cercando di raccogliere le parole giuste. «Dobbiamo parlare.» La sua voce suonava più seria di quanto volesse.
Andrea lo guardò attentamente, gli occhi scuri, un po’ confusi, ma anche un po’ preoccupati. «Ok... di cosa?»
Lorenzo fece un respiro profondo. «Non sono sicuro di come gestire tutto questo...»
Andrea si passò una mano tra i capelli, come per sbarazzarsi di un pensiero fastidioso. «Cosa intendi?»
Lorenzo lo fissò, cercando di trovare la giusta formulazione. «Ieri sera... e tutto quello che è successo. Non mi pento, ma...» si fermò un momento, cercando di formulare meglio. «Non so come fare a continuare. Non so come... se dobbiamo far finta che non sia successo nulla... o se questo cambia tutto.»
Lorenzo lo guardò negli occhi, esitante. «Penso che mi serva del tempo. Una pausa… da noi.»
Andrea rimase immobile. Le parole sembravano rimbalzargli addosso prima di fargli effetto. Poi abbassò lo sguardo e fece un cenno secco con la testa. «Certo.» Ma la voce era tesa, trattenuta, come un elastico tirato al limite.
«Non è che non voglio stare con te… è che - »
«Non serve spiegare.» Andrea si alzò dalla sedia, voltandosi subito. «Se hai bisogno di tempo, prenditelo.»
Lorenzo restò lì, con la sensazione di aver fatto la cosa giusta… e insieme quella sbagliata.
I giorni seguenti in ufficio furono strani. Andrea era distante, freddo, ma mai apertamente ostile. Professionale. Quella distanza, però, bruciava più di qualsiasi discussione. Non c’era nessun accenno a quanto era successo. Nessuna parola fuori posto. Solo silenzio, e il rumore secco della tastiera.Poi, un giovedì mattina, Andrea si fermò davanti alla scrivania di Lorenzo con il tablet in mano.
«Venerdì andiamo a Roma. C’è un nuovo cliente, un hotel in fase di ristrutturazione. Dobbiamo fare rilievi e sopralluoghi. Torniamo domenica sera.»
Lorenzo alzò gli occhi, colto di sorpresa. «Noi due?»
Lui annuì, senza troppa enfasi. «Sì. È una cosa delicata, e tu sei bravo con i concept visivi. Il cliente vuole qualcosa di “non convenzionale”.» Poi si voltò per andarsene, ma aggiunse, senza guardarlo: «Ho già prenotato i biglietti.»
Lorenzo rimase qualche secondo a fissare lo schermo del computer, poi chiuse gli occhi un attimo. Un weekend da soli a Roma. Dopo tutto quello che era successo. Dopo quella distanza. Non sapeva se fosse una trappola emotiva, un test… o solo lavoro.
Ma, in fondo, forse era anche un’occasione.
La tensione era palpabile già dal treno. Andrea era immerso nel suo laptop, cuffiette nelle orecchie, lo sguardo perso nei rendering del progetto. Lorenzo, invece, fissava il finestrino, guardando il paesaggio scorrere veloce come i pensieri nella sua testa.
Ogni tanto uno dei due faceva un commento sul lavoro, qualcosa di tecnico, funzionale. Frasi corte, niente di personale. Ma c’era un rispetto silenzioso, quasi doloroso, tra loro.
Arrivati a Roma, li accolse un sole tiepido e un’aria più leggera. Pranzarono velocemente vicino alla stazione, senza mai sfiorarsi, né fisicamente né con lo sguardo. Era come se fossero tornati due colleghi qualsiasi. Eppure, ogni tanto, Lorenzo lo guardava di nascosto. Andrea sembrava tranquillo, ma c’era qualcosa nei suoi gesti, nel modo in cui evitava il contatto, che tradiva un nervosismo trattenuto.
All’arrivo in hotel, la receptionist chiese: «Una camera matrimoniale o due singole?»
Lorenzo aprì la bocca per parlare, ma Andrea la precedette: «Due camere, grazie.»
Lorenzo annuì in silenzio, sentendo una fitta leggera allo stomaco. Non si aspettava niente di diverso, ma sentirlo così deciso faceva comunque male.
Salirono ognuno nella propria stanza. Nessuna battuta, nessun sorriso. Solo il rumore delle ruote del trolley sul pavimento del corridoio.
Una volta chiusa la porta dietro di sé, Lorenzo si appoggiò al muro e sospirò. Il viaggio era cominciato, e anche se la città era splendida, c’era qualcosa di stonato in quell’atmosfera che li teneva lontani. Era tutto piacevole all’esterno, i viali alberati, il profumo del caffè nell’aria, l’architettura che li circondava, ma tra loro c’era una distanza che Roma non poteva riempire.
Eppure, dentro di lui, una piccola parte sperava ancora che, prima o poi, quella distanza si sarebbe accorciata.
La giornata passò tra schizzi, fotografie, rilievi e discussioni tecniche. Il sopralluogo fu intenso ma efficace: Andrea era preciso come sempre, e Lorenzo, pur cercando di restare concentrato, faticava a ignorare la tensione che sentiva ogni volta che lo sfiorava per caso o incrociava il suo sguardo.
Roma sembrava più bella del solito, la luce calda del pomeriggio che accarezzava i marmi antichi, il rumore sommesso del traffico e delle conversazioni in strada ma per Lorenzo era come se tutto fosse ovattato, lontano, come se la città non potesse toccarlo davvero. Non con quella distanza ancora viva tra loro.
Quando rientrarono in hotel, scambiarono solo poche parole. Un «a domani» secco, e poi ognuno nella propria stanza. Lorenzo si gettò sul letto senza nemmeno cambiarsi. Restò lì per minuti lunghissimi, fissando il soffitto, con il cuore che batteva troppo forte per il silenzio che lo circondava.
Non riusciva a dormire. Ogni volta che chiudeva gli occhi, tornava a pensare ad Andrea. A quello che avevano vissuto. A quello che stava lasciando andare, forse troppo in fretta. E più cercava di convincersi che fosse giusto lasciar passare il tempo, più si sentiva vuoto.
Passata la mezzanotte, si alzò. Si mise una felpa, scese scalzo nel corridoio e si fermò davanti alla porta della camera accanto. Respirò a fondo, esitò. Poi bussò.
Un rumore di passi dall’interno. La porta si aprì lentamente. Andrea apparve, in t-shirt e pantaloncini, spettinato, visibilmente sorpreso. Per un secondo non disse nulla, guardando Lorenzo con un misto di confusione e stanchezza.
«Non riesco a dormire,» disse Lorenzo, a bassa voce.
Andrea lo osservò ancora per un istante, poi si fece da parte, lasciandogli spazio. «Entra.»
Lorenzo varcò la soglia in silenzio, e la porta si richiuse piano dietro di lui.
Lorenzo entrò nella stanza senza dire una parola. La luce era soffusa, filtrata dalle tende pesanti, e tutto sembrava sospeso, in attesa.
Si voltò verso Andrea, lo guardò per un momento con occhi carichi di emozione, esitazione, desiderio trattenuto… e poi lo baciò. Non fu un gesto impulsivo, ma pieno, consapevole. Un bacio che diceva più di mille parole, che colmava il silenzio di giorni, paure, distanze.
Andrea non si tirò indietro. Lo accolse, le mani che si posarono su di lui con naturalezza, come se lo stesse aspettando da sempre. Il bacio si fece più profondo, ma sempre misurato, rispettoso, sincero. Non c'era fretta. Solo il bisogno di ritrovarsi.
Le mani si cercavano, si scoprivano di nuovo, come se fosse la prima volta. Si lasciarono andare l’uno all’altro con dolcezza e consapevolezza, in un silenzio fatto solo di respiri e pelle. Nessuna parola rovinò quel momento. In men che non si dica erano nudi. Andrea afferrò Lorenzo di peso, lui avvolse le braccia intorno al suo collo senza mai staccare le labbra dalle sue.
Finirono contro il muro, in quella posizione il suo cazzo puntava dritto al suo culo. Si lasciò andare e lo fece scivolare tutto dentro di sé. Erano in piedi contro una parete, Andrea lo scopava con più ferocia questa volta, come se volesse punirlo dopo quei iorni di lontananza. Lorenzo si rese conto che era completamente rapito da lui, avrebbe fatto qualunque cosa per lui.
«Aaah..Piano!» disse Lorenzo.
«Zitto. Lo so che ti piace.» grugnì Andrea. Era vero. Gli piaceva tutto quello, gli piaceva essere l’oggetto del suo desiderio.
«Sto godendo da matti. Mi sei mancato!» disse Lorenzo e subito lo baciò.
«Anche tu mi sei mancato. mi è mancato tuto di te! Soprattutto sentirti godere come una troia!»
«E allora fai godere questa troia!»
I colpi erano incessanti. Lorenzo rimbalzava sopra quel cazzo senza sosta. Era avvinghiato ad Andrea che lo sorreggeva senza il minimo sforzo. I suoi muscoli erano perfetti, e lui, cercando di non perdere la presa, li toccava e massaggiava affondando le unghia nella sua carne.
«Sborro»
«Riempimi. Sborrami dentro.»
Lorenzo fissò Andrea. «Ti amo,» disse mentre sborrava dentro di lui. Il getto era caldo, ad ogni sborrata il corpo di Andrea fremeva come percorso da una scossa. Lorenzo sentiva quegli schizzi farsi strada dentro di lui e riempigli tutto il culo. Sorrise, accarezzandogli il viso con delicatezza.
«Anche io. Da un po’. Ma avevo paura di dirtelo.»
Si buttarono sul letto esausti, in silenzio, le dita intrecciate. Lorenzo sentiva la sborra fuoriuscire dal suo culo. Quel silenzio quasi assordante fu rotto dalle parole di Lorenzo.
«Sono gay» disse.
«E te ne sei reso conto solo ora?» disse Andrea ridendo e prendendolo un po’ in giro «Pensavo che la cosa fosse abbastanza chiara dopo che ti sei fatto scopare da cinque ragazzi insieme»
«ha ha ha…dai scemo. Sono serio. È la prima volta che lo dico ad alta voce. Sono gay!» aveva finalmente preso piena consapevolezza di sé «E sono felice di averlo scoperto con te.»
«Ti amo»
«Ti amo anche io.»
Qualche settimana dopo, in un tranquillo lunedì mattina, Lorenzo e Andrea si presentarono insieme in ufficio. Come sempre, nulla di eclatante: due colleghi che entravano alla stessa ora, parlando sottovoce davanti alla macchina del caffè.
Ma quella mattina qualcosa era diverso.
Andrea, dopo una breve riunione, chiamò tutti nella sala conferenze con una scusa. Un aggiornamento di progetto, disse. Ma mentre parlava, a un certo punto si fermò, guardò Lorenzo, poi tornò ai colleghi.
«Infine c’è una cosa che volevamo condividere con voi» prese il suo compagno per mano intrecciando le dita alle sue «io e Lorenzo stiamo insieme. Ci amiamo»
Un attimo di silenzio. Lorenzo rimase immobile. Pietrificato.
Poi un sorriso il primo da parte di Giulia, dell’amministrazione: «Finalmente! Pensavate davvero che non ce ne fossimo accorti?»
Una risata trattenuta scappò anche a Marco, il grafico: «Siete meno discreti di quanto pensiate.»
Qualcuno applaudì, qualcun altro fece una battuta affettuosa. L’atmosfera era leggera, sincera. Nessuna sorpresa, solo una conferma.
Usciti dalla sala riunioni, Andrea si voltò verso Lorenzo. «È fatta.»
Lorenzo annuì, con un sorriso calmo. «Sì. Ora possiamo essere noi. Davvero.»
E per la prima volta, attraversando quegli uffici pieni di luce, di chiacchiere, di documenti aperti e tazze di caffè, camminarono fianco a fianco come quello che erano sempre stati: due uomini che si amavano. Finalmente Lorenzo aveva trovato il suo posto nel mondo.
Guardò Andrea che dormiva accanto a lui, il volto rilassato, quasi ignaro delle preoccupazioni di Lorenzo. Ma lui non riusciva a restare tranquillo. La sua mente correva a tutta velocità, domandandosi come tutto questo si sarebbe intrecciato con la vita che avevano fuori da quella stanza, il lavoro, i colleghi, la quotidianità.
Non voleva che le cose si complicassero, ma allo stesso tempo non poteva ignorare quello che sentiva.
Lorenzo si alzò piano, si vestì in silenzio e, prima di uscire dalla stanza, si fermò un momento a guardarlo. Andrea sembrava così lontano, come se tutto quello che era accaduto tra loro fosse un sogno, un’illusione che non avrebbe mai trovato una forma concreta.
Quando Andrea si svegliò, Lorenzo era già seduto al tavolo della cucina, la testa tra le mani. L'aria era tesa. Sapeva che dovevano parlare, ma non sapeva da dove cominciare.
Andrea lo raggiunse, i capelli scompigliati, e si sedette davanti a lui senza dire nulla, ma con un’espressione che tradiva una certa preoccupazione. «Cosa c’è, Lorenzo?» chiese, finalmente.
Lorenzo alzò gli occhi, cercando di raccogliere le parole giuste. «Dobbiamo parlare.» La sua voce suonava più seria di quanto volesse.
Andrea lo guardò attentamente, gli occhi scuri, un po’ confusi, ma anche un po’ preoccupati. «Ok... di cosa?»
Lorenzo fece un respiro profondo. «Non sono sicuro di come gestire tutto questo...»
Andrea si passò una mano tra i capelli, come per sbarazzarsi di un pensiero fastidioso. «Cosa intendi?»
Lorenzo lo fissò, cercando di trovare la giusta formulazione. «Ieri sera... e tutto quello che è successo. Non mi pento, ma...» si fermò un momento, cercando di formulare meglio. «Non so come fare a continuare. Non so come... se dobbiamo far finta che non sia successo nulla... o se questo cambia tutto.»
Lorenzo lo guardò negli occhi, esitante. «Penso che mi serva del tempo. Una pausa… da noi.»
Andrea rimase immobile. Le parole sembravano rimbalzargli addosso prima di fargli effetto. Poi abbassò lo sguardo e fece un cenno secco con la testa. «Certo.» Ma la voce era tesa, trattenuta, come un elastico tirato al limite.
«Non è che non voglio stare con te… è che - »
«Non serve spiegare.» Andrea si alzò dalla sedia, voltandosi subito. «Se hai bisogno di tempo, prenditelo.»
Lorenzo restò lì, con la sensazione di aver fatto la cosa giusta… e insieme quella sbagliata.
I giorni seguenti in ufficio furono strani. Andrea era distante, freddo, ma mai apertamente ostile. Professionale. Quella distanza, però, bruciava più di qualsiasi discussione. Non c’era nessun accenno a quanto era successo. Nessuna parola fuori posto. Solo silenzio, e il rumore secco della tastiera.Poi, un giovedì mattina, Andrea si fermò davanti alla scrivania di Lorenzo con il tablet in mano.
«Venerdì andiamo a Roma. C’è un nuovo cliente, un hotel in fase di ristrutturazione. Dobbiamo fare rilievi e sopralluoghi. Torniamo domenica sera.»
Lorenzo alzò gli occhi, colto di sorpresa. «Noi due?»
Lui annuì, senza troppa enfasi. «Sì. È una cosa delicata, e tu sei bravo con i concept visivi. Il cliente vuole qualcosa di “non convenzionale”.» Poi si voltò per andarsene, ma aggiunse, senza guardarlo: «Ho già prenotato i biglietti.»
Lorenzo rimase qualche secondo a fissare lo schermo del computer, poi chiuse gli occhi un attimo. Un weekend da soli a Roma. Dopo tutto quello che era successo. Dopo quella distanza. Non sapeva se fosse una trappola emotiva, un test… o solo lavoro.
Ma, in fondo, forse era anche un’occasione.
La tensione era palpabile già dal treno. Andrea era immerso nel suo laptop, cuffiette nelle orecchie, lo sguardo perso nei rendering del progetto. Lorenzo, invece, fissava il finestrino, guardando il paesaggio scorrere veloce come i pensieri nella sua testa.
Ogni tanto uno dei due faceva un commento sul lavoro, qualcosa di tecnico, funzionale. Frasi corte, niente di personale. Ma c’era un rispetto silenzioso, quasi doloroso, tra loro.
Arrivati a Roma, li accolse un sole tiepido e un’aria più leggera. Pranzarono velocemente vicino alla stazione, senza mai sfiorarsi, né fisicamente né con lo sguardo. Era come se fossero tornati due colleghi qualsiasi. Eppure, ogni tanto, Lorenzo lo guardava di nascosto. Andrea sembrava tranquillo, ma c’era qualcosa nei suoi gesti, nel modo in cui evitava il contatto, che tradiva un nervosismo trattenuto.
All’arrivo in hotel, la receptionist chiese: «Una camera matrimoniale o due singole?»
Lorenzo aprì la bocca per parlare, ma Andrea la precedette: «Due camere, grazie.»
Lorenzo annuì in silenzio, sentendo una fitta leggera allo stomaco. Non si aspettava niente di diverso, ma sentirlo così deciso faceva comunque male.
Salirono ognuno nella propria stanza. Nessuna battuta, nessun sorriso. Solo il rumore delle ruote del trolley sul pavimento del corridoio.
Una volta chiusa la porta dietro di sé, Lorenzo si appoggiò al muro e sospirò. Il viaggio era cominciato, e anche se la città era splendida, c’era qualcosa di stonato in quell’atmosfera che li teneva lontani. Era tutto piacevole all’esterno, i viali alberati, il profumo del caffè nell’aria, l’architettura che li circondava, ma tra loro c’era una distanza che Roma non poteva riempire.
Eppure, dentro di lui, una piccola parte sperava ancora che, prima o poi, quella distanza si sarebbe accorciata.
La giornata passò tra schizzi, fotografie, rilievi e discussioni tecniche. Il sopralluogo fu intenso ma efficace: Andrea era preciso come sempre, e Lorenzo, pur cercando di restare concentrato, faticava a ignorare la tensione che sentiva ogni volta che lo sfiorava per caso o incrociava il suo sguardo.
Roma sembrava più bella del solito, la luce calda del pomeriggio che accarezzava i marmi antichi, il rumore sommesso del traffico e delle conversazioni in strada ma per Lorenzo era come se tutto fosse ovattato, lontano, come se la città non potesse toccarlo davvero. Non con quella distanza ancora viva tra loro.
Quando rientrarono in hotel, scambiarono solo poche parole. Un «a domani» secco, e poi ognuno nella propria stanza. Lorenzo si gettò sul letto senza nemmeno cambiarsi. Restò lì per minuti lunghissimi, fissando il soffitto, con il cuore che batteva troppo forte per il silenzio che lo circondava.
Non riusciva a dormire. Ogni volta che chiudeva gli occhi, tornava a pensare ad Andrea. A quello che avevano vissuto. A quello che stava lasciando andare, forse troppo in fretta. E più cercava di convincersi che fosse giusto lasciar passare il tempo, più si sentiva vuoto.
Passata la mezzanotte, si alzò. Si mise una felpa, scese scalzo nel corridoio e si fermò davanti alla porta della camera accanto. Respirò a fondo, esitò. Poi bussò.
Un rumore di passi dall’interno. La porta si aprì lentamente. Andrea apparve, in t-shirt e pantaloncini, spettinato, visibilmente sorpreso. Per un secondo non disse nulla, guardando Lorenzo con un misto di confusione e stanchezza.
«Non riesco a dormire,» disse Lorenzo, a bassa voce.
Andrea lo osservò ancora per un istante, poi si fece da parte, lasciandogli spazio. «Entra.»
Lorenzo varcò la soglia in silenzio, e la porta si richiuse piano dietro di lui.
Lorenzo entrò nella stanza senza dire una parola. La luce era soffusa, filtrata dalle tende pesanti, e tutto sembrava sospeso, in attesa.
Si voltò verso Andrea, lo guardò per un momento con occhi carichi di emozione, esitazione, desiderio trattenuto… e poi lo baciò. Non fu un gesto impulsivo, ma pieno, consapevole. Un bacio che diceva più di mille parole, che colmava il silenzio di giorni, paure, distanze.
Andrea non si tirò indietro. Lo accolse, le mani che si posarono su di lui con naturalezza, come se lo stesse aspettando da sempre. Il bacio si fece più profondo, ma sempre misurato, rispettoso, sincero. Non c'era fretta. Solo il bisogno di ritrovarsi.
Le mani si cercavano, si scoprivano di nuovo, come se fosse la prima volta. Si lasciarono andare l’uno all’altro con dolcezza e consapevolezza, in un silenzio fatto solo di respiri e pelle. Nessuna parola rovinò quel momento. In men che non si dica erano nudi. Andrea afferrò Lorenzo di peso, lui avvolse le braccia intorno al suo collo senza mai staccare le labbra dalle sue.
Finirono contro il muro, in quella posizione il suo cazzo puntava dritto al suo culo. Si lasciò andare e lo fece scivolare tutto dentro di sé. Erano in piedi contro una parete, Andrea lo scopava con più ferocia questa volta, come se volesse punirlo dopo quei iorni di lontananza. Lorenzo si rese conto che era completamente rapito da lui, avrebbe fatto qualunque cosa per lui.
«Aaah..Piano!» disse Lorenzo.
«Zitto. Lo so che ti piace.» grugnì Andrea. Era vero. Gli piaceva tutto quello, gli piaceva essere l’oggetto del suo desiderio.
«Sto godendo da matti. Mi sei mancato!» disse Lorenzo e subito lo baciò.
«Anche tu mi sei mancato. mi è mancato tuto di te! Soprattutto sentirti godere come una troia!»
«E allora fai godere questa troia!»
I colpi erano incessanti. Lorenzo rimbalzava sopra quel cazzo senza sosta. Era avvinghiato ad Andrea che lo sorreggeva senza il minimo sforzo. I suoi muscoli erano perfetti, e lui, cercando di non perdere la presa, li toccava e massaggiava affondando le unghia nella sua carne.
«Sborro»
«Riempimi. Sborrami dentro.»
Lorenzo fissò Andrea. «Ti amo,» disse mentre sborrava dentro di lui. Il getto era caldo, ad ogni sborrata il corpo di Andrea fremeva come percorso da una scossa. Lorenzo sentiva quegli schizzi farsi strada dentro di lui e riempigli tutto il culo. Sorrise, accarezzandogli il viso con delicatezza.
«Anche io. Da un po’. Ma avevo paura di dirtelo.»
Si buttarono sul letto esausti, in silenzio, le dita intrecciate. Lorenzo sentiva la sborra fuoriuscire dal suo culo. Quel silenzio quasi assordante fu rotto dalle parole di Lorenzo.
«Sono gay» disse.
«E te ne sei reso conto solo ora?» disse Andrea ridendo e prendendolo un po’ in giro «Pensavo che la cosa fosse abbastanza chiara dopo che ti sei fatto scopare da cinque ragazzi insieme»
«ha ha ha…dai scemo. Sono serio. È la prima volta che lo dico ad alta voce. Sono gay!» aveva finalmente preso piena consapevolezza di sé «E sono felice di averlo scoperto con te.»
«Ti amo»
«Ti amo anche io.»
Qualche settimana dopo, in un tranquillo lunedì mattina, Lorenzo e Andrea si presentarono insieme in ufficio. Come sempre, nulla di eclatante: due colleghi che entravano alla stessa ora, parlando sottovoce davanti alla macchina del caffè.
Ma quella mattina qualcosa era diverso.
Andrea, dopo una breve riunione, chiamò tutti nella sala conferenze con una scusa. Un aggiornamento di progetto, disse. Ma mentre parlava, a un certo punto si fermò, guardò Lorenzo, poi tornò ai colleghi.
«Infine c’è una cosa che volevamo condividere con voi» prese il suo compagno per mano intrecciando le dita alle sue «io e Lorenzo stiamo insieme. Ci amiamo»
Un attimo di silenzio. Lorenzo rimase immobile. Pietrificato.
Poi un sorriso il primo da parte di Giulia, dell’amministrazione: «Finalmente! Pensavate davvero che non ce ne fossimo accorti?»
Una risata trattenuta scappò anche a Marco, il grafico: «Siete meno discreti di quanto pensiate.»
Qualcuno applaudì, qualcun altro fece una battuta affettuosa. L’atmosfera era leggera, sincera. Nessuna sorpresa, solo una conferma.
Usciti dalla sala riunioni, Andrea si voltò verso Lorenzo. «È fatta.»
Lorenzo annuì, con un sorriso calmo. «Sì. Ora possiamo essere noi. Davvero.»
E per la prima volta, attraversando quegli uffici pieni di luce, di chiacchiere, di documenti aperti e tazze di caffè, camminarono fianco a fianco come quello che erano sempre stati: due uomini che si amavano. Finalmente Lorenzo aveva trovato il suo posto nel mondo.
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