Milano - Parte 1
di
Ale_Ross
genere
gay
Lorenzo aveva 27 anni quando decise di lasciare il suo piccolo paese tra le colline abruzzesi per inseguire un sogno che aveva coltivato fin dai tempi dell’università: diventare architetto in una grande città.
Milano era sempre stata nei suoi pensieri, con i suoi grattacieli di vetro, i tram gialli, la nebbia densa al mattino e l’aria frenetica di chi corre sempre verso qualcosa. Così, con una valigia piena di schizzi, speranze e un contratto da tirocinante in uno studio di architettura, prese un treno e non si voltò indietro.
Il suo nuovo ufficio si trovava in una traversa di Corso Como, al terzo piano di un palazzo elegante con un portone in ferro battuto e una targa lucida che recitava Studio Arco – Architettura e Design Contemporaneo. I primi giorni furono un mix di entusiasmo e spaesamento: orari lunghi, colleghi schivi, e un ritmo che non lasciava spazio all'improvvisazione. Ma Lorenzo era tenace. Aveva imparato ad ascoltare, osservare, rubare con gli occhi le soluzioni dei più esperti.
Poco a poco iniziò a farsi notare. Un modello in scala preparato di notte per una presentazione urgente, un’idea originale per un edificio residenziale in zona Navigli, e soprattutto la sua capacità di mettere passione in ogni dettaglio, dai disegni tecnici al rendering finale. Il suo supervisore, l’architetto Colombo, lo coinvolse in progetti sempre più complessi, riconoscendone il valore.
Una sera, mentre il cielo di Milano si faceva scuro e le luci degli uffici si spegnevano una ad una, Lorenzo stava sistemando delle tavole di un progetto quando sentì una voce familiare alle sue spalle.
«Lorenzo, ti andrebbe di restare un po’? Dobbiamo chiudere il layout per il concorso di domani. Non ce la faccio da solo.»
Era l’architetto Colombo. Trentaquattro anni, giacca sempre sgualcita sulle spalle della sedia e lo sguardo di chi pensa a dieci cose contemporaneamente. Nonostante la sua posizione, Colombo non si era mai posto su un piedistallo: parlava chiaro, rideva raramente ma sinceramente, e trattava Lorenzo quasi come un pari.
«Certo, nessun problema» rispose Lorenzo, arrotolando le maniche della camicia.
Si sedettero fianco a fianco davanti al monitor, lavorando gomito a gomito. Le parole erano poche, i clic veloci. Ogni tanto Colombo commentava sottovoce, lanciando uno sguardo a Lorenzo per vedere se coglieva le sfumature. Lorenzo, attento, annuiva e aggiustava senza protestare. C’era una sintonia sottile tra loro, fatta di rispetto reciproco e una certa intesa silenziosa.
Quando terminarono, erano quasi le dieci di sera. Colombo si stiracchiò, guardò Lorenzo e, con un mezzo sorriso, disse: «Andiamo a bere qualcosa? Offro io. Te lo sei guadagnato.»
Accettare fu naturale. Uscirono nello stesso istante in cui la città cominciava a rallentare. Camminarono per qualche minuto fino a un piccolo locale in Brera, con luci soffuse, legno scuro e una musica jazz di sottofondo.
Seduti a un tavolo d’angolo, davanti a due Negroni, Colombo si rilassò. Parlò del suo primo progetto andato male, di quanto fosse dura all’inizio farsi prendere sul serio. Lorenzo ascoltava con interesse, ma si accorse che stavano andando oltre l’architettura. Si stavano conoscendo.
«Sai, mi rivedo un po’ in te» disse Colombo, girando il bicchiere tra le dita. «Non tanto per il talento - quello è tuo e basta - ma per come ti butti. Milano può essere dura. Ma tu ci stai dentro bene.»
Lorenzo abbassò lo sguardo, un po’ sorpreso da quella confidenza. «Grazie. Architetto Colombo. Non è sempre facile. Ma mi piace. Mi sembra di costruire qualcosa che ha senso.»
«Oh basta con questo “Architetto Colombo”. Mi chiamo Andrea.» disse.
Uscirono dal bar con passo lento, la notte addosso e l’aria tiepida di una Milano primaverile che sembrava meno caotica del solito. Le strade erano quasi vuote, illuminate solo dai lampioni e dai fari dei taxi che scivolavano via silenziosi.
Andrea si infilò le mani in tasca, lanciando un’occhiata laterale a Lorenzo. «Ti va un’ultima birra? Abito qui vicino. Ho delle artigianali che mi ha portato un amico dalla Germania. Niente di impegnativo, se hai ancora un po’ di tempo.»
Lorenzo esitò solo un attimo, poi annuì. «Volentieri. Tanto domani si entra più tardi, no?»
Andrea sorrise, un po’ sorpreso forse dalla risposta pronta, forse dal fatto che quella serata stava scivolando via in modo così naturale. Camminarono per altri cinque minuti fino a un portone verde scuro con un citofono vecchio stile.
L’appartamento di Andrea era al secondo piano: ampio, con soffitti alti e un arredamento che mescolava pezzi di design con oggetti più personali. Libri ovunque, schizzi appesi con il nastro, una vecchia poltrona di pelle consumata accanto a una finestra aperta sulla città.
«Mettiti comodo» disse, mentre spariva in cucina. Poco dopo tornò con due bottiglie fredde e due bicchieri spaiati. Sedettero sul divano, uno accanto all’altro ma non troppo vicini. La birra era effettivamente buona, ma era chiaro che non era solo per quella che erano lì.
Parlarono ancora, questa volta con meno filtri. Andrea raccontò di come fosse arrivato a Milano quasi per caso, di un amore finito male, di un’ansia che ogni tanto lo prendeva quando le cose sembravano andare troppo bene. Lorenzo lo ascoltava, sentendosi stranamente a suo agio, come se avesse appena scavalcato una linea invisibile: non era più solo il nuovo arrivato in studio, ma qualcosa di più, o forse qualcosa di diverso.
Quando i bicchieri furono vuoti, ci fu un attimo di silenzio. Nessuno dei due si alzava. Andrea si girò verso di lui, con uno sguardo che aveva perso ogni pretesto di formalità.
«Sai, non capita spesso che qualcuno resti dopo l’orario, solo perché glielo chiedo.»
Andrea non distolse lo sguardo. C’era qualcosa nei suoi occhi, un lampo breve, quasi impercettibile, ma carico di intenzione. Lorenzo lo sentì, ma non lo capì subito. Era ancora intrappolato nella logica della serata: il lavoro, la birra, le chiacchiere più intime del solito… Ma niente che gli avesse fatto davvero pensare a quello.
Fu il gesto che lo spiazzò.
Andrea si sporse appena, come se stesse per dire qualcosa, ma invece gli sfiorò la bocca con le labbra. Un tocco appena, rapido, che poteva anche essere un errore. Ma non lo era. Era voluto. Era diretto. Era reale.
Lorenzo rimase immobile. Il tempo sembrò spezzarsi per un istante. Il cuore gli accelerò, non per paura, ma per qualcosa che non aveva previsto, qualcosa che non aveva considerato… o forse sì, ma solo in fondo a un pensiero che aveva evitato di guardare troppo da vicino.
«Scusa,» disse Andrea, tornando subito indietro, ma senza imbarazzo. Solo con sincerità. «Non era… Non voglio metterti a disagio.»
Lorenzo lo guardò. Il cervello ancora cercava di recuperare.
«Solo non me l’aspettavo,» mormorò. «Tutto qui.»
Il silenzio tra loro si fece denso, ma non pesante. Andrea appoggiò il bicchiere vuoto sul tavolino e si passò una mano tra i capelli, quasi a liberarsi dalla tensione. Poi parlò, con un tono più basso.
«Non ti sto chiedendo niente. Solo… volevo che tu sapessi. Non per complicare le cose. Solo per essere onesto.»
Lorenzo annuì lentamente, poi si girò verso la finestra. Milano era lì fuori, viva anche di notte, e dentro di lui qualcosa si muoveva. Non era confusione, ma piuttosto una porta che si apriva piano. Quando tornò a guardarlo, Colombo aveva lo sguardo abbassato. Sembrava vulnerabile. Umano.
«Hai un’altra di quelle birre?» disse Lorenzo.
Andrea lo guardò, colto di sorpresa, poi sorrise. «Sì. Ne ho ancora.»
Tornò con le due birre in mano, ma appena rientrò nel soggiorno si accorse che qualcosa era cambiato. Lorenzo non era più seduto in punta, come prima. Era lì, al centro del divano, le spalle più rilassate, lo sguardo fermo. Lo stava aspettando.
Andrea gli porse la birra con un accenno di sorriso, ma quando Lorenzo la prese, le dita si sfiorarono appena un po’ più a lungo del necessario. Nessuno dei due disse niente. Il silenzio non era più imbarazzante: era denso, carico, come il minuto prima di un temporale.
Questa volta fu Lorenzo ad avvicinarsi. Piano, come chi non ha fretta, ma sa esattamente cosa sta facendo.
Il loro bacio fu lento. Nessuna esitazione, solo un lasciarsi andare. I movimenti erano lenti, come se stessero ancora prendendo le misure l’uno dell’altro, ma carichi di intenzione. Le mani di Andrea sfiorarono il viso di Lorenzo, gli passarono tra i capelli, poi scesero lungo il collo. Lorenzo chiuse gli occhi un attimo, lasciandosi guidare da quella sensazione nuova, sorprendentemente naturale. Non aveva mai baciato un altro uomo prima di allora.
Si baciarono ancora, con più intensità, e fu come se qualcosa si sbloccasse del tutto. L’imbarazzo, le esitazioni, le linee invisibili che fino a poco prima li tenevano ognuno al proprio posto, svanirono. Andrea prese la mano di Lorenzo e la portò sul suo cazzo. Lorenzo rimase sorpreso dalla sua durezza. Iniziò a massaggiarlo lentamente da sopra i pantaloni. Era la prima volta che toccava il cazzo di altro uomo.
Si alzarono senza parlare, le birre ormai dimenticate. Andrea lo prese per mano, guidandolo verso la camera da letto, attraversando un appartamento che improvvisamente sembrava più intimo, più caldo.
Le loro lingue e le loro bocche si cercavano con avidità e desiderio. Un desiderio che Lorenzo non aveva mai provato prima ma a cui non riusciva a resistere. Iniziarono a spogliarsi a vicenda. Fino a restare in mutande. Fu Andrea che con una leggera pressione sulle spalle di Lorenzo lo fece sedere sul bordo del letto.
Si ritrovò davanti un cazzo in piena erezione che a stento riusciva a restare dentro le mutande. Fu un gesto naturale. Allungò le mani e tirò via quegli slip che si sovrapponevano tra lui e l’oggetto del suo desiderio. Ora svettava libero. Duro. La cappella lucida. Andrea gli mise una mano sulla testa e lo spinse verso di lui. Lorenzo non oppose la minima resistenza, e questo in fondo lo lasciva un po’ sorpreso. Allungò la mano, afferrò il suo cazzo e lentamente aprì la bocca. Appoggiò le labbra sulla punta del cazzo e iniziò a baciarlo.
Non aveva mai fatto un pompino prima. Gli tornarono in mente i video porno che guardava da adolescente e cercò di imitare come meglio poteva le ragazze di quei video.
Iniziò a baciare tutta l’asta fino alle palle, poi con la lingua risalì di nuovo fino alla punta e lo infilò tutto in bocca. Era caldo. Iniziò a fare avanti e dietro con la testa mentre con lingua stuzzicava la cappella.
Dai gemiti che Andrea stava emettendo capì che gradiva quello che stava facendo.
«mmmmm…sei sicuro che non lo avevi mai fatto prima?» disse Andrea «Sei fenomenale».
Fu compiaciuto nel sentire quella frase, quasi come quando gli faceva un complimento per uno dei suoi layout in ufficio.
Il pompino proseguiva con foga e passione, nella stanza si sentivano solo i gemiti di Andrea e i versi di Lorenzo.
«Se continui così sborro….»
Lorenzo si fermò. Lo guardò e chiese «Non è quello che vuoi?»
«Beh si. Però vorrei assaggiare altro di te.»
Non servivano altre parole. Si tirò indietro sul letto fino mettersi comodo tra i cuscini. Si tolse le mutande e le lanciò verso Andrea.
«Assaggia quello che vuoi» quella frase stupì anche lui. Non era mai stato così sfrontato con qualcuno.
Andrea si precipitò verso di lui. Allargò le sue gambe e si tuffò con tutta la faccia tra le chiappe di Lorenzo. Iniziò a lavorargli il buco con la lingua. Stava andando in estasi dal piacere.
«Hai un culo bellissimo lo sai?» disse Andrea riprendendo fiato.
«Bello solo da baciare?»
Andrea lo guardò dritto negli occhi. Era il momento. Prese il lubrificante e lo passò prima sul suo cazzo e poi sul culo di Lorenzo. Si mise sopra di lui. Puntò il cazzo verso il suo buco.
«Però fa piano» sospirò «È la prima volta».
«Sta tranquillo. Fidati di me.» e dicendo questo spinse il cazzo dentro di lui. Lorenzo strabuzzò gli occhi emettendo un gemito misto di dolore e piacere. Andrea iniziò a muoversi lentamente e piano piano il dolore lasciò spazio solo al piacere. Sentiva il cazzo dentro di sé arrivargli quasi allo stomaco. L’odore della pelle di Andrea, quello di sudore e di fragola del lubrificante gli riempivano le narici.
«Ti piace?» sussurrò Andrea guardandolo negli occhi.
«Siiii…non ti fermare ti prego!» e lo baciò. Si sentiva piccolissimo sotto il corpo di Andrea, come se fosse un cucciolo indifeso. Quella scopata sembrava non terminare mai ed era quello che voleva, voleva non finisse mai. Il ritmo della scopata aumentava sempre di più, le sue mani esploravano ogni centimetro del corpo di Andrea, il petto, la schiena, il culo. Non si era mai soffermato a guardare un corpo maschile prima e per la prima volta si accorse di quanto fosse stupendo. I loro gemiti di piacere furono interrotti dalla voce di Andrea.
«Sto per venire»
«La voglio in bocca»
Andrea fu sorpreso e divertito da quella richiesta. Uscì da quel culo orami fradicio di umori. Si sfilò il preservativo e puntò il cazzo verso la bocca di Lorenzo che si tirò su e aprì la bocca, gli venne naturale tirare fuori la lingua. Prese anche il suo cazzo e iniziò a masturbarsi con foga. Stava impazzendo. Vennero quasi nello stesso momento, Andrea scaricò un primo getto di sborra dritto sulla faccia di Lorenzo che non perse tempo nell’infilarsi di nuovo il suo cazzo in bocca e ingoiare tutta l’altra sborra. Contemporaneamente anche lui sborrò con un orgasmo che non aveva mai provato prima.
Sfiniti crollarono uno di fianco all’altro, fissavano il soffitto con il respiro affannato come se avessero fatto una maratona.
«Sei bellissimo» disse Andrea voltandosi.
«Ma se sembro un quadro di Jackson Pollock» rispose ridendo e raccogliendo con due dita un po’ di quella sborra ancora calda che era sul suo petto e portandosele alla bocca.
«Dormi qui. Ti va?» Lorenzo ci pensò su due secondi.
«Ok. Ma prima vado a darmi una ripulita.»
Quando, molto più tardi, Lorenzo si lasciò andare con la testa sul petto di Andrea, sentì il battito del suo cuore rallentare, come se anche lui si fosse finalmente fermato. Nessuno dei due parlò. Si addormentarono così, nudi e intrecciati, mentre fuori la città continuava il suo ritmo indifferente.
Milano era sempre stata nei suoi pensieri, con i suoi grattacieli di vetro, i tram gialli, la nebbia densa al mattino e l’aria frenetica di chi corre sempre verso qualcosa. Così, con una valigia piena di schizzi, speranze e un contratto da tirocinante in uno studio di architettura, prese un treno e non si voltò indietro.
Il suo nuovo ufficio si trovava in una traversa di Corso Como, al terzo piano di un palazzo elegante con un portone in ferro battuto e una targa lucida che recitava Studio Arco – Architettura e Design Contemporaneo. I primi giorni furono un mix di entusiasmo e spaesamento: orari lunghi, colleghi schivi, e un ritmo che non lasciava spazio all'improvvisazione. Ma Lorenzo era tenace. Aveva imparato ad ascoltare, osservare, rubare con gli occhi le soluzioni dei più esperti.
Poco a poco iniziò a farsi notare. Un modello in scala preparato di notte per una presentazione urgente, un’idea originale per un edificio residenziale in zona Navigli, e soprattutto la sua capacità di mettere passione in ogni dettaglio, dai disegni tecnici al rendering finale. Il suo supervisore, l’architetto Colombo, lo coinvolse in progetti sempre più complessi, riconoscendone il valore.
Una sera, mentre il cielo di Milano si faceva scuro e le luci degli uffici si spegnevano una ad una, Lorenzo stava sistemando delle tavole di un progetto quando sentì una voce familiare alle sue spalle.
«Lorenzo, ti andrebbe di restare un po’? Dobbiamo chiudere il layout per il concorso di domani. Non ce la faccio da solo.»
Era l’architetto Colombo. Trentaquattro anni, giacca sempre sgualcita sulle spalle della sedia e lo sguardo di chi pensa a dieci cose contemporaneamente. Nonostante la sua posizione, Colombo non si era mai posto su un piedistallo: parlava chiaro, rideva raramente ma sinceramente, e trattava Lorenzo quasi come un pari.
«Certo, nessun problema» rispose Lorenzo, arrotolando le maniche della camicia.
Si sedettero fianco a fianco davanti al monitor, lavorando gomito a gomito. Le parole erano poche, i clic veloci. Ogni tanto Colombo commentava sottovoce, lanciando uno sguardo a Lorenzo per vedere se coglieva le sfumature. Lorenzo, attento, annuiva e aggiustava senza protestare. C’era una sintonia sottile tra loro, fatta di rispetto reciproco e una certa intesa silenziosa.
Quando terminarono, erano quasi le dieci di sera. Colombo si stiracchiò, guardò Lorenzo e, con un mezzo sorriso, disse: «Andiamo a bere qualcosa? Offro io. Te lo sei guadagnato.»
Accettare fu naturale. Uscirono nello stesso istante in cui la città cominciava a rallentare. Camminarono per qualche minuto fino a un piccolo locale in Brera, con luci soffuse, legno scuro e una musica jazz di sottofondo.
Seduti a un tavolo d’angolo, davanti a due Negroni, Colombo si rilassò. Parlò del suo primo progetto andato male, di quanto fosse dura all’inizio farsi prendere sul serio. Lorenzo ascoltava con interesse, ma si accorse che stavano andando oltre l’architettura. Si stavano conoscendo.
«Sai, mi rivedo un po’ in te» disse Colombo, girando il bicchiere tra le dita. «Non tanto per il talento - quello è tuo e basta - ma per come ti butti. Milano può essere dura. Ma tu ci stai dentro bene.»
Lorenzo abbassò lo sguardo, un po’ sorpreso da quella confidenza. «Grazie. Architetto Colombo. Non è sempre facile. Ma mi piace. Mi sembra di costruire qualcosa che ha senso.»
«Oh basta con questo “Architetto Colombo”. Mi chiamo Andrea.» disse.
Uscirono dal bar con passo lento, la notte addosso e l’aria tiepida di una Milano primaverile che sembrava meno caotica del solito. Le strade erano quasi vuote, illuminate solo dai lampioni e dai fari dei taxi che scivolavano via silenziosi.
Andrea si infilò le mani in tasca, lanciando un’occhiata laterale a Lorenzo. «Ti va un’ultima birra? Abito qui vicino. Ho delle artigianali che mi ha portato un amico dalla Germania. Niente di impegnativo, se hai ancora un po’ di tempo.»
Lorenzo esitò solo un attimo, poi annuì. «Volentieri. Tanto domani si entra più tardi, no?»
Andrea sorrise, un po’ sorpreso forse dalla risposta pronta, forse dal fatto che quella serata stava scivolando via in modo così naturale. Camminarono per altri cinque minuti fino a un portone verde scuro con un citofono vecchio stile.
L’appartamento di Andrea era al secondo piano: ampio, con soffitti alti e un arredamento che mescolava pezzi di design con oggetti più personali. Libri ovunque, schizzi appesi con il nastro, una vecchia poltrona di pelle consumata accanto a una finestra aperta sulla città.
«Mettiti comodo» disse, mentre spariva in cucina. Poco dopo tornò con due bottiglie fredde e due bicchieri spaiati. Sedettero sul divano, uno accanto all’altro ma non troppo vicini. La birra era effettivamente buona, ma era chiaro che non era solo per quella che erano lì.
Parlarono ancora, questa volta con meno filtri. Andrea raccontò di come fosse arrivato a Milano quasi per caso, di un amore finito male, di un’ansia che ogni tanto lo prendeva quando le cose sembravano andare troppo bene. Lorenzo lo ascoltava, sentendosi stranamente a suo agio, come se avesse appena scavalcato una linea invisibile: non era più solo il nuovo arrivato in studio, ma qualcosa di più, o forse qualcosa di diverso.
Quando i bicchieri furono vuoti, ci fu un attimo di silenzio. Nessuno dei due si alzava. Andrea si girò verso di lui, con uno sguardo che aveva perso ogni pretesto di formalità.
«Sai, non capita spesso che qualcuno resti dopo l’orario, solo perché glielo chiedo.»
Andrea non distolse lo sguardo. C’era qualcosa nei suoi occhi, un lampo breve, quasi impercettibile, ma carico di intenzione. Lorenzo lo sentì, ma non lo capì subito. Era ancora intrappolato nella logica della serata: il lavoro, la birra, le chiacchiere più intime del solito… Ma niente che gli avesse fatto davvero pensare a quello.
Fu il gesto che lo spiazzò.
Andrea si sporse appena, come se stesse per dire qualcosa, ma invece gli sfiorò la bocca con le labbra. Un tocco appena, rapido, che poteva anche essere un errore. Ma non lo era. Era voluto. Era diretto. Era reale.
Lorenzo rimase immobile. Il tempo sembrò spezzarsi per un istante. Il cuore gli accelerò, non per paura, ma per qualcosa che non aveva previsto, qualcosa che non aveva considerato… o forse sì, ma solo in fondo a un pensiero che aveva evitato di guardare troppo da vicino.
«Scusa,» disse Andrea, tornando subito indietro, ma senza imbarazzo. Solo con sincerità. «Non era… Non voglio metterti a disagio.»
Lorenzo lo guardò. Il cervello ancora cercava di recuperare.
«Solo non me l’aspettavo,» mormorò. «Tutto qui.»
Il silenzio tra loro si fece denso, ma non pesante. Andrea appoggiò il bicchiere vuoto sul tavolino e si passò una mano tra i capelli, quasi a liberarsi dalla tensione. Poi parlò, con un tono più basso.
«Non ti sto chiedendo niente. Solo… volevo che tu sapessi. Non per complicare le cose. Solo per essere onesto.»
Lorenzo annuì lentamente, poi si girò verso la finestra. Milano era lì fuori, viva anche di notte, e dentro di lui qualcosa si muoveva. Non era confusione, ma piuttosto una porta che si apriva piano. Quando tornò a guardarlo, Colombo aveva lo sguardo abbassato. Sembrava vulnerabile. Umano.
«Hai un’altra di quelle birre?» disse Lorenzo.
Andrea lo guardò, colto di sorpresa, poi sorrise. «Sì. Ne ho ancora.»
Tornò con le due birre in mano, ma appena rientrò nel soggiorno si accorse che qualcosa era cambiato. Lorenzo non era più seduto in punta, come prima. Era lì, al centro del divano, le spalle più rilassate, lo sguardo fermo. Lo stava aspettando.
Andrea gli porse la birra con un accenno di sorriso, ma quando Lorenzo la prese, le dita si sfiorarono appena un po’ più a lungo del necessario. Nessuno dei due disse niente. Il silenzio non era più imbarazzante: era denso, carico, come il minuto prima di un temporale.
Questa volta fu Lorenzo ad avvicinarsi. Piano, come chi non ha fretta, ma sa esattamente cosa sta facendo.
Il loro bacio fu lento. Nessuna esitazione, solo un lasciarsi andare. I movimenti erano lenti, come se stessero ancora prendendo le misure l’uno dell’altro, ma carichi di intenzione. Le mani di Andrea sfiorarono il viso di Lorenzo, gli passarono tra i capelli, poi scesero lungo il collo. Lorenzo chiuse gli occhi un attimo, lasciandosi guidare da quella sensazione nuova, sorprendentemente naturale. Non aveva mai baciato un altro uomo prima di allora.
Si baciarono ancora, con più intensità, e fu come se qualcosa si sbloccasse del tutto. L’imbarazzo, le esitazioni, le linee invisibili che fino a poco prima li tenevano ognuno al proprio posto, svanirono. Andrea prese la mano di Lorenzo e la portò sul suo cazzo. Lorenzo rimase sorpreso dalla sua durezza. Iniziò a massaggiarlo lentamente da sopra i pantaloni. Era la prima volta che toccava il cazzo di altro uomo.
Si alzarono senza parlare, le birre ormai dimenticate. Andrea lo prese per mano, guidandolo verso la camera da letto, attraversando un appartamento che improvvisamente sembrava più intimo, più caldo.
Le loro lingue e le loro bocche si cercavano con avidità e desiderio. Un desiderio che Lorenzo non aveva mai provato prima ma a cui non riusciva a resistere. Iniziarono a spogliarsi a vicenda. Fino a restare in mutande. Fu Andrea che con una leggera pressione sulle spalle di Lorenzo lo fece sedere sul bordo del letto.
Si ritrovò davanti un cazzo in piena erezione che a stento riusciva a restare dentro le mutande. Fu un gesto naturale. Allungò le mani e tirò via quegli slip che si sovrapponevano tra lui e l’oggetto del suo desiderio. Ora svettava libero. Duro. La cappella lucida. Andrea gli mise una mano sulla testa e lo spinse verso di lui. Lorenzo non oppose la minima resistenza, e questo in fondo lo lasciva un po’ sorpreso. Allungò la mano, afferrò il suo cazzo e lentamente aprì la bocca. Appoggiò le labbra sulla punta del cazzo e iniziò a baciarlo.
Non aveva mai fatto un pompino prima. Gli tornarono in mente i video porno che guardava da adolescente e cercò di imitare come meglio poteva le ragazze di quei video.
Iniziò a baciare tutta l’asta fino alle palle, poi con la lingua risalì di nuovo fino alla punta e lo infilò tutto in bocca. Era caldo. Iniziò a fare avanti e dietro con la testa mentre con lingua stuzzicava la cappella.
Dai gemiti che Andrea stava emettendo capì che gradiva quello che stava facendo.
«mmmmm…sei sicuro che non lo avevi mai fatto prima?» disse Andrea «Sei fenomenale».
Fu compiaciuto nel sentire quella frase, quasi come quando gli faceva un complimento per uno dei suoi layout in ufficio.
Il pompino proseguiva con foga e passione, nella stanza si sentivano solo i gemiti di Andrea e i versi di Lorenzo.
«Se continui così sborro….»
Lorenzo si fermò. Lo guardò e chiese «Non è quello che vuoi?»
«Beh si. Però vorrei assaggiare altro di te.»
Non servivano altre parole. Si tirò indietro sul letto fino mettersi comodo tra i cuscini. Si tolse le mutande e le lanciò verso Andrea.
«Assaggia quello che vuoi» quella frase stupì anche lui. Non era mai stato così sfrontato con qualcuno.
Andrea si precipitò verso di lui. Allargò le sue gambe e si tuffò con tutta la faccia tra le chiappe di Lorenzo. Iniziò a lavorargli il buco con la lingua. Stava andando in estasi dal piacere.
«Hai un culo bellissimo lo sai?» disse Andrea riprendendo fiato.
«Bello solo da baciare?»
Andrea lo guardò dritto negli occhi. Era il momento. Prese il lubrificante e lo passò prima sul suo cazzo e poi sul culo di Lorenzo. Si mise sopra di lui. Puntò il cazzo verso il suo buco.
«Però fa piano» sospirò «È la prima volta».
«Sta tranquillo. Fidati di me.» e dicendo questo spinse il cazzo dentro di lui. Lorenzo strabuzzò gli occhi emettendo un gemito misto di dolore e piacere. Andrea iniziò a muoversi lentamente e piano piano il dolore lasciò spazio solo al piacere. Sentiva il cazzo dentro di sé arrivargli quasi allo stomaco. L’odore della pelle di Andrea, quello di sudore e di fragola del lubrificante gli riempivano le narici.
«Ti piace?» sussurrò Andrea guardandolo negli occhi.
«Siiii…non ti fermare ti prego!» e lo baciò. Si sentiva piccolissimo sotto il corpo di Andrea, come se fosse un cucciolo indifeso. Quella scopata sembrava non terminare mai ed era quello che voleva, voleva non finisse mai. Il ritmo della scopata aumentava sempre di più, le sue mani esploravano ogni centimetro del corpo di Andrea, il petto, la schiena, il culo. Non si era mai soffermato a guardare un corpo maschile prima e per la prima volta si accorse di quanto fosse stupendo. I loro gemiti di piacere furono interrotti dalla voce di Andrea.
«Sto per venire»
«La voglio in bocca»
Andrea fu sorpreso e divertito da quella richiesta. Uscì da quel culo orami fradicio di umori. Si sfilò il preservativo e puntò il cazzo verso la bocca di Lorenzo che si tirò su e aprì la bocca, gli venne naturale tirare fuori la lingua. Prese anche il suo cazzo e iniziò a masturbarsi con foga. Stava impazzendo. Vennero quasi nello stesso momento, Andrea scaricò un primo getto di sborra dritto sulla faccia di Lorenzo che non perse tempo nell’infilarsi di nuovo il suo cazzo in bocca e ingoiare tutta l’altra sborra. Contemporaneamente anche lui sborrò con un orgasmo che non aveva mai provato prima.
Sfiniti crollarono uno di fianco all’altro, fissavano il soffitto con il respiro affannato come se avessero fatto una maratona.
«Sei bellissimo» disse Andrea voltandosi.
«Ma se sembro un quadro di Jackson Pollock» rispose ridendo e raccogliendo con due dita un po’ di quella sborra ancora calda che era sul suo petto e portandosele alla bocca.
«Dormi qui. Ti va?» Lorenzo ci pensò su due secondi.
«Ok. Ma prima vado a darmi una ripulita.»
Quando, molto più tardi, Lorenzo si lasciò andare con la testa sul petto di Andrea, sentì il battito del suo cuore rallentare, come se anche lui si fosse finalmente fermato. Nessuno dei due parlò. Si addormentarono così, nudi e intrecciati, mentre fuori la città continuava il suo ritmo indifferente.
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