La ragazza troppo bella - Parte 2

di
genere
etero

Passai a prendere Elena alle dieci di mattina. Dovevamo andare dall'estetista e fare un pò di shopping intimo. Elen era una mia amica russa in Italia da un paio di anni. La sua storia era abbastanza simile alla mia, e quindi legammo quasi da subito in un amicizia cominciata da "solidarietà" ma ora reale e ben salda perché ci volevamo bene.
Da Elena, avevo imparato la sensualità. Non so come facesse, ma in ogni momento, istante, era dotata di una femminilità incredibile. I suoi modi erano molto felini, non volgari, si muoveva come se camminasse su del velluto. Era consapevole della sua bellezza da quando era piccola. Suo padre, purtroppo, se n'era accorto anche lui quando aveva solo dodici anni.. Bella, ma fredda come il ghiaccio. I suoi occhi piu chiari dei miei risaltavano sulla pelle diafana che lei teneva a mantenere tale non prendendo mai il sole. "Fa male alla pelle Moni" mi diceva. Io invece da brava napoletana non avrei mai rinunciato all'abbronzatura, ergo, alle lampade quando era inverno. Sembravamo i due opposti. Lei i capelli lisci e biondi, i miei ricci e mori, altre uguale, belle entrambi, e straniere in un mondo dove siamo considerate usurpatrici.
Stando vicino ad Elena, avevo imparato tanto di più sulla femminilità. Non una semplice cura del corpo, ma un vero e proprio percorso intimo ed interno che va a toccare anche tasti dolenti di un passato da obliare. Io ed Elena non eravamo nate ricche, ma belle. Una benedizione che spesso è anche dannazione. Il mondo, che che si dica, è ancora degli uomini. Di pochi di loro. Purtroppo.
"Prima o poi lo voglio il tuo piede...". Era Elena affianco a me. Eravamo avvolte solo da un asciugamano bianco che ci copriva a metà con i piedi appoggiati su uno sgabello. Due signore ci stavano facendo i piedi. Elena litigò brevemente con la ragazza che si occupava di lei per un "indurente" particolare che aveva chiesto di procurare per via del fatto che la cheratine delle sue unghie aveva una particolarità e blabla. "Non mancherò di riferire alla tua padrona!" disse alla tipa che era mortificata. Detestavo questi suoi atteggiamenti, ma sapevo che anche Elena odiava se stessa quando si comportava cosi. Era come se volesse in un modo o nell'altro continuare a punire se stessa attraverso gli altri. Poi si dispiaceva e cerava di rimediare. Ero convinta che la prossima volta sarebbe arrivata con tanti regali per la donna avvilita che ora era al bordo delle lacrime. Sospirai e ripresi a leggere il mio settimanale. Elena disse qualcosa ma non risposi. Ci tenevo a farle capire che non approvavo.
Uscimmo dal centro estetico ed andammo a bere uno spritz al centro. Faceva caldo. Frequentando Elena, avevo imparato che la volgarità é ad un passo dalla moda. Che il passo é davvero piccolo. Il mondo dei ricchi ha delle regole a cui non si deroga. Non ci si entra, è evidente, ma anche per starci accanto, bisogna avere i modi giusti. Altrimenti diventi come una stella cadente nel loro firmamento. Dal sorridere al prendere un bicchiere, dall'abbigliare al truccarsi, dal camminare al sedersi, dal parlare al guardare. Il mondo della ricchezza è un dedalo di regole ma anche come mi insegnò Elena un statuto "mutevole". Elena usava questa parola per dire che se non riesci a seguire la moda, allora non sei piu alla moda. La "moda" veniva usato per dire stare in alto, li, tra quelli che hanno potere, danaro, coloro che si godono tutti gli agi che il progresso abbia mai potuto offrire. Purtroppo, è un mondo ristretto, molto ristretto. E quindi starci é come vincere alla lotteria. Ma giovane e belle com'eravamo, le chance le avevamo, le carte le stavamo giocando, il futuro sarebbe stata la risposta al resto.
"Prendi il calice da sotto" mi ammoni Elena mentre stavo bevendo. "Dove hai imparato tutte queste cose?" le chiesi. "A sedici anni mio padre mi faceva incontrare degli uomini facoltosi... Ed uno di loro aveva una signora che lavorava ai suoi ordini che era incaricata di "addomesticarci"... il che in realtà voleva dire prepararci ad essere puttane di alto bordo...". Elena non parlava mai del suo passato con molto piacere. Mi aveva solo detto di essere scappata dalla Russia in aereo privato con un suo amante. Tutto qui. Quando provai a saperne di più, si chiuse in un mutismo ostinato. Non c'era modo di sapere. Comunque.
"Non è male quello, vero?". Il tipo in questione era un uomo giovane e curato che ci guardava con insistenza. Guardai Elena, era davvero bella. Mi chiesi se un giorno pensava di sposarsi, di fare famiglia, di sistemarsi. Guardai di nuovo il ragazzo che ci sorrise. Era un bel ragazzo si. Nel giro di due minuti, era già seduto con noi. Elena aveva un principio: mai pagare il conto. "Siamo donne, il peso del mondo grava su di noi senza alcun riconoscimento o perlomeno con poche possibilità, almeno il conto che lo paghino loro". Ed aveva una dote, non so come facesse. Ma ogni volta che uscivamo entrambe, che sia al cinema, al ristorante, al bar, in discoteca, trovava sempre il modo di agganciare chi ci pagava il conto e ci sbavava dietro. Sorrisi della sua sfacciataggine. Il ragazzo era piacente. Dopo un pò, andammo via. Io da sola, Elena con Riccardo...
"Ve lo chiamo subito!". Era il portiere del mio palazzo che prometteva di mandarmi qualcuno a spostarmi lo specchio. Quel qualcuno si presentò a casa mia mezz'ora dopo. Stavo sotto la doccia quando senti il campanello. Mi misi velocemente l'accappatoio ed andai ad aprire.
Fui colpito dal suo sorriso. Lui, forse da quanto fossi bella e sexy nel mio mini accappatoio che faceva vedere la metà dei miei seni e la maggior parte delle mie cosce. Lui invece era alto due metri, scuro di carnagione, cappelli corti ma si vedeva che erano ricci, occhi marroni scuro, e sorriso stampato in faccia. Un fisico di una potenza che si indovinava sotto la maglietta che lo conteneva a malapena. Per un paio di secondi, non parlammo. Poi, lui imbarazzato si presentò e lo invitai ad entrare. Lo portai subito davanti lo specchio spiegandogli cosa avrei voluto. Lui ascoltava ma aveva difficoltà a togliere lo sguardo da me. Ero abituato a ciò. Sono una bella donna, oramai anche sofisticato, è abitudine per me essere guardata, desiderata. Ma quel desiderio cosi genuine mi turbò. Non ero come Elena, non giudicavo la gente in base a quel che avevano, ero nata e cresciuta in una Napoli povera e combattiva, ma ero oramai abituata ai vertici. Chi sta ai vertici viene servito. E chi serve è gente come me, come me prima. Non avevo subito i traumi di Elena, sapevo di essere fortunata, il merito era della mia bellezza.
Tornai in bagno lasciando il ragazzo bello di cui non avevo capito il nome ad aggiustarmi lo specchio. Ero felice. Avrei visto i miei piedi, finalmente. Erano due mesi che stavo in quell'appartamento. Era il mio quinto appartamento. Piu sali di livello, piu il livello ti costringe a cambiare. L'appartamento pagato dal mio primo amante l'avevo ceduto a mio fratello che aveva scelto anche lui di scappare da Napoli. Disapprovava la mia vita, e quindi ci frequentavamo poco. Mi cercava quando era in difficoltà, io c'ero sempre.
In bagno mi misi la crema, mi vesti, ed usci. Lo specchio era montato.
Mi misi davanti e mi guardai. Era perfetto...
Immaginai che mi guardavo facendo l'amore, con delle scarpe al piede e nient'altro. Chiesi scusa al ragazzo ed entrai in stanza. Ne usci con delle bellissime scarpe nere che infilai e tornai davanti allo specchio. Si... Era perfetto. Il ragazzo era paonazzo in viso. Lo guardai.Un piccolo movimento convulsivo del braccio, probabilmente un tic, mostrava quanto fosse nervoso. Ero piu che certa fosse eccitato. Era nell'aria, una sensazione leggera e pesante alla volta, il desiderio ti prende quando è espresso in modo ingenuo, quando è plateale. Quell'uomo mi desiderava, io no. A differenza di Elena, forse come ultima difesa, cercavo un coinvolgimento che andava oltre i corpi. Non che disprezzassi, ma la la mente quando fa sesso sublima la realtà stessa.
Il ragazzo di cui non avevo capito il nome non sapeva che fare. La situazione mi divertiva. Provocare non è da stronze, semplicemente, è parte del gioco. Difatti, dissi una volta ad un mio spasimante un po troppo geloso queste esatte parole " Posso eccitare la popolazione maschile intera ma alla fine torno a casa con te". Quel che non aggiunsi, era..."col carico di desiderio altrui e nostro". Il che al mio parere era molto piu eccitante. Il mondo in cui ero non tollerava la gelosia. Non quella ossessiva e costrittiva. Era molto piu subdola, ti costringeva in altri modi, ti obbligava dandoti una scelta unica. Il ragazzo di cui non avevo capito il nome si mise vicino allo specchio e cominciò a trafficare. Ero ancora li, in mezzo alla stanza, con la vestaglia trasparente e corta, a guardarmi nello specchio rimporto dall'uomo. Guardai la sua nuca. Era forte, le spalle possenti, quelle di qualcuno abituato a mangiare degli arnesi. Non era per niente male pensai... E chiusi gli occhi. Immaginai lui che lasciava lo specchio li dove stava e si avventava su di me con le sue grandi e ruvide mani. Mani che tentavano di accarezzare il mio seno con goffaggine, immaginavo la sua bocca che cercava le pieghe del mio collo con la convinzione di donarmi brividi. Immaginai lui che mi spingeva contro il muro, maldestro, consapevole che una donna come me era un occasione unica, tremante di desiderio. Le sue mani che cercano il mio pube, il suo respiro rauco che sa di sigaretta e birra, l'odore rancido del sudore asciutto sulla pelle. E me... Me che volevo sgusciare e rimanere. Impaurita ed eccitata alla volta. Me che appoggio le mani sul suo petto poderoso senza spingerlo, me che apre le gambe facilitandogli la ricerca di quel punto che ogni uomo crede sia un pulsante della magia che appena premi procura godurie immense. Immaginavo me che lasciavo penzolare la mano per prendere il timone ed approdare a goduriosi porti.
Avevo ancora gli occhi chiusi, il mio corpo era percorso da brividi, mi ero dimenticato addirittura del ragazzo di cui non capi il nome. Forse non me lo dimenticai, ma andò cosi, forse per provocazione, forse per me stessa, non saprei, sempre è che stavo facendo l'amore con un uomo nella stessa stanza senza mai toccarlo. Gli occhi sempre chiusi, immaginai lui che apriva la zip dei pantaloni, non portava mutande, ed aveva un cazzo enorme. Quando lo presi in mano, fui perversa da un intenso brivido...
Fu in quel momento che il ragazzo di cui non ricordo il nome mi toccò la spalla. "Signorina, sta bene?" Lo guardai probabilmente con un espressione accigliata perche si ritrasse di un passo. "No, tutto bene" dissi ed andai in stanza. "Fammi sapere quando hai finito" gli urlai. Rispose ed allora mi tolsi la vestaglia e mi misi sul letto. Ero eccitatissima. Con due dita, cominciai a massaggiare la mia figa. La parte esterna, alta, poco piu sopra della fessura... Un massaggio circolare, delicato ma deciso. Poi, Pian piano, scesi sui bordi della mia vagina e continuai cosi per qualche minuto prima di tornare su sul clitoride. Mi concentrai sulla piccola protuberanza e nel giro di pochi secondi esplosi trattenendo un grido. In quello stesso momento, il ragazzo di cui non ricordavo il nome mi chiamò. Andai a pagarlo e tornai in stanza. Era stata una giornata piena. E la sera, io ed Elena dovevamo uscire. Decisi di riposare un pò...
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scritto il
2022-01-22
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