La ragazza troppo bella-Parte 1

Scritto da , il 2022-01-21, genere etero

Per l'ennesima volta pensai che avrei dovuto far abbassare lo specchio. I miei piedi erano tagliati a metà e non vedere cosa indossassi ai piedi per me quasi equivaleva a vestirmi al buio. Per me, tutto parte dalla scarpa. Dalla linea del piede che risale poi fino alle gambe e prosegue verso l'alto. Le scarpe sono l'inizio di tutto, ci permettono di essere in contatto con la terra, talvolta con dolcezza, talvolta con ruvidezza.
Sbuffai scocciata ed andai in bagno a truccarmi. Meticolosamente, trasformai il mio viso. Scelsi il rossetto in base al colore delle scarpe. Lo avevo detto, tutto parte e finisce da li. Mi misi poi seduta e poggiai i piedi su un sgabello. Mi feci un pò le unghie prima di farmi le mani di un smalto assolutamente uguale al colore delle scarpe. Ah le scarpe...
Mi piacevano i miei piedi. Erano piccoli, regolari, curati. Ogni giorno, benedivo il progresso che aveva portato alla depilazione definitiva. Guardai la mia gamba, era liscia, uniforme, stava sul piede con dignità. Sorrisi tra me e me. La vanità faceva parte di me, non lo negavo, anzi. A differenza di ciò che molti pensano, non sempre va contro se stesso, in certi mondi, è un fantastico alleato. Alla gente piace la gente che si ama, poiché spesso non hanno amore per se stessi. Comunque, amo il mio corpo, lo curo, forse un pò troppo, ma è tempio, è via, è mezzo che porta ad una soluzione. Portarlo all'apice, è arrivare all'apice della società. Non sono ipocrita, semplicemente sincera. Anch'io cresciuta in una famiglia pseudo cattolica dove i valori erano quelli del sacrificio e della dignità. Regole scritte da chi non si è mai sacrificato. Ovviamente, il dissenso con i miei genitori per la mia considerazione sulla libertà e sui valori diventò un impasse e dovetti a ventidue anni andar via per evitare una strage in famiglia.
"Monica non puoi uscire. Monica devi studiare. Monica devi lavare i piatti. Monica devi smettere di frequentare i ragazzi. Monica non ci piace la tua gonna, Monica non devi frequentare queste persone....". Un vero incubo per me che adolescente, bella devo dire, avevo bisogno di spiegare le mie ali in una Napoli degradata ed avvilita dalla camorra e dalla corruzione. Erano tempi in cui i boss veri non esistevano quasi più, rimpiazzati da ragazzini bramosi di immedesimare i "boss" visti in film o serie Tv ma predisposti alla violenza gratuita, il che rendeva la città meno sicura. Ma chi nasce nel torrente impara a nuotare controcorrente. I miei genitori, umile persone, come tantissime altre brave persone, si facevano portare dalla corrente, e cosi volevano per me. Fino al mare... Come i salmoni, io ambivo ad andare su, a sfidare la gravità per deporre le uova che fluiranno nei fiumi e nei mari, ambivo ad essere in alto, molto in alto, credo come tutte le adolescenti, belle.
Fuggi dalla rete dei miei genitori, della mia città, ed arrivai dapprima a Roma.
Giovane, poco pratica del mondo, senza istruzione superiore, senza soldi, e con tanta paura. Disposta a tutto, non proprio a tutto. Tutto per me significava dalla lavapiatti, cameriera, alla domestica. La mia era una vera e propria fuga e tale doveva rimanere. Tornare a Napoli era fuori questione. Con i pochi soldi che avevo, presi una stanza in un albergo in periferia. Ci misi poco a trovare lavoro. Ovviamente, nella condizione in cui ero, avevo bisogno di aiuto. E chi ha bisogno di aiuto ha due scelte: rimanere nell'assurda dignità, o uscire allo scoperto. Lo feci con la cameriera dell'albergo che lo fece con il proprietario che lo fece con i suoi amici, ed il risultato fu che cominciai tre giorni dopo il mio arrivo a lavorare in un bar a Pomezia. Il mio datore di lavoro mi diede una stanza sopra il bar. Era sposato ed aveva tre figli, ma non smise mai di provarci con me. "Quanto sei bella!" mi diceva sempre. Più di una volta, quando era sicuro che nessuno guardava, mi toccava il culo. Difatti cercavo sempre di non essere mai da sola con lui. Non era un uomo bello, ma più di tutt'altro, nemmeno pulito. Il suo odore mi dava il voltastomaco. Ma avevo bisogno di lavorare, e questa situazione mi permise di imparare parte di meccanismi che per me sarebbero stati fondamentali. Gli uomini sono prevedibili, banali, e dozzinali. Da bella donna, avevo un potere che a Napoli non mi era mai stato dato usare sia per i miei genitori che per la pericolosità della città. Presto, imparai ad usarlo.
Fu una mia collega del bar a portarmi a ballare per la prima volta. Sapevo ed amavo ballare. Ero cosi eccitata dopo due mesi dal mio arrivo a Roma dove la paura era stata la mia compagna escludendo il ludico che passai la giornata cosi di buon umore che il capo mi chiese cosa succedesse. Ballare...
Sapevo ballare. Lo facevo sempre nella mia stanza. Le poche volte in cui uscivo. E ballavo bene. Avevo parlato dei miei piedi, delle mie gambe, forse un pò del mio culo, ma il resto del mio corpo seguiva la logica dal basso. Un metro e ottanta per sessantacinque chili. Mora con i cappelli ricci, la bocca carnosa ed il naso piccolo ed alla francese. I miei occhi erano verdi e chiari. "Ci si riflette nei tuoi occhi". Quante volte l'ho sentita questa frase.
Uscimmo e ballammo. Uscimmo con degli amici di Anna ed uno di loro mi stette vicino per tutta la serata e chiese il mio numero di telefono a fine serata. Non glielo diedi. Non volevo per ora intraprendere niente. E poi ad essere sincera, non mi ispirava granché. Nel corso della serata, qualche ragazzo carino si era avvicinato o mi aveva guardata, ma la presenza degli altri li aveva scoraggiati. Peccato...
Continuai ad uscire con Anna per un altro mese prima di conoscere un uomo che mi piacque. Un uomo che nel giro di poco cambiò totalmente la mia vita. Era ricco. Faceva affari. Cose in borsa mi pare. Poco mi importava. Ci conoscemmo in discoteca. Fu lui a notarmi e mandò una cameriera con una bottiglia di Veuve Clicquot al tavolo dov'ero con Anna ed altri. Fu sgarbato. Gli amici cominciarono a protestare ma Anna tagliò corto dicendo che non avrebbe rinunciato all'occasione. Brindammo e dopo un pò Anna mi accompagnò al tavolo dell'uomo a ringraziare. Un bell'uomo. Mi piacque. Mi piacque cosi tanto che dopo un mese eravamo insieme in via che credevo ufficiale.
Giuseppe mi portò a fare shopping. Non vorrei esagerare ma tra borse, intimi, scarpe e tutto il resto, spese oltre cinquantamila euro. Mi prese in affitto un appartamento nel centro di Roma pagando il fitto per ben cinque anni in anticipo. Credo che Giuseppe lo fece per compensare. Sapeva che ero una ragazza semplice, con parte di valori che volevano che il mio uomo fosse il mio uomo e basta e vice versa. Era sposato. Lo venni a sapere dai giornali. Già. Lo riconobbi in una foto in un evento Vip. Comunque, devo ammettere che grazie a lui, la paura passò, ma sopratutto, mi resi conto della mia bellezza. No che non lo sapessi. Ma la trasformazione che è in grado di apportare i soldi è unica. Credetemi.
Io e Giuseppe ci lasciammo un anno dopo. Sua moglie seppe di noi e minacciò di lasciarlo. Ovviamente, non ero stata la prima, tantomeno sarei stata l'ultima. E cosi, Giuseppe spari dalla mia vita generosamente regalandomi venti mila euro e giurando che sarebbe stato disponibile casomai ne avrei avuto bisogno. Poi ne ebbi, lui non ci fu, ma questa è un altra storia.
Ero in un altra ottica quando lui non ci fu più. Avevo soldi, ma sopratutto conoscenze. In quell'anno e mezzo, andammo in ristoranti stellati, alberghi di classe, feste particolari, Spa. Conoscevo parte della Roma perbene. Sopratutto quella maschile. Ed avevo fatto conoscenza. Piu di tutt'altre, donne come me, amanti, mantenute, chi per una ragione o un altra non faceva parte di quel mondo ma che ci era entrato al braccio di qualcun altro. Ci frequentavamo tra "pervenute", rare erano le occasioni in cui vedevamo le moglie dei nostri uomini. Donne generalmente anch'esse ricche che ci odiavano da morire. Sapevano, subivano, ma non accettavano. Questa guerra tra mogli ed amanti è però una delle principali ragioni di essere di molte di loro. Il loro mondo è fatto di ori, troppi luccichii.
Senza Giuseppe e con la consapevolezza di me fu tutto più facile.
Mi soffiai sulle unghie e cominciai a vestirmi. Non avrei messo le calze. Non oggi. Sopra la scarpa, la pelle. Il vestito lungo Armani che arrivava sotto le ginocchia aveva un spacco che arrivava quasi fino al fianco.Ovviamente, niente mutande ne reggiseno. Misi i gioielli e mi guardai di nuovo allo specchio. Sbuffai di nuovo perche non riuscivo a vedermi i piedi. Mi piacevo. Tornai in bagno a mettere un pò di profumo ed a finire di aggiustarmi i cappelli ed il trucco. Finito il tutto, mi guardai di nuovo. Decisamente si, mi piacevo.
Claudio venne a prendermi in tempo. Lo feci aspettare cinque minuti per convenienza. Lui fu cosi galante da aprirmi lo sportello. Apprezzai il gesto, ed ammirai la macchina. Grande, potente, e bella. Non mi ci intendevo, ma doveva essere costosa. Claudio mi portò in un ristorante discreto ai limiti di Roma. Mi andava bene cosi, era la prima volta che lo vedevo. Era un qualcosa al ministero dei beni culturali, uno importante. Lo avevo conosciuto giorni fa in una cena gala per i bambini afghani. Era accompagnato ma aveva trovato il modo di seguirmi in bagno e darmi il suo biglietto da visita dicendomi di chiamarlo per un "progetto interessante". Lo avevo chiamato. Era un bell'uomo. E devo dire che ero sempre stata sensibile alla bellezza... Di me, avevo anche scoperto altri aspetti, ma essi molto più intimi.
Durante la cena, Claudio stesso si rese conto che il mio interesse stava scemando. Era abbastanza noioso. Parlava di cose banali, scontate. Se ne rese conto, ed in un gesto disperato per riavere la mia attenzione mi disse: "Ti va di visitare il Colosseo di notte?".
Fui immediatamente eccitata dall'idea. L'idea, abbastanza indefinita, senza certezze, ma anche senza confini per ora. Già, superare il confine del vietato è eccitante.
Quando arrivammo ai cancelli del Colosseo, Antonio chiamò per nome uno dei guardiani che ci apri e chiese se volesse essere accompagnato. Antonio ringraziò e si fece prestare una torcia. Ci avviammo nel Colosseo mentre ero tutta eccitata ed entrammo nell'arena. Le nostre voci, i nostri passi, tutto era amplificato dalla magnificenza dell'edificio. Antonio mi prese per la mano e mi portò nell'ipogeo. Entrando li sotto, mi venne un eccitazione incredibile. Arrivammo nella stanza dei gladiatori. Era cosi bagnata da colare a tal unto che un filo di liquido aveva raggiunto la mia caviglia. Antonio parlava ed io mi immaginavo i gladiatori. Uomini potenti, il meglio dei guerrieri, uomini che vivevano per morire, e si allenavano per vivere, che davano morte, e la aspettavano. Mi appoggia su una specie di muretto. Antonio smise di parlare e si avvicino a me. Mi baciò. Lo lasciai fare, poi gli presi la testa e la abbassai tra le mie cosce già aperte. Antonio si inginocchiò e con la lingua colse la mia intimità. Beveva da me, lo si vedeva quando inghiottiva. Le mie mani sulla sua testa, lo guidavo verso il mio piacere. I gladiatori hanno lasciato la loro anima nel Colosseo, c'è un energia che alleggia, un sudore di corpi impresso nelle pietre, un aura di paura, coraggio, vita, e morte. Venni nella bocca di Antonio reprimendo un urlo. Poi, lui, si alzò, si sfilò i pantaloni, e tentò di penetrarmi. "Il preservativo" gli dissi chiudendo le gambe. "Ah si, scusa" rispose. Si frugò in tasca e ne infilò uno su un pene lungo e turgido. Sorrisi alla promessa di piacere. Mi penetrò senza indugi. Era troppo eccitato, un gladiatore che aveva appena vinto una battaglia, l'adrenalina lo percorreva. Il mio piede sotto il tavolo sul suo cazzo per quasi tutta la serata, la nonchalance con cui quando stavamo in macchina la mia mano si poggiava sull'alto della sua coscia accanto al suo membro eretto, le mie provocazioni avevano avuto effetto. Non me lo aspettavo, ma venni insieme a lui nel giro di pochi minuti. Antonio si spinse dentro di me rimase immobile mentre la mia vagina gonfia all'estremo pulsava di goduria continua. Quando usci da me, insieme al suo membro usci un fiotto intenso e continuo che schizzando sul suo corpo lo macchiò interamente. Stavo squartando e non intendevo smettere. Allungai la mano sul mio pube e spinsi il mio piacere all'estremo masturbandomi il clitoride freneticamente. Un altro fiotto di liquido andò a colpire il vuoto. Antonio si era spostato.
Non feci salire Antonio a casa. La mattina dopo, avevo da fare. La sera anche, sarei dovuto uscire con un ragazzo che tanto mi piaceva. Mi scopava anche da Dio. Ma mi ripromisi di chiamare Antonio. Lui aveva anche le chiavi dei musei..

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