Le quattro stagioni di Yuko
di
Yuko
genere
bisex
[ripropongo il testo dopo qualche correzione]
Yuko si svegliò quella mattina e capì che ormai era una donna.
Quella mattina un vento diverso le aveva colpito il volto e scompigliato i capelli, celandone uno sguardo nuovo e malizioso.
Aveva lasciato la sua tana e la sua famiglia e si era inoltrata da sola incontro alla nuova vita che le si offriva a braccia aperte.
Si sentiva giovane e piena di energie. Voleva esplorare pianeti nuovi e conquistare il suo mondo.
Il suo spirito era fresco e leggero, come il profumo della menta con cui si profumava l'alito;
era come “Plastic Love” di Mariya Takeuchi 竹内 まりや
(https://www.youtube.com/watch?v=86vaOUEjWzM)
come i piccoli cristalli cubici di calcite nei misteriosi anfratti delle rocce dolomitiche;
come i fragili e audaci germogli di verde tenero che in primavera spuntano sui rami dei larici, dalle pseudo infiorescenze color fucsia;
come Hitohira No Hanabira delle Stereopony
(https://www.youtube.com/watch?v=vYV-XJdzupY)
come un ruscello pochi metri sotto la sorgente, vorticoso e spumeggiante, brillante di schizzi e di riflessi nel sole giovane del mattino;
e le sue voglie e i suoi sguardi e i suoi pensieri potevano scomporsi in mille colori differenti, come i brillamenti fugaci della luce del sole che si rifrangeva attraverso le minute gocce di acqua sugli steli dell'erba di fianco ai corsi fluidi;
era come le stelle che dopo le prime fusioni nucleari si accendono di luce azzurra nelle nebulose gassose;
come la lirica di Wedding day at Troldhaugen di Grieg
(https://www.youtube.com/watch?v=UOexirOjwJo)
come la brezza spavalda che il mattino lascia le cime, scivola sui ghiacciai e colpisce le giovani puledre.
Seguendo l'istinto si avvicinò alla grande montagna, ne accarezzò le ruvide rocce granitiche, passò le dita sui grossi cristalli di feldspato e, sospesa sui funghi di roccia, incastrando le mani nelle profonde fessure e appoggiando i piedi dalla pelle spessa e dura sugli sdruccioli inclinati, cominciò a innalzarsi al di sopra delle rugiade dei prati che si asciugavano al primo sole.
Si sentiva come il rondò alla turca di Mozart
(https://www.youtube.com/watch?v=aeEmGvm7kDk)
come l'impareggiabile sequenza di flauto traverso di Badinerie - BWV 1067 di Bach
(https://www.youtube.com/watch?v=Kl6R4Ui9blc).
Volgendo lo sguardo sotto di lei, contemplando gli spazi e gli orizzonti che andavano allargandosi mentre si innalzava sui prati, scorse un vecchio camoscio che, incurante dei suoi volteggi sulle rocce, era venuto a brucare ai piedi della severa parete.
Lo chiamò per salutarlo, ma quello sembrò non averla nemmeno sentita.
Strappò allora una margherita da una fessura erbosa e gliela tirò.
Il fiore cadde di fianco all'animale.
Questo sollevò il muso, da cui ancora sporgevano steli d'erba appena raccolti e guardò la ragazza, che, protetta dalle roccaforti delle rocce, sembrava volerlo dileggiare.
Gli sguardi dei due si incrociarono, restando a fissarsi per minuti che sembrarono interminabili.
Poi l'animale dalla scura livrea si allontanò con passo stanco verso altri pascoli.
Yuko fece spallucce, nascondendo un po' di delusione per non aver provocato la reazione che si aspettava dal re delle montagne, e riprese ad arrampicarsi sulle rocce.
Si sentiva come un crocus che, spuntato dai prati dopo la resa dell'ultima neve primaverile, affronta spavaldamente gli ultimi freddi, primogenito fra tutti i fiori di montagna.
I suoi piedi la sostenevano sugli affilati cristalli del granito e nonostante il seno che le ingombrava i movimenti, saliva con grazia e decisione, incurante del vuoto che progressivamente cresceva sotto di lei.
Superò cenge, prati sospesi, arditi pulpiti che ospitavano abeti irreali.
Affrontò ripide placche e strapiombi, diedri incommensurabili, crepe, fessure e camini, senza premurarsi di altro se non di scoprire più luoghi, sensazioni, emozioni ed esperienze che potesse.
Ascoltava il canto degli uccelli e con la mente li accompagnava nei loro voli, sognando di potersi un giorno librare nel cielo con loro.
Ammirava le farfalle e le libellule dai colori cangianti e ne imitava i movimenti quando riprendeva ad arrampicarsi con più energia sulle rocce.
Si abbeverava ai corsi d'acqua che incontrava, si nutriva di frutti e di corolle di fiori e si addormentava su terrazzi esposti, sulla fresca erba umida, coprendo il suo corpo con i soli suoi capelli.
Ma una mattina si svegliò trovandosi diversa.
Invece di lavarsi rotolandosi nella rugiada e ripartire alla scoperta del nuovo mondo e di nuovi orizzonti, restò a contemplare il suo corpo.
Ben poche attenzione aveva finora dedicato alla sua pelle, alle sue forme, alle sue gambe e alle sue braccia.
Ben poche domande si era posta sull'utilità di quel petto ridicolo e un po' scomodo, di quei peli che, oltre ad abitare le sue ascelle, le coprivano quella sporgenza armonicamente tondeggiante proprio sotto il suo ombelico.
A quelle perdite di sangue che ad ogni Luna nuova le imbrattavano il ventre lasciando su prati e rocce tracce del suo passaggio.
Aveva infine dedicato solo una rassegnata e un po' infastidita sopportazione a quei dolori al ventre, a quel cerchio alla testa.
Eppure quella mattina il suo corpo le parlava, in maniera diversa dal solito.
Il suo seno rispondeva al tocco curioso delle sue dita, le areole si contraevano e al loro centro facevano capolino quelle punte così piccole, ma così sensibili.
Le aveva accarezzate con le dita, quelle appendici che sembravano solo ora essersi risvegliate da un lunghissimo letargo, traendone una sensazione forte e irresistibile.
Un insieme di percezioni piacevoli, fatte di piccoli brividi e formicolii che serpeggiando le si spostavano lungo il ventre e sotto la linea dei peli del pube, come a volerle indicare un sentiero misterioso e a lei sconosciuto che infine la portò a esplorare con le dita l'apertura che aveva tra le gambe.
Quale sensazione travolgente, quale esperienza irresistibile l'aveva guidata e poi sottomessa, incapace di smettere di toccarsi e accarezzarsi, nonostante il liquido che le scivolava sulle dita, fino a contorcersi in uno spasimo finale e mai sperimentato prima, che la sconvolse in piccole urla mal trattenute facendole poi perdere i sensi per alcuni istanti.
Si risvegliò quasi subito, senza rendersi conto di quanto tempo era passato da quel deliquio, sollevando il seno in respiri profondi e affannosi, chiedendosi cosa mai le fosse successo e senza trovare risposta.
Cercò con lo sguardo il vecchio camoscio, intorno a lei.
Il nobile animale non era più ricomparso alla sua vista dopo quell'unico e fugace incontro, eppure Yuko sapeva, sentiva radicata nella sua profondità, che quel monarca solo avrebbe potuto dare risposta all'infinità di quesiti che le affollavano la mente.
Ma tutto intorno a lei non scorse alcuna traccia di quello che, in qualche modo, già sentiva come suo mentore.
Ma prima di percepire preoccupazione o timore, su una cengia esposta non lontano da lei, scorse un altro essere che sembrava la stesse osservando, seduto comodamente sull'erba folta.
Era una creatura molto simile a lei, con una lucente e folta criniera del colore del sole a mezzogiorno. La pelle molto chiara, del rosa tenue dei petali della rosa canina, assumeva un colore tenuemente carminio sulle curve del petto, non molto diverse dalle stesse che Yuko tollerava sul suo corpo.
L'altra donna si alzò in piedi senza smettere di fissarla, anzi ostentando uno sguardo insistente e interessato.
Un ciuffo dorato, di un colore poco più scuro dei capelli, le adornava il pube.
Senza perderla di vista, la giovane cominciò a sfiorarsi il basso ventre con carezze che sempre più spesso sconfinavano nella regione tra le cosce.
Yuko capì che l'altra ragazza doveva averla osservata nei suoi primi esperimenti sul suo corpo e, vedendo che nel frattempo si era presa un seno nell'altra mano, le venne il desiderio di toccarla, di approfondire una conoscenza fatta di primitive sensazioni fisiche.
Ma tra le due che si guardavano con curiosità e che sembravano invitarsi con gesti timidi, un profondo strapiombo di rocce verticali sbarrava la prosecuzione.
Yuko si mise allora ad arrampicare sulla parete che ritrovò sopra di lei, cercando percorsi che in qualche modo si avvicinassero alla nuova figura appena conosciuta.
L'attività fisica e la concentrazione nei movimenti, l'attenzione a non cadere da quella che ormai nel tempo era già diventata una considerevole altezza, l'aiutarono a superare un turbamento di cui non sapeva trovare giustificazione.
Si sentiva come un fiore di orchidea che esplode in una sensuale fioritura ricca di espliciti riferimenti;
come il “"Jesus bleibet meine Freude" di Bach BWV 147
(https://www.youtube.com/watch?v=jMEK5FO7vgs)
o come il minuetto in sol maggiore dello stesso compositore
(https://www.youtube.com/watch?v=icZob9-1MDw)
Si sentiva come i cristalli di quarzo che spesso trovava nelle fessure del granito, luminosi e trasparenti, dalle forme perfette e provocanti, o come i meravigliosi cristalli di dioptasio o di corindone, minuti e dai colori saturi e profondi, che contendevano ai berilli e ai granati le sfumature più cariche e profonde.
Saliva sulle pareti senza più correre, saltare e volteggiare, ma cercando la grazia nei movimenti, il gesto bello ed estetico.
E continuamente spiava di sottecchi i movimenti della ragazza bionda, per scorgerne le intenzioni e spiarne i desideri.
L'altra intanto si arrampicava sulle rocce sopra di lei, lentamente, ma continuamente convergendo verso la sua vicina, pur rimanendo pochi metri più in basso.
Le due si contemplavano e si corteggiavano, cercando di ben apparire nei movimenti armonici dell'arrampicata, mostrando e nascondendo i particolari del proprio corpo.
Ora Yuko aveva piacere di esporre il seno, di onorarsi delle proprie linee e delle proprie curve, giocando con i propri capelli a coprirsi e scoprirsi, a mostrare il petto e il suo sorriso, a celare il pube o farne timido dono.
E l'altra sembrava apprezzare e ripetere con gesti simili lo stesso rituale di corteggiamento, giocando con i propri capelli biondo oro, ammiccando e ricambiando sguardi maliziosi.
Yuko arrampicava con grazie e senza fretta, sempre sbirciando che l'altra la stesse osservando, aspettandola se la vedeva in ritardo, in una danza di seduzione di cui si sorprendeva lei stessa.
Si sentiva come Sheherazade di Rimsky Korsakov
(https://www.youtube.com/watch?v=zY4w4_W30aQ);
come la falce della Luna che poco prima del tramonto, anticipa di giorno in giorno il suo coricarsi, diventando via via più luminosa e più piena;
come i papaveri nei campi di grano prossimi alla maturazione;
come le alte cascate che si scompongono in schizzi e frammenti imitando il velo di una sposa;
come il profumo intenso del ciclamino, del giacinto o del gelsomino.
Trovò un cespuglio di caprifoglio giapponese, ne colse con delicatezza i fragili fiori bianchi e fucsia adornandosi i capelli; con germogli di timo selvatico si profumò le ascelle e il seno e con l'umido muschio si rinfrescò la vulva che sentiva gonfia e pulsante di desiderio.
Come in un quadro di Gauguin dipinto in Polinesia, riluceva di colori caldi e invitanti, e finalmente, in cima a una scintillante placca di roccia compatta, le due donne si incontrarono.
Furono sguardi eccitati e fibrillanti.
Mani paurose di osare che cedevano quasi riluttanti, sciogliendosi in rispettose carezze.
Dita perse in folti capelli.
Carezze lungo la flessibile superficie di corpi sinuosi, come le bisce d'acqua di Klimt.
Sfioramenti di labbra sempre più audaci, baci impazienti.
Il delicato contatto tra i capezzoli, il serpeggiare di mani lungo monti di Venere per violare percorsi proibiti, poesie di umidi brillamenti e morbide intrusioni.
Avvolte una nei capelli dell'altra le due ragazze si cercarono e si compenetrarono, trovandosi e avvinghiandosi come rampicanti, aderenza di corpi come molluschi su una barriera corallina di pelli morbide e setose, di sottili veli di odoroso sudore.
Nei baci soffocarono gemiti e urla per poi giacere sopraffatte dai sensi, una sull'altra in una dimensione senza più dimensioni.
Ridestate in una alba novella, tra sentieri percorsi in punta di lingua e placche solcate in punta di piedi, ripresero a innalzarsi sulla cristallina parete, accompagnandosi e aspettandosi, alternando i movimenti dei corpi sulla roccia, a danze balinesi a fior di pelle, a carezze sui seni tra capelli cotonosi e giochi di dita a scoprire ogni anfratto, a svelare ogni segreto.
Il sole cominciava a scottare nel mattino ormai inoltrato, quando Yuko e la sua amica, senza aver nulla stabilito, in tacito accordo, si separarono in percorsi alpinistici divergenti, conservandosi vive nei cuori, appagate e maturate dai reciproci scambi di amore.
Yuko, in piedi su un pulpito roccioso, gonfiò il petto sollevando il seno florido e maturo, inspirando voluttuosamente l'aria carica del profumo di resine e fiori, volgendo lo sguardo sulle pianure ormai lontane e sugli sdruccioli rocciosi da cui traeva forza e stabilità.
Altre donne, giovani e mature, incontrò sul suo percorso, sempre concedendosi a chi la cercava, ottenendo piacere da chi lei desiderava, fino al giorno in cui, sul suo stesso percorso, fu raggiunta e superata da un essere mai incontrato prima.
Vello ispido ne copriva il petto, robusto, ma ben poco sporgente rispetto al suo. Il volto oscurato da peli ricci che ne lambivano gli zigomi fino al collo.
E al posto di lisce curve convergenti in insenature, tra le gambe, un ridicolo ingombro dondolante.
La curiosità vinse il moto di scherno e la ragazza iniziò a seguire il nuovo venuto, accelerando il ritmo di arrampicata.
Ma più lei si avvicinava e più quello accelerava, più lei cercava di farsi notare e più l'altro, guardandola stizzito, se ne allontanava.
Finchè la ragazza, punta nell'orgoglio si mise quasi a correre sulle placche appoggiate, affiancandolo e poi superandolo con sprezzante indifferenza.
Ma appena lo ebbe sopravanzato, Yuko si sentì afferrare a una caviglia, con una stretta che quasi le fece male.
Cercò di liberarsi dalla presa con un calcio, ma quello non mollava. Tentò di nuovo, ma senza frutto.
Digrignando i denti provò a proseguire sulla roccia trascinandosi il corpo che cercava di parassitarla, e l'altro, come d'incanto, decise di mollare la caviglia, affiancandola nei movimenti di salita e cominciando a scrutarla con interesse.
Ora era lei a fingere di non vedere il compagno di percorso e l'altro a imporsi continuamente al suo sguardo, a sovrapporsi e ostacolare la sua progressione.
Arrivarono a un ripiano dove, con le mani libere, Yuko a pugni e graffi ringhiò al nuovo essere tutta la sua indispettita ostilità, ma l'altro, invece di rispondere, con le mani la soverchiò col suo peso fino a farla cedere, giacendole sopra col suo corpo.
I polsi vincolati nelle forti mani maschili, il corpo schiacciato a terra dal volume dei muscoli gonfi di androgeni, Yuko cercò di mordere il collo di chi la stava sovrastando, ma l'altro si scostò baciandola sulle labbra.
Quale sensazioni di stupore e quale nuovo desiderio si impossessò repentino del corpo prima e della mente della donna poi!
Il sorriso dolce, lo sguardo gentile, nonostante quel vello pungente che le irritava le gote e il collo, scardinarono le sue ultime velleità di conflitto e quando l'uomo lasciò la presa sui suoi polsi, invece di divincolarsi sottraendosi al peso di quei muscoli, Yuko decise di abbandonarsi a nuove curiose carezze.
Ora il peso sul corpo e sul ventre non le davano più fastidio, ora quell'odore inconsueto di ormoni maschili iniziarono a stimolarle un nuovo desiderio di connubio.
Baci e morsi sui seni le strapparono gemiti di piacere mentre il suo ventre si contorceva cercando quello dell'altro.
I suoi spazi vuoti chiamavano volumi a riempirla.
La stretta forte e protettiva cui non era abituata, la sciolsero in un desiderio di penetrazione e quando qualcosa le si spinse nel ventre, quando un pugnale le lacerò le mucose facendole contrarre il ventre in una scossa di dolore, capì che la natura le stava insegnando un percorso nuovo.
Con spinte più prolungate e più profonde l'altro si introduceva sempre di più nel suo corpo e lei, avvolgendolo con le braccia sulla schiena e poi stringendolo e circondandolo con le cosce e con i piedi intorno ai suoi fianchi, ne richiamava la spinta, accogliendolo e invitandolo nelle proprie profondità.
E nel massimo del piacere, quando le sue unghie graffiarono il busto che la stava penetrando, quando piegò la nuca urlando le sue sensazioni ai cieli, ai fiori e alle fronde dei larici, Yuko si sentì invadere di caldo fluido vivificante e corroborante, come un'insenatura tra gli scogli accoglie l'onda festosa e ubertosa, carica di vita e di sentori.
Le scosse del suo ventre scaricarono la sua energia contro quel grosso e goffo ammasso di muscoli, di peli e di inaspettata tenerezza.
Poi fu un abbraccio ampio e forte, come una coltre calda, che l'avvolse e la protesse.
Lei, con il carico di vita che ora sapeva di poter ospitare dentro di sé.
Lei, forte e impavida, agile e leggera, capace e indipendente.
Lei, fragile fiore da cullare, timido essere da proteggere e onorare.
Lei donna.
Lei, pienezza di forme, culla della vita.
Quella notte si sentì diversa. Da quel giorno, da quell'incontro non sarebbe più stata la stessa.
Proseguì nei tempi successivi la sua ascensione, incontrando nuove donne e nuovi uomini.
Concedendosi o sfuggendo le attenzioni.
Cercando o lasciandosi desiderare.
In sé sentiva crescere la maturità dei cristalli di topazio, del sole di mezzogiorno.
Il suo corpo posato continuava a sfidare le rocce e le verticali cristalline, ma con fare ponderato, scelta accurata degli appoggi e degli appigli, ricerca di estetica e di appagamento tra linee, movimenti e vagare dei pensieri.
Un giorno si accorse che i seni le si erano gonfiati, i capezzoli induriti e al sorgere della luna il consueto flusso di sangue non le fece la solita visita.
Con gesti più stanchi ora doveva scegliere i movimenti sulle rocce, con attenzione le posizioni del corpo, mentre il ventre assumeva una forma sempre più tonda. La nausea inizialmente le impediva spesso di arrampicare con piacere e doveva fermarsi a massaggiarsi l'addome. La linea che congiungeva l'ombelico al pube si fece più scura, come i suoi capezzoli. Il seno sempre più grande e ingombrante.
Poi la nausea passò e, pur aumentando gli impedimenti di quel suo corpo tondo, riprese il buon umore. Spesso cantava canzoni e si fermava ad ascoltare il vento o a guardare le fronde dei pini agitarsi sotto i soffi della brezza.
Ragazzi e uomini sembravano ora volerla evitare, circondandola di sguardi colmi di rispetto, ma privandola delle attenzioni fisiche cui si era abituata.
Le donne giovani la schivavano, ma trovò amicizia e compagnia da parte di donne più mature; molte altre si offrivano di aiutarla nei passaggi più difficili che sulla parete incontrava, anche se queste ultime spesso erano circondate di marmocchi agitati che a fatica riuscivano a trattenere.
Si sentiva come la Moldava di Smetana
(https://www.youtube.com/watch?v=3G4NKzmfC-Q)
come un campo di girasoli fioriti sotto il caldo sole del primo pomeriggio;
come le tonde e quiete ninfee di Monet nel giardino di Giverny.
Il ventre pesante e il seno cadente e tumido le impedirono poi di proseguire nella sua scalata al castello di granito e dovette fermarsi a riposare su un largo terrazzo ricoperto di soffice muschio.
Una donna le fece compagnia in quel periodo, massaggiandole la schiena e il ventre, nutrendola e dissetandola, coprendola di baci e abbracciandola quando calavano le tenebre e il freddo le insidiava.
Poi quando non riuscì quasi più a camminare sullo stretto terrazzo, si sedette arrendendosi ai dolori che sempre più frequenti e regolari le strozzavano la pancia estendendosi verso il basso.
Sudata e pallida, sempre più debole e spaventata, urlò il suo dolore senza più trattenersi; le sue mani stringevano mani di donne che l'accompagnavano nella sofferenza, sentendo il ventre sfondarsi sotto una spinta cui non riusciva più a resistere.
Solo dopo ore di agonia, all'ultimo urlo, un ovale ricoperto di capelli emerse tra le sue gambe, e con le successive spinte il corpo di una bambina emerse verso la luce.
La fragile creatura si rannicchiò tremante sul suo ventre, avvolta dalle sue braccia amorose e una piccola bocca succhiò dal suo seno.
Riprese la sua forza e il suo corpo tornò snello, nei tempi che seguirono, e con una vispa bambina che le si aggrappava al seno, ritornò ad arrampicarsi sulle chine rocciose.
Poi la piccola incominciò a seguirla muovendo i suoi passi sulle ruvide inclinazioni, sotto i suoi occhi benevoli.
Yuko si sentiva di nuovo piena di vita e di fermento.
Nel suo cuore cresceva insistente la musica del Bolero di Ravel
(https://www.youtube.com/watch?v=r30D3SW4OVw)
a volte il suo animo alternava momenti di quiete e di esaltazione come la Rhapsody in Blue di Gershwin
(https://www.youtube.com/watch?v=ynEOo28lsbc)
Incontrò altre donne e altri uomini, conobbe altre gravidanze e a ogni ripresa del suo ostinato incedere, un nuovo marmocchio cominciava a seguirla nel suo percorso.
Lei insegnava loro a riconoscere i fiori e il canto degli uccelli, a ripararsi dalle piogge e a cercare da bere nei ruscelli che tra le rocce incontrava, a nutrirsi di bacche e frutti selvatici.
Un uomo più anziano, zoppicando e sorreggendosi con un nodoso bastone, cominciò ad arrampicare con lei, aiutandola nella cura dei piccoli, sostenendola nella conduzione del nugolo di bambini.
Raccolse i capelli lunghi con una fascia e, con l'andare del tempo, rivestì di una tunica di edera il seno che le si era fatto cadente e il ventre che mostrava qualche ruga.
Qualche filo d'argento cominciò a comparire tra i suoi capelli neri.
Ora assomigliava a un docile fiume che scorreva in ampie anse lungo una pianura di verde fogliame, un corteo di salici piangenti inchinati lungo le due rive a riverirne il passaggio.
La Luna tonda e piena, di rassicurante luminosità nelle notti più lunghe, ne simboleggiava la tonda maturità.
Lenta, ma progressiva fu la sua scalata, inoltrandosi per un periodo che trascendeva la sua capacità di misurare il tempo.
Solo con la crescita dei figli indovinava il flusso della dimensione più relativa.
Le rughe le scolpirono il volto e quando i fili d'argento nella sua chioma presero il sopravvento, quando perse il suo compagno, diretto verso altre destinazioni e piano piano tutti i figli presero commiato da lei, si ritrovò sola sulla montagna che ormai aveva scalato lungo altezze inimmaginabili.
Ora la pianura era una distesa nascosta dalle brume e insondabile sotto i suoi occhi stanchi che a fatica riuscivano a scorgere i particolari lontani.
Le linee degli scuri graniti ormai convergevano e Yuko comprese che la cima non doveva essere lontana.
Lembi di neve si insinuavano spesso tra le placche di roccia e doveva cercare con attenzione il percorso migliore per evitare di scivolare sugli sdruccioli di ghiaccio scintillante, con un corpo che perdeva gradualmente le sue energie.
Nessuno più l'accompagnava nella scalata e solo di rado scorgeva esili figure spingersi incerte lungo i pendii, affrontando le difficoltà della parete che, consensualmente, si addolcivano.
Il sole si faceva sempre più pallido, contendendo il cielo a nebbie e nuvole gonfie di nero.
Yuko procedeva metodica, fedele all'impegno che si era data di non cessare mai la sua scalata.
Era diventata come il Valse Triste di Sibelius
(https://www.youtube.com/watch?v=5Ls8-pk4IS4)
Il suo volto e il suo corpo, un tempo pieno e florido, assomigliavano ora al tronco di un antico larice, scolpito da profonde rughe nella dura corteccia argentata.
Sembrava ora una roccia velata di licheni, come la superficie screpolata di foglie di platano autunnale.
I suoi colori erano il rosso della vite del Canada al tramonto delle stagioni, dei faggi e degli aceri palmati che si preparano all'inverno.
Presto perse anche lei le foglie, a una a una; i suoi aghi di pino, come piccole piume impalpabili, la abbandonarono, lasciandola spoglia come un larice nel tardo autunno.
Talvolta il suo animo era come la Serenade di Shubert
(https://www.youtube.com/watch?v=0bjB-IWEYI0)
Incontrava sul suo percorso qualche viola del pensiero e qualche calicanto dal profumo inebriante, ma dopo aver salutato rare coraggiose stelle alpine, presto anche la vegetazione si spense tra i ghiacci che ormai avevano ricoperto ogni roccia.
Yuko procedeva incerta eppure temeraria, con punte di acciaio per non scivolare sui ghiacci, incontro alla cima che a quel punto non sembrava più così lontana, sembrando anzi cercare di venirle incontro mentre lei rallentava il suo passo.
Nella sua mente comparivano immagini di tramonto in cui nubi grigie dai contorni arancione scintillavano accompagnando la discesa di uno stanco rosso sole.
Il suo fisico prendeva le sembianze del suo stato d'animo spegnendosi gradualmente, eppure continuando a procedere col vigore che il suo corpo le concedeva.
Sempre più simile al “The Isle of the Dead” di Rachmaninov
(https://www.youtube.com/watch?v=dbbtmskCRUY)
e al The Second Waltz di Dmitri Shostakovich
(https://www.youtube.com/watch?v=5hTvc3f83Ws)
finchè anche il sole tramontò.
La tenue luce permetteva ancora di procedere sul pendio nevoso ormai poco inclinato.
Nessun albero, nessun animale o fiore o donna o uomo l'accompagnava più, ma lei non si fermava, decisa ad arrivare fin dove le forze non l'avrebbero abbandonata.
A volte camminava ad occhi chiusi, come se non dovesse cercare la strada e il suo spirito la guidava con violini e canti, come nell'ultima composizione di Mozart
(https://www.youtube.com/watch?v=AZfZnbTgY4E).
Stanca, si fermava spesso appoggiandosi alla neve o inginocchiandosi mentre aspettava di ritrovare il fiato, lasciandosi colpire dal vento, senza neanche più cercare di proteggersi.
La neve le feriva le guance, ma lei riprendeva il cammino, con un sorriso stanco, mentre la luce scemava.
Solo verso la fine, quando la pendenza ormai era ridotta e impercepibile, si guardò intorno sgomenta, angosciata di non riuscire a portare a termine il suo impegno.
Quell'impegno mai confessato, che aveva preso forma solo negli anni e nelle centinaia di metri di ascensione, come a dare scopo e termine a ogni sua azione e movimento sulla grande montagna.
Cadde in ginocchio ancora una volta, mentre il vento la confondeva fischiandole alle orecchie e sfilacciandole i grigi capelli.
Chiuse gli occhi lasciandosi cadere in avanti, sorreggendosi con le mani nella gelida neve.
Fu allora che percepì un roco respiro e un fiato caldo vicino al suo collo.
Con fatica riaprì gli occhi intravvedendo nell'oscurità incipiente la figura del vecchio camoscio che dall'inizio della sua vivace scalata non aveva più ritrovato sul suo percorso, senza mai averlo cercato e, in fondo, avendolo dimenticato.
Come una scossa le ritornò in mente l'immagine della sua giovinezza sotto lo sguardo severo e attento dell'anziano animale.
Senza bisogno di dire una parola, di formulare un pensiero, Yuko si risollevò in piedi, sorretta dal forte animale.
Si aggrappò al suo pelo folto e ispido, proprio alla base del capo e, zoppicando entrambi, si accompagnarono fino alla cima, mentre le ultime luci si spegnevano.
“Tanto a lungo ti ho atteso” disse il camoscio, e a Yuko non sembrò strano di percepire una voce, di cogliere un pensiero del Nobile delle vette.
La donna sorrise, ripensando a tutta la sua vita, alla sua scalata, a quanto aveva ricevuto e a quanto aveva dato.
Cercò di dare forma a un pensiero che si delineava nella sua mente, forse a una spiegazione o a una giustificazione, ma la forza di parlare le venne meno.
Nessuna parola avrebbe potuto esprimere il pensiero che lei stessa faticava ad abbracciare.
Quello che era stato il suo divenire, i metri della scalata, i cambi di marcia, le persone e le esperienze assaporate nel suo cammino. Quello che era stata la sua vita, un succedersi di similitudini che tutte insieme ora si ricomponevano nell'atto finale che tutto racchiudeva, comprendeva e giustificava.
Nessuna parola avrebbe potuto suggellare tutto questo, e allora decise di non parlare.
Il camoscio avrebbe letto nel suo pensiero.
Con uno sforzo Yuko, sorretta dal camoscio, fece l'ultimo passo sulla cima della montagna di neve e ghiacci eterni.
Insieme si staccarono dalla neve e dal suolo, proseguendo il loro cammino, ora più vaporoso e leggero, sulle prime nubi che circondavano la cima.
Yuko si svegliò quella mattina e capì che ormai era una donna.
Quella mattina un vento diverso le aveva colpito il volto e scompigliato i capelli, celandone uno sguardo nuovo e malizioso.
Aveva lasciato la sua tana e la sua famiglia e si era inoltrata da sola incontro alla nuova vita che le si offriva a braccia aperte.
Si sentiva giovane e piena di energie. Voleva esplorare pianeti nuovi e conquistare il suo mondo.
Il suo spirito era fresco e leggero, come il profumo della menta con cui si profumava l'alito;
era come “Plastic Love” di Mariya Takeuchi 竹内 まりや
(https://www.youtube.com/watch?v=86vaOUEjWzM)
come i piccoli cristalli cubici di calcite nei misteriosi anfratti delle rocce dolomitiche;
come i fragili e audaci germogli di verde tenero che in primavera spuntano sui rami dei larici, dalle pseudo infiorescenze color fucsia;
come Hitohira No Hanabira delle Stereopony
(https://www.youtube.com/watch?v=vYV-XJdzupY)
come un ruscello pochi metri sotto la sorgente, vorticoso e spumeggiante, brillante di schizzi e di riflessi nel sole giovane del mattino;
e le sue voglie e i suoi sguardi e i suoi pensieri potevano scomporsi in mille colori differenti, come i brillamenti fugaci della luce del sole che si rifrangeva attraverso le minute gocce di acqua sugli steli dell'erba di fianco ai corsi fluidi;
era come le stelle che dopo le prime fusioni nucleari si accendono di luce azzurra nelle nebulose gassose;
come la lirica di Wedding day at Troldhaugen di Grieg
(https://www.youtube.com/watch?v=UOexirOjwJo)
come la brezza spavalda che il mattino lascia le cime, scivola sui ghiacciai e colpisce le giovani puledre.
Seguendo l'istinto si avvicinò alla grande montagna, ne accarezzò le ruvide rocce granitiche, passò le dita sui grossi cristalli di feldspato e, sospesa sui funghi di roccia, incastrando le mani nelle profonde fessure e appoggiando i piedi dalla pelle spessa e dura sugli sdruccioli inclinati, cominciò a innalzarsi al di sopra delle rugiade dei prati che si asciugavano al primo sole.
Si sentiva come il rondò alla turca di Mozart
(https://www.youtube.com/watch?v=aeEmGvm7kDk)
come l'impareggiabile sequenza di flauto traverso di Badinerie - BWV 1067 di Bach
(https://www.youtube.com/watch?v=Kl6R4Ui9blc).
Volgendo lo sguardo sotto di lei, contemplando gli spazi e gli orizzonti che andavano allargandosi mentre si innalzava sui prati, scorse un vecchio camoscio che, incurante dei suoi volteggi sulle rocce, era venuto a brucare ai piedi della severa parete.
Lo chiamò per salutarlo, ma quello sembrò non averla nemmeno sentita.
Strappò allora una margherita da una fessura erbosa e gliela tirò.
Il fiore cadde di fianco all'animale.
Questo sollevò il muso, da cui ancora sporgevano steli d'erba appena raccolti e guardò la ragazza, che, protetta dalle roccaforti delle rocce, sembrava volerlo dileggiare.
Gli sguardi dei due si incrociarono, restando a fissarsi per minuti che sembrarono interminabili.
Poi l'animale dalla scura livrea si allontanò con passo stanco verso altri pascoli.
Yuko fece spallucce, nascondendo un po' di delusione per non aver provocato la reazione che si aspettava dal re delle montagne, e riprese ad arrampicarsi sulle rocce.
Si sentiva come un crocus che, spuntato dai prati dopo la resa dell'ultima neve primaverile, affronta spavaldamente gli ultimi freddi, primogenito fra tutti i fiori di montagna.
I suoi piedi la sostenevano sugli affilati cristalli del granito e nonostante il seno che le ingombrava i movimenti, saliva con grazia e decisione, incurante del vuoto che progressivamente cresceva sotto di lei.
Superò cenge, prati sospesi, arditi pulpiti che ospitavano abeti irreali.
Affrontò ripide placche e strapiombi, diedri incommensurabili, crepe, fessure e camini, senza premurarsi di altro se non di scoprire più luoghi, sensazioni, emozioni ed esperienze che potesse.
Ascoltava il canto degli uccelli e con la mente li accompagnava nei loro voli, sognando di potersi un giorno librare nel cielo con loro.
Ammirava le farfalle e le libellule dai colori cangianti e ne imitava i movimenti quando riprendeva ad arrampicarsi con più energia sulle rocce.
Si abbeverava ai corsi d'acqua che incontrava, si nutriva di frutti e di corolle di fiori e si addormentava su terrazzi esposti, sulla fresca erba umida, coprendo il suo corpo con i soli suoi capelli.
Ma una mattina si svegliò trovandosi diversa.
Invece di lavarsi rotolandosi nella rugiada e ripartire alla scoperta del nuovo mondo e di nuovi orizzonti, restò a contemplare il suo corpo.
Ben poche attenzione aveva finora dedicato alla sua pelle, alle sue forme, alle sue gambe e alle sue braccia.
Ben poche domande si era posta sull'utilità di quel petto ridicolo e un po' scomodo, di quei peli che, oltre ad abitare le sue ascelle, le coprivano quella sporgenza armonicamente tondeggiante proprio sotto il suo ombelico.
A quelle perdite di sangue che ad ogni Luna nuova le imbrattavano il ventre lasciando su prati e rocce tracce del suo passaggio.
Aveva infine dedicato solo una rassegnata e un po' infastidita sopportazione a quei dolori al ventre, a quel cerchio alla testa.
Eppure quella mattina il suo corpo le parlava, in maniera diversa dal solito.
Il suo seno rispondeva al tocco curioso delle sue dita, le areole si contraevano e al loro centro facevano capolino quelle punte così piccole, ma così sensibili.
Le aveva accarezzate con le dita, quelle appendici che sembravano solo ora essersi risvegliate da un lunghissimo letargo, traendone una sensazione forte e irresistibile.
Un insieme di percezioni piacevoli, fatte di piccoli brividi e formicolii che serpeggiando le si spostavano lungo il ventre e sotto la linea dei peli del pube, come a volerle indicare un sentiero misterioso e a lei sconosciuto che infine la portò a esplorare con le dita l'apertura che aveva tra le gambe.
Quale sensazione travolgente, quale esperienza irresistibile l'aveva guidata e poi sottomessa, incapace di smettere di toccarsi e accarezzarsi, nonostante il liquido che le scivolava sulle dita, fino a contorcersi in uno spasimo finale e mai sperimentato prima, che la sconvolse in piccole urla mal trattenute facendole poi perdere i sensi per alcuni istanti.
Si risvegliò quasi subito, senza rendersi conto di quanto tempo era passato da quel deliquio, sollevando il seno in respiri profondi e affannosi, chiedendosi cosa mai le fosse successo e senza trovare risposta.
Cercò con lo sguardo il vecchio camoscio, intorno a lei.
Il nobile animale non era più ricomparso alla sua vista dopo quell'unico e fugace incontro, eppure Yuko sapeva, sentiva radicata nella sua profondità, che quel monarca solo avrebbe potuto dare risposta all'infinità di quesiti che le affollavano la mente.
Ma tutto intorno a lei non scorse alcuna traccia di quello che, in qualche modo, già sentiva come suo mentore.
Ma prima di percepire preoccupazione o timore, su una cengia esposta non lontano da lei, scorse un altro essere che sembrava la stesse osservando, seduto comodamente sull'erba folta.
Era una creatura molto simile a lei, con una lucente e folta criniera del colore del sole a mezzogiorno. La pelle molto chiara, del rosa tenue dei petali della rosa canina, assumeva un colore tenuemente carminio sulle curve del petto, non molto diverse dalle stesse che Yuko tollerava sul suo corpo.
L'altra donna si alzò in piedi senza smettere di fissarla, anzi ostentando uno sguardo insistente e interessato.
Un ciuffo dorato, di un colore poco più scuro dei capelli, le adornava il pube.
Senza perderla di vista, la giovane cominciò a sfiorarsi il basso ventre con carezze che sempre più spesso sconfinavano nella regione tra le cosce.
Yuko capì che l'altra ragazza doveva averla osservata nei suoi primi esperimenti sul suo corpo e, vedendo che nel frattempo si era presa un seno nell'altra mano, le venne il desiderio di toccarla, di approfondire una conoscenza fatta di primitive sensazioni fisiche.
Ma tra le due che si guardavano con curiosità e che sembravano invitarsi con gesti timidi, un profondo strapiombo di rocce verticali sbarrava la prosecuzione.
Yuko si mise allora ad arrampicare sulla parete che ritrovò sopra di lei, cercando percorsi che in qualche modo si avvicinassero alla nuova figura appena conosciuta.
L'attività fisica e la concentrazione nei movimenti, l'attenzione a non cadere da quella che ormai nel tempo era già diventata una considerevole altezza, l'aiutarono a superare un turbamento di cui non sapeva trovare giustificazione.
Si sentiva come un fiore di orchidea che esplode in una sensuale fioritura ricca di espliciti riferimenti;
come il “"Jesus bleibet meine Freude" di Bach BWV 147
(https://www.youtube.com/watch?v=jMEK5FO7vgs)
o come il minuetto in sol maggiore dello stesso compositore
(https://www.youtube.com/watch?v=icZob9-1MDw)
Si sentiva come i cristalli di quarzo che spesso trovava nelle fessure del granito, luminosi e trasparenti, dalle forme perfette e provocanti, o come i meravigliosi cristalli di dioptasio o di corindone, minuti e dai colori saturi e profondi, che contendevano ai berilli e ai granati le sfumature più cariche e profonde.
Saliva sulle pareti senza più correre, saltare e volteggiare, ma cercando la grazia nei movimenti, il gesto bello ed estetico.
E continuamente spiava di sottecchi i movimenti della ragazza bionda, per scorgerne le intenzioni e spiarne i desideri.
L'altra intanto si arrampicava sulle rocce sopra di lei, lentamente, ma continuamente convergendo verso la sua vicina, pur rimanendo pochi metri più in basso.
Le due si contemplavano e si corteggiavano, cercando di ben apparire nei movimenti armonici dell'arrampicata, mostrando e nascondendo i particolari del proprio corpo.
Ora Yuko aveva piacere di esporre il seno, di onorarsi delle proprie linee e delle proprie curve, giocando con i propri capelli a coprirsi e scoprirsi, a mostrare il petto e il suo sorriso, a celare il pube o farne timido dono.
E l'altra sembrava apprezzare e ripetere con gesti simili lo stesso rituale di corteggiamento, giocando con i propri capelli biondo oro, ammiccando e ricambiando sguardi maliziosi.
Yuko arrampicava con grazie e senza fretta, sempre sbirciando che l'altra la stesse osservando, aspettandola se la vedeva in ritardo, in una danza di seduzione di cui si sorprendeva lei stessa.
Si sentiva come Sheherazade di Rimsky Korsakov
(https://www.youtube.com/watch?v=zY4w4_W30aQ);
come la falce della Luna che poco prima del tramonto, anticipa di giorno in giorno il suo coricarsi, diventando via via più luminosa e più piena;
come i papaveri nei campi di grano prossimi alla maturazione;
come le alte cascate che si scompongono in schizzi e frammenti imitando il velo di una sposa;
come il profumo intenso del ciclamino, del giacinto o del gelsomino.
Trovò un cespuglio di caprifoglio giapponese, ne colse con delicatezza i fragili fiori bianchi e fucsia adornandosi i capelli; con germogli di timo selvatico si profumò le ascelle e il seno e con l'umido muschio si rinfrescò la vulva che sentiva gonfia e pulsante di desiderio.
Come in un quadro di Gauguin dipinto in Polinesia, riluceva di colori caldi e invitanti, e finalmente, in cima a una scintillante placca di roccia compatta, le due donne si incontrarono.
Furono sguardi eccitati e fibrillanti.
Mani paurose di osare che cedevano quasi riluttanti, sciogliendosi in rispettose carezze.
Dita perse in folti capelli.
Carezze lungo la flessibile superficie di corpi sinuosi, come le bisce d'acqua di Klimt.
Sfioramenti di labbra sempre più audaci, baci impazienti.
Il delicato contatto tra i capezzoli, il serpeggiare di mani lungo monti di Venere per violare percorsi proibiti, poesie di umidi brillamenti e morbide intrusioni.
Avvolte una nei capelli dell'altra le due ragazze si cercarono e si compenetrarono, trovandosi e avvinghiandosi come rampicanti, aderenza di corpi come molluschi su una barriera corallina di pelli morbide e setose, di sottili veli di odoroso sudore.
Nei baci soffocarono gemiti e urla per poi giacere sopraffatte dai sensi, una sull'altra in una dimensione senza più dimensioni.
Ridestate in una alba novella, tra sentieri percorsi in punta di lingua e placche solcate in punta di piedi, ripresero a innalzarsi sulla cristallina parete, accompagnandosi e aspettandosi, alternando i movimenti dei corpi sulla roccia, a danze balinesi a fior di pelle, a carezze sui seni tra capelli cotonosi e giochi di dita a scoprire ogni anfratto, a svelare ogni segreto.
Il sole cominciava a scottare nel mattino ormai inoltrato, quando Yuko e la sua amica, senza aver nulla stabilito, in tacito accordo, si separarono in percorsi alpinistici divergenti, conservandosi vive nei cuori, appagate e maturate dai reciproci scambi di amore.
Yuko, in piedi su un pulpito roccioso, gonfiò il petto sollevando il seno florido e maturo, inspirando voluttuosamente l'aria carica del profumo di resine e fiori, volgendo lo sguardo sulle pianure ormai lontane e sugli sdruccioli rocciosi da cui traeva forza e stabilità.
Altre donne, giovani e mature, incontrò sul suo percorso, sempre concedendosi a chi la cercava, ottenendo piacere da chi lei desiderava, fino al giorno in cui, sul suo stesso percorso, fu raggiunta e superata da un essere mai incontrato prima.
Vello ispido ne copriva il petto, robusto, ma ben poco sporgente rispetto al suo. Il volto oscurato da peli ricci che ne lambivano gli zigomi fino al collo.
E al posto di lisce curve convergenti in insenature, tra le gambe, un ridicolo ingombro dondolante.
La curiosità vinse il moto di scherno e la ragazza iniziò a seguire il nuovo venuto, accelerando il ritmo di arrampicata.
Ma più lei si avvicinava e più quello accelerava, più lei cercava di farsi notare e più l'altro, guardandola stizzito, se ne allontanava.
Finchè la ragazza, punta nell'orgoglio si mise quasi a correre sulle placche appoggiate, affiancandolo e poi superandolo con sprezzante indifferenza.
Ma appena lo ebbe sopravanzato, Yuko si sentì afferrare a una caviglia, con una stretta che quasi le fece male.
Cercò di liberarsi dalla presa con un calcio, ma quello non mollava. Tentò di nuovo, ma senza frutto.
Digrignando i denti provò a proseguire sulla roccia trascinandosi il corpo che cercava di parassitarla, e l'altro, come d'incanto, decise di mollare la caviglia, affiancandola nei movimenti di salita e cominciando a scrutarla con interesse.
Ora era lei a fingere di non vedere il compagno di percorso e l'altro a imporsi continuamente al suo sguardo, a sovrapporsi e ostacolare la sua progressione.
Arrivarono a un ripiano dove, con le mani libere, Yuko a pugni e graffi ringhiò al nuovo essere tutta la sua indispettita ostilità, ma l'altro, invece di rispondere, con le mani la soverchiò col suo peso fino a farla cedere, giacendole sopra col suo corpo.
I polsi vincolati nelle forti mani maschili, il corpo schiacciato a terra dal volume dei muscoli gonfi di androgeni, Yuko cercò di mordere il collo di chi la stava sovrastando, ma l'altro si scostò baciandola sulle labbra.
Quale sensazioni di stupore e quale nuovo desiderio si impossessò repentino del corpo prima e della mente della donna poi!
Il sorriso dolce, lo sguardo gentile, nonostante quel vello pungente che le irritava le gote e il collo, scardinarono le sue ultime velleità di conflitto e quando l'uomo lasciò la presa sui suoi polsi, invece di divincolarsi sottraendosi al peso di quei muscoli, Yuko decise di abbandonarsi a nuove curiose carezze.
Ora il peso sul corpo e sul ventre non le davano più fastidio, ora quell'odore inconsueto di ormoni maschili iniziarono a stimolarle un nuovo desiderio di connubio.
Baci e morsi sui seni le strapparono gemiti di piacere mentre il suo ventre si contorceva cercando quello dell'altro.
I suoi spazi vuoti chiamavano volumi a riempirla.
La stretta forte e protettiva cui non era abituata, la sciolsero in un desiderio di penetrazione e quando qualcosa le si spinse nel ventre, quando un pugnale le lacerò le mucose facendole contrarre il ventre in una scossa di dolore, capì che la natura le stava insegnando un percorso nuovo.
Con spinte più prolungate e più profonde l'altro si introduceva sempre di più nel suo corpo e lei, avvolgendolo con le braccia sulla schiena e poi stringendolo e circondandolo con le cosce e con i piedi intorno ai suoi fianchi, ne richiamava la spinta, accogliendolo e invitandolo nelle proprie profondità.
E nel massimo del piacere, quando le sue unghie graffiarono il busto che la stava penetrando, quando piegò la nuca urlando le sue sensazioni ai cieli, ai fiori e alle fronde dei larici, Yuko si sentì invadere di caldo fluido vivificante e corroborante, come un'insenatura tra gli scogli accoglie l'onda festosa e ubertosa, carica di vita e di sentori.
Le scosse del suo ventre scaricarono la sua energia contro quel grosso e goffo ammasso di muscoli, di peli e di inaspettata tenerezza.
Poi fu un abbraccio ampio e forte, come una coltre calda, che l'avvolse e la protesse.
Lei, con il carico di vita che ora sapeva di poter ospitare dentro di sé.
Lei, forte e impavida, agile e leggera, capace e indipendente.
Lei, fragile fiore da cullare, timido essere da proteggere e onorare.
Lei donna.
Lei, pienezza di forme, culla della vita.
Quella notte si sentì diversa. Da quel giorno, da quell'incontro non sarebbe più stata la stessa.
Proseguì nei tempi successivi la sua ascensione, incontrando nuove donne e nuovi uomini.
Concedendosi o sfuggendo le attenzioni.
Cercando o lasciandosi desiderare.
In sé sentiva crescere la maturità dei cristalli di topazio, del sole di mezzogiorno.
Il suo corpo posato continuava a sfidare le rocce e le verticali cristalline, ma con fare ponderato, scelta accurata degli appoggi e degli appigli, ricerca di estetica e di appagamento tra linee, movimenti e vagare dei pensieri.
Un giorno si accorse che i seni le si erano gonfiati, i capezzoli induriti e al sorgere della luna il consueto flusso di sangue non le fece la solita visita.
Con gesti più stanchi ora doveva scegliere i movimenti sulle rocce, con attenzione le posizioni del corpo, mentre il ventre assumeva una forma sempre più tonda. La nausea inizialmente le impediva spesso di arrampicare con piacere e doveva fermarsi a massaggiarsi l'addome. La linea che congiungeva l'ombelico al pube si fece più scura, come i suoi capezzoli. Il seno sempre più grande e ingombrante.
Poi la nausea passò e, pur aumentando gli impedimenti di quel suo corpo tondo, riprese il buon umore. Spesso cantava canzoni e si fermava ad ascoltare il vento o a guardare le fronde dei pini agitarsi sotto i soffi della brezza.
Ragazzi e uomini sembravano ora volerla evitare, circondandola di sguardi colmi di rispetto, ma privandola delle attenzioni fisiche cui si era abituata.
Le donne giovani la schivavano, ma trovò amicizia e compagnia da parte di donne più mature; molte altre si offrivano di aiutarla nei passaggi più difficili che sulla parete incontrava, anche se queste ultime spesso erano circondate di marmocchi agitati che a fatica riuscivano a trattenere.
Si sentiva come la Moldava di Smetana
(https://www.youtube.com/watch?v=3G4NKzmfC-Q)
come un campo di girasoli fioriti sotto il caldo sole del primo pomeriggio;
come le tonde e quiete ninfee di Monet nel giardino di Giverny.
Il ventre pesante e il seno cadente e tumido le impedirono poi di proseguire nella sua scalata al castello di granito e dovette fermarsi a riposare su un largo terrazzo ricoperto di soffice muschio.
Una donna le fece compagnia in quel periodo, massaggiandole la schiena e il ventre, nutrendola e dissetandola, coprendola di baci e abbracciandola quando calavano le tenebre e il freddo le insidiava.
Poi quando non riuscì quasi più a camminare sullo stretto terrazzo, si sedette arrendendosi ai dolori che sempre più frequenti e regolari le strozzavano la pancia estendendosi verso il basso.
Sudata e pallida, sempre più debole e spaventata, urlò il suo dolore senza più trattenersi; le sue mani stringevano mani di donne che l'accompagnavano nella sofferenza, sentendo il ventre sfondarsi sotto una spinta cui non riusciva più a resistere.
Solo dopo ore di agonia, all'ultimo urlo, un ovale ricoperto di capelli emerse tra le sue gambe, e con le successive spinte il corpo di una bambina emerse verso la luce.
La fragile creatura si rannicchiò tremante sul suo ventre, avvolta dalle sue braccia amorose e una piccola bocca succhiò dal suo seno.
Riprese la sua forza e il suo corpo tornò snello, nei tempi che seguirono, e con una vispa bambina che le si aggrappava al seno, ritornò ad arrampicarsi sulle chine rocciose.
Poi la piccola incominciò a seguirla muovendo i suoi passi sulle ruvide inclinazioni, sotto i suoi occhi benevoli.
Yuko si sentiva di nuovo piena di vita e di fermento.
Nel suo cuore cresceva insistente la musica del Bolero di Ravel
(https://www.youtube.com/watch?v=r30D3SW4OVw)
a volte il suo animo alternava momenti di quiete e di esaltazione come la Rhapsody in Blue di Gershwin
(https://www.youtube.com/watch?v=ynEOo28lsbc)
Incontrò altre donne e altri uomini, conobbe altre gravidanze e a ogni ripresa del suo ostinato incedere, un nuovo marmocchio cominciava a seguirla nel suo percorso.
Lei insegnava loro a riconoscere i fiori e il canto degli uccelli, a ripararsi dalle piogge e a cercare da bere nei ruscelli che tra le rocce incontrava, a nutrirsi di bacche e frutti selvatici.
Un uomo più anziano, zoppicando e sorreggendosi con un nodoso bastone, cominciò ad arrampicare con lei, aiutandola nella cura dei piccoli, sostenendola nella conduzione del nugolo di bambini.
Raccolse i capelli lunghi con una fascia e, con l'andare del tempo, rivestì di una tunica di edera il seno che le si era fatto cadente e il ventre che mostrava qualche ruga.
Qualche filo d'argento cominciò a comparire tra i suoi capelli neri.
Ora assomigliava a un docile fiume che scorreva in ampie anse lungo una pianura di verde fogliame, un corteo di salici piangenti inchinati lungo le due rive a riverirne il passaggio.
La Luna tonda e piena, di rassicurante luminosità nelle notti più lunghe, ne simboleggiava la tonda maturità.
Lenta, ma progressiva fu la sua scalata, inoltrandosi per un periodo che trascendeva la sua capacità di misurare il tempo.
Solo con la crescita dei figli indovinava il flusso della dimensione più relativa.
Le rughe le scolpirono il volto e quando i fili d'argento nella sua chioma presero il sopravvento, quando perse il suo compagno, diretto verso altre destinazioni e piano piano tutti i figli presero commiato da lei, si ritrovò sola sulla montagna che ormai aveva scalato lungo altezze inimmaginabili.
Ora la pianura era una distesa nascosta dalle brume e insondabile sotto i suoi occhi stanchi che a fatica riuscivano a scorgere i particolari lontani.
Le linee degli scuri graniti ormai convergevano e Yuko comprese che la cima non doveva essere lontana.
Lembi di neve si insinuavano spesso tra le placche di roccia e doveva cercare con attenzione il percorso migliore per evitare di scivolare sugli sdruccioli di ghiaccio scintillante, con un corpo che perdeva gradualmente le sue energie.
Nessuno più l'accompagnava nella scalata e solo di rado scorgeva esili figure spingersi incerte lungo i pendii, affrontando le difficoltà della parete che, consensualmente, si addolcivano.
Il sole si faceva sempre più pallido, contendendo il cielo a nebbie e nuvole gonfie di nero.
Yuko procedeva metodica, fedele all'impegno che si era data di non cessare mai la sua scalata.
Era diventata come il Valse Triste di Sibelius
(https://www.youtube.com/watch?v=5Ls8-pk4IS4)
Il suo volto e il suo corpo, un tempo pieno e florido, assomigliavano ora al tronco di un antico larice, scolpito da profonde rughe nella dura corteccia argentata.
Sembrava ora una roccia velata di licheni, come la superficie screpolata di foglie di platano autunnale.
I suoi colori erano il rosso della vite del Canada al tramonto delle stagioni, dei faggi e degli aceri palmati che si preparano all'inverno.
Presto perse anche lei le foglie, a una a una; i suoi aghi di pino, come piccole piume impalpabili, la abbandonarono, lasciandola spoglia come un larice nel tardo autunno.
Talvolta il suo animo era come la Serenade di Shubert
(https://www.youtube.com/watch?v=0bjB-IWEYI0)
Incontrava sul suo percorso qualche viola del pensiero e qualche calicanto dal profumo inebriante, ma dopo aver salutato rare coraggiose stelle alpine, presto anche la vegetazione si spense tra i ghiacci che ormai avevano ricoperto ogni roccia.
Yuko procedeva incerta eppure temeraria, con punte di acciaio per non scivolare sui ghiacci, incontro alla cima che a quel punto non sembrava più così lontana, sembrando anzi cercare di venirle incontro mentre lei rallentava il suo passo.
Nella sua mente comparivano immagini di tramonto in cui nubi grigie dai contorni arancione scintillavano accompagnando la discesa di uno stanco rosso sole.
Il suo fisico prendeva le sembianze del suo stato d'animo spegnendosi gradualmente, eppure continuando a procedere col vigore che il suo corpo le concedeva.
Sempre più simile al “The Isle of the Dead” di Rachmaninov
(https://www.youtube.com/watch?v=dbbtmskCRUY)
e al The Second Waltz di Dmitri Shostakovich
(https://www.youtube.com/watch?v=5hTvc3f83Ws)
finchè anche il sole tramontò.
La tenue luce permetteva ancora di procedere sul pendio nevoso ormai poco inclinato.
Nessun albero, nessun animale o fiore o donna o uomo l'accompagnava più, ma lei non si fermava, decisa ad arrivare fin dove le forze non l'avrebbero abbandonata.
A volte camminava ad occhi chiusi, come se non dovesse cercare la strada e il suo spirito la guidava con violini e canti, come nell'ultima composizione di Mozart
(https://www.youtube.com/watch?v=AZfZnbTgY4E).
Stanca, si fermava spesso appoggiandosi alla neve o inginocchiandosi mentre aspettava di ritrovare il fiato, lasciandosi colpire dal vento, senza neanche più cercare di proteggersi.
La neve le feriva le guance, ma lei riprendeva il cammino, con un sorriso stanco, mentre la luce scemava.
Solo verso la fine, quando la pendenza ormai era ridotta e impercepibile, si guardò intorno sgomenta, angosciata di non riuscire a portare a termine il suo impegno.
Quell'impegno mai confessato, che aveva preso forma solo negli anni e nelle centinaia di metri di ascensione, come a dare scopo e termine a ogni sua azione e movimento sulla grande montagna.
Cadde in ginocchio ancora una volta, mentre il vento la confondeva fischiandole alle orecchie e sfilacciandole i grigi capelli.
Chiuse gli occhi lasciandosi cadere in avanti, sorreggendosi con le mani nella gelida neve.
Fu allora che percepì un roco respiro e un fiato caldo vicino al suo collo.
Con fatica riaprì gli occhi intravvedendo nell'oscurità incipiente la figura del vecchio camoscio che dall'inizio della sua vivace scalata non aveva più ritrovato sul suo percorso, senza mai averlo cercato e, in fondo, avendolo dimenticato.
Come una scossa le ritornò in mente l'immagine della sua giovinezza sotto lo sguardo severo e attento dell'anziano animale.
Senza bisogno di dire una parola, di formulare un pensiero, Yuko si risollevò in piedi, sorretta dal forte animale.
Si aggrappò al suo pelo folto e ispido, proprio alla base del capo e, zoppicando entrambi, si accompagnarono fino alla cima, mentre le ultime luci si spegnevano.
“Tanto a lungo ti ho atteso” disse il camoscio, e a Yuko non sembrò strano di percepire una voce, di cogliere un pensiero del Nobile delle vette.
La donna sorrise, ripensando a tutta la sua vita, alla sua scalata, a quanto aveva ricevuto e a quanto aveva dato.
Cercò di dare forma a un pensiero che si delineava nella sua mente, forse a una spiegazione o a una giustificazione, ma la forza di parlare le venne meno.
Nessuna parola avrebbe potuto esprimere il pensiero che lei stessa faticava ad abbracciare.
Quello che era stato il suo divenire, i metri della scalata, i cambi di marcia, le persone e le esperienze assaporate nel suo cammino. Quello che era stata la sua vita, un succedersi di similitudini che tutte insieme ora si ricomponevano nell'atto finale che tutto racchiudeva, comprendeva e giustificava.
Nessuna parola avrebbe potuto suggellare tutto questo, e allora decise di non parlare.
Il camoscio avrebbe letto nel suo pensiero.
Con uno sforzo Yuko, sorretta dal camoscio, fece l'ultimo passo sulla cima della montagna di neve e ghiacci eterni.
Insieme si staccarono dalla neve e dal suolo, proseguendo il loro cammino, ora più vaporoso e leggero, sulle prime nubi che circondavano la cima.
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