Weekend lovers - Gemelline

Scritto da , il 2020-12-07, genere etero

E' terribile. E in fondo nemmeno tanto piacevole. Credetemi. Non faccio altro che pensarci. Sui libri, a lezione, in palestra, mentre faccio jogging. Non è gestibile. O l'assecondo o lo reprimo. Non riesco a staccare la testa da questo pensiero, sono tre giorni che ci sto appresso.

Da domenica sera, per la precisione. I miei rientravano mentre la mia amica Serena andava via. Si sono incrociati sul pianerottolo. In realtà eravamo tornate in quel momento anche noi, lei era solo risalita a prendersi lo zainetto. La prima cosa che ha fatto mia madre è stata rivolgermi uno sguardo interrogativo. Le ho detto "niente, ma', ha litigato con il ragazzo". Mamma non ha detto nulla. Anzi, per dirmi mi ha detto un sacco di cose. Soprattutto quanto è carina questa casetta che hanno preso in montagna e che non devo fare la scema e che ci devo assolutamente andare. Vabbè, normali rotture di cazzo. Quando anche mio padre mi ha fatto più o meno la stessa domanda ho però capito che Serena aveva proprio scritto in faccia qualcosa. Ero io che ci avevo fatto l'abitudine e non lo vedevo più. Papà se ne stava in salone che smadonnava in attesa che il decoder di Sky gli facesse vedere la partita. Mi ha chiesto "ma Serena che ha fatto?". A lui ho risposto "nulla, perché?".

Mentre pronunciava il nome di Serena era seduto sul divano dove io l'avevo leccata poche ore prima. Proprio in mezzo alle gambe e proprio su quel cuscino. Per contrasto, e anche con un sottile senso di choc, un po' di cose mi sono venute in mente. Innanzitutto che, per la prima volta, avevo fatto roba a casa mia. Mai successo prima. Certo, come prima volta poteva andare un po' meglio, visto che dopo averla fatta venire mi ero pure beccata una raffica di contumelie da parte sua. Ma vabbè, era incazzata con Lapo, con la fidanzata di Lapo, con me e con il mondo intero.

La seconda cosa cui ho pensato sono state le sue tette sulle mie quando è venuta ad abbracciarmi e chiedermi scusa per essere stata così stronza. Tipico, da parte sua, trattarmi come una merda e poi chiedermi scusa. Era finita lì, il resto della giornata era passato in modo tranquillo. Il suo abbraccio pelle a pelle e le sue tette sulle mie mi sono venute in mente solo dopo, quando se ne era già andata.

E in quel momento ho avuto voglia di lei. Me la sono immaginata sola e triste che mi aspettava sotto casa mia la sera precedente, seduta sul motorino, mentre io ero a farmi inchiodare al letto da quel coatto di Samir. Non che fosse colpa di nessuno, certo. Né mia, né sua, né tantomeno di Samir. Però quell'immagine mi ha illanguidita, facendomi venire voglia di sesso consolatorio. Consolatorio per lei.

E infine, sì, come terza cosa ho pensato a Samir e a come mi aveva scopata la notte prima.

Pensieri velocissimi, comunque. Non è a causa loro che mi sono accesa. Non ci ho nemmeno indugiato sopra il tempo necessario a eccitarmi. Ho lasciato mio padre a vedere la partita e ho aiutato mamma a disfare le valigie e a mettere su la cena. Sono stata un po' con loro in salotto, a fare finta di guardare il telefono.

E' proprio qui che qualcosa ha iniziato a cambiare. In modo lento, indistinto, ma inesorabile. Perché guardando lo schermo ho ripensato alla telefonata con Fabrizio della sera precedente e a quella della mattina dopo. Al suo commiato incoraggiante, alla sua bugia dolce: "Annalisa, sarai sempre speciale per me", aveva detto. Altro che speciale, Fabrì. Quante volte sono stata invece la tua "piccola puttana"? Quello sì che era un modo di chiamarmi che mi piaceva. Quante volte hai contato i miei orgasmi e quante volte ti ho detto, baciandoti e gettandoti le braccia al collo, "dammene un altro". Quante volte hai sentito la mia vocina da oca dirti cose tipo "davvero non riesci a scrivere una mail mentre ti faccio un pompino" o anche peggio? E adesso tu sposi una turca? E io? Non sono più il tuo giocattolino? Ho sempre pensato che tu fossi come me, in fondo. E invece no. Fine dello scopamico.

Cazzo, mi sento abbandonata, quasi tradita.

Ho cercato di non pensarci, di distogliere l'attenzione, di scacciare la malinconia. Mi sono infilata le ear pods e sono andata a chiudermi in camera mia, ho chiamato Stefania che era fuori a cena con il suo ragazzo e gli amici di lui. Cinque minuti fuori dalla pizzeria, il tempo di una sigaretta e di parlare un po' di Serena, evitando l'argomento-Fabrizio, di concludere che non c'è un cazzo da fare e che bisogna aspettare che le passi. Cinque minuti che non sono riusciti a colmare il mio senso di vuoto e di indeterminatezza. Bisognerà aspettare che passi anche a me? mi sono chiesta.

E' stato a quel punto che ho chiamato Debbie. Cioè, no, prima uno scambio di messaggi: "dormi?", "no" e faccina con il sorriso. "Ti andrebbe di scoparmi ora?". Il display si è illuminato ed è apparsa la sua faccia sorridente mentre lei sorrideva fintamente scandalizzata, "Sletje!". Sono scoppiata a ridere, svelandole la mia provocazione. Non era la prima volta che ci sentivamo dopo il mio ritorno da Amsterdam, la prima a quell'ora di sera però sì. Ma avevo bisogno di una voce amica, di un suono che mi facesse sognare.

- Che fai? - le ho chiesto.

- Perdo tempo - mi ha risposto - anzi, l'ho proprio buttato...

- Uh?

- Sono stata tutta la sera indecisa se andare su Tinder, ma ora si è fatto troppo tardi...

Ho sghignazzato dicendole "ok, anche il riposo è importante", poi mi sono messa a raccontare anche a lei della domenica appena passata, di Serena e Lapo. Mi ha detto "è ovvio che non poteva finire in un altro modo, ma se lui è come lo racconti quasi quasi faccio un salto a Roma...". Le ho detto "magari!" e ho aggiunto "ne vale la pena". Mi ha chiesto "fammi capire, te lo sei fatto?". Le ho risposto "sì, ma prima che la mia amica... beh, se ne innamorasse... oddio, no, per la verità l'ultima volta è stata alla festa di Capodanno, mica c'è bisogno di Tinder, con lui".

In realtà, tutto intendevo fare tranne che parlare delle performances amatorie di Lapo. Mi ero trovata a farlo, più che altro. Ed ero pronta a cambiare argomento.

- Tinder non è indispensabile - mi ha però interrotta Debbie - ieri sera, per esempio, non l'ho usato...

- Ah... - le ho fatto dopo qualche secondo di silenzio.

- Dopo che sei partita sono stata buona per due settimane, ma ieri non ce l'ho fatta a resistere, mi sono messa figa e raffinata, e sono uscita... da sola.

- E...? - le ho chiesto mentre l'idea di Debbie vestita in quel modo mi regalava una piccola contrazione.

- E niente, nessuna messinscena stavolta, niente studentessa deficiente... o meglio, ho recitato, ma ho recitato un po' me stessa...

- Cioè? - le ho chiesto ancora.

- Cioè ho fatto la parte di una ragazza dalla quale tutti si aspettano sempre il top... perché è quella intelligente, colta... la problem solver, quella che prende le decisioni... e devono essere quelle giuste, eh? E poi mica solo sul lavoro, sai? Pure in famiglia... mio padre, i casini delle mie sorelle... storie di soldi... E' faticoso, ti pesa addosso, e a volte pesa proprio tanto. Se penso a certi miei amici, gente della mia età, che conoscevo a scuola o all'università e che non fanno quasi un cazzo... beh, a volte li invidio.

- E quindi?

- E quindiiii... e quindi sono uscita così e sono andata a bere una cosa in un bel locale. Ricordi il ristorante thai? Non lontano da lì... Da voi non è comune, lo so, ma qui ce ne sono tante di donne che vanno a bersi una cosa da sole senza nessuna voglia di essere disturbate... solo che io dovevo avere un cartello addosso ahahahah... C'era un tipo, un tedesco, ci ho flirtato un po' e abbiamo bevuto una cosa insieme... gli ho detto che ero lì per scaricare lo stress, che dovevo assolutamente scaricare lo stress. Mi ha inquadrata abbastanza presto, siamo andati in albergo da lui... Non fantastico, però era molto pieno...

Quasi da sola, la mia mano è scesa sotto la vita dei jeans. Ho avvertito un'altra piccola contrazione e il calore che lentamente saliva.

- E stasera volevi pure andare su Tinder? - le ho domandato cercando di essere ironica, ma senza riuscirci, immaginandola mentre si spogliava nella stanza d'albergo di uno sconosciuto.

- Non so che mi succede - ha risposto dopo avere tirato un grosso sospiro - sono in una fase in cui mi sento che se facessi una roba del genere me ne scoperei dieci in un weekend, non so cosa ho. Ci penso in ogni momento, da qualche giorno.

- Anche io sono uscita ieri sera... - le ho detto lasciando in sospeso la frase. O meglio, lasciando in sospeso la confessione.

- Me lo dici con il tono di una che è stata un po' troia - mi ha fatto con un tono quasi serio, come se si preparasse a concentrarsi su ciò che le ho da dire.

Le ho raccontato della buca che mi aveva dato Serena, dell'uomo che pensavo volesse rimorchiarmi e che invece voleva semplicemente condividere con me la delusione per la sua, di buca. Mi sono dilungata, solo alla fine le ho parlato, e senza nemmeno tanti dettagli, di come fosse andata con il cameriere, con Samir. Di come avessi accettato di andare a casa sua, senza aggiungere altro.

- E' stato bello? - ha domandato Debbie.

- Molto. Molto... eccitante - le ho risposto - più che per la cosa in sé per... è successo tutto così all'improvviso. All'inizio avevo rifiutato le sue avances, gli avevo quasi riso in faccia. Poi, non lo so, è come se qualcosa mi fosse saltata addosso e mi avesse detto "fallo e basta!".

Debbie mi ascoltava in silenzio. E per qualche secondo in silenzio è restata. Nelle cuffiette sentivo però il suo respiro farsi un po' più pesante.

- Sletje... - mi ha detto - vuoi fare una cosa per me?

- Cosa?

- L'ovetto ce l'hai ancora, vero?

- No Debbie, dai...

- Ti prego...

- Non ce la farei, Debbie, non potrei fare come l'altra volta, stare vicina ai miei mentre...

- Non devi fare quello - ha detto.

- Non... Debbie, non me lo chiedere... - le ho risposto abbassando chissà perché la voce, avendo già compreso perfettamente che avrei fatto qualsiasi cosa mi avesse chiesto di fare. Aspettavo solo un suo piccolo ordine.

- Voglio solo vederti mentre ti vibra dentro, solo guardarti...

Avete presente quando realizzate di non avere alternative? Le ho sussurrato "aspetta" e sono andata dai miei a dire loro che avrei fatto la doccia e sarei andata a nanna. Stavano guardando qualche cazzo di serie tv ma, nonostante questo, mio padre ha messo in pausa e si è alzato per darmi il bacio della buona notte. Non so perché ma mi sono sentita veramente una merda.

Tre minuti dopo ero nuda davanti allo specchione del bagno, con le ear pods infilate nelle orecchie e l'acqua della doccia che scorreva. L'iPhone sistemato per bene in modo che non scivolasse e che venissi inquadrata fino a, più o meno, sotto il pube. Avevo la faccia di Debbie sullo schermo, in primo piano, che mi guardava senza dire nulla. "Devo prepararmi un po'", le ho detto. "Secondo me non c'è bisogno", ha risposto con lo stesso tono di voce che avrebbe usato per dirmi "adesso ti lappo come se non ci fosse un domani". Aveva ragione, ero fradicia. L'ovetto è entrato senza tante difficoltà, ma mi ha dato lo stesso un bel brivido. Mi sono tirata su le mutandine e mi sono data della cretina. Quel coso si governa con una app che non avevo ancora attivato. L'ho fatto proprio mentre Debbie mi raccomandava di metterla al massimo. Ho squittito un po' quando l'ho sentito partire, ma non l'avevo portato al limite delle sue capacità. "Al massimo - ha ripetuto Debbie come se lo sapesse - e appoggia le mani sul marmo, non voglio che ti tocchi". Ho eseguito e ho rimesso l'iPhone dove stava prima, cercando di controllare i brividi che già mi squassavano. Ho guardato lo schermo e sorriso a Debbie, le ho sussurrato "mi vedi?". Lei ha miagolato un "sì" trattenuto, come quando la mia lingua slittò sul suo ingresso per la prima volta. Vorrei risentire quel sapore, ho pensato. "E cosa vedi?", ho invece chiesto. "La mia Sletje", ha risposto piano. "Siiiiiiiiì - le ho sibilato sottovoce - tua...". Mi sono piegata leggermente in avanti, appoggiando le mani al ripiano di marmo, guardando il display.

Debbie ha detto "non guardare me, chiudi gli occhi e immagina...". Le ho sospirato "no, voglio vederti", ma lei ha insistito. "Sei solo tu con i tuoi pensieri, i tuoi ricordi, le tue voglie... chiudi gli occhi Sletje...". Le ho sussurrato un altro "no", lei ha spento la videocamera e il suo bel viso è scomparso. Ho chiuso gli occhi quasi per la rassegnazione.

Ma liberarsi dalla sua immagine non è stato facile. Avevo davanti a me i suoi occhi sorpresi che era come se mi dicessero "non è possibile che mi fai venire così" mentre sul suo letto la accarezzavo con lentezza esasperante e la penetravo piano con le dita. Riascoltavo i suoi gemiti sottili e il suo corpo indifeso che si contraeva fino a scattare due, tre volte tra gli urletti e poi si scioglieva nel piacere. La sua testa sprofondata tra le mie cosce mentre le strillavo quasi piangendo "non è mai stato così bello!". Ripensavo a lei che si contorceva sotto gli affondi del pilota spagnolo, i capelli sparpagliati e i suoi pugni che si aprivano e si stringevano come se avessero vita propria. Il suo corpo incastrato tra quello di due uomini.

Ho capito quasi subito che non sarebbe stato come al solito, come quando mi faccio i miei film e le scene cambiano due, massimo tre volte e io sono la star indiscussa. Le figure si affastellavano, si intrecciavano, come i volti, i corpi e le situazioni. L'ovetto mi ronzava dentro cercando di non annegare nel mio stagno. A un certo punto le sue parole dette qualche minuto prima si sono riaffacciate - "era molto pieno..." - e allora lo sperma è diventato per qualche secondo il centro del mio cinema. Ma nonostante gli spasmi cominciassero ad investirmi era come se non riuscissi ad andare avanti, a volare. Mi sentivo una ladra del piacere e delle fantasie di Debbie.

- Debbie, ho bisogno di toccarmi... - le ho sussurrato quasi disperata.

- Non farlo, ti prego - ha risposto con il respiro pesante - ti prego sei bellissima...

- Com'era quello con cui sei stata? - ho domandato.

- Un uomo elegante - ha risposto abbassando la voce - ma non devi pensare a me... sei tu il centro di tutto, ora.

- Aiutami... - la imploro.

- Aiutati... ricorda quella sera al Festival, lo sai come sei bella quando balli senza pensare a nulla?

Non so quale divinità l'abbia ispirata, come questo suggerimento bizzarro le sia venuto in mente. Ma l'idea è stata geniale. Mi sono astratta completamente, mi vedevo come in terza persona che facevo la pazza in mezzo a una folla impazzita come me. Mi sono rivista in un ambiente chiuso, però, non all'aperto come al Festival. Ma contava poco. Quando ho chiuso gli occhi ho visto le luci e ho ascoltato i suoni. Ho sentito molto più distintamente l'ovetto dentro di me, come per magia. Forse era lui che scuoteva il mio corpo, forse era il beat che mi davo da sola. Sono bella? Ti piaccio? Sapevo che Debbie mi osservava, ma dietro le mie palpebre serrate c'era gente che ballava, luci al laser, led a intermittenza, colori. Mi muovevo e saltavo come un'ossessa a 120 bpm, con le braccia alzate e i capelli sventolanti. Mi guardate? Mi desiderate? Vi piacciono le mie gambe nude? Cosa fareste per avermi? Mi vedevo circondata da ragazzi che mi sbranavano con gli occhi, mi divoravano, qualcuno mi sfiorava. Volete toccarmi il culo? Ma io ballavo, ballavo, ballavo e basta. La mia scelta era già fatta. La mia sceneggiatura autoerotica già prevedeva il protagonista maschile. Avrebbero potuto sbavare in mille, per me, il copione non sarebbe cambiato. Ne distinguevo solo la silhouette, appoggiato com'era contro una colonna, in una zona semi buia. Mi sono avvicinata e l'ho riconosciuto, anche se quando ballava aveva solo la camicia e ora si era rimesso la giacca. Alle mie spalle, una mano più audace delle altre si è aggrappata al mio sedere, lo ha stretto forte, senza che nemmeno lo sfiorasse il pensiero che il piacere che mi procurava sarebbe stato messo a disposizione di un altro. Un'idea che invece mi ha sempre fatta sbroccare: farmi eccitare da un ragazzo, illuderlo, e poi concedermi a un altro. Più carino, magari, più figlio di puttana, più uomo. Ho anche immaginato di regalargli il mio solito gemito soddisfatto di quando mi strizzano il culo: "aaawww... mi vuoi così tanto? perché non stringi più forte?". Lo pensavo divincolandomi e avvicinandomi al mio dolce boia. Nella realtà ne avrei certamente conosciuto il volto. Ma in quel momento, nella mia fantasia bagnata, quello era un particolare ancora tutto da scoprire. L'elettricità e l'emozione che ti dà l'ignoto.

Era Andrea, quel quarantenne elegante che avevo pensato mi volesse rimorchiare e che invece voleva solo parlare. Invece di aspettare che dopo il nostro scambio di sguardi facesse lui la prima mossa, mi sono avvicinata ballando e gli ho fatto "ti piace il mio vestito?". Senza attendere risposta gli ho preso sfacciatamente il bicchiere dalla mano e ho bevuto un sorso. Era l'americano sbagliato che avevamo bevuto la sera prima al bar di Samir. "Non vorresti sapere se sotto porto qualche cosa?", ho cinguettato. Mi sono immaginata con un vestito scandalosamente corto, molto più corto del più corto che ho (e guardate che già quello è indecente). Lui si è messo a ridere perché magari mi aveva presa per una ragazzina, o forse era imbarazzato. La parte che mi ero ritagliata addosso prevedeva che non riuscissi a decifrarlo, che mi chiedessi quale sarebbe stata la sua mossa e che decidessi di non attenderla. Mi sono vista sorridergli e dirgli con naturalezza, senza che nemmeno mi battesse il cuore, "visto che la tua collega ti ha lasciato solo, un pompino te lo posso fare io, se vuoi". Lui mi ha chiesto disinvolto "davvero saresti così troia?", come se mi chiedesse "che fai all'università?", io gli ho risposto "anche qui davanti a tutti" come se gli rispondessi "il prossimo anno mi laureo in matematica".

Debbie deve avermi vista fare delle smorfie. Perché per un momento anche il mio volto ha probabilmente manifestato il desiderio impellente di sesso orale. Prendere un maschio in bocca. Prosciugarlo mentre l'ovetto mi devastava. Un desiderio che per qualche istante si è impossessato completamente di me.

Nella mia mente però il quadro è cambiato all'improvviso, senza dissolvenze.

Eravamo entrambi nel suo letto, nudi, stesi sul fianco l'una di fronte all'altro. Gli accarezzavo il cazzo e i coglioni come avevo fatto davvero con Samir. Sapendo che quella morbidezza tra un po' si sarebbe trasformata e avrebbe fatto scempio dentro di me. Ma lui non era più Andrea, era Goffredo, il mio sogno frustrato di quest'estate in Croazia. E stavolta non ci sono state allusioni, dirty talking, schermaglie e desideri ricacciati indietro. Stavolta sono riuscita a dirgli "anche se la tua fidanzata arriva domani, stanotte hai me... non ti vuoi divertire?". Senza attendere che mi accettasse o mi rifiutasse, la mia lingua ha percorso chilometri sul suo corpo, l'ho fisicamente sentito fremere e scuotersi quando gli ho lappato i capezzoli, morire di impazienza mentre con la punta della lingua frugavo tra i peli del pube stringendo nelle mani la sua stanga. Gemeva sotto i litri di saliva che gli spargevo sul cazzo mentre lo succhiavo, ha rantolato sorpreso quando sono riuscita a infilarmelo fino in fondo alla gola. "Pensavi a questo mentre mi guardavi ballare? O a qualcosa di più?". Poi, proprio mentre stavo per salirgli sopra, ha fatto esattamente quello che aveva fatto Samir, dicendo proprio quello che aveva detto il barista. "Stamo a casa mia e te scopo come dico io". Mi sono ritrovata messa sotto, finalmente ridotta a giocattolo da usare, corpo di ragazza da possedere. E lui mi ha posseduta allo stesso modo di Samir, scopandomi la fica con il cazzo e il cervello con le parole. Le stesse di Samir, identiche. "Tremi, eh? Ma quanto te piace?" "dimme quanto te sto a fa' godè". E quando non era il cazzo immaginavo che fossero le sue dita a frullarmi e farmi urlare: "Senti quanto te l'ho aperta la sorca?". Gli ho gridato "dio, così mi fai impazzire, continua!", quando mi ha messa a pecora. Ho piagnucolato "sì, mi piace anche così, non smettere..." quando mi ha alzata e mi ha avuta in piedi sul letto e le mani appoggiate al muro. E’ stato come ripetere la scopata con Samir, ma con un altro, con Goffredo, l’uomo che non mi aveva voluta.

Quanto sia durata davanti agli occhi di Debbie questa rappresentazione non saprei, poco credo, una manciata di secondi. Ma si sa quanto possano correre veloci i pensieri. L'ovetto faceva quello che doveva fare, quello che gli avevo detto di fare. Vibrava ed espugnava ogni singolo punto della mia vagina. A volte sembrava impazzire e puntare più su, sbattere, ma ero troppo aperta e bagnata per non sapere che, se non avessi indossato le mutandine, sarebbe scivolato fuori.

- Il ragazzo di ieri sera mi ha inculata - le ho sussurrato all'improvviso - doggy... gliel'ho chiesto io... saresti stata orgogliosa di me.

Ho avuto l'impulso irrefrenabile di dirlo a Debbie. Non le avrei mai saputo spiegare perché avessi chiesto la sodomia a Samir, ma al tempo stesso avevo il bisogno di comunicarle l'eccitazione che avevo provato mentre glielo chiedevo e mentre lui sprofondava dentro di me.

Nelle cuffiette ho sentito lo scatto del respiro di Debbie, un piccolo gemito.

Poi, di colpo le ho disobbedito, non ho potuto fare a meno di usare le mani. Anzi, andavano per conto loro e io non sapevo trattenerle. Una mi strizzava una tetta, l'altra mi sconvolgeva i capelli. La sola cosa che riuscivo a impormi era quella di mordermi le labbra per non fare rumore. Sentivo la mia faccia che si contorceva in espressioni che non conosco, che vorrei vedere immortalate in un video o in una fotografia. Espressioni che Debbie stava osservando. Nelle ear pods mi arrivava il suono del suo respiro tremante, ma anche lei si allontanava, ormai. I miei soli padroni erano quell'ovetto che mi distruggeva e le onde che mano a mano mi sommergevano. Ho dovuto quasi piegarmi su me stessa, faticavo a restare in piedi. I miei muscoli si sono irrigiditi per la disperazione, sapevano loro per primi che qualcosa stava arrivando per portarmi via, spazzarmi. Lentamente ma inesorabilmente l'orgasmo mi ha sommersa, tutto il mio corpo è diventato sensibile come la mia vagina devastata. O forse il mio corpo in quel momento era soltanto la mia vagina devastata. Ho ondeggiato, ondeggiato. Ho tremato per un tempo che mi è sembrato infinito, poi alla fine sono scattata mordendomi ancora più forte le labbra.

- Debbie, sono venuta - ho sospirato come potevo, appena sono riuscita a farlo.

- Io due volte - mi ha piagnucolato nelle cuffiette - mio dio quanto ti vorrei qui...

Sono tre giorni che non faccio altro che pensarci. Sui libri, a lezione, in palestra, mentre corro. Ci penso e basta, naturalmente, perché non posso sfasciare tutto il resto, ma non riesco a staccare la testa da questo pensiero. Spesso mi tornano in mente le parole di Debbie: "Non so cosa ho, ci penso in ogni momento, da qualche giorno".

Gemelline.

CONTINUA

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