Fidanzate - Gli amici di Roberta

di
genere
etero

Pianerottolo, ascensore. Roberta spinge il bottone, ma non quello del pian terreno. Primo piano. Mentre mi chiedo il motivo mi dice “adesso ti faccio conoscere quel mio amico”. Usciamo e suona il campanello di uno studio da commercialista. La serratura scatta e entriamo. Sa decisamente dove andare, visto che imbuca direttamente in una stanza squittendo “ciao Paolo!”. Sto Paolo, che è senza giacca ma che in camicia e cravatta fa oggettivamente la figura del gran figo, non le risponde e mi squadra. Ma mi squadra proprio, eh? Più che un commercialista sembra una macchina per la Tac. Dice “questa è la tua amica?”, “Giulia”, “ciao, buonasera”. Vado un po’ in confusione, che cazzo ne sa di me? Rivolto a Roberta commenta “ma mi sembra pelle e ossa…”. Roberta risponde “non proprio” poi mi dice “scusa, voltati un attimo”, prendendomi per le spalle e facendomi fare un mezzo giro. Mi alza la gonna del vestito. Me la alza parecchio, per la cronaca. Passato il momento di sorpresa (beh, diciamo sconcerto) mi sottraggo, faccio un passo in avanti gridando “ma che ca…?”. Non ci posso credere. Le getto un’occhiataccia, lei ride e mi fa “ma dai, è uno scherzo”. Scherzo stocazzo, sarà stato uno scherzo ma il culo mi si sarà visto benissimo. Compreso il fatto che non ho le mutandine. Paolo guarda Roberta e dice “ok”. Ok cosa?

Roberta sparisce dicendo “torno subito” e io resto sola con l’uomo. Mi domanda quanti anni ho, rispondo diciannove e mezzo. Lui fa “però…”. Poi per fortuna non aggiunge altro perché per oggi sta storia dell’età che dimostro mi ha anche rotto il cazzo. Non mi sembra male, anche se è un po’ strano. E, a dirla proprio tutta, un po’ mi dispiace che la mia amica mi abbia portata da lui “non per quello”, perché magari un pensierino ce lo potrei anche fare, nel caso in cui decidesse di verificare se sono davvero pelle e ossa. Sì, ok, sragiono. Mi sa che l’effetto del cannone che ci siamo fatte prima non è ancora passato. E nemmeno quello delle parole che mi ha detto Roberta mentre eravamo nude sul suo letto: “Non hai voglia di un uomo ora? Ti prego dimmi di sì, lo so che ce l’hai”. Sì cazzo, ce l’ho. Al solo pensiero mi prende un crampetto.

Ma anche se so perfettamente quello che sto facendo, mi sembra impossibile lo stesso. Mi sembra impossibile e allo stesso tempo mi eccita da morire l’idea che io e Roberta stiamo uscendo per andare a farci rimorchiare da chissachì.

Lei intanto torna nella stanza e si dirige direttamente verso la scrivania, Paolo non si è mai mosso. Gli dice “domenica i miei non ci sono tutto il giorno, vieni su da me?” e si abbassa per farsi infilare la lingua in bocca. E non solo, eh? Anche una stretta su una chiappa, con la mano che si infila direttamente tra le pelle degli shorts e i collant. Non so se è per la stretta, ma Roberta mugola forte. Quando il bacio finisce lui le risponde “non lo so, devo vedere che fa mia moglie”.

Mentre scendiamo nel sottoscala chiedo a Roberta cosa cazzo le sia saltato in testa di farmi vedere il culo. Potrei dire che sono perplessa, invece sono anche un po’ incazzata con lei. Ok, il tipo è niente male ma su, siamo seri, che cazzo di gioco è? Stavolta risponde “ma non ti preoccupare, è un amico”. Tanto per mantenere un punto di incazzatura obietto “piuttosto espansivo come amico”, anche se non sono cazzi miei. Lei tace e apre la porta che conduce al garage. Si avvicina e mi fa sottovoce: “E’ l’unico, l’unico capito? che non posso portarmi in camera per scoparmelo quando ci sono i miei in casa. Non lo posso fare perché qui ha una reputazione. Ma è stato il primo uomo che ho avuto”.

Roberta ha un cazzo di Scarabeo 250 con il quale esce sparata prima dal garage e poi su viale Parioli come se fosse la vigilia di ferragosto e per strada non ci fosse nessuno. Dopo nemmeno trecento metri sale sul marciapiede e si ferma, mi dice di scendere. Cazzo, potevamo andare a piedi senza rischiare di ammazzare nessuno o di restare ammazzate. Per venire all’appuntamento al bar si è fatta un chilometro camminando, per fare meno di cinquecento metri ha tirato fuori il motorino. Le domando che idee ha per la serata e mi risponde che è ancora troppo presto e che per il momento possiamo prenderci un aperitivo. Le dico che sono le nove e mezza e che ho fame. Lei mi fa “vabbè, allora mangiamo”.

Mentre ci servono i filetti le si illumina il display, legge il messaggio e commenta: “Perfetto”. Al mio sguardo interrogativo risponde “tu sei sempre dell’idea?”. Le dico che l’idea me l’ha messa addosso lei, e rido. E qui non è più solo l’effetto del cannone che parla, è proprio la sua sensualità. Cazzo ne so che mi piglia, mi sento disposta a tutto. Le domando “ma perfetto cosa?”. Fa una risata al limite dell’indecente e risponde “non dobbiamo nemmeno andarceli a cercare, ci vengono a prendere”. “Chi?”, “due amici miei”. “Ne hai parecchi di amici…”, commento. Mi guarda e ammicca. Lo prendo per un sì. Le chiedo ancora chi sono questi due, come sono, se sono carini, simpatici, come abbiano intenzione di farci fare serata. Risponde che li conosce da un po’, che glieli ha fatti conoscere Paolo. Che non ha idea di dove andremo e che, al primo impatto, possono sia l’uno che l’altro apparire un po’ scorbutici. “Ma è più che altro una questione di carattere, sono uscita sia con l’uno che con l’altro, una volta anche con tutti e due insieme, e sono sempre stata bene”. “Uscita?”, domando ironica. “Anche uscita di testa ahahahahah”, mi dice. E poi aggiunge: “Guarda, all’inizio possono anche sembrare due di quei tipi un po’… pieni di sé, ma se non ci fai caso e ti lasci andare si sciolgono come un’aspirina”. “Lasciarsi andare… quanto?”, le chiedo. Lei ride e mi fa “ma niente, basta che li assecondi nelle loro battute e fai finta di essere… che ne so, la sorellina più piccola che non riescono a scollarsi di dosso”. “Sorellina, eh?”. “Ahahahah, sono un po’ più grandi di noi, ma non sono nemmeno tanto volgari, dai…”. “Più grandi tipo?”, “mah, una trentina d’anni”. “Eh?”, “ahahahahah… non trent’anni più di noi, volevo dire che avranno una trentina d’anni, ahahahah”.

Poi si avvicina a me, quasi viso contro viso. Il suo sorriso si è fatto furbetto.

– E tu? Hai solo il tuo ragazzo?

Non so nemmeno io il perché. Davvero, anche volendo non potrei spiegarlo. Ma il questo momento il pensiero di Davide, e del fatto che sto per tradirlo, invece di inibirmi mi esalta, mi eccita ancora di più. Sul momento non ci penso, ma mi sento come doveva sentirsi Martina a Milano prima di farsi sbattere per due sere di fila da due sconosciuti: mi va di farlo e lo voglio fare. Vabbè, non lo dite, tanto già lo so. Sono una mignotta.

– Sì… – le rispondo.

– E com’è? Alla festa mi sembrava un bel porco, ti aveva quasi spogliata davanti a tutti… – chiede con la voce che quasi le trema.

– No… no… era più che altro ubriaco… E’ dolce, carino, molto molto intelligente, simpatico… Molto innamorato.

– E tu? Lo sei?

– Mah, io… io ci metto tanto prima di… non sono una da amore a prima vista…

– E a letto? E’ scatenato come te?

Stavolta sono io che mi protendo verso di lei e le rispondo abbassando la voce.

– Ha un bel cazzo, davvero…

Non so nemmeno io perché le dico proprio questo, ma di sicuro non è per l’andazzo che ha preso la serata. Voglio dire, avrei potuto magnificare altre doti di Davide e invece ho scelto questa. Il motivo? Boh. So solo che non mi va che lei pensi che se faccio ciò che faccio è perché Davide è uno sfigato.

– Wow! Però? Sento che c’è qualcosa che non va… – ribatte Roberta.

– Ma no… è che…

– Cos’ha che non va? – insiste Roberta.

– Non ha nulla che non va… – rispondo prendendo ancora una volta istintivamente le difese di Davide – però certe volte avrei voglia di uno… uno più deciso.

– A te piacciono più quelli alti? – chiede ancora.

– Sì, perché? – replico sorpresa.

– Perché allora quello che sta arrivando lo prendo io.

Mi volto e vedo un ragazzo effettivamente non molto alto e un po’ piazzato, anche se con il Moncler addosso è difficile dirlo. Biondastro, anzi castano chiaro. Un viso carino, però. Ha ragione Roberta, non deve proprio essere Mister Simpatia, almeno all’inizio, perché nemmeno si avvicina ma ci fa giusto un cenno con la testa di seguirlo fuori. Roberta gli fa un segno d’intesa e mi dice “andiamo a pagare alla cassa, facciamo prima”. Raggiungiamo la sua Audi parcheggiata nel posto dell’handicappato. Mi accomodo sul sedile di dietro. Roberta, a sorpresa, mi viene a fare compagnia. Si sbraca un po’ e fa ridacchiando “vada pure, autista”. Lui risponde “stronzetta” con un tono che, diciamo, al trenta per cento sta allo scherzo, per il restante settanta per cento… boh, direi di no.

“Lei è Giulia. Giulia, lui è Gabri”. “Ciao”, faccio con quel tanto di affettazione che si usa in questi casi. Lui risponde con un “ciao” privo di qualsiasi espressività. E, per dire, non guarda nemmeno nello specchietto. “Hai sentito Paolo?”, chiede Roberta. “E certo”, è la replica. E stavolta il tono è quello di chi dice “che cazzo di domande fai?”. Mi volto interrogativa verso la mia amica, lei mi ammicca silenziosamente con un sorrisetto, come per rispondermi “tranquilla, te l’avevo detto, no?”. Non si parla molto. Anzi, se non fosse per Roberta regnerebbe il silenzio. “Dove andiamo? Quando arriva Pennello?”. “Per ora andiamo da me, l’amico tuo doveva finire una cosa, ha detto che ci raggiunge”, risponde Gabri. “Perché Pennello?”, chiedo anche se so la risposta. “Eh, appena lo vedi capisci”, ride Roberta facendomi segno con la mano che è molto alto. Per la verità vorrei anche sapere perché Gabri ha detto “l’amico tuo”, ma lascio perdere.

Casa sua non è proprio dietro l’angolo, ma la strada è diretta e sgombra. Roberta chiede a Gabri cosa stia facendo di bello in questi giorni, lui risponde a monosillabi. Quando si ferma al semaforo Roberta gli dice: “Io invece oggi ho fatto una cosa che non avevo mai fatto prima”. “Tipo?”, domanda lui. “Tipo voltati e guarda”, risponde, poi mi afferra per la testa e mi bacia. In un primo momento non reagisco, per la sorpresa. Ma il bacio di Roberta è così sensuale che quasi subito accolgo la sua lingua in bocca e inizio ad intrecciarla con la mia, mi abbandono. “Sei diventata lesbica? O è lesbica la tua amica?”, chiede Gabri ripartendo. “Né l’una né l’altra cosa, ma questa ragazza stasera mi ha aperto un mondo”, gli fa Roberta staccandosi da me ma guardandomi fissa negli occhi. Occhi che, dalla sorpresa, probabilmente passano ad esprimere lo stupore assoluto quando lei mi infila la mano sotto la gonna. Allargo le gambe quasi inconsapevolmente mentre lei riprende a baciarmi. La sua mano si impossessa di me e non posso trattenere un gemito. Nitido e udibilissimo, nonostante sia soffocato dalla sua lingua. “Ti ricordi cosa ti ho aperto io?”. La voce di Gabri arriva lontana. Ho la sensazione netta che la sua battuta volgare nasconda più che altro il dispetto per essere tagliato fuori dal nostro gioco. Lei mi sussurra all’orecchio “mi sa che gli è venuto il cazzo duro” e si rituffa a baciarmi. Sinceramente, di lui non me ne frega nulla, in questo momento. Voglio solo che la mano di Roberta continui a scorrere lungo la mia apertura che si sta bagnando sempre di più. “Mi sa che adesso faccio un’altra cosa che non ho mai fatto prima”, dice. Mi afferra i capelli per la nuca, ha uno sguardo quasi trionfante. Poi d’improvviso mi affonda il dito dentro. Lancio un gridolino che, vi assicuro, non è solo di sorpresa. Dal suo posto di guida Gabri domanda “che cazzo succede?”. Roberta risponde “niente, le sto facendo un ditalino”. Ma per qualche secondo le loro voci mi arrivano ovattate, ho la vista offuscata e mi sembra di essere altrove, non nella macchina con loro. Gabri mi domanda “davvero ti sta facendo un ditalino?” e io, lo giuro, vorrei proprio rispondergli di sì. Non tanto per soddisfare la sua curiosità, ma perché avrei proprio la voglia, il bisogno, di sottintendere con quel “sì” una cosa tipo “guarda quanto siamo troie”. Per me stessa, più che altro, non per lui. E’ diventato realmente solo un autista, è lontano. Però quel “sì” non riesco a pronunciarlo, perché il dito bagnato di Roberta si sfila e mi scivola sul grilletto. Dalla mia bocca esce solo un “ah-ah-ah-aaaah” tremolante, che diventa una lagna piagnucolata quando quel dentro-fuori Roberta inizia a farlo in modo sistematico. Cazzo che tocco che ha questa ragazza, mi fa uscire fuori di cervello e lo sa benissimo. Mi contorco, non capisco più un cazzo, apro le gambe in maniera indecente. “Lo sai che questa troia non ha nemmeno le mutandine?”, dice Roberta. Gabri risponde “sì, lo so”. E io magari dovrei chiedermi come faccia a saperlo. Lo ha capito dalla facilità con cui la mia amica mi ha penetrata? Ha un retrovisore nascosto puntato sulla mia fica? Ma sticazzi! Le uniche parole che vorrei essere capace di dire in questo momento sono “mettimi un altro dito dentro, ammazzami, fammi godere, finiscimi!”. Ma quando raccolgo le forze per dirglielo lei pone fine al gioco, lasciandomi tremante dappertutto, sfibrata e allo stesso tempo tesa come una corda di violino. “Resta sul filo”, ridacchia lei irridendomi. Vorrei lanciarle un amichevole “brutta stronza”, ma non mi riesce bene nemmeno quello. Mi porge il dito dicendomi “vediamo te come succhi” e praticamente le faccio un pompino al dito strappandole un’occhiata di ammirazione.

Non so più dove cazzo stiamo. Saxa Rubra, Grottarossa o quel che cazzo è. Arriviamo in un posto dove ci sono tante piccole villette l’una vicina all’altra, a schiera. Gabri si arresta di fronte alla guardiania e parla a un microfono: “Aspetto visite, quando il mio amico arriva lo lasci pure entrare”. La sbarra si alza e passiamo. La villetta di Gabri sembra essere la madre di tutte le altre. Un po’ più grande, un po’ più distaccata. Le luci si accendono automaticamente nel vialetto e scendiamo dalla macchina. Stavolta è Roberta ad essere afferrata per i capelli. Non da me, da lui. “Me l’avete fatto diventare di marmo, troie”, e la bacia. Poi aggiunge: “Appena entriamo te lo ficco in bocca”. Roberta ride e gli risponde “se vuoi, un pompino te lo faccio anche qui”. Li guardo con la fica gonfia, fradicia, pulsante. E penso che, se lui me lo chiedesse, più che un pompino mi farei scopare sul cofano della macchina. Quasi non ci posso credere, non ci ho scambiato una parola fino ad ora, eppure gli aprirei le gambe davanti, adesso. E non è nemmeno il mio tipo.

Chiaramente appena entriamo in casa non c’è nessun pompino. C’è Gabri che, mostrando gentilezza per la prima volta, ci chiede se vogliamo bere qualcosa. Roberta dice se si può avere un mojito ma fatto con non so che cazzo di sciroppo allo zenzero. E qui il vaffanculo di Gabri, che le dice che non è mica un bar, ci sta tutto. Siamo onesti.

E poi c’è sempre Roberta che, dopo avere chiesto due gin tonic doppi per me e per lei, mi prende per la mano e mi porta verso il bagno annunciando con una certa ironica prosopopea “andiamo ad incipriarci”.

Ci chiudiamo nel bagno, che peraltro lei sa benissimo dove sta, e ci lasciamo andare a un altro folle bacio. Mi tocca ancora tra le gambe e sussurra “però, come ti bagni”, io piagnucolo per l’ennesima volta e non so davvero che cazzo dire. E’ pazzesco, ho voglia di lei e ho voglia di lui, di Gabri. Ho voglia del loro amico che sta per arrivare, anche se non lo conosco nemmeno.

Ci guardiamo nell’ampio specchio. La biondina esile sull’uno e ottanta con i tacchi da quattro centimetri degli stivaletti, gli occhi azzurri pieni di febbre e il rossetto bruno che le sta male. La brunetta che sui trampoli è alta quasi quanto lei, lo stesso rossetto che fa pendant con lo smalto sulle unghie, la camicia pitonata e gli shorts di pelle nera che la fanno sembrare una zoccola. Ci sorridiamo.

– Come stai? – domanda.

– E’ terribile…

– Perché?

– Ho una voglia atroce – ansimo.

Mi rimette la mano tra le gambe ma senza entrare. La scossa però la sento lo stesso.

– E’ pazzesco… deve arrivare quell’altro e nemmeno mi chiedo come sarà… mi chiedo come mi scoperà…

Più che piagnucolare, ora, sto proprio piangendo. Così almeno mi pare.

– Magari ti scoperà anche Gabri – dice con un sorrisino – e magari anche io farò un’altra cosa che non ho mai fatto in vita mia.

Lo dice e tira fuori la lingua leccandosi leggermente il labbro. Miagolo un “oddio” e mi appoggio al muro aprendo inconsapevolmente di più le gambe.

– Vorrei essere inchiodata al muro… adesso!

– Abbi solo un po’ di pazienza – sorride mettendo quasi le labbra sulle mie – ti piace farlo in piedi?

Se fossi un po’ più in controllo sarei un po’ più ironica. Le direi, che cazzo ne so, che per me andrebbe bene anche farmi scopare dentro una stazione spaziale in totale assenza di gravità. Invece le sussurro solo “da morire… mi piace da morire”.

Roberta infila la mano nella borsa, tira fuori una bustina e mi dice “vieni, acchittate ‘na botta”. Non l’ho mai vista da così vicino ma non sono scema, so che non è zucchero a velo. Resto di stucco e, per un momento, con un leggero senso di paura addosso.

– Io… io non…

– Mai provata? – chiede Roberta – guarda che Paolo me l’ha data anche per te…

– Cioè, io non…

– Non avere paura, è meglio… sarà fantastico.

Non lo so come deve essere il mio viso (il cuore sì, a mille), ma dopo averlo fissato per qualche secondo Roberta lascia perdere. Mi fa “come, vuoi, l’importante è che non ti fai problemi e che ti lasci un po’ andare”. Poi tira su. La osservo e mi domando cosa succederà adesso. Lei riapre gli occhi e mi lancia un sorriso più intenso del solito: “Basta non farci l’abitudine”. Io sono ancora appoggiata al muro con il respiro fuori controllo. Apre la porta e, come se si ricordasse improvvisamente di una cosa, si volta verso di me: “Comunque, c’è sempre il cannone di Gange, anche se mi sa che non ne hai bisogno ahahahah”. Già, Gange, Davide. Che fine hanno fatto i nostri ragazzi?

Torniamo in salone. Non è che abbia particolarmente voglia di alcol, ma ho sete, ho bisogno di qualcosa di fresco. Prendo il mio gin tonic e quasi me lo scolo. Dal divano, Gabri ci guarda con un sorrisino. Esattamente come aveva fatto davanti a Paolo, Roberta mi fa fare un mezzo giro e mi alza la gonna. Ma invece di dirle “la pianti di scoprirmi il sedere davanti a tutti?”, stavolta la lascio fare. Voglio essere osservata, gustata, desiderata. Gabri esclama un “madonna che culo!”, Roberta sottolinea la sua frase con un “eh?”. Me lo stanno osservando in due. So di essere la voglia di entrambi. Gabri domanda “non sei gelosa?”, Roberta di rimando gli fa “c’è poco da competere”. Almeno per ricambiare il complimento, vorrei dirle, come prima, che anche il suo è niente male. Anche se lo so, è vero, con il mio c’è poco da competere. Gabri insiste: “Naturalmente, bisogna vedere chi offre la migliore accoglienza”, dice. E so che più che a lei sta parlando a me. Roberta mi passa una carezza sulle natiche e mi sussurra “è un po’ fissato…”, quasi ridacchiando. Ho un altro spasmo, torno a schiudermi e pulsare, sono sicura che mi sto inzaccherando l’interno coscia. Non so se è per la carezza di Roberta o per il desiderio diretto e minaccioso che Gabri mi ha appena rivelato. Ho un flash, ritorno per un attimo con il pensiero a Davide. Quando qualche giorno fa abbiamo scopato, in quell’alberghetto, gli avevo detto “oggi puoi chiedermi tutto quello che vuoi”, o qualcosa del genere. Che poi era un modo per dirgli che, sì insomma, se voleva, anche quello. Non è proprio la cosa che mi entusiasma di più, per usare un eufemismo, ma in quel momento mi sentivo di offrirgli tutta me stessa, anche se poi non è successo nulla. Però ero quasi orgogliosa di averlo fatto. Adesso invece le parole di Gabri mi hanno fatto paura. E subito dopo la paura, la vergogna. Mi vergogno della mia voglia di essere presa da lui.

Roberta ha ragione, non ci sarebbe nemmeno bisogno della bomba di Gange. Il bacio, la sua mano tra le gambe, lo spettacolino del mio sedere esposto, desiderato, mi hanno quasi stesa. Potrei venire se appena, che ne so, Gabri mi baciasse stringendomi, facendomi sentire il suo pacco sulla pancia. Proprio quel pacco che lei ha intanto cominciato a massaggiare senza ritegno. Si è seduta accanto a lui e hanno iniziato a limonare pesantemente, lui le ha già infilato una mano sotto la camicetta e, penso, sotto il reggiseno. Lei si contorce e mugola nella sua bocca, con il capezzolo probabilmente torturato.

Prendo la fionda e me l’accendo. Gabri protesta con un debole “ehi, qui non si fuma”, ma Roberta gli ha già abbassato la lampo e gli sta facendo una specie di sega attraverso le mutande, gli bisbiglia qualcosa all’orecchio, Gabri lascia perdere la sua campagna antifumo e le geme un “che troia che sei”. Chissà che gli ha detto.

Ma per un po’ è l’ultima cosa che sento, perché aspiro forte e mi arriva la solita botta. E meno male che c’è una poltrona lì accanto dove lasciarmi andare, perché altrimenti sarei finita per terra. Fumo completamente stravaccata sulla poltrona, con le gambe aperte e la gonna che è salita su, o forse l’ho tirata su io, non ricordo. Gabri lancia occhiate esplicite alla mia fica mentre bacia Roberta. Lei invece non so se faccia sempre così o abbia deciso di torturarlo, perché gli ha abbassato i pantaloni e gli passa il dito viaggiando su e giù sull’inconfondibile sagoma del cazzo, nascosto sotto il tessuto elasticizzato.

Dopo una tirata è come se mi sentissi salire su tutta la voglia del mondo. Un calore fortissimo, la vagina che chiede pietà e i capezzoli che sembrano volersi liberare da soli del fastidio del reggiseno, sfondandolo. Ho un brivido e una scarica fulminante, come se avessi avuto un orgasmo. Non so come faccia a non toccarmi, perché se lo facessi esploderei. Ma in compenso lancio un lungo gemito. Roberta e Gabri si fermano, i loro sguardi sono indirizzati tra le mie cosce. Conoscendo la mia fisiologia, non credo che si noti, ma mi sento gonfia e spalancata. “Lo vedi che luccica? Non ci credevo quando me l’ha detto…”, “cazzo, ma è una fontana”. La parola “cazzo” mi fa sussultare, mi è sempre piaciuto ascoltarla e ripeterla durante il sesso. Mi faccio un film da sola, ho davanti agli occhi l’immagine di Gabri che affonda dentro di me mentre ripetiamo tutti e due a loop “cazzo cazzo cazzo”. Do l’ultima tirata e provo ad alzarmi per trovare un posto dove spegnere il mozzicone. E’ uno sforzo enorme. Mi gira la testa ma ce la faccio, lo getto nel bicchiere di Roberta ancora mezzo pieno di gin tonic. Torno a voltarmi verso di loro. Lei gli ha liberato il cazzo e, prima che ricominci a segarlo lentamente, lo vedo svettare. Non è una cosa super, ma è largo, di quelli che ti aprono per bene. Ho iniziato a scolarmi tra le cosce.

Roberta lo guarda mordendosi un labbro poi mi fa: “Vuoi un assaggino nell’attesa?”. Prima ancora che possa rispondere sento Gabri che mi apostrofa “sì, vediamo come te la cavi con le pompe, zoccola”. Ha un tono beffardo, irridente, ma non è a questo che penso quando mi inginocchio tra le sue gambe. Penso a quando Roberta, qualche ora fa mi ha chiesto “hai mai succhiato il cazzo di uno sconosciuto?”. E anche se, in tutta onestà, vorrei dire a Gabri “i pompini dopo, adesso mettimi a novanta da qualche parte e sfondami”, avvicino la testa. Annuso il maschio. E’ molto gonfio in punta e anche molto umido, ho il solito istante di stordimento. Do un bacetto e un paio di leccatine all’asta con la lingua inumidita dalla saliva. Ma il grosso della bava gliela faccio colare sopra con un gesto lento e studiato, poi lo imbocco. Tutto, subito. Non è difficile, ho fatto cose molto più difficili, lo sapete. Gabri sospira “oh cazzo, oh cazzo”. Ce l’ho in bocca ma per un bel po’ è come se lo tenessi per le palle con una mano. Roberta sospira “chi se lo immaginava?”, si alza e viene dietro di me. Se mi alzasse la gonna ora, se mi infilzasse il buchino con la lingua, credo che verrei come un fulmine, con il mio strillo soffocato dal cazzo che sto succhiando. Senza nemmeno rendermene conto, intensifico il mio ritmo, mentre Gabri impreca e mi insulta in ogni modo. Ma Roberta non ha nessuna intenzione di lapparmi, almeno per ora. Ho perso la cognizione del tempo, oppure lei è la recordwoman dello spogliarello veloce, che cazzo ne so. Fatto sta che me la ritrovo carponi accanto a me, completamente nuda, che mi mormora “ehi, non farmelo venire troppo in fretta”. Francamente, non so che cosa mi trattenga dal mettermi a urlare a squarciagola “voglio essere scopata” o giù di lì. Gli imbocca il cazzo per un attimo e lo rilascia. Lo lecca un po’ per tutta l’asta poi si allontana anche da lì. Con la lingua disegna dei cerchi sui testicoli. Cerca di farlo calmare. La osservo all’opera e le passo una mano sul sedere, scendo, più giù. Anche lei è bagnata in modo vergognoso. Gioco un po’ con la sua apertura poi la penetro di colpo con due dita. Lei mugola forte con la bocca piena. Estraggo le dita e ripeto il mio gesto. La reazione è la stessa, anche più forte. Tutto il suo corpo si contrae. Lascia perdere il cazzo di Gabri, ormai lucido delle nostre salive, e si rialza. Si va a sedere accanto a lui, senza smettere per un attimo di sospirare affannata “troia, troia”. Allarga le cosce e mi ordina “vieni e leccamela, fagli vedere che lesbica che sei”. Mi dirigo da lei camminando a quattro zampe, le infilo la testa tra le cosce e comincio a leccare. Lo faccio con la consapevolezza che entrambi mi stanno guardando. Penso “Dio, che cagna che sono”, ma a questo punto, dentro di me, ogni traccia di vergogna è scomparsa.

Non so se questo serva tanto a calmare Gabri. Anzi, direi proprio di no. Perché dopo avere sentito Roberta gemere e contorcersi per un paio di minuti mi fa “bionda, adesso vengo là dietro e ti spacco il culo mentre lesbicate”. Mi fermo un secondo, lasciando Roberta a gemere e contorcersi anche senza la mia lingua, e gli miagolo “nooo, ti prego”. Ok, è più la voce di un’oca in calore che un miagolio, ma ci siamo capiti. Anche se, boh, non lo so. Cioè non lo so cosa succerebbe se si mettesse davvero dietro di me con la sua mazza in tiro. Probabilmente esploderei al primo contatto, probabilmente non sarei in grado di oppormi a nulla, nemmeno alla sodomia più brutale. La voglia di essere presa, posseduta con prepotenza mi sta, letteralmente, sbranando viva. Voglio il maschio caldo e duro che mi apre, mi allarga e mi fa sua, mi fa strillare. Mi riduce a ciò che desidero essere adesso, la fodera bagnata e bollente di un cazzo. Torno a lappare Roberta ma non per molto, perché lui mi afferra per i capelli e mi sbatte di nuovo il viso davanti alla sua erezione. Nella stanza si sente solo il mio strilletto e, immediatamente dopo, il mio solito risolino idiota che si spegne solo quando la sua carne torna ad occupare la mia bocca.

Voglio spiegare una cosa, anche se so di averla ripetuta tante volte. Ma il fatto è che proprio mi dà fastidio passare per cretina. E poi non c’è tanto da raccontare in questo momento: c’è lui che mi tiene per i capelli e mi sbatte su e giù scopandomi la testa. E ci sono i miei mugolii. La scena è questa e per un bel po’ va avanti così. Quello che invece mi preme dirvi è che quel risolino scemo mi scappa ogni volta che vengo fisicamente forzata a fare qualcosa. Voglio dire, essere presa per i capelli e costretta a succhiare è una cosa che adoro, che mi fa sentire usata. Ma non è per quello che rido. Farei lo stesso se lui mi trascinasse di peso in un’altra stanza o, che so, se mi rapissero e mi infilassero in un furgone. E’ un riflesso nervoso, e basta. Purtroppo però viene spesso preso per accondiscendenza, disponibilità sessuale. E anche con Gabri è così. Lui pensa che quella risatina esprima apprezzamento per quello che mi sta facendo, ma siccome si è messo una cosa in testa vuole chiarire che non gli basta: “Ridi, ridi, vedi come ridi quando quel culetto d’oro te lo sfondiamo…”. Sollevo la testa e piagnucolo un altro “no-oooo” indirizzato a lui e, chissà perché, a Roberta. Forse perché mi eccita vederla mentre si sditalina. Il suono del campanello copre le mie ultime “o”.

– Rilassati Giulia, te l’ho detto… lasciati andare e godrai come una matta… – geme Roberta – è arrivato…

Lo dice con un tono che sembra quello di chi non vede l’ora di andare al patibolo, e che ora che il momento è arrivato non sta più nella pelle. Poi, mentre molto lentamente si alza per andare ad aprire la porta, aggiunge: “Questi pagano tanto, ricordatelo”.

Non lo so. Se fossi più lucida sicuramente reagirei all’istante. Poiché però non lo sono, do un altro paio di pompate a Gabri prima di fermarmi, con la sua cappella che mi spinge sulle labbra. No, un attimo, penso, cosa significa che pagano? Perché me lo dovrei ricordare? Chi ha mai parlato di soldi? Mi volto verso Roberta che, nuda e strafiga, sta tornando indietro dopo avere aperto la porta. Dice sorridendo “ci danno quattrocento euro a testa, qualcosa in cambio lo vorranno, no?”. La sua voce viene però quasi sovrastata da quella di un uomo alle sue spalle che le fa: “M’ha detto Paolo che c’è una mignotta nuova e vieni ad aprire tu?”.

Ma in realtà non li ascolto, le loro voci sono quasi rumori senza significato. Perché la mia attenzione è concentrata sull’uomo che ha fatto il suo ingresso a casa di Gabri.

E’ Vittorio, il portiere della squadra di Davide.


CONTINUA
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2019-12-22
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