Il Capo 4 . Escort

di
genere
etero

Attraversiamo la Promenade e ci avviamo costeggiando il mare. I tacchi mi fanno sculettare ancor di più di quanto non faccia normalmente, il plug mi dà fastidio. Lo sento. Oddio, per essere onesta, a volte no, non lo sento. Ma solo per qualche secondo. Poi si fa sentire di nuovo attraverso chissà quale terminale nervoso e io mi ci concentro sopra. E più mi ci concentro sopra peggio è. Nel senso che mi eccito. Mi sono rassegnata a essere costantemente umida tra le cosce, a scorgere sulle mie gambe il lucido dei rivoli che tra un po’ cominceranno a scorrere. A lasciare la scia del mio odore più segreto. Ma del resto, quando ho accettato di venire qui, di fare questa follia, in fondo non speravo proprio questo?

Sento di camminare in modo un po’ più rigido del solito. Il cuore mi batte e di tanto in tanto il respiro si fa corto, ho visioni assurde e desideri ancora più assurdi. Vorrei che lui mi piegasse a novanta sul muretto e mi sbattesse lì, in mezzo alla passeggiata del sabato sera, tra la gente uscita a godersi un po’ di brezza del mare. Sbarello, mi appoggio per un momento al suo braccio. Ancora una volta il suo odore, unito al profumo amaro della sua acqua di colonia, mi colpisce e mi attrae.

- Hai presente quei ridicoli fetish-porno dove si vede una ragazza nuda camminare al guinzaglio? – gli faccio – beh, così è peggio.

- Non parli del fastidio, vero? – mi risponde con un tono neutro.

Ci penso su un attimo e capisco cosa vuole dire. Capisco pure che ci ha azzeccato in pieno. No, non parlo del fastidio. Parlo del fatto che dipendo da lui in tutto e per tutto. E in questo momento non mi dispiace per niente.

Dopo un po’ che camminiamo, ferma un taxi e mi spiega che il ristorante non è tanto vicino da andarci a piedi. Poteva farselo chiamare dall’albergo, il taxi. E’ ovvio. Così come è ovvio il motivo per cui mi ha fatto fare questa camminata. Deve divertirsi un sacco, con la sua troietta al seguito.

Arriviamo al ristorante un quarto d'ora dopo. Le sensazioni del mio rapporto con il sedile del taxi ve le risparmio. Entriamo e non c'è molta gente, l'aria condizionata è un po' alta. Il Capo si guarda intorno poi si dirige con decisione verso un tavolo. Lo seguo esitante, visto che c'è già qualcuno. L'uomo che lo occupa però si alza e gli stringe la mano. Rimango un po' sorpresa, non mi aspettavo una cena a tre. Ci resto anche un po' male, perché mi ero fatta tutto un programmino di provocazioni e di mani che scompaiono sotto il tavolo che adesso dovrò mettere da parte.

L'uomo si alza e mi tende la mano sorridendo. Viene da sorridere anche a me, perché mi squadra proprio come quei maschi con i quali mi piace smignotteggiare per strada, soprattutto quando sono in compagnia delle loro legittime consorti. E' un tipo cui non daresti niente: avrà quarantacinque anni, forse cinquanta. Se ne ha di meno se li porta davvero male. E' molto stempiato, per non dire semi calvo, e ha la camicia che gli tira all'altezza della pancia. A differenza di Edoardo, che indossa una Lacoste bianca e un paio di pantaloni blu davvero morbidi e eleganti, è vestito di tutto punto con un completo verdone abbastanza stazzonato e la cravatta.

Il Capo me lo presenta come Monsieur-Qualcosa poi mi lascia spazio e mi fa accomodare su un divanetto addossato al muro, alla destra del panzone, lui invece si accomoda a capotavola. Poi chiama il cameriere per chiedere altri due flute di quello che sta bevendo il tizio. Che dal canto suo mi chiede qualcosa, almeno io immagino che sia una domanda, dall'intonazione. Ma io il francese non lo conosco e mi stringo nelle spalle ricambiando il sorriso.

- Ti ha chiesto se ti piace lo champagne, mademoiselle... L'ho conosciuto al convegno e l'ho invitato a cena con noi. Spero non ti dispiaccia, è simpatico.

Per essere simpatico, mi sta simpatico come certi primi giorni di mestruazioni, ma decido di dargli una chance. Spero solo che non cominci a chiamarmi Annalisà. In ogni caso ora mi ricordo del convegno, la scusa con cui Edoardo si è allontanato quattro giorni dal talamo nuziale. Il cameriere arriva con i flute e prende le ordinazioni. Il Capo decide per me, dopo avermi chiesto se mi piace il pesce. Se c'è un doppio senso, e a giudicare dal sorrisino c'è, sul momento non me ne accorgo. Comunque spigola e ratatouille, se vi interessa.

Quando il cameriere si allontana, si rivolge al suo amico. Ora, vi ho detto che il francese non lo capisco, ma la parola escort sì, anche se è pronunciata con l'accento sulla o. Gli rivolgo uno sguardo interrogativo, mentre con la coda dell'occhio mi sembra di vedere che sulla faccia dell'altro si è stampato un sorriso completamente diverso da quello di prima. Tra i due c'è uno scambio di battute che seguo con un po' di ansia, poi finalmente il Capo si decide a tradurre.

- Gli ho detto che sei una escort che ho fatto venire apposta per questi giorni di convegno. Lui dice che non si direbbe e che sembri una ragazzina, che non ti darebbe più di sedici anni e che pensava fossi, pensa te sto cojone, mia sorella, mia cugina... Gli ho detto che comunque hai cominciato da poco a fare la mignotta.

Se prima ero rimasta sorpresa, adesso sono addirittura stupefatta. Cioè, cazzo, cercate di capirmi, ero convinta che il giochetto della puttana fosse qualcosa destinata a restare tra me e lui. Sento di arrossire violentemente e butto giù lo champagne tutto d'un fiato chiedendo al Capo se ne posso avere un altro. Il francese se la ride mentre il Capo mi dice che adesso arriva il vino. Tengo lo sguardo fisso davanti a me senza osare voltarmi verso il tipo.

- Ma perché cazzo gli hai detto così? - chiedo al Capo quasi sottovoce.

- L’hai scelto tu il giochetto della puttanella... Fa’ divertire anche un po’ me, no? – mi risponde e poi ammicca dalla parte del francese – era impressionato dal tuo modo altero di camminare, io e te lo sappiamo perché è altero...

Mi gelo. Ma non è per la sua risposta. E’ perché il porco accanto a me ha poggiato la mano sulla mia coscia. E non è che stia facendo finta di essersi sbagliato, no no. Sta proprio lì ad accarezzare pesantemente e a risalire ogni tanto verso la zona-pericolo. Non si ferma nemmeno quando arriva il cameriere che stappa il vino, lo fa assaggiare e poi ripone la bottiglia nel secchiello dopo averci riempito bicchieri.

- Mi sta toccando le cosce! – sussurro al Capo.

- E’ ovvio, pensa che sei una mignotta!

- Non me ne frega un cazzo, mi fa schifo! – sibilo.

- Ma almeno non puzza.

No, è vero, non puzza. Chissà perché non puzza. Uno come lui dovrebbe anche puzzare, mi dico, sarebbe filotto.

Tra i due riparte una conversazione della quale ancora una volta io non capisco praticamente un cazzo, se non che a un certo punto il porco toglie finalmente la mano dalla mia gamba. E’ un botta e risposta assolutamente tranquillo, sembra che stiano parlando, che cazzo ne so, di automobili o di quotazioni di borsa. Bevo il mio bicchiere di vino e me lo riempio immediatamente di nuovo. E’ buono, mi pare, non sono in grado di giudicare in questo momento. So solo che è freddo e che va giù che è un piacere. E tanto basta.

- Dice che sei magra ma hai delle gambe bellissime e delle cosce deliziose, ti sta facendo un sacco di complimenti... Solo che non riesce a capacitarsi che tu sia maggiorenne... Gli ho comunque spiegato che non sei una troia di strada, anzi. Gli ho detto che sei una studentessa universitaria, che sei di buona famiglia, che non lo fai per bisogno. E nemmeno per toglierti qualche sfizio ogni tanto.

- E perché lo farei, allora? – domando.

- Gli ho detto che lo fai perché ti piace, che non è la prima volta che ti affitto... e che sono rimasto sorpreso anche io, la prima volta.

L’idea che il Capo mi abbia pagata una volta per scoparmi mi provoca un’eccitazione immediata. Ho una contrazione violenta, che si trasferisce immediatamente anche al retto avvolgendo il plug, del quale mi ero persino dimenticata da quando era cominciata la conversazione. Ricomincio a bagnarmi languidamente quando penso... beh sì, quando penso a come mi ha presa e scopata a casa sua, in cinque minuti, con la moglie nell’altra stanza. Davvero come una puttana. Penso al modo in cui il suo bastone mi ha sventrata, e più penso a queste cose più le pulsazioni mi travolgono da tutte e due le parti. Devo mordermi il labbro per non miagolare di voglia. Svuoto il mio secondo bicchiere di vino in un lampo.

- Cosa ti ha chiesto? Che gli hai detto? – domando perché, anche se sto cominciando a perdere la cognizione di tutto, ho sentito che la conversazione tra i due va avanti.

- Mi ha chiesto cosa mi ha sorpreso di te...

- Cosa gli hai risposto?

- Innanzitutto che nonostante la tua giovane età sei perfettamente in grado di stare in società e di partecipare a eventi mondani. Che sei una buona conversatrice. E in secondo luogo che, quando si tratta di sesso, non ti neghi a nulla. Gli ho detto che io e un mio amico ti abbiamo portata in una stanza d’albergo e ti abbiamo scopata per cinque ore. Anche insieme. E che, nonostante appunto tu sia molto giovane, non c’è orifizio con il quale tu non sappia far godere un uomo. O due. E gli ho detto anche che sei probabilmente il miglior pompino che abbia mai avuto, anche meglio di mia moglie. E questa è la verità, ti assicuro che Eleonora ci sa fare.

Thunf! E’ un colpo, una botta che non so descrivervi compiutamente. Le immagini più oscene mi si affastellano in mente: la dolce Eleonora con il pancione e le tette rese enormi dalla gravidanza che gli succhia quel cazzo altrettanto enorme inginocchiata tra le sue gambe; lui e un suo amico che mi passano le mani ovunque e mi baciano ovunque prima di stuprarmi senza ritegno possedendo tutto di me; soldi lasciati sul comodino di una stanza d’albergo dove una ragazzina magra, bionda e dalle gambe lunghe giace bocconi su un letto, disfatta, lurida di sperma, con la fica sfondata e la bocca dalle quali scendono rivoli biancasti, con un plug che le tappa il culo. Penso di essere vicina al delirio, di essere lì lì per implorarlo di scoparmi, come poco prima sulla Promenade. Davanti a tutti. L’idea che il Capo abbia appena dato a uno sconosciuto una rappresentazione di me così inventata, ma allo stesso tempo così plausibile, mi infiamma. Ormai il mio ventre pulsa senza sosta e i miei liquidi stanno sicuramente bagnando, oltre alle mie cosce, anche il vestito e il tessuto del divanetto. I miei capezzoli implorano di essere morsi, tirati, strappati. Ho le tette dure come pietre. E si vede benissimo. Sono così stravolta che, quando il Capo torna a parlarmi, non intercetto nemmeno una parola.

- Come? – domando con la voce stordita.

- Ho detto alzati in piedi.

- Perché?

- Mi ha chiesto se può vederti il culo e io gli ho dato il permesso. Gli ho detto anche, prima, che hai un culo stupendo e che sei nuda sotto il vestito. E anche queste sono due verità inconfutabili.

- Ma Capo, qui? C’è gente! – protesto indicando una coppia dall’altra parte del locale, proprio di fronte a noi.

- Non stanno certo a guardare noi, quei due.

- No... – piagnucolo.

- Alzati – mi intima con un tono gentile, ma fermo.

Mi alzo praticamente in slow motion e per la prima volta mi volto verso il francese. In questo momento ha una faccia che dire da porco significa offendere un pedofilo. Sento che mi solleva la gonna del vestito e al tempo stesso caccia un “ooolalà!” che non so se sia riferito alla perfezione del mio sedere o al plug incastonato tra le mie chiappe, ma che certo è così sonoro da richiamare l’attenzione della coppia seduta a non più di cinque-sei metri da noi. L’uomo e la donna mi guardano, sono praticamente certa che lo stronzo abbia sollevato troppo la gonna e che gli abbia offerto anche una panoramica della mia fica, oltre alla scena di un uomo adulto e laido che sbircia sotto la gonna di una ragazzina. Vorrei sprofondare. Sul viso di lui si disegna lo stupore, su quello di lei il disprezzo. Le mani di questo viscido che mi accarezzano il sedere mi ripugnano, ma al tempo stesso non riesco a staccarmene. Vorrei che fossero le mani del Capo ad accarezzarmi, che fossero sempre le sue mani a sculacciarmi con violenza, per punirmi del fatto di essere così troia.

Per fortuna riesco a sedermi prima che arrivi il cameriere con le portate. Maledico il plug che in questo momento mi sta facendo passare le pene dell’inferno. Il mio piatto, tra l’altro, sarebbe buonissimo, se la fame non mi fosse passata. Ho lo stomaco chiuso. Il Capo se ne accorge e mi dice di mangiare. Io pilucco, smetto, lui mi dice ancora una volta di mangiare. Gli chiedo di versarmi del vino e mentre lo fa mi canzona dicendo che me lo sono praticamente scolato tutto io. Ha ragione, ma ancora non mi gira la testa.

Il francese dice qualcosa con la bocca piena, qualcosa che a lui deve sembrare buffa, visto che la accompagna con una specie di risolino. Il Capo gli risponde e poi continua a mangiare. Gli rivolgo una domanda muta, con gli occhi, mentre cerco di portare qualcosa alla bocca pure io.

- Ha detto che sei un concentrato di perversione, se ho capito bene. Che sembri timida e sempre sull’orlo di arrossire e di scoppiare a piangere. Che hai un aspetto innocente e quasi infantile, che gli sembri una ragazzina. Ma che dentro sei una depravata, più troia di una puttana di trent’anni. Non so perché trent’anni, evidentemente frequenta puttane di quell’età, che ti devo dire. E’ rimasto impressionato dal plug, mi sa.

- E tu? Che gli hai risposto? Ho capito solo “sexy shop”.

- Ma no, nulla. Gli ho detto che te l’ho preso appunto in un sexy shop qui a Nizza e che per te serve ormai una misura media. In realtà volevo prenderti la misura più piccola, ma non ce l’avevano...

Per la prima volta, credo, ho il coraggio di guardarlo con aria di sfida, ma forse sarebbe meglio dire con l’aria un po’ incazzata, ripensando al dolore provato quando me l’ha spinto dentro e a quanto mi tira tutt’ora la carne.

- Media, eh?

- Media. Mangia.

Mangio, o almeno ci provo. Sono decisamente meno arrapata di poco fa, ma ho comunque sempre le orecchie all'ascolto di quello che si dicono i due, anche se nei loro discorsi non ci capisco un cazzo.

- Che ha detto? – domando.

- Mi ha chiesto quanto costi – risponde il Capo.

Infatti. Avevo l’impressione di avere sentito una parola che somiglia molto a “cinquemila” e lui me la conferma. Il fatto di avere un cartellino del prezzo attaccato sulla fica mi fa impazzire di nuovo.

- Gli ho detto che costi duemila a notte, ma che poiché ti ho presa per due notti e tre giorni mi hanno fatto un forfait di cinquemila e cinquecento, viaggio escluso.

- Costano così le mignotte?

- Che cazzo ne so? Ti sembro il tipo che va a mignotte? Ho sentito qualche racconto, nulla di più. Comunque duemila euro a notte è tanto, credo. Gli ho detto che da noi solo quelle più raffinate e al tempo stesso, perverse, prendono tanto. Ma sto improvvisando.

Sorrido e penso che sta improvvisando come io ho improvvisato con Mario, il ragazzo al quale ho succhiato il cazzo questo pomeriggio. Cazzo, è vero, sembra un secolo fa e invece era solo questo pomeriggio che mi infilava le dita in tutti i buchi... E duemila euro a notte è la stessa cifra che gli ho detto io... Questo sì che significa essere una coppia affiatata.

Continuiamo a mangiare, finiamo le nostre portate e anche la seconda bottiglia di vino. Per me va un po’ meglio, sta ratatouille con il pesce era una cosa fantastica. Li ascolto dialogare per cazzi loro mentre ci portano il dolce, ma finché il Capo non traduce significa che non stanno parlando di me. Ormai questo l’ho imparato.

E invece no, nemmeno per il cazzo.

- Allarga le cosce – mi dice il Capo.

- Eh?

- Ha insistito per toccarti la fica, alla fine gli ho detto sì.

- Capo, nooo! – piagnucolo ancora una volta appallottolando il tovagliolo che tenevo sulle ginocchia e quasi sbattendolo sul tavolo, come se stessi facendo i capricci. Una vera idiota, se ci penso. Non era per nulla la mia intenzione, ma così facendo sembra che gli abbia dato semaforo verde.

- Non fare storie, ragazzina.

- Capo, ti scongiuro... – non solo piagnucolo, ho proprio le lacrime agli occhi – mi fa schifo, questo tipo mi fa schifo...

- Ascolta, gli ho detto che ti può toccare per qualche secondo, ma non ti può violare, ok? – la sua voce è calma, sicura, ma il suo tono è fermo - Però ricordati che sei una puttana, non puoi fare tanto la schizzinosa. E a parte il nostro gioco, renditi conto che una troia lo sei per davvero, sei nata per questo. Con tutta la tua buona educazione e il tuo brillante curriculum di studi.

Apro le gambe e chiudo gli occhi quasi sotto shock per le sue parole. Tremo, sì adesso tremo. Come prima, sento la mano del francese che scivola sulla coscia ma stavolta non si ferma, raggiunge il mio scrigno. Avverto distintamente le sue dita slittare sulla mia fessura, sento i due che confabulano mentre sono scossa dai brividi e dalle contrazioni, mentre le tette e i capezzoli riprendono a indurirsi. E’ tutto tranne che eccitante, il suo tocco. La mia eccitazione deriva dal fatto che, in questo momento, il Capo mi sta osservando. E’ come se mi avesse ceduta a un altro ma, vedete, si può cedere solo qualcosa che si possiede. E la consapevolezza che il Capo mi possieda mi fa squagliare. Sono contorta, sono matta, sono da ricovero immediato, lo so, ve l’ho detto tante e tante di quelle volte, ormai, che non è nemmeno più una notizia.

- Gli ho detto che mi hai fatto un pompino, prima di venire qui. E che nonostante ce l’abbia molto grosso sei riuscita a ingoiarlo tutto.

- Penserà che sei il solito tipo che si vanta – ansimo. Non so perché ci tenga tanto a dirglielo ma nonostante tutto ci riesco.

- E chi se ne frega di quello che pensa. Adesso rilassati, immagina che al posto del dito di questo maiale ci sia il mio cazzo che ti accarezza la fica, pronto per entrare... come una tortura... io che ti spennello con il cazzo e tu che dentro di te non aspetti altro che di essere chiavata con forza...

Quello che rivedo nei miei occhi e nei miei sensi, in realtà, è il ricordo frusciante del suo bastone sulle mie labbra prima di infilarsi dentro, la sua voce che sussurra “non gridare”. A casa sua, nello stanzino.

- Capo... Capo così mi fai impazzire... fallo smettere, per pietà... abbi pietà della tua puttana...

Ed è vero, sto impazzendo. Ho bisogno della sua pietà e della sua nerchia. Adesso. Ancora una volta le contrazioni mi devastano, ancora una volta il plug viene avvolto dal mio intestino come in una morsa. Ho una voglia pazza di tornare in albergo.

All’improvviso però tutto cambia, almeno nel mio corpo e nella mia mente. Il dito dell’uomo si avvicina proprio all’ingresso e indugia, si irrigidisce, è un attimo. Mi penetra, mi penetra fino a che può penetrarmi, di colpo.

Resto senza fiato, paralizzata per un istante. Bocca e occhi spalancati. Cerco lo sguardo del Capo e anche se ho la vista annebbiata scorgo il suo sorrisetto ironico. La sua voce fa “ops...”. Subito dopo il francese ritrae un po’ il dito, lo uncina e riaffonda.

Mi irrigidisco senza controllo, scatto con la testa all’indietro che è già un miracolo che non me la sfasci contro il muro, serro gli occhi, mi mordo le labbra e, contemporaneamente, sbatto i pugni sul tavolo. Rumore di piatti, forchette e coltelli che saltano. Un rumore assordante, sicuramente ha fatto voltare qualcuno ma io non lo so, perché tengo gli occhi strizzati. Il porco ha un dito cicciotto che mi allarga, lo sento tutto dentro il mio brodo, dentro la mia carne. Ho un orgasmo fulmineo. Non so quale mano santa mi tappi la bocca e mi impedisca di urlare, anche se il mio gemito deve bene essersi sentito. Ma non c'è nessuna mano santa, purtroppo, che possa impedirmi di ricominciare a tremare come una foglia. Lo stronzo tira fuori il dito e ce lo mostra mentre riapro gli occhi. Devo avere un'espressione sconvolta. E' completamente ricoperto dalla mia patina vischiosa, un filamento lo unisce al dito accanto. Non riesco a dominare il tremolio del mento, non ci riesco proprio. Il cameriere ci guarda con disapprovazione, la donna di prima guarda me con disgusto e, forse, anche un po' di pena. Ma sinceramente in questo momento non me ne potrebbe fregare di meno, così come non me ne frega di meno delle parole che i due si scambiano e che il Capo mi traduce.

- Dice che sei molto stretta, che sembri una ragazzina che non ne ha visti molti, secondo me tra un po’ si sborra nei pantaloni. Io comunque gli ho ripetuto che non lo fai da tanto, che sei giovane, forse è questione di elasticità dei tessuti o forse la tua natura è proprio questa, boh... Comunque, se ti interessa, dice anche che ce l’hai molto profonda... non è che per caso gli vuoi succhiare quel dito? Come un pompino...

- Capo, andiamo via - sussurro quando torno a essere capace di parlare. Non me ne frega un cazzo delle dissertazioni sulla mia fica, almeno adesso.

- Non ora – risponde – anzi devo andare a fare una telefonata.

Detto questo, alzandosi chiede scusa e esce dal ristorante. Io resto da sola con questo porco accanto che mangia e sorride. E che ogni tanto torna a prendere possesso della mia coscia. Questo il cameriere non lo può vedere. Ma poiché un’idea della situazione se la sarà fatta e poiché ha visto il Capo alzarsi ed uscire, segue con attenzione l’evolversi delle cose. Resto tutto il tempo come paralizzata, con questo stronzo che mi dice cose che non capisco (tranne “salope”, che infila sempre alla fine di ogni frase come un intercalare e di cui ormai ho capito il significato) e che ogni tanto passa con la mano dalla coscia alle mie natiche. I cinque minuti più lunghi della storia dell’umanità.

Quando il Capo fa ritorno si rimette a parlare con il francese come se nulla fosse. Stavolta nemmeno li ascolto, mi gira tutto e mi sa che anche il vino comincia a fare effetto.

- Ha detto che è disposto a darmi quattromila euro se ti lascio a lui per questa notte... Certo, sarebbe un affare... - mi dice ad un tratto. Ho i sudori freddi, il panico. Non riesco nemmeno a dire "no". Il Capo mi guarda come se attendesse una mia risposta.

- Capo... - gli faccio con la voce ormai rotta dal pianto - stai scherzando, vero? Mi stai prendendo per il culo?

- Non ancora - replica lui con il tono di chi sta facendo una trattativa commerciale - ma comunque gli ho detto che non è possibile, che la tua è una agenzia molto seria e che queste cose non le accettano con le proprie ragazze.

Ci ritroviamo fuori dal locale ad aspettare il taxi che sono ancora in iperventilazione per il sollievo.

- Allora – mi chiede dopo avere dato all’autista l’indicazione dell’albergo – com’è fare la puttana?

- Ma dove l’hai trovato quello, nelle patatine? – domando a mia volta.

- Non parlerei di patatine se fossi in te, troietta – dice allungando improvvisamente la mano tra le mie cosce.

Fremo e riesco per qualche secondo a dominarmi, visto che siamo nel taxi. Do per scontato che senta la mia voglia, come fa a non sentirla? E’ da quando siamo saliti in macchina che si è messa a piangere, la mia voglia.

- Comunque quello è un poveraccio... l’ho conosciuto al convegno, dove sennò? Rompeva il cazzo a tutte quelle poverette di hostess. Completamente scemo, tra l’altro..

- Ed era proprio necessario invitarlo a cena? – domando.

- Beh volevo vedere come ti saresti comportata con uno così. Anche se, lo ammetto, è andato sin troppo oltre... Tu però sei stata bravissima, pensavo saresti scoppiata a piangere dopo cinque minuti.

- Non mi conosci – gli rispondo con una punta di acidità.

- Certo per quattromila euro potevi anche andare con lui... – mi provoca.

- Ma nemmeno quattro milioni!

- Ma va’, va’! – ribatte mettendomi la mano sulla coscia e cominciando a salire – gli facevi un pompino e lo mettevi a nanna.

Mi accorgo di avere quasi istintivamente aperto le gambe per offrirmi alla sua mano, allo stesso tempo ho paura di quello che potrà fare. Non qui, ti prego, non nel taxi.

Questo è ciò che penso e che razionalmente dovrei fare. Nello svolgimento reale dei fatti, invece, lo provoco.

- Lo vorrei fare a te il pompino, adesso. Vorrei succhiartelo e fartelo diventare duro. E poi chiederti di sbattermi. Qui o appena scesi.

Il Capo non raccoglie. E devo dire per fortuna, visto che sarei anche stata capace di farlo. Mi chiede invece cosa ho pensato della balla che ha raccontato al porco quando gli ha detto di avermi scopata insieme a un amico suo.

- Come cazzo ti è venuto in mente – domando – l’hai mai fatto?

- Io no, e tu?

- No, nemmeno.

- Ti piacerebbe?

- Non lo so – rispondo – ci ho pensato guardando i video, ma non lo so. Il threesome... forse, se ci fossi tu...

- Ahahahahah che troia... e se ci fosse un’altra donna, invece?

- ... mmmm... beh lì ci sono andata più vicina, una volta.

- Ti piacciono anche le ragazze?

- Non saprei, davvero. Dovrei proprio sentire qualcosa... La prima volta che ho provato un’attrazione per una ragazza è stato con una mia amica, ma avremo avuto quindici-sedici anni. Ho avuto un impulso irresistibile di baciarla, ma poi non l’ho fatto...

- Tutto qui? Sono un po’ deluso... – commenta ironicamente.

- No, ok. Qualche tempo fa, una mia amica, una mia ex amica, una stronza, mi ha leccato la fica. E io a lei. Non è male, eh? Certo, sostanzialmente penso che sia meglio succhiare cazzi. Comunque lei leccava da Dio.

- Dimmi quanto hai voglia di farti leccare la fica adesso, confessamelo – mi sussurra all’orecchio rimettendomi la mano sulla coscia. E’ calda, vorrei che salisse più su. No, anzi, vorrei che si fermasse... Cazzo, non lo so nemmeno io cosa voglio... Un dito torna a giocare con le mie grandi labbra e mi fa trasalire. Il respiro mi si fa più pesante.

Lo afferro per il polso cercando di allontanarlo. Ho paura di mettermi a mugolare e a guaire senza controllo, come una sedicenne sditalinata. Lui capisce, credo, e non avanza oltre. Ma non toglie il dito. Appoggio il palmo della mano sul finestrino, l'altra la allungo sul suo pacco. Sotto la stoffa leggera dei pantaloni si sente benissimo. E' morbido, ma nonostante questo non riesco ad afferrarlo tutto. Lui mi guarda interrogativo, ricambio lo sguardo ma non gli rispondo. I miei occhi devono essere lucidi come quando ho la febbre, scrollo la testa. Non so se riuscirei a spiegargli che lo penso duro come questo vetro che sto toccando, ma più caldo. Caldo come quello che sento tra le gambe. E duro per me, tutto mio.

Arriviamo in albergo che sono in preda alle mie pulsazioni. Scendo con molta fatica, il plug mi tira e mi fa contrarre. Il Capo paga e lancia un “bonne nuit” al tassista. Quello ringrazia, in francese, poi mi guarda.

- Buonanotte signori, buonanotte signorina.

Resto come una cogliona con la mia crossbody in mano a guardare che si allontana nella notte. Alle mie spalle il Capo sta sghignazzando.

- Sì, qui un sacco di gente parla l’italiano.


CONTINUA
di
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2019-10-19
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