Le cinque sorelle Magnacervo

Scritto da , il 2017-08-31, genere comici

Si parlava di politica e il discorso cadde su un noto leader che stava cercando di rifarsi una verginità dopo trascorsi poco felici. Allora Alberto se ne venne fuori con questa battuta ermetica:"E' innocente come le sorelle Magnacervo." Ci guardammo stupiti e prima che potessimo fare un commento lui aggiunse:"Da bambino sentivo spesso questa frase nel paese di mia madre, sta a indicare uno che ha scheletri nell'armadio. Si diceva poi un'altra battuta, un altro proverbio, se volete: ha fatto la fine dell'ultima sorella Magnacervo, per indicare uno che alla fine paga per tutti, resta con il cerino in mano."
"Molto interessante" commentai acido, "se poi ti prendi il disturbo di spiegarci chi erano queste sorelle Magnagatto, te ne saremo grati."
"Magnacervo, si chiamavano Magnacervo. Vi racconto volentieri la storia così come si è tramandata. Da bambino chiedevo agli adulti chi erano quelle sorelle e che significavano quelle frasi ma nessuno mi rispondeva. Ho dovuto diventare grande per impararlo e mi sono messo a fare ricerche per capire se si trattava di qualcosa veramente accaduto o di una semplice tradizione. Penso che anche in questo caso verità e leggenda si mescolino e come sempre prevale la leggenda. Tuttavia in quel paese è esistita davvero una famiglia con quel nome. Alla fine del '600 Giovan Battista Magnacervo era l'uomo più ricco e influente del paese. Il titolo di cavaliere di cui si fregiava indicava che apparteneva alla piccola nobiltà terriera di quei posti. A quell'epoca, più che nella nostra, la fortuna di pochi dominava sulla sfortuna di molti. Don Giovan Battista Magnacervo apparteneva alla schiera dei pochi, eppure il cielo, così benigno con lui, non gli risparmiò un'amarezza: sua moglie donna Lucrezia non riuscì a dargli un figlio maschio. Nacquero una dopo l'altra sette bambine di cui due ebbero il buon senso di non superare i primi anni; rimasero le altre cinque, il che significava cinque doti da assegnare per fargli trovare marito e se qualcuna avesse preso la via del convento non sarebbe stato un gran risparmio visto che anche le novizie andavano generosamente dotate per poter entrare nei conventi più prestigiosi, quelli delle monache di nobile famiglia. Così il cavalier Giovan Battista si ritrovò nella necessità di maritare le sue pulzelle. La primogenita si chiamava Isabella e già si avvicinava ai vent'anni che allora erano un'età certo non bassa per sposarsi. Il pretendente fu trovato in un certo Filippo Moscato, figlio di un tale Scipione, denominato patrizio nei libri dell'epoca. Un altro piccolo nobile, insomma. Le nozze furono dunque preparate, i due promessi erano giovani e belli e dagli sguardi languidi che si scambiavano durante il casto fidanzamento si poteva pensare che una volta tanto un matrimonio combinato dai padri non andava contro il volere dei figli. Il giorno delle nozze era dunque vicino ma la promessa sposa si intristì, fino a diventare cupa. Le sollecite cure materne di donna Lucrezia non furono insensibili a questo mutamento, per cui un giorno la madre affrontò la figlia e le chiese cosa le stesse succedendo.
La ragazza si gettò fra le braccia della madre e scoppiò in lacrime.
"Ma che hai dunque? Non sei più contenta di sposarti?"
Dopo una serie infinita di sospiri, lacrime, singhiozzi, Isabella sussurrò l'amara verità.
"Mamma, uccidetemi se volete, io non sono più...come voi mi avete fatta."
"Sciagurata, che dici?" Se a donna Lucrezia avessero sbattuto una pietra sulla testa avrebbe provato meno dolore. Poi una speranza si fece timidamente avanti.
"Dunque, tu e Filippo...avete anticipato il banchetto di nozze? Non è bene ma in fondo siete promessi, c'è già il rimedio..." Purtroppo non era stato Filippo a prendersi un anticipo su quanto gli sarebbe spettato di diritto. La storia di Isabella fu questa. Qualche settimana prima lei e sua sorella Anna Chiara erano state mandate a trovare una vecchia zia del padre che bisognava tenersi buona perché una volta morta, e mancava poco, sarebbe scoppiata la guerra di successione ereditaria. Lei e la sorella dormivano nella stessa stanza quando, in piena notte, si svegliò di soprassalto: una mano le tappò la bocca mentre qualcosa le entrò nel ventre provocandole un fortissimo dolore. Qualcuno della casa di sua zia l'aveva violata!"
"Bum! E la madre credette a questa bufala?"
"Crederci o non crederci a quel punto non faceva molta differenza. Che l'assalitore notturno si fosse introdotto scardinando la porta o trovandola già aperta, il risultato era che Isabella si sarebbe presentata al suo sposo non più vergine e a quell'epoca le conseguenze erano il ripudio, lo scandalo, la vergogna, per non parlare della reazione di papà Giovan Battista. Nella casa della vecchia zia vi erano fattori, servi, paggi, lontani parenti; se le cose erano andate come raccontato da Isabella, trovare il responsabile era impossibile; se lei invece sapeva bene chi era stato, cosa cambiava? Punirlo avrebbe significato trascinare per prima la ragazza nel fango. Donna Lucrezia trascorse notti angosciose e insonni ma alla fine trovò il rimedio."
"Intendi dire che salvò la reputazione della figlia?"
"E l'onore della famiglia, sì. Venne il giorno delle nozze, ci fu la solenne cerimonia in chiesa presieduta da un vescovo, ci fu il grande banchetto che durò fino a notte inoltrata, ci fu la prima notte di nozze. E la mattina dopo donna Lucrezia mostrava orgogliosa al parentame le lenzuola macchiate del sangue della vergine, come si usava da quelle parti."
"Naturalmente era sangue di animale che con un trucco avevano sparso su..."
"No, era vero sangue di vergine. Filippo Moscato quella notte giacque con una fanciulla che mai aveva conosciuto uomo."
"E come fu possibile questo miracolo?"
"Innanzitutto diciamo dove gli sposi trascorsero la luna di miele: in una casina di campagna di proprietà dei Magnacervo, isolata e tranquilla, dove furono accompagnati dalle rispettive madri il cui compito, in particolare per donna Lucrezia, era di preparare la giovane moglie alla conoscenza dei misteri della vita coniugale di cui si supponeva fosse del tutto ignara. La stanza era sontuosamente addobbata per accogliere i primi amplessi e Filippo non resisteva ormai più alla passione. Ma prima che potesse iniziare a sfogare il giovanile ardore, Isabella, con la voce più verginale e pudica di questo mondo lo pregò di spegnere tutte le luci. La richiesta smorzò non poco l'entusiasmo virile del giovane.
"Isabella, dolce sposa, da mesi sogno il tuo corpo e tu vuoi privarmi della sua vista?"
"Filippo, mio primo e unico signore, te ne prego solo per questa notte: troppa è la vergogna che provo ma certo da domani sarò più avvezza a compiere i doveri che ho assunto sposandoti e con il passar dei giorni e la crescita dell'intimità non proverò più vergogna di mostrarti queste povere membra."
"Ma come parlavano questi?"
"Sto romanzando un pò, ma il senso dei loro discorsi era questo. Bè, Filippo che poteva fare? Spense tutte le luci, su richiesta della sposa controllò che la porta della camera fosse ben sprangata, controllò che lo fossero anche le finestre e infine potè entrare nel talamo. Il nostro giovane, al contrario della moglie, bè...non esattamente, insomma, non era nuovo a incontri intimi, come ben sapevano le contadine dei dintorni, diverse delle quali da lui ingravidate. Questo per dire che non era un ingenuo sprovveduto e a un certo punto si accorse chiaramente che sotto il suo impeto un imene si era spezzato tra i gemiti della non più vergine e sentì il fiotto di sangue caldo che inondava il suo membro..."
"Ci vuoi spiegare quale fu il trucco?"
"Il trucco fu questo: mentre lui girava per la vasta stanza a chiudere porta e finestre con i lumi già spenti, nel buio assoluto Isabella si dileguò per una porticina segreta e il suo posto fu preso dalla sorella Anna Chiara. Insomma, il buon Filippo trascorse la sua prima notte di nozze con la cognata."
"Possibile? E il babbeo non si accorse di niente?"
"Le cinque sorelle si somigliavano tantissimo, sembravano fatte con lo stampino. Stessa altezza, stessa corporatura, stessa capigliatura, stesso tono di voce. Di giorno era facile distinguerle ma di notte, nel buio assoluto, per accorgersi dello scambio ci voleva una familiarità con la propria compagna che Filippo ancora non aveva. Durante la notte, mentre lui dormiva, Isabella rioccupò il suo posto, dopo avere indossato la camicia della sorella, macchiata di sangue. Le notti successive potè recitare senza più timori il ruolo di sposa obbediente ai doveri coniugali e scommetto che il buon Filippo fu accontentato nella sua speranza di godere della vista del giovane corpo datogli in usufrutto."
"Così donna Lucrezia salvò la figlia primogenita sacrificando la seconda. Immagino che la povera Anna Chiara non fu mai data in sposa a nessuno..."
"Perché? Un anno dopo venne il suo turno e andò sposa anche lei a un giovane appassionato, condotto a trascorrere la prima notte nello stesso casino di campagna e nella stessa stanza con la porticina segreta."
"E stavolta fu la terzogenita a sacrificarsi, scommetto."
"E stavolta vinci la scommessa perché Giovanna, la terza Magnacervo, si sacrificò per Anna Chiara come questa aveva fatto per Isabella."
"E vinco un'altra scommessa se dico che un anno dopo, più o meno, Giovanna si sposò e fu salvata dalla quarta sorella che si chiamava...come?"
"Vittoria. Ormai quella della prima notte nel casino di campagna era diventata una tradizione fortunata, visto che già le prime sorelle avevano dato figli ai loro mariti."
"Poi Vittoria immagino che fu salvata dall'ultima sorella..."
"Clarice. Per la quarta volta la porticina segreta fece il suo dovere."
"Già, e capisco anche il senso del secondo proverbio che hai detto all'inizio, fare la fine dell'ultima sorella Magnacervo. A quel punto non c'erano più sorelle minori da sverginare."
"Infatti. Clarice fu mandata in convento, dove nessuno esaminò lo stato del suo imene."
"Poveraccia."
"Io invece credo che fu la più fortunata, immagino un finale diverso per questa storia o leggenda, se vuoi. Allora essere moglie significava per le donne affrontare un numero infinito di gravidanze e molte morivano di parto, e poi essere sottomesse non solo al marito ma anche alla sua famiglia, alla suocera, alle parenti nubili. Una vita di merda, diciamolo. Si stava molto meglio in convento, anche perché, come ci hanno mostrato grandi scrittori come Manzoni, Stendhal, Diderot e tanti altri, lì potevano accadere tante cose incredibili e imprevedibili. Insomma, mi piace pensare che mentre le sorelle sfornavano figli agli insaziabili mariti e il loro corpo rapidamente si deformava e invecchiava precocemente, la piccola Clarice si divertiva in convento, lontana dai problemi che opprimevano le altre. E forse, alla fine, furono le sorelle a sacrificarsi e lei a godere."

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