Sotto le armi
di
IL MICROBO
genere
dominazione
SOTTO LE ARMI
Quei tre mi davano tanto cazzo spinto così bene e così in profondità da farmi ululare come una cagna. Al momento di partire mi hanno portato via per offrirmi al GENERALE del loro reggimento che era un gay in incognito. Sono diventato il suo attendente e amante segreto. Aveva la fissa per la manutenzione degli stivali sui quali dovevo sudare fino allo sfinimento prima che lui mi dicesse se approvava il mio lavoro e se avevo ben meritato la sua clava in fondoschiena. Sembrava che mi facesse una concessione degnandosi di svuotarmi addosso le palle, una volta a pompa e una volta a retro innesto a seconda di come gli girava, lasciandomi in dono una impressionante alluvione di seme di cui dovevo mostrarmi compiaciuto. In pubblico era un omofobo castiga froci. In privato invece un rompiculo. Se una recluta era in sospetto di omosessualità la teneva a braghe calate sul piazzale della caserma di fronte alla truppa in adunata, nel vano tentativo di raddrizzargli la libido. Poi la faceva condurre in prova nel suo alloggio, sotto sforzo come prendi minchia. I più carini e accomodanti erano esonerati dal servizio attivo e da deleteri passivi diventavano suoi diretti sottoposti per scaldargli il letto a svesti mutanda. A fine leva se non decidevano la ferma venivano congedati con nota di infamia come schifosi invertiti senza tempra e virilità, e andavano ad ingrossare le fila degli smidollati di professione, femmine mancate, in fama e fame di uccelli, destinati a far vita da checche. Non pochi disadattati a campare da civili supplicavano il rientro nei ranghi e venivano destinati come tuttofare alla mensa ufficiali, a disposizione dei graduati bisex, con facoltà di utilizzo per il verso giusto. Raramente tornavano ad essere reclamati dal comandante per un ritorno di fiamma sul suo fucile mozzafiato. Tra alti e bassi dopo qualche anno di sempre meno onorata carriera finivano come inservienti nella latrina della marmaglia per prodigarsi da cannivori e lustra cappelle o come buchi di ripiego impuntati sul passepartout di qualche tanghero che avesse perso la fidanzata.
Quei tre mi davano tanto cazzo spinto così bene e così in profondità da farmi ululare come una cagna. Al momento di partire mi hanno portato via per offrirmi al GENERALE del loro reggimento che era un gay in incognito. Sono diventato il suo attendente e amante segreto. Aveva la fissa per la manutenzione degli stivali sui quali dovevo sudare fino allo sfinimento prima che lui mi dicesse se approvava il mio lavoro e se avevo ben meritato la sua clava in fondoschiena. Sembrava che mi facesse una concessione degnandosi di svuotarmi addosso le palle, una volta a pompa e una volta a retro innesto a seconda di come gli girava, lasciandomi in dono una impressionante alluvione di seme di cui dovevo mostrarmi compiaciuto. In pubblico era un omofobo castiga froci. In privato invece un rompiculo. Se una recluta era in sospetto di omosessualità la teneva a braghe calate sul piazzale della caserma di fronte alla truppa in adunata, nel vano tentativo di raddrizzargli la libido. Poi la faceva condurre in prova nel suo alloggio, sotto sforzo come prendi minchia. I più carini e accomodanti erano esonerati dal servizio attivo e da deleteri passivi diventavano suoi diretti sottoposti per scaldargli il letto a svesti mutanda. A fine leva se non decidevano la ferma venivano congedati con nota di infamia come schifosi invertiti senza tempra e virilità, e andavano ad ingrossare le fila degli smidollati di professione, femmine mancate, in fama e fame di uccelli, destinati a far vita da checche. Non pochi disadattati a campare da civili supplicavano il rientro nei ranghi e venivano destinati come tuttofare alla mensa ufficiali, a disposizione dei graduati bisex, con facoltà di utilizzo per il verso giusto. Raramente tornavano ad essere reclamati dal comandante per un ritorno di fiamma sul suo fucile mozzafiato. Tra alti e bassi dopo qualche anno di sempre meno onorata carriera finivano come inservienti nella latrina della marmaglia per prodigarsi da cannivori e lustra cappelle o come buchi di ripiego impuntati sul passepartout di qualche tanghero che avesse perso la fidanzata.
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