Nuda e calda...Patrizia, protagonista nel locale di lap dance
di
PATTY La monella di Torino
genere
esibizionismo
NUDA E CALDA...PATRIZIA, PROTAGONISTA NEL LOCALE DI LAP DANCE
Ricevo e pubblico qui per la prima volta il bellissimo ritratto di me come “spogliarellista”
In un locale di periferia…di quelli che conoscono solo gli affezionati del genere!
Scritto da un mio ammiratore che molti di voi, sono certa, sapranno riconoscere…
Seduta di fronte al grande specchio illuminato da luci bianche disposte come una cornice teatrale, Patrizia occupa con naturale maestosità il centro della scena. Il tavolo da trucco è costellato di rossetti, pennelli, ciglia finte e piccole boccette scintillanti. Il riflesso le restituisce l’immagine di una donna consapevole del proprio fascino maturo, audace e vissuto, curato con metodo e ostentato con orgoglio.
Il viso, incorniciato da lunghi capelli fluenti color castano con caldi riflessi ramati, è una tela che lei stessa plasma ogni giorno con sapienza. Le labbra, carnose e prominenti, sono appena state delineate con una matita scura e ora accolgono uno strato abbondante di rossetto lucido color bordeaux profondo, quasi vinaccia, con una finitura brillante che riflette la luce. Il contrasto è potente, drammatico, sensuale.
Gli occhi, grandi e di un marrone profondo, sono sottolineati da un trucco pesante: ombre scure sfumate fino alle sopracciglia sottili e arcuate, eyeliner spesso che si prolunga in una linea netta verso le tempie, e ciglia finte lunghissime, incurvate verso l’alto. Il mascara le ha rese nerissime, dando profondità magnetica allo sguardo. Il fard è abbondante e ben sfumato sulle gote tonde, sollevate in un accenno di sorriso soddisfatto. Il contouring scolpisce zigomi e naso con precisione quasi professionale.
Il corpo è avvolto in un outfit provocante e studiato per esaltarne ogni curva. La minigonna in latex nero lucido è così corta da sembrare più un cinturino che un capo d’abbigliamento: si arrampica appena sotto i glutei tondi e ancora sodi, lasciando che il bordo delle autoreggenti bianche a rete larga sia ben visibile, con l’elastico che si tende in alto lungo la coscia. Le calze disegnano una trama lasciva sulle gambe lunghe e tornite, toniche ma ammorbidite dalla maturità. Ai piedi, un paio di stivali in lattice nero lucido salgono aderenti appena oltre il ginocchio, lasciando scoperta e perfettamente valorizzata la parte superiore delle calze. Il tacco a spillo, altissimo, raggiunge i dodici centimetri: vertiginoso, femminile, dichiaratamente aggressivo.
La parte superiore del corpo è vestita solo da un reggiseno da bikini in tessuto rosso lucido, quasi vinilico, che riflette la luce come la pelle di un’auto sportiva. Le coppe, piccole rispetto al seno abbondante, spingono in alto il décolleté prorompente, lasciando intravedere senza pudore i capezzoli turgidi sotto il tessuto. La tensione del materiale mette in evidenza la forma e la consistenza di quel seno rifatto con cura, rotondo, alto e orgoglioso come il resto del suo corpo.
Mentre il gloss stende l’ultima patina di lussuria sulle labbra di Patrizia, il brusio ovattato che filtra dal muro sottile alle sue spalle sembra farsi più insistente. Si sente il battere sordo di qualche scarpa, un colpo secco su un tavolo, un fischio rauco. Dall’altra parte del corridoio, oltre quella porta scrostata, c’è il retro di un night club che trasuda fumo, birra calda e testosterone da due lire. Un locale di quelli che non compaiono sulle mappe, ma che i buzzurri della zona conoscono fin troppo bene.
Patrizia sa dove si trova. E sa cosa sta per fare.
Per la prima volta nella sua vita sarà al centro del palco, sola, con il suo corpo come unica arma, davanti a un pubblico pagante. Non professionisti, non intenditori. No. Quelli seduti oltre il sipario sono uomini rudi, al limite dell’indecenza, abituati a sbavare davanti ai video scadenti sul telefono e a lanciare battute da caserma tra una birra e l’altra. Alcuni hanno la pancia che sborda dalla cintura, altri mani callose pronte a battere sul tavolo appena lei farà anche solo il gesto di piegarsi in avanti. Eppure… è per loro che stasera si è vestita così. O meglio: si è spogliata così.
La chiamata era arrivata solo il giorno prima. Una voce roca, femminile ma impastata dall’alcol e dalle sigarette: "Ho visto le tue foto… sei un tipo di donna che qui piace. Serve una come te. Spregiudicata. Tosta. Vera. Pagano bene." Nessun nome, solo un indirizzo, un orario, e la promessa di un camerino tutto per sé.
Patrizia non ha esitato. Non per bisogno, ma per scelta. Per orgoglio. Per dimostrare — a se stessa, prima che agli altri — che a cinquant’anni compiuti e vissuti, con il corpo che la vita le ha donato e che la chirurgia le ha aiutato a modellare, può ancora essere desiderata, idolatrata, posseduta con lo sguardo. Che può accendere qualcosa, anche nei peggiori bifolchi. Anche — e soprattutto — in chi pensa che una donna come lei debba starsene in silenzio, coperta, fuori scena.
Si alza lentamente dalla sedia, il cuoio del sedile cigola sotto di lei. Gli stivali scricchiolano appena mentre prende posizione davanti allo specchio per l’ultima occhiata. Il riflesso che le restituisce la luce è quello di una regina decadente e sensuale, pronta a danzare non per l’arte, ma per il piacere del potere che emana.
Si liscia un’ultima volta la gonna — o meglio, quella striscia di lattice che ancora la separa dalla nudità più spudorata — poi raccoglie il rossetto, lo infila nella borsetta e si volta verso la porta.
Il presentatore grida il suo nome per la prima volta. La voce rimbomba nelle pareti:
"Signori… fatevi sotto. Per voi stasera, la divina... PATRIZIA!"
E lei sorride. Labbra lucide, seno teso sotto la luce rossa del corridoio, e negli occhi la consapevolezza di chi sa benissimo che il vero spettacolo..deve ancora cominciare.
Le luci in sala calano all’improvviso, lasciando solo il riflesso tremolante dei bicchieri sui tavoli e qualche accendino acceso in un angolo. Sul palco, un fascio di luce rossa taglia l’aria stan
inspira profondamente. Le sue dita affusolate accarezzano i fianchi, mentre il battito del cuore si sincronizza con il ritmo lento, martellante della musica che parte in sottofondo.
Appare. Una silhouette decisa, sensuale, che emerge dal buio tra due tende nere. Ogni passo dei suoi stivali in lattice, tacco dodici, risuona sul legno del palco come un colpo di frusta. Il
erotismo e autorità: minigonna minuscola, calze a rete che tagliano l’ombra in rombi perfetti, e quel bikini rosso lucido che cattura ogni raggio di luce come se fosse l’unico tessuto sulla Te
Si ferma accanto al palo, lo guarda come se fosse un amante ritrovato. Le mani si alzano lentamente, afferrano l’asta metallica, e con un movimento fluido le gambe iniziano a danzare int
sbandati con l’occhio vispo — esplode in un boato. Fischi, applausi, urla sguaiate. Ma lei non si scompone. Patrizia è nel suo mondo ora, padrona assoluta dello spazio, del tempo, dei lor
Comincia a salire lentamente lungo il palo, non con acrobazie da ginnasta, ma con lentezza voluta, sensuale, animalesca. Ogni centimetro di pelle che sfiora il metallo produce brividi colle
di lato, lascia scivolare la lingua lungo l’acciaio, tracciando un percorso lascivo, e intanto muove i fianchi a tempo di musica, come se stesse cavalcando lentamente un piacere che si gonf
"Dai bella, leccalo tutto!"
"Sì, così! Fai vedere che ti piace!"
"Patrizia! Fatti scopare da quel palo!"
E lei lo fa. Ma alle sue condizioni.
I seni si strusciano contro il palo con movimenti circolari, morbidi ma decisi. I capezzoli tesi sotto il bikini sembrano chiedere attenzione, premuti contro la superficie fredda come se voless
bordi della minigonna. Si ferma. Guarda la sala. Sente l’odore del desiderio misto a sudore. Poi, lenta come un serpente che cambia pelle, fa scorrere il lattice giù per le cosce, oltre le gin
solo dal piccolo triangolo rosso coordinato al reggiseno.
La minigonna resta sul palco come un’offerta sacrificale. Patrizia si volta, di schiena ora, e con uno sguardo torvo che brucia nello specchio nero del palo, lo afferra ancora e comincia un n
Le urla sono ormai un coro animalesco, un boato indistinto fatto di fischi, mani che battono sul legno dei tavoli, voci rauche che invocano il suo nome come fosse un’invocazione a una dea
vibrare nei capezzoli tesi sotto il bikini. L’adrenalina si mischia all’eccitazione, al piacere purissimo di avere tutto quel potere tra le dita.
Dopo un’ultima giravolta attorno al palo, con il seno che sfiora ancora il metallo e la lingua che ne accarezza la base con lentezza indecente, si ferma. Fa un passo indietro, poi un altro. G
palco, i tacchi a spillo che ticchettano sul gradino in legno, la luce rossa che le disegna curve e ombre su cosce e ventre.
Cammina tra i tavoli come una regina tra sudditi assetati. Gli sguardi sono incollati ai suoi seni, al piccolo triangolo rosso che scintilla sotto i riflessi delle luci, al passo sensuale che fa ond
tipo robusto, sulla cinquantina, faccia segnata dalla vita e occhi spalancati come se avesse appena visto un miraggio.
Lei lo fissa, un dito sul mento.
«Aiutami,» sussurra con voce roca, portando le mani dietro la schiena.
Lui esita solo un istante, poi afferra le due estremità del nodo del reggiseno. Le sue dita tremano mentre lo slaccia lentamente, centimetro dopo centimetro. Patrizia si piega leggermente i
che le sfiora la pelle. Ma è lei ad appoggiarsi a lui. Con un movimento calcolato, spinge indietro i fianchi, facendo aderire il suo sedere alla pancia dell’uomo. E sente subito la risposta: la d
Non si ritrae. Anzi, lo guarda da sopra la spalla con un mezzo sorriso e muove appena il bacino, una pressione lenta e decisa contro quel rigonfiamento pulsante. L’uomo geme piano, soc
la pelle nuda del ventre, e infine osano: si chiudono sul seno abbondante, ancora coperto solo in parte dalle coppe sciolte, ma non ancora lasciate cadere.
Patrizia chiude gli occhi e lascia uscire un sospiro carico di fuoco. Si sta offrendo, sì, ma con il pieno controllo. È lei che conduce il gioco, lei che decide quanto può toccarla, dove, per qua
Il pubblico è in delirio. Fischi, urla, applausi. Qualcuno batte i pugni sul tavolo, un altro lancia un biglietto da venti sul pavimento. Ma Patrizia non distoglie l’attenzione: resta lì, premuta con
trasuda da ogni poro e che lei regala, un po’ alla volta, come un veleno dolce e inebriante.
E mentre le coppe del reggiseno scivolano lentamente giù, lasciando i capezzoli finalmente liberi alla luce rossa, lei alza il mento, lo sguardo fiero, la bocca lucida di promesse.
Il calore del corpo dell’uomo le si era stampato addosso come una seconda pelle. La stoffa ruvida della sua camicia le graffiava appena i capezzoli ormai scoperti, e Patrizia sentiva il frem
sue spalle, trattenuto appena dalle braccia ancora piegate, ma non era più quello a tenere in tensione la scena. Era il respiro. Il suo. Il loro. Quello della sala.
Lui era lì, fermo, quasi intimidito. Aveva avuto l’ardire di toccarla, sì, ma ora era lei a condurre. Si avvicinò ancora, con lentezza studiata. Le mani scivolarono dietro la nuca dell’uomo, poi
contatto fu pieno, totale, un’onda calda e vibrante che attraversò entrambi.
Senza distogliere lo sguardo, iniziò a scivolare verso il basso. Non bruscamente, non come una caduta, ma come una discesa volontaria nel piacere. Le sue mammelle, sode e pesanti, st
quasi una carezza vischiosa. I capezzoli, turgidi, tracciavano due linee invisibili lungo il suo ventre, e quando il bacino dell’uomo fu all’altezza del suo volto, lo sentì.
Il rigonfiamento era inequivocabile. Presente, duro, palpitante sotto i pantaloni. Lei sorrise, senza parlare. Lo sfiorò con il petto, lo incastonò tra i seni, e si mosse, impercettibilmente, abba
Sollevò lo sguardo verso di lui. Gli occhi brillavano, le labbra socchiuse e lucide di saliva. Si leccò piano il labbro inferiore, un gesto lento, carnale, che parlava più di mille parole. Poi, con
il ramo che lo sostiene. Nessuna fretta. Nessuna esitazione. Solo desiderio, e consapevolezza di sé.
Quando fu di nuovo in piedi, si girò senza più una parola. Le natiche nude ondeggiarono mentre riprendeva a camminare tra i tavoli. Ogni passo era un invito. Ogni ticchettio dei suoi tacch
gli occhi accesi di lussuria e ammirazione.
Salì sul palco con un’eleganza feroce. Raddrizzò la schiena, passò una mano tra i capelli sciolti, poi si voltò. I seni nudi brillavano alla luce dei riflettori, i capezzoli tesi come spine di piace
come se volesse assaporare quell’ultima goccia di potere che ancora le restava sulla pelle.
Sul palco, Patrizia non danza più. Si agita, si dimena, si offre come una sacerdotessa del desiderio che ha appena oltrepassato ogni pudore. I seni nudi oscillano liberi, pesanti, orgogliosi,
conquista. Il pubblico è un muro di fiato trattenuto e occhi sbarrati. Qualcuno ha smesso di bere, qualcun altro non riesce più a parlare. Ogni sguardo è incollato a lei, a quel corpo che esp
Patrizia afferra il palo al centro del palco e ci si avvolge con le cosce, stringendolo con forza. Le gambe, lunghe e muscolose, si contraggono in una morsa che le fa brillare sotto la luce, fa
ginocchio. Si solleva con uno scatto deciso, poi si lascia cadere lentamente, con il capo rovesciato verso il basso e i capelli sciolti che sfiorano il pavimento. Il seno le pende libero, il respi
Quando scende, lo fa con un'eleganza animalesca. Striscia quasi, poi si sdraia al centro del palco come su un altare profano. Solleva le gambe tese verso il soffitto, i tacchi puntati al cielo
assoluta. Lì, tra le cosce aperte, il tanga rosso lucido brilla come un faro. È minuscolo, un filo teso tra l’umidità e la voglia, bagnato a tal punto da sembrare fuso con la pelle.
Anche da lontano si vede. È impossibile non notarlo. Il riflesso, la trasparenza, il chiaroscuro che si crea tra le cosce divaricate e il pube teso sotto il tessuto lucido. È un invito. Ma non alla
Le mani di Patrizia si muovono lente. Una accarezza il seno, l’altra scivola sull’addome, disegnando giri lenti attorno all’ombelico. Le dita si avvicinano al bordo del tanga, si insinuano app
Si ferma lì, a un passo dall’indecenza.
Poi le dita tornano su, accarezzano il lato interno della coscia, giocano con la rete delle calze, si portano infine alle labbra. Patrizia le lecca con lentezza, lasciando una scia lucida e silenz
18/06/25, 19:30 Seconda parte - rizzop554@gmail.com - Gmail
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"Guardate," sembrano dire i suoi occhi.
"Guardate pure… ma è mia."
Le gambe ancora tese, divaricate come se volessero racchiudere il mondo intero tra le sue cosce, Patrizia resta lì, supina sul palco, le luci puntate su di lei come un occhio divino. Il corpo
respiro che sfugge al controllo, che cerca ossigeno per domare un incendio che è ormai impossibile spegnere.
Le dita scivolano, lente, verso il punto centrale del suo piacere. Sopra quel triangolo rosso, lucido, ormai bagnato da una trasparenza che non può più essere fraintesa. Il tessuto aderisce
teso, sottile, ed è lì che la sua mano si posa, con movimenti appena accennati, come se bastasse sfiorare per accendere un vulcano.
Un tocco. Poi un altro. Minimo, impercettibile. Eppure tutto il corpo risponde.
Le ginocchia si piegano lievemente, le cosce fremono. Gli addominali si contraggono, come scossi da un brivido. Il pubblico, muto, assiste. Non è più un gruppo di bifolchi urlanti: è un cor
lenta e inarrestabile.
E allora succede. Il bikini cambia colore.
Non per gioco, non per scena, ma per reazione. L’umidità che la invade si fa visibile, dichiarata, orgogliosa. Una macchia più scura si allarga al centro, si espande con lentezza ma inesora
vedono ciò che non si può toccare: la verità di una femmina accesa, al massimo del suo fuoco, padrona del suo piacere e della scena.
Le dita restano ferme, posate. Nulla di volgare, nulla di eccessivo. Solo presenza. Sensualità assoluta, carnale, viva. Patrizia apre gli occhi e fissa la sala.
Non ride, non geme, non parla.
Ma sorride. Un sorriso profondo, stanco, sazio. Come se, in quell’istante, il piacere non fosse solo dentro di lei… ma ovunque.
Tutto il pubblico lo sente. Lo respira. Lo vede.
E capisce, in un silenzio quasi religioso, che non stanno più guardando uno spettacolo.
Stanno assistendo alla rivelazione pura e brutale della donna nella sua forma più potente.
Patrizia. Cinquant’anni. Una goccia alla volta.
E tutti ai suoi piedi.
Ricevo e pubblico qui per la prima volta il bellissimo ritratto di me come “spogliarellista”
In un locale di periferia…di quelli che conoscono solo gli affezionati del genere!
Scritto da un mio ammiratore che molti di voi, sono certa, sapranno riconoscere…
Seduta di fronte al grande specchio illuminato da luci bianche disposte come una cornice teatrale, Patrizia occupa con naturale maestosità il centro della scena. Il tavolo da trucco è costellato di rossetti, pennelli, ciglia finte e piccole boccette scintillanti. Il riflesso le restituisce l’immagine di una donna consapevole del proprio fascino maturo, audace e vissuto, curato con metodo e ostentato con orgoglio.
Il viso, incorniciato da lunghi capelli fluenti color castano con caldi riflessi ramati, è una tela che lei stessa plasma ogni giorno con sapienza. Le labbra, carnose e prominenti, sono appena state delineate con una matita scura e ora accolgono uno strato abbondante di rossetto lucido color bordeaux profondo, quasi vinaccia, con una finitura brillante che riflette la luce. Il contrasto è potente, drammatico, sensuale.
Gli occhi, grandi e di un marrone profondo, sono sottolineati da un trucco pesante: ombre scure sfumate fino alle sopracciglia sottili e arcuate, eyeliner spesso che si prolunga in una linea netta verso le tempie, e ciglia finte lunghissime, incurvate verso l’alto. Il mascara le ha rese nerissime, dando profondità magnetica allo sguardo. Il fard è abbondante e ben sfumato sulle gote tonde, sollevate in un accenno di sorriso soddisfatto. Il contouring scolpisce zigomi e naso con precisione quasi professionale.
Il corpo è avvolto in un outfit provocante e studiato per esaltarne ogni curva. La minigonna in latex nero lucido è così corta da sembrare più un cinturino che un capo d’abbigliamento: si arrampica appena sotto i glutei tondi e ancora sodi, lasciando che il bordo delle autoreggenti bianche a rete larga sia ben visibile, con l’elastico che si tende in alto lungo la coscia. Le calze disegnano una trama lasciva sulle gambe lunghe e tornite, toniche ma ammorbidite dalla maturità. Ai piedi, un paio di stivali in lattice nero lucido salgono aderenti appena oltre il ginocchio, lasciando scoperta e perfettamente valorizzata la parte superiore delle calze. Il tacco a spillo, altissimo, raggiunge i dodici centimetri: vertiginoso, femminile, dichiaratamente aggressivo.
La parte superiore del corpo è vestita solo da un reggiseno da bikini in tessuto rosso lucido, quasi vinilico, che riflette la luce come la pelle di un’auto sportiva. Le coppe, piccole rispetto al seno abbondante, spingono in alto il décolleté prorompente, lasciando intravedere senza pudore i capezzoli turgidi sotto il tessuto. La tensione del materiale mette in evidenza la forma e la consistenza di quel seno rifatto con cura, rotondo, alto e orgoglioso come il resto del suo corpo.
Mentre il gloss stende l’ultima patina di lussuria sulle labbra di Patrizia, il brusio ovattato che filtra dal muro sottile alle sue spalle sembra farsi più insistente. Si sente il battere sordo di qualche scarpa, un colpo secco su un tavolo, un fischio rauco. Dall’altra parte del corridoio, oltre quella porta scrostata, c’è il retro di un night club che trasuda fumo, birra calda e testosterone da due lire. Un locale di quelli che non compaiono sulle mappe, ma che i buzzurri della zona conoscono fin troppo bene.
Patrizia sa dove si trova. E sa cosa sta per fare.
Per la prima volta nella sua vita sarà al centro del palco, sola, con il suo corpo come unica arma, davanti a un pubblico pagante. Non professionisti, non intenditori. No. Quelli seduti oltre il sipario sono uomini rudi, al limite dell’indecenza, abituati a sbavare davanti ai video scadenti sul telefono e a lanciare battute da caserma tra una birra e l’altra. Alcuni hanno la pancia che sborda dalla cintura, altri mani callose pronte a battere sul tavolo appena lei farà anche solo il gesto di piegarsi in avanti. Eppure… è per loro che stasera si è vestita così. O meglio: si è spogliata così.
La chiamata era arrivata solo il giorno prima. Una voce roca, femminile ma impastata dall’alcol e dalle sigarette: "Ho visto le tue foto… sei un tipo di donna che qui piace. Serve una come te. Spregiudicata. Tosta. Vera. Pagano bene." Nessun nome, solo un indirizzo, un orario, e la promessa di un camerino tutto per sé.
Patrizia non ha esitato. Non per bisogno, ma per scelta. Per orgoglio. Per dimostrare — a se stessa, prima che agli altri — che a cinquant’anni compiuti e vissuti, con il corpo che la vita le ha donato e che la chirurgia le ha aiutato a modellare, può ancora essere desiderata, idolatrata, posseduta con lo sguardo. Che può accendere qualcosa, anche nei peggiori bifolchi. Anche — e soprattutto — in chi pensa che una donna come lei debba starsene in silenzio, coperta, fuori scena.
Si alza lentamente dalla sedia, il cuoio del sedile cigola sotto di lei. Gli stivali scricchiolano appena mentre prende posizione davanti allo specchio per l’ultima occhiata. Il riflesso che le restituisce la luce è quello di una regina decadente e sensuale, pronta a danzare non per l’arte, ma per il piacere del potere che emana.
Si liscia un’ultima volta la gonna — o meglio, quella striscia di lattice che ancora la separa dalla nudità più spudorata — poi raccoglie il rossetto, lo infila nella borsetta e si volta verso la porta.
Il presentatore grida il suo nome per la prima volta. La voce rimbomba nelle pareti:
"Signori… fatevi sotto. Per voi stasera, la divina... PATRIZIA!"
E lei sorride. Labbra lucide, seno teso sotto la luce rossa del corridoio, e negli occhi la consapevolezza di chi sa benissimo che il vero spettacolo..deve ancora cominciare.
Le luci in sala calano all’improvviso, lasciando solo il riflesso tremolante dei bicchieri sui tavoli e qualche accendino acceso in un angolo. Sul palco, un fascio di luce rossa taglia l’aria stan
inspira profondamente. Le sue dita affusolate accarezzano i fianchi, mentre il battito del cuore si sincronizza con il ritmo lento, martellante della musica che parte in sottofondo.
Appare. Una silhouette decisa, sensuale, che emerge dal buio tra due tende nere. Ogni passo dei suoi stivali in lattice, tacco dodici, risuona sul legno del palco come un colpo di frusta. Il
erotismo e autorità: minigonna minuscola, calze a rete che tagliano l’ombra in rombi perfetti, e quel bikini rosso lucido che cattura ogni raggio di luce come se fosse l’unico tessuto sulla Te
Si ferma accanto al palo, lo guarda come se fosse un amante ritrovato. Le mani si alzano lentamente, afferrano l’asta metallica, e con un movimento fluido le gambe iniziano a danzare int
sbandati con l’occhio vispo — esplode in un boato. Fischi, applausi, urla sguaiate. Ma lei non si scompone. Patrizia è nel suo mondo ora, padrona assoluta dello spazio, del tempo, dei lor
Comincia a salire lentamente lungo il palo, non con acrobazie da ginnasta, ma con lentezza voluta, sensuale, animalesca. Ogni centimetro di pelle che sfiora il metallo produce brividi colle
di lato, lascia scivolare la lingua lungo l’acciaio, tracciando un percorso lascivo, e intanto muove i fianchi a tempo di musica, come se stesse cavalcando lentamente un piacere che si gonf
"Dai bella, leccalo tutto!"
"Sì, così! Fai vedere che ti piace!"
"Patrizia! Fatti scopare da quel palo!"
E lei lo fa. Ma alle sue condizioni.
I seni si strusciano contro il palo con movimenti circolari, morbidi ma decisi. I capezzoli tesi sotto il bikini sembrano chiedere attenzione, premuti contro la superficie fredda come se voless
bordi della minigonna. Si ferma. Guarda la sala. Sente l’odore del desiderio misto a sudore. Poi, lenta come un serpente che cambia pelle, fa scorrere il lattice giù per le cosce, oltre le gin
solo dal piccolo triangolo rosso coordinato al reggiseno.
La minigonna resta sul palco come un’offerta sacrificale. Patrizia si volta, di schiena ora, e con uno sguardo torvo che brucia nello specchio nero del palo, lo afferra ancora e comincia un n
Le urla sono ormai un coro animalesco, un boato indistinto fatto di fischi, mani che battono sul legno dei tavoli, voci rauche che invocano il suo nome come fosse un’invocazione a una dea
vibrare nei capezzoli tesi sotto il bikini. L’adrenalina si mischia all’eccitazione, al piacere purissimo di avere tutto quel potere tra le dita.
Dopo un’ultima giravolta attorno al palo, con il seno che sfiora ancora il metallo e la lingua che ne accarezza la base con lentezza indecente, si ferma. Fa un passo indietro, poi un altro. G
palco, i tacchi a spillo che ticchettano sul gradino in legno, la luce rossa che le disegna curve e ombre su cosce e ventre.
Cammina tra i tavoli come una regina tra sudditi assetati. Gli sguardi sono incollati ai suoi seni, al piccolo triangolo rosso che scintilla sotto i riflessi delle luci, al passo sensuale che fa ond
tipo robusto, sulla cinquantina, faccia segnata dalla vita e occhi spalancati come se avesse appena visto un miraggio.
Lei lo fissa, un dito sul mento.
«Aiutami,» sussurra con voce roca, portando le mani dietro la schiena.
Lui esita solo un istante, poi afferra le due estremità del nodo del reggiseno. Le sue dita tremano mentre lo slaccia lentamente, centimetro dopo centimetro. Patrizia si piega leggermente i
che le sfiora la pelle. Ma è lei ad appoggiarsi a lui. Con un movimento calcolato, spinge indietro i fianchi, facendo aderire il suo sedere alla pancia dell’uomo. E sente subito la risposta: la d
Non si ritrae. Anzi, lo guarda da sopra la spalla con un mezzo sorriso e muove appena il bacino, una pressione lenta e decisa contro quel rigonfiamento pulsante. L’uomo geme piano, soc
la pelle nuda del ventre, e infine osano: si chiudono sul seno abbondante, ancora coperto solo in parte dalle coppe sciolte, ma non ancora lasciate cadere.
Patrizia chiude gli occhi e lascia uscire un sospiro carico di fuoco. Si sta offrendo, sì, ma con il pieno controllo. È lei che conduce il gioco, lei che decide quanto può toccarla, dove, per qua
Il pubblico è in delirio. Fischi, urla, applausi. Qualcuno batte i pugni sul tavolo, un altro lancia un biglietto da venti sul pavimento. Ma Patrizia non distoglie l’attenzione: resta lì, premuta con
trasuda da ogni poro e che lei regala, un po’ alla volta, come un veleno dolce e inebriante.
E mentre le coppe del reggiseno scivolano lentamente giù, lasciando i capezzoli finalmente liberi alla luce rossa, lei alza il mento, lo sguardo fiero, la bocca lucida di promesse.
Il calore del corpo dell’uomo le si era stampato addosso come una seconda pelle. La stoffa ruvida della sua camicia le graffiava appena i capezzoli ormai scoperti, e Patrizia sentiva il frem
sue spalle, trattenuto appena dalle braccia ancora piegate, ma non era più quello a tenere in tensione la scena. Era il respiro. Il suo. Il loro. Quello della sala.
Lui era lì, fermo, quasi intimidito. Aveva avuto l’ardire di toccarla, sì, ma ora era lei a condurre. Si avvicinò ancora, con lentezza studiata. Le mani scivolarono dietro la nuca dell’uomo, poi
contatto fu pieno, totale, un’onda calda e vibrante che attraversò entrambi.
Senza distogliere lo sguardo, iniziò a scivolare verso il basso. Non bruscamente, non come una caduta, ma come una discesa volontaria nel piacere. Le sue mammelle, sode e pesanti, st
quasi una carezza vischiosa. I capezzoli, turgidi, tracciavano due linee invisibili lungo il suo ventre, e quando il bacino dell’uomo fu all’altezza del suo volto, lo sentì.
Il rigonfiamento era inequivocabile. Presente, duro, palpitante sotto i pantaloni. Lei sorrise, senza parlare. Lo sfiorò con il petto, lo incastonò tra i seni, e si mosse, impercettibilmente, abba
Sollevò lo sguardo verso di lui. Gli occhi brillavano, le labbra socchiuse e lucide di saliva. Si leccò piano il labbro inferiore, un gesto lento, carnale, che parlava più di mille parole. Poi, con
il ramo che lo sostiene. Nessuna fretta. Nessuna esitazione. Solo desiderio, e consapevolezza di sé.
Quando fu di nuovo in piedi, si girò senza più una parola. Le natiche nude ondeggiarono mentre riprendeva a camminare tra i tavoli. Ogni passo era un invito. Ogni ticchettio dei suoi tacch
gli occhi accesi di lussuria e ammirazione.
Salì sul palco con un’eleganza feroce. Raddrizzò la schiena, passò una mano tra i capelli sciolti, poi si voltò. I seni nudi brillavano alla luce dei riflettori, i capezzoli tesi come spine di piace
come se volesse assaporare quell’ultima goccia di potere che ancora le restava sulla pelle.
Sul palco, Patrizia non danza più. Si agita, si dimena, si offre come una sacerdotessa del desiderio che ha appena oltrepassato ogni pudore. I seni nudi oscillano liberi, pesanti, orgogliosi,
conquista. Il pubblico è un muro di fiato trattenuto e occhi sbarrati. Qualcuno ha smesso di bere, qualcun altro non riesce più a parlare. Ogni sguardo è incollato a lei, a quel corpo che esp
Patrizia afferra il palo al centro del palco e ci si avvolge con le cosce, stringendolo con forza. Le gambe, lunghe e muscolose, si contraggono in una morsa che le fa brillare sotto la luce, fa
ginocchio. Si solleva con uno scatto deciso, poi si lascia cadere lentamente, con il capo rovesciato verso il basso e i capelli sciolti che sfiorano il pavimento. Il seno le pende libero, il respi
Quando scende, lo fa con un'eleganza animalesca. Striscia quasi, poi si sdraia al centro del palco come su un altare profano. Solleva le gambe tese verso il soffitto, i tacchi puntati al cielo
assoluta. Lì, tra le cosce aperte, il tanga rosso lucido brilla come un faro. È minuscolo, un filo teso tra l’umidità e la voglia, bagnato a tal punto da sembrare fuso con la pelle.
Anche da lontano si vede. È impossibile non notarlo. Il riflesso, la trasparenza, il chiaroscuro che si crea tra le cosce divaricate e il pube teso sotto il tessuto lucido. È un invito. Ma non alla
Le mani di Patrizia si muovono lente. Una accarezza il seno, l’altra scivola sull’addome, disegnando giri lenti attorno all’ombelico. Le dita si avvicinano al bordo del tanga, si insinuano app
Si ferma lì, a un passo dall’indecenza.
Poi le dita tornano su, accarezzano il lato interno della coscia, giocano con la rete delle calze, si portano infine alle labbra. Patrizia le lecca con lentezza, lasciando una scia lucida e silenz
18/06/25, 19:30 Seconda parte - rizzop554@gmail.com - Gmail
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"Guardate," sembrano dire i suoi occhi.
"Guardate pure… ma è mia."
Le gambe ancora tese, divaricate come se volessero racchiudere il mondo intero tra le sue cosce, Patrizia resta lì, supina sul palco, le luci puntate su di lei come un occhio divino. Il corpo
respiro che sfugge al controllo, che cerca ossigeno per domare un incendio che è ormai impossibile spegnere.
Le dita scivolano, lente, verso il punto centrale del suo piacere. Sopra quel triangolo rosso, lucido, ormai bagnato da una trasparenza che non può più essere fraintesa. Il tessuto aderisce
teso, sottile, ed è lì che la sua mano si posa, con movimenti appena accennati, come se bastasse sfiorare per accendere un vulcano.
Un tocco. Poi un altro. Minimo, impercettibile. Eppure tutto il corpo risponde.
Le ginocchia si piegano lievemente, le cosce fremono. Gli addominali si contraggono, come scossi da un brivido. Il pubblico, muto, assiste. Non è più un gruppo di bifolchi urlanti: è un cor
lenta e inarrestabile.
E allora succede. Il bikini cambia colore.
Non per gioco, non per scena, ma per reazione. L’umidità che la invade si fa visibile, dichiarata, orgogliosa. Una macchia più scura si allarga al centro, si espande con lentezza ma inesora
vedono ciò che non si può toccare: la verità di una femmina accesa, al massimo del suo fuoco, padrona del suo piacere e della scena.
Le dita restano ferme, posate. Nulla di volgare, nulla di eccessivo. Solo presenza. Sensualità assoluta, carnale, viva. Patrizia apre gli occhi e fissa la sala.
Non ride, non geme, non parla.
Ma sorride. Un sorriso profondo, stanco, sazio. Come se, in quell’istante, il piacere non fosse solo dentro di lei… ma ovunque.
Tutto il pubblico lo sente. Lo respira. Lo vede.
E capisce, in un silenzio quasi religioso, che non stanno più guardando uno spettacolo.
Stanno assistendo alla rivelazione pura e brutale della donna nella sua forma più potente.
Patrizia. Cinquant’anni. Una goccia alla volta.
E tutti ai suoi piedi.
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