Lucia 2
di
LuciaEmiliana
genere
prime esperienze
Non basta mai. Loro scopano ogni sera, e ogni sera io resto a guardare, sporca fino al midollo.
Bortolo apre la stalla e sbatte la porta contro il muro. Mia madre già si piega, senza che lui dica una parola. Le tira su la gonna, le strappa le mutande e gliele ficca in bocca per zittirla.
Il cazzo di lui è gonfio, bluastro, pieno di vene. Quando glielo infila, il fieno cade a terra, la stalla puzza di piscio e di sudore rancido. Lei geme strozzata, lui la scopa a scatti, le batte le cosce con schiaffi secchi.
Ogni colpo fa un rumore sordo, carne contro carne, più forte del respiro di lei.
Io mi tocco. La mia mano scivola dentro le mutande, le dita si muovono veloci. Il mio sesso è bagnato, caldo, un pantano che mi risucchia. Non dovrei, ma lo faccio, con rabbia, con odio, con desiderio.
Lui la chiama «troia», le sputa sulla schiena, le tira i capelli finché non piange. E più lei piange, più lui la scopa forte, con urla che fanno tremare le finestre. Quando viene, le schizza addosso, le sporca la schiena, le cosce, i capelli. Lei resta lì, a quattro zampe, umiliata e sazia, con il fieno che le graffia la pelle.
Io mi contorco. Sento le gambe che tremano, il cuore che mi esplode in gola. Vengo guardando mia madre ridotta a cagna, Bortolo che la tratta come una vacca da monta.
Mi odio, ma non posso fermarmi.
Bortolo non si accontenta. Quando finisce, non si sistema mai subito. Si siede sulla balla di fieno, il cazzo ancora duro che gli pende pesante, le palle rosse e sudate. Accende una sigaretta, aspira, e il fumo si mescola all’odore di sborra e piscio della stalla.
Mia madre resta a quattro zampe, con le cosce spalancate e il culo che stilla sperma caldo. La guardo tremare, con la schiena segnata dai graffi e il volto stravolto. Non dice una parola.
«Apri la bocca» le ordina.
Lei obbedisce, senza esitare. Il cazzo bagnato le si infila tra le labbra, e lei lo succhia come una bestia assetata. Gli occhi chiusi, la saliva che cola sul mento. Io sento il rumore vischioso della lingua che gli sbatte contro il glande, il gorgoglio della gola quando lui le spinge tutto dentro fino a farla tossire.
Mi bagno ancora. Le dita affondano tra le mie cosce, la pelle appiccicosa, il profumo acre che mi resta addosso. Non riesco a staccare gli occhi. Mia madre, Dina, la donna che mi ha cresciuta, succhia quel cazzo come fosse l’unico modo per respirare. E gode. Lo so che gode. Lo sento nei suoi gemiti bassi, nella foga con cui si muove.
Bortolo la prende per i capelli e le sbatte la faccia contro il suo ventre. Le bestemmia addosso, la chiama troia, vacca, puttana da stalla. Ogni parola è un colpo. Ogni insulto la eccita di più. La sua mano le graffia il seno, le lascia segni rossi che diventano subito viola.
«Vuoi la mia merda, eh? Vuoi il mio cazzo» le ringhia.
Lei annuisce con la bocca piena, ansimando, sputando saliva e seme.
Io scivolo contro il muro. La calce mi gratta la schiena nuda, il cuore martella, le gambe tremano. Vengo di nuovo, un’ondata che mi scuote forte, le cosce che si contraggono, la bocca che morde il pugno per non urlare. Vengo guardando mia madre che ingoia lo sperma di Bortolo come fosse vino.
Quando lui esplode, le tiene la testa ferma. Le riempie la gola, e lei beve tutto, con gli occhi lucidi e le guance bagnate. Si lascia cadere a terra, sfinita, le gambe ancora aperte, le cosce sporche. Lui ride, tira un’altra boccata di fumo, le sputa in faccia e se ne va.
Resto lì, sola, con il cuore che non smette di battere. Mi guardo le dita, lucide del mio stesso orgasmo. Le porto alla bocca. Sanno di me, sanno di loro. Mi lecco piano, con rabbia e vergogna.
Non mi accorgo di lui. Sono piegata, le dita ancora bagnate, il respiro grosso. Sto leccando via il sapore di me stessa quando sento un fruscio alle spalle. Mi giro di scatto e vedo Mirko.
È lì, dietro la porta socchiusa, gli occhi spalancati e il fiato corto. Mi ha vista tutta: mia madre col cazzo in bocca e io che mi toccavo come una puttana.
«Cristo, Lucia…» sussurra.
La sua mano è già sul pacco, sotto i jeans. Il cazzo gli spinge forte contro la stoffa, gonfio, vivo. Ha la faccia rossa, il respiro tagliato. Non sa se scappare o restare.
Io non dico niente. Lo guardo. Mi passa davanti agli occhi la scena appena finita: mia madre inginocchiata, Bortolo che le piscia quasi in gola. Mi scivola un brivido dentro, mi fa tremare le gambe.
«Tiralo fuori» gli dico piano, con la voce roca.
Mirko non esita. Si abbassa la zip, tira fuori il cazzo duro, venoso, la cappella lucida già di sbavo. Lo stringe con la mano, comincia a muoversi su e giù, veloce.
Io resto lì, a pochi passi, le cosce ancora bagnate, l’odore di fieno e sborra nell’aria. Lo guardo segarsi, la faccia stravolta, i denti serrati. Ogni colpo della sua mano fa un rumore secco, carne su carne, e io sento la figa pulsare.
«Guarda mia madre» gli dico, indicando la stalla ancora sporca. «Guarda cosa fa. Vuoi essere al posto di Bortolo?»
Lui ansima, geme, si piega leggermente in avanti. Il cazzo gli vibra nella mano, il respiro si fa corto. Io mi avvicino, gli sfioro il glande con due dita, lo sporco del mio umore. Lui esplode subito.
Un getto caldo mi colpisce il polso, un altro schizza sul muro, gli ultimi gli colano sulle nocche. Mirko mugugna, piegato, con il cazzo che trema e si svuota a scatti.
Io lo guardo godere, e dentro sento un buco ancora più grande.
Quando si riprende, si tira su i jeans, ancora ansimante. Mi fissa come se avesse visto il diavolo.
«Se parli, ti ammazzo» gli sibilo.
Lui scuote la testa, con gli occhi bassi. Se ne va di corsa, lasciandomi lì, con la figa bagnata e la testa che ribolle.
A cena non parlo. Mastico il pane duro e guardo mia madre che gira nel piatto. Ha ancora i segni sul collo, graffi rossi che non spariscono. So bene da dove vengono.
Quando siamo sole, le dico:
«Ti ho vista.»
Lei alza gli occhi. Per un attimo sembra non capire, poi sbianca.
«Che cazzo dici?»
«Ti ho vista con Bortolo. Nella stalla. Ti pieghi e gli apri le cosce come una vacca.»
Lei stringe il cucchiaio, le mani tremano.
«Stai zitta, Lucia.»
«Non sto zitta. Ti ho sentita gemere, ti ho vista succhiarglielo. E sai cosa? Mi sono bagnata. Ho goduto anch’io.»
Le cade il cucchiaio sul tavolo. Mi fissa, gli occhi che bruciano.
«Troia…» sussurra. «Non ti azzardare a toccarlo. Non ti azzardare ad avvicinarti a lui.»
«Perché? Hai paura che ti rubi il tuo porco?»
Lei si alza di colpo, mi sbatte uno schiaffo che mi piega la testa di lato. Poi prende la giacca e se ne va, senza dire altro.
Io resto con la guancia che brucia e la figa che pulsa più forte di prima. Segue..
Bortolo apre la stalla e sbatte la porta contro il muro. Mia madre già si piega, senza che lui dica una parola. Le tira su la gonna, le strappa le mutande e gliele ficca in bocca per zittirla.
Il cazzo di lui è gonfio, bluastro, pieno di vene. Quando glielo infila, il fieno cade a terra, la stalla puzza di piscio e di sudore rancido. Lei geme strozzata, lui la scopa a scatti, le batte le cosce con schiaffi secchi.
Ogni colpo fa un rumore sordo, carne contro carne, più forte del respiro di lei.
Io mi tocco. La mia mano scivola dentro le mutande, le dita si muovono veloci. Il mio sesso è bagnato, caldo, un pantano che mi risucchia. Non dovrei, ma lo faccio, con rabbia, con odio, con desiderio.
Lui la chiama «troia», le sputa sulla schiena, le tira i capelli finché non piange. E più lei piange, più lui la scopa forte, con urla che fanno tremare le finestre. Quando viene, le schizza addosso, le sporca la schiena, le cosce, i capelli. Lei resta lì, a quattro zampe, umiliata e sazia, con il fieno che le graffia la pelle.
Io mi contorco. Sento le gambe che tremano, il cuore che mi esplode in gola. Vengo guardando mia madre ridotta a cagna, Bortolo che la tratta come una vacca da monta.
Mi odio, ma non posso fermarmi.
Bortolo non si accontenta. Quando finisce, non si sistema mai subito. Si siede sulla balla di fieno, il cazzo ancora duro che gli pende pesante, le palle rosse e sudate. Accende una sigaretta, aspira, e il fumo si mescola all’odore di sborra e piscio della stalla.
Mia madre resta a quattro zampe, con le cosce spalancate e il culo che stilla sperma caldo. La guardo tremare, con la schiena segnata dai graffi e il volto stravolto. Non dice una parola.
«Apri la bocca» le ordina.
Lei obbedisce, senza esitare. Il cazzo bagnato le si infila tra le labbra, e lei lo succhia come una bestia assetata. Gli occhi chiusi, la saliva che cola sul mento. Io sento il rumore vischioso della lingua che gli sbatte contro il glande, il gorgoglio della gola quando lui le spinge tutto dentro fino a farla tossire.
Mi bagno ancora. Le dita affondano tra le mie cosce, la pelle appiccicosa, il profumo acre che mi resta addosso. Non riesco a staccare gli occhi. Mia madre, Dina, la donna che mi ha cresciuta, succhia quel cazzo come fosse l’unico modo per respirare. E gode. Lo so che gode. Lo sento nei suoi gemiti bassi, nella foga con cui si muove.
Bortolo la prende per i capelli e le sbatte la faccia contro il suo ventre. Le bestemmia addosso, la chiama troia, vacca, puttana da stalla. Ogni parola è un colpo. Ogni insulto la eccita di più. La sua mano le graffia il seno, le lascia segni rossi che diventano subito viola.
«Vuoi la mia merda, eh? Vuoi il mio cazzo» le ringhia.
Lei annuisce con la bocca piena, ansimando, sputando saliva e seme.
Io scivolo contro il muro. La calce mi gratta la schiena nuda, il cuore martella, le gambe tremano. Vengo di nuovo, un’ondata che mi scuote forte, le cosce che si contraggono, la bocca che morde il pugno per non urlare. Vengo guardando mia madre che ingoia lo sperma di Bortolo come fosse vino.
Quando lui esplode, le tiene la testa ferma. Le riempie la gola, e lei beve tutto, con gli occhi lucidi e le guance bagnate. Si lascia cadere a terra, sfinita, le gambe ancora aperte, le cosce sporche. Lui ride, tira un’altra boccata di fumo, le sputa in faccia e se ne va.
Resto lì, sola, con il cuore che non smette di battere. Mi guardo le dita, lucide del mio stesso orgasmo. Le porto alla bocca. Sanno di me, sanno di loro. Mi lecco piano, con rabbia e vergogna.
Non mi accorgo di lui. Sono piegata, le dita ancora bagnate, il respiro grosso. Sto leccando via il sapore di me stessa quando sento un fruscio alle spalle. Mi giro di scatto e vedo Mirko.
È lì, dietro la porta socchiusa, gli occhi spalancati e il fiato corto. Mi ha vista tutta: mia madre col cazzo in bocca e io che mi toccavo come una puttana.
«Cristo, Lucia…» sussurra.
La sua mano è già sul pacco, sotto i jeans. Il cazzo gli spinge forte contro la stoffa, gonfio, vivo. Ha la faccia rossa, il respiro tagliato. Non sa se scappare o restare.
Io non dico niente. Lo guardo. Mi passa davanti agli occhi la scena appena finita: mia madre inginocchiata, Bortolo che le piscia quasi in gola. Mi scivola un brivido dentro, mi fa tremare le gambe.
«Tiralo fuori» gli dico piano, con la voce roca.
Mirko non esita. Si abbassa la zip, tira fuori il cazzo duro, venoso, la cappella lucida già di sbavo. Lo stringe con la mano, comincia a muoversi su e giù, veloce.
Io resto lì, a pochi passi, le cosce ancora bagnate, l’odore di fieno e sborra nell’aria. Lo guardo segarsi, la faccia stravolta, i denti serrati. Ogni colpo della sua mano fa un rumore secco, carne su carne, e io sento la figa pulsare.
«Guarda mia madre» gli dico, indicando la stalla ancora sporca. «Guarda cosa fa. Vuoi essere al posto di Bortolo?»
Lui ansima, geme, si piega leggermente in avanti. Il cazzo gli vibra nella mano, il respiro si fa corto. Io mi avvicino, gli sfioro il glande con due dita, lo sporco del mio umore. Lui esplode subito.
Un getto caldo mi colpisce il polso, un altro schizza sul muro, gli ultimi gli colano sulle nocche. Mirko mugugna, piegato, con il cazzo che trema e si svuota a scatti.
Io lo guardo godere, e dentro sento un buco ancora più grande.
Quando si riprende, si tira su i jeans, ancora ansimante. Mi fissa come se avesse visto il diavolo.
«Se parli, ti ammazzo» gli sibilo.
Lui scuote la testa, con gli occhi bassi. Se ne va di corsa, lasciandomi lì, con la figa bagnata e la testa che ribolle.
A cena non parlo. Mastico il pane duro e guardo mia madre che gira nel piatto. Ha ancora i segni sul collo, graffi rossi che non spariscono. So bene da dove vengono.
Quando siamo sole, le dico:
«Ti ho vista.»
Lei alza gli occhi. Per un attimo sembra non capire, poi sbianca.
«Che cazzo dici?»
«Ti ho vista con Bortolo. Nella stalla. Ti pieghi e gli apri le cosce come una vacca.»
Lei stringe il cucchiaio, le mani tremano.
«Stai zitta, Lucia.»
«Non sto zitta. Ti ho sentita gemere, ti ho vista succhiarglielo. E sai cosa? Mi sono bagnata. Ho goduto anch’io.»
Le cade il cucchiaio sul tavolo. Mi fissa, gli occhi che bruciano.
«Troia…» sussurra. «Non ti azzardare a toccarlo. Non ti azzardare ad avvicinarti a lui.»
«Perché? Hai paura che ti rubi il tuo porco?»
Lei si alza di colpo, mi sbatte uno schiaffo che mi piega la testa di lato. Poi prende la giacca e se ne va, senza dire altro.
Io resto con la guancia che brucia e la figa che pulsa più forte di prima. Segue..
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