Il Sapore della Sottomissione - Capitolo 1 - La Decisione
di
Dago Heron
genere
dominazione
Le gambe le tremavano mentre saliva le scale poco illuminate, forse anche per colpa di quei tacchi alti che lui le aveva regalato e ordinato di indossare. Ad ogni passo, controllava che nessuno uscisse dagli altri appartamenti, come se fosse possibile che qualcuno la conoscesse a oltre cento chilometri da casa. Ogni scricchiolio, ogni cigolio, accelerava i battiti del suo cuore. Tre lunghissimi piani senza ascensore che sembravano non finire mai.
Finalmente era arrivata al pianerottolo; aveva letto il nome sui vari campanelli fino a quando non aveva trovato quello senza nome. Aveva guardato la massiccia porta Il profumo del legno la inebriava come un narcotico. Lo accarezzò, immaginando pelle calda sotto le dita.
Chiuse gli occhi, fece un profondo respiro e suonò il campanello. Quasi immediatamente, in risposta al suo gesto, un breve ronzio fece scattare la serratura della porta, che si aprì appena. Rimase qualche secondo ad aspettare che qualcuno aprisse la porta, sentendosi leggermente delusa perché lui non era venuto ad aprirle. Sorrise lasciando andare quel pensiero: non aveva fatto tutta quella strada per un incontro romantico.
Il pensiero la riportava a quel pomeriggio di due mesi prima, quando un click involontario aveva fatto crollare quarant’anni di certezze come un castello di carte al vento.
Giulia si guardava ogni mattina allo specchio con gli stessi occhi con cui la vedevano gli altri: una quarantenne dall’aspetto studiatamente ordinario che nascondeva curve generose sotto camicette abbottonate fino al collo, come se la stoffa potesse soffocare desideri che non osava riconoscere. Solo le sue mani tradivano una vanità segreta: affusolate, curate maniacalmente, con smalto sempre impeccabile che stonava con il resto del suo aspetto dimesso. L’unica ribellione che si concedeva in un mondo dove tutto doveva apparire rispettabile. Si muoveva con grazia inconsapevole, come una danzatrice che aveva dimenticato di essere osservata, ma quelle mani erano la sua confessione silenziosa: unghie perfette che accarezzavano distrattamente i bordi dei fogli quando rifletteva, dita che tracciavano geometrie invisibili nell’aria mentre parlava.
La sua vita procedeva su binari tracciati da altri. Aveva sposato Marco, il “bravo ragazzo” che sua madre aveva sempre elogiato, scivolando in un matrimonio fatto di routine e silenzi. Il sesso era diventato un capitolo prevedibile della loro storia: lui sopra, lei sotto, qualche sporadico preliminare, mai oltre i confini dell’ordinario. Forse era anche per questo che, nonostante i tentativi, non era mai arrivato un figlio.
Le sue giornate si susseguivano identiche: la colazione condivisa in silenzio, prima di andare in ufficio. Dietro la scrivania dell’ufficio di contabilità, Giulia era un’equazione perfettamente bilanciata: entrate, uscite, profitti, perdite. Ogni numero trovava il suo posto nelle celle rassicuranti dei fogli Excel. Ma quando la notte scioglieva le sue difese, scopriva di possedere un’intelligenza diversa, più viscerale e pericolosa. La stessa mente che dominava i bilanci aziendali iniziò a scrutare i propri desideri con la curiosità di un entomologo che studia specie rare. Ogni fantasia veniva esaminata, soppesata, catalogata non più in fredde categorie contabili, ma come gemme preziose da nascondere in scrigni segreti. La fame cresceva proporzionalmente alla comprensione, e Giulia si ritrovava a desiderare non solo il piacere, ma anche la propria capacità di analizzarlo, di possederlo con la mente prima ancora che con il corpo.
I libri erano la sua morfina quotidiana. Da romanzi dove l’amore agonizzava in sospiri educati era scivolata verso parole che parlavano di carne come sacramento profano. Il tablet nascondeva un bordello di carta dove donne si arrendevano come regine conquistate. Ogni pagina risvegliava una fame che il suo ventre riconosceva prima della mente.
Era attraverso quelle pagine che aveva capito di non essere sola nel desiderare qualcosa di più grande del sesso educato del sabato sera. Esistevano donne che osavano chiedere quello che volevano, che trasformavano il proprio corpo in strumento di conquista invece che in prigione di pudori ereditati.
Solo Anna esisteva a colori in quel mondo di sfumature grigie. Era lei il primo squarcio nel velo della rispettabilità. Mentre Giulia lucidava il vuoto della sua esistenza, l’amica collezionava avventure che sapevano di carne libera. “Mi ha scopata contro il muro dell’ascensore,” confessava Anna versando vino come fosse sacramento, “e io gli ho graffiato la schiena supplicandolo di non fermarsi mai.”
Il corpo di Giulia tradiva ogni parola: capezzoli che reagivano, cosce che si stringevano cercando una pressione fantasma. Quelle confessioni erano spiragli su un universo dove le donne prendevano il piacere a morsi invece di mendicarlo in ginocchio. Anna le aveva insegnato che esistevano femmine capaci di trasformare la propria carne in arma di conquista.
Abituata a gestire ogni aspetto della sua vita, dal budget familiare alle faccende domestiche che Marco ‘non aveva tempo’ per aiutarla, Giulia aveva sviluppato un controllo quasi maniacale sulla sua quotidianità. Eppure, proprio questo bisogno ossessivo di controllo rendeva ancora più vertiginosa l’idea di lasciarlo andare, di affidarlo a qualcun altro. Come un elastico troppo teso, qualcosa dentro di lei stava per spezzarsi, liberando una donna che nemmeno lei sapeva di essere.
Un click involontario la condusse oltre il velo delle certezze. Bondage, dominazione, sottomissione: parole che risuonavano nella sua carne come echi di una melodia ancestrale. Ogni termine accendeva sinapsi che sua madre aveva tentato di anestetizzare con il catechismo.
Il suo corpo imparava mentre la mente resisteva ancora. I capezzoli che si indurivano sotto la camicetta austera, l’umidità tra le cosce, le dita che tremavano sulla tastiera non solo per eccitazione ma per la vertigine della scoperta. Quando Marco suonò il campanello, Giulia aveva le guance in fiamme e l’intimo fradicio.
Creò un profilo segreto, “O_Submissive”, dove la moglie perfetta moriva ogni notte in post confessati al buio. Mentre su Facebook condivideva ricette innocenti, il suo alter ego digitale sussurrava desideri che non osava pronunciare nemmeno allo specchio. Fu attraverso quelle confessioni notturne che lui la trovò.
Un vecchio lupo del BDSM la prese sotto la sua ala. Le aveva scritto di aver riconosciuto in lei l’innocenza pericolosa di chi cerca senza sapere cosa. “Cosa cerchi davvero, oltre il velo dell’emozione?” Una domanda che la tenne sveglia per ore, aprendo abissi che non sapeva di possedere.
Nelle conversazioni notturne le insegnò la grammatica del desiderio: sottomissione versus cedimento, dominazione versus prepotenza. Sotto la sua guida scoprì che arrendersi era l’unica vittoria che le interessasse davvero. Quando la ritenne pronta, la spinse verso la pratica: “Scrivi una lista dei tuoi limiti e desideri. Non per me, ma per vedere chi sei davvero.” Quella lista divenne il suo specchio più sincero.
Ancora una volta il mentore era stato in grado di farle raccontare le fantasie che maggiormente premevano nella sua testa e nelle sue mutande. Ci erano voluti giorni e diverse versioni per arrivare a pubblicare il seguente annuncio:
“Buongiorno, io ho una fantasia… vorrei essere legata ad un tavolo, masturbata, sculacciata a piacimento dell’altra persona, senza fare sesso, a meno di una mia esplicita richiesta. Non so se esista una pratica simile, ma vorrei trovare qualcuno in grado di soddisfare questa mia fantasia.”
Avevano scremato le prime risposte idiote, selezionato una ristretta rosa di candidati e fatto un’accurata verifica tra quello che dichiaravano, promettevano ed erano realmente i vari personaggi, fino ad avere selezionato questo signore. Una decina di anni di differenza, un’estrazione sociale completamente diversa, culturalmente due mondi quasi opposti. Eppure…
Eppure, la sua voce aveva una qualità che penetrava più profondamente di qualsiasi carezza fisica. Quando parlava, le parole non si limitavano a raggiungere le sue orecchie: scivolavano sotto la pelle, si insinuavano nelle pieghe nascoste dei suoi pensieri, toccavano nervi che nemmeno lei sapeva di possedere. Ma era anche il modo in cui sceglieva le parole che la incantava. Dago non parlava come gli altri uomini che aveva conosciuto. Il suo lessico attingeva a territori che Marco non aveva mai esplorato: citava Foucault quando le spiegava le dinamiche del potere, evocava Bataille quando descriveva il confine tra sacro e profano, sussurrava versi di Verlaine quando voleva farla arrossire attraverso il telefono. Era come essere corteggiata da un professore di letteratura erotica che conosceva tutti i segreti del corpo e dell’anima.
Sapeva decifrare ogni sua esitazione come se fossero segnali su una mappa emotiva che solo lui possedeva. Non era il dominatore rozzo dei suoi peggiori timori, quello che prende senza chiedere. Era qualcosa di più raffinato e quindi più pericoloso: uno scultore di anime che sapeva dove e quando applicare pressione per farla fiorire.
Il mentore l’aveva affiancata ancora per quel periodo che viene definito ‘vetting’, un processo di screening approfondito del potenziale partner per garantire sicurezza, compatibilità e comprensione reciproca prima di impegnarsi in qualsiasi attività. Un passaggio cruciale per identificare potenziali segnali d’allarme, stabilire confini chiari e costruire solide basi di fiducia e rispetto.
Lui aveva apprezzato e rispettato questa fase che non molti mettono in pratica e le aveva raccontato molte cose di sé. Gli studi classici, la famiglia borghese benestante, un lavoro che gli permetteva di viaggiare e togliersi parecchi sfizi, il costante bisogno di tenere la mente occupata, la scoperta del BDSM durante una trasferta di lavoro in Germania e la conseguente separazione dalla moglie.
Quello che era iniziato come curiosità si trasformò rapidamente in ossessione. Nelle settimane che seguirono, Giulia si ritrovò a controllare Telegram ogni ora, in attesa dei suoi messaggi. Stava ancora sulla difensiva, consultava spesso il suo mentore, ma qualcosa dentro di lei si stava arrendendo. Dago, questo il nick che le aveva concesso di usare, cercava di capire meglio chi avesse di fronte, se davvero fosse interessata a qualcosa di reale o se fosse solo curiosità.
Da semplici telefonate e chiacchierate era riuscito a passare al livello in cui poteva iniziare a chiederle delle cose, metterla alla prova. Il suo potere non si manifestava attraverso imposizioni, ma attraverso una cortesia che disarmava completamente Giulia. “Ti dispiacerebbe toglierti le mutande per me, per piacere?” le aveva chiesto una sera, e quella richiesta gentile l’aveva eccitata più di qualsiasi comando brutale. Era riuscito a farla masturbare al telefono con lui, ma sembrava non arrivare mai il giorno in cui realizzare quello che lei aveva proposto nell’annuncio
Al limite della pazienza aveva forzato la mano: lui avrebbe accettato le regole e i limiti imposti da Giulia unicamente se lei avesse accettato di presentarsi indossando quello che lui le avrebbe ordinato, anzi, indossando quello che lui le avrebbe fatto ricevere, e fissato una data. Giulia aveva tentennato e aveva cercato di avere più informazioni, cercando di capire cosa lui avesse in mente, finché lui non aveva chiuso la discussione in modo deciso. “Ora io vado a letto. Tu pensaci su questa notte. Se entro domani a mezzogiorno non avrai accettato le mie condizioni puoi anche cancellare questo contatto!”
Aveva sbuffato, si era infilata a letto combattuta tra la curiosità di quello che lui le avrebbe inviato e l’istinto ribelle che si rifiutava di ubbidire.
Aveva passato ore a rotolarsi nel letto, abbracciata al cuscino. Quando per sbaglio scivolava nel sonno, immediatamente si materializzavano immagini e sogni: quell’uomo, di cui aveva udito solo la voce e visto un paio di foto, invadeva i suoi pensieri e stuzzicava le sue fantasie. Avvertiva la sua figa pulsare e bagnarsi, bagnarsi come mai prima. In preda ad una disposizione d’animo che non aveva mai provato prima si era sfilata gli slip e masturbata più volte fino a quando era scivolata, senza accorgersene, in un sonno senza sogni e senza mutande.
Per tutta la mattina era stato in uno stato di confusione emotiva nuovo e piacevole per lei, quasi fosse stata febbricitante. Le emozioni si muovevano dal cervello allo stomaco, dalla pelle ad altre parti estremamente sensibili del suo corpo. Non aveva mai sentito i capezzoli così sensibili e reattivi. Aveva un costante fremito tra le cosce e nello stomaco.
Improvvisamente si rese conto che erano passate le undici e che il tempo stava per scadere.
Le emozioni si trasformarono in panico, una forma di paura irrefrenabile ed esagerata. Con mani tremanti afferrò il cellulare e iniziò a scrivere la sua risposta sul contatto Telegram di Dago: “Va bene, Va bene, se tu mi prometti di rispettare i limiti che ho messo nell’annuncio e che abbiamo discusso, io mi impegno a indossare quello che mi manderai e a fissare una data.”
Appena inviato il messaggio la tensione sembrava allentarsi, modificarsi, come se si fosse passati dalla paura, dall’agitazione alla curiosità. Ora le era comparso anche un sorriso ad illuminarle il viso.
Il telefono vibrò in quel modo particolare che lei aveva assegnato solo a lui. Un vocale. Il cuore accelerò di nuovo mentre lo stomaco si contraeva. Aveva guardato attorno, i colleghi, come se tutti sapessero che stava iniziando una tresca extraconiugale.
Con mano tremante aveva avvicinato il cellulare all’orecchio e fatto partire il messaggio: “Non mi basta, voglio sentirti dire che mi ubbidirai e farai esattamente tutto, ripeto, tutto quello che IO – il tono della voce era cambiato, improvvisamente, come a sottolineare quella parola, quelle due lettere – ti ordinerò di fare, voglio un vocale, voglio ascoltare la tua voce – una breve sospensione – ti restano meno di 20 minuti!”
Salivazione azzerata, palpitazioni al massimo, ossigenazione quasi assente. Mai prima di quel momento si era sentita così. Quella voce, calma e profonda, sicura, decisa, inflessibile, autoritaria senza essere eccessivamente prepotente, sembrava sapere come toccare i suoi nervi e le sue emozioni, come un abile pianista sapeva quali tasti e come premerli per ottenere un certo risultato.
Ancora una volta lasciò che il suo sguardo perlustrasse l’ufficio per poi alzarsi e prendere la direzione del bagno dove avrebbe registrato il vocale che avrebbe suggellato la propria resa.
Giulia appoggiò delicatamente, timorosa, la mano alla porta e lentamente la aprì senza muovere un passo. Il profumo del legno della porta si mescolava ora agli incensi accesi per creare atmosfera. Il palo santo dominava quella danza olfattiva, il suo aroma intenso e sacro che contrastava con la profanità delle sue intenzioni. Candele tracciavano un sentiero lungo il corridoio come lucciole addomesticate, la loro luce tremolante che creava ombre danzanti sulle pareti, trasformando uno spazio ordinario in un tempio di promesse sussurrate.
La pelle le formicolava, ipersensibile, registrando ogni minima variazione della temperatura mentre l’aria tiepida dell’appartamento le accarezzava il viso. Il battito del suo cuore sembrava scandire il tempo tra due vite: quella di fuori, fatta di routine e maschere sociali, e quella che stava per iniziare, al di là di quella soglia. Percepiva una forza magnetica attirarla dentro, mentre i piedi sembravano ancorati al pavimento da catene invisibili, il corpo diviso tra desiderio e timore come un ago magnetico tra due poli opposti.
Fu allora che sentì la voce. Quella voce che per settimane aveva popolato le sue fantasie, aveva fatto vibrare il suo telefono con messaggi proibiti su Telegram, aveva guidato le sue dita verso piaceri solitari nelle ore più buie, mentre suo marito dormiva ignaro nella stanza accanto. “Hai bisogno di un invito ufficiale per entrare?” Calma. Calda. Profonda. Come whisky versato su ghiaccio, bruciava e confortava allo stesso tempo. Era la stessa voce che l’aveva condotta fin lì attraverso conversazioni e messaggi notturni, eppure era diversa, più vicina, più pericolosa, soprattutto vera e reale, e le venne naturale ripensare a qualche settimana prima.
Aveva atteso qualche giorno l’arrivo del pacco, continuando e approfondendo la relazione virtuale con lui. Dago, riusciva ad alternare momenti di cura e attenzione, in cui si informava sui gusti, sullo stato emotivo e sulle preferenze di Giulia, a momenti in cui le ordinava di fare qualcosa. Azioni che la mettevano in uno stato particolare, di imbarazzo e di euforia.
Lentamente si insinuò nella sua vita, cominciando ad influenzare il modo in cui si doveva vestire per andare in ufficio, suggerendole di curare di più i particolari: gonne, scarpe con un po’ di tacco, trucco più curato. Gradualmente, passò a ordinarle azioni sempre più audaci. Si cominciò con gesti semplici, come togliersi gli slip nei luoghi più ordinari, l’ufficio, un ristorante, un caffè, per poi passare a richieste più intime. Aveva iniziato a ordinarle di effettuare delle pratiche come masturbarsi sia a casa che in luoghi pubblici come nei bagni dei bar o dell’ufficio. Oppure scegliere oggetti ordinari da usare per i loro giochi.
L’aveva mandata a fare la spesa facendole scegliere degli oggetti di uso comune per masturbarsi. Lei aveva preso la classica carota, una bottiglia di birra e un utensile da cucina che aveva un manico di una dimensione e una forma interessante. Quello che la sorprendeva era come lui le faceva vedere il modo di tutti i giorni in modo diverso, con occhi diversi.
Quel giorno lui l’aveva fatta masturbare moltissime volte. nemmeno da adolescente, quando aveva scoperto la bellezza del darsi piacere da sola, lo aveva mai fatto così tanto. L’ultima volta di quel giorno l’aveva dovuta fare stando al telefono con lui, mentre sfregava la propria intimità, il proprio clitoride sul bracciolo del divano sussurrando: “Ecco il mio orgasmo per lei, Signore!” Il tono della propria voce, in quel momento, le era echeggiato per giorni nella mente.
Per lei la masturbazione era sempre stata un atto segreto, da fare chiusa nella sua cameretta al buio o sotto la doccia; quindi, questo farlo a comando e condividendo persino il momento del piacere stava cambiando lentamente la sua visione dell’intimità.
Poi finalmente era arrivato il pacco. Fortunatamente, in uno dei supermercati che frequentava vi era un locker per le consegne, quindi, con la scusa di andare a fare la spesa, era andata a ritirarlo. Aveva nascosto il tutto fino al momento in cui era stata finalmente sola, poi aveva eseguito quanto lui le aveva ordinato. Aveva preparato sul letto tutto quello che aveva ricevuto, dovendo ammettere che Dago aveva buon gusto.
Continuando ad eseguire gli ordini, si era spogliata completamente, fermandosi un istante davanti allo specchio.
Si era guardata e aveva trattenuto il respiro. Quarant’anni di autocritica si dissolsero in quell’istante di nudità vulnerabile. Il suo corpo le si rivelava come un territorio mai veramente esplorato: le spalle morbide che scendevano verso seni pieni, generosi, che aveva sempre nascosto sotto camicette anonime come fossero colpe da espiare. I capezzoli, ora turgidi nell’aria fresca della camera, tradivano un’eccitazione che nemmeno lei voleva ammettere.
Le sue mani si posarono sui fianchi rotondi, quelle curve che sua madre aveva sempre definito “problematiche” e che Marco ignorava come dettagli scomodi di un progetto sbagliato. Ma sotto lo sguardo immaginario di Dago, quelle rotondità diventavano promesse di piacere, geografia di una sensualità che stava finalmente imparando a riconoscere. La pancia morbida, i segni discreti del tempo, le cosce che si toccavano dolcemente. Tutto quello che aveva sempre considerato imperfezione ora le sembrava incredibilmente, sfacciatamente femminile.
I capelli castani le cadevano liberi sulle spalle, incorniciando un viso dove gli occhi marroni finalmente osavano sostenersi. Le sue mani, le dita affusolate e curate che rappresentavano la sua unica vanità confessata, accarezzarono lentamente la propria pelle come se la stessero scoprendo per la prima volta. Era la donna che si era sempre nascosta sotto strati di rispettabilità borghese, finalmente nuda e finalmente viva.
Per la prima volta da anni, si concesse un sorriso di autentica complicità con la propria immagine, poi aveva indossato il ridotto intimo con reggiseno a balconcino, infilato la guepière e i collant in tinta. Solo allora aveva aperto la scatola di scarpe, trovandoci un particolare paio di décolleté variopinte con tacco dodici. Nel calzarle, era rimasta sorpresa di quanto le stessero perfettamente. A quel punto, aveva preso il telefono e, usando Telegram, gli aveva mandato una foto. “Signore, sembra tutto perfetto fino ad adesso, grazie.”
Infine, aveva infilato il vestito rosa, morbido, che esaltava la sua figura curvy senza segnarla. Aveva scattato una seconda foto, aspettando la sua risposta. Era rimasta vestita ad aspettare che lui le rispondesse; il tempo trascorreva in modo molto più lento, o almeno questo è quello che sembrava a lei. Telegram mostrava che lui aveva visualizzato il messaggio, ma i minuti passavano senza risposta. Ogni secondo di silenzio era una tortura, un’anticipazione che le faceva stringere le cosce mentre immaginava i suoi occhi che la studiavano attraverso quelle foto. Finalmente arrivò la risposta: “Ora puoi aprire il pacchetto regalo che hai trovato. Aspetto che tu lo apra per darti il prossimo ordine!”
Giulia aprì con mani tremanti per l’emozione il pacchetto che era piuttosto pesante. Quello che trovò dentro non la sorprese più di tanto, almeno fino a quando non iniziò a leggere la lettera in allegato. Dago le aveva regalato un vibratore, uno di quelli con una forma che non aveva mai usato, chiamato rabbit, in grado di stimolare sia internamente ma anche il clitoride. La vera particolarità era che era uno di quei giocattoli di nuova generazione che era possibile controllare a distanza. La lettera, scritta a mano, conteneva le esatte istruzioni per scaricare l’app e collegarsi, permettendogli di prenderne il controllo. Non appena Giulia completò la connessione, il telefono squillò.
“Pronto…” La sua voce tradiva agitazione e il nervosismo di un’adolescente alla sua prima avventura proibita. Il cuore le batteva nel petto, le mani sudate stringevano il telefono. Ma quando sentì la voce di Dago, quella voce profonda, controllata, che sembrava scivolare lungo la sua spina dorsale come miele caldo, tutto il suo corpo rispose con un fremito di riconoscimento. Era la voce che dava vita le sue fantasie più segrete, che l’aveva guidata attraverso piaceri mai immaginati prima. “Ciao, ora che hai ricevuto il regalo voglio che tu faccia quello che ti sto per ordinare…”
“Si Signore…” furono le uniche parole che riuscì a pronunciare mentre la bocca si asciugava e un’altra parte iniziava a bagnarsi.
Giulia si sdraiò sul letto davanti allo specchio, il vibratore che scivolava dentro di lei come una promessa mantenuta. Il suo corpo aveva già imparato a tradire ogni telefonata di Dago – umidità costante che la costringeva a cambiarsi gli slip due volte al giorno, capezzoli che si indurivano al solo sentire la sua voce.
Lui orchestrava il suo piacere come desiderava. La voce che la guidava mentre cambiava vibrazioni e intensità secondo schemi imprevedibili, tenendola sul filo del rasoio tra controllo e abbandono. Quando pensava di conoscere il ritmo, lui cambiava tutto: accelerava fino a farla inarcare la schiena, poi rallentava lasciandola sospesa nel vuoto dell’attesa.
Il piacere cresceva, la figa che pulsava fame mentre lui la portava in una dimensione che non conosceva. La voce di Dago scivolava nell’orecchio, scendeva fino alla pancia, prendeva possesso di ogni fibra. Era completamente in suo potere, eppure mai si era sentita così libera. Quando finalmente le concesse di esplodere, il primo orgasmo fu solo l’inizio di una catena che la lasciò tremante e incredula.
“Tre orgasmi,” sussurrò alle lenzuola macchiate, “Anna aveva ragione su tutto.”
“Per oggi può bastare… metti via tutto e … fammi sapere quando potresti organizzarti per avere almeno un pomeriggio in cui potresti essere completamente a mia disposizione per farti realizzare il tuo sogno. Ci sentiamo domani.”
Giulia lo salutò con voce flebile ma rispettosa, il corpo che ancora pulsava di piacere, la mente che fluttuava in uno spazio tra realtà e fantasia. Si impose di alzarsi dal letto, anche se le gambe tremavano così tanto che dovette aggrapparsi al comodino. Si guardò allo specchio notando che stava sorridendo, un sorriso nuovo, che non aveva mai visto sul suo viso. Mise tutto via nella sua parte dell’armadio, nascondendo gli oggetti quanto bastava. Cambiò le lenzuola e, dopo una doccia, si diresse in cucina per preparare la cena per Marco, mentre la sua mente continuava a ripetere come un mantra “Tre orgasmi, ho avuto tre orgasmi… e io che non credevo ad Anna… non credevo fosse possibile.” Il suo corpo conservava ancora la memoria di quelle sensazioni, come onde che continuano a infrangersi sulla spiaggia molto dopo che la tempesta è passata.
Mentre quella voce le vibrava dentro, nella testa e nella pancia, Giulia sorrise ripensando a quanto fossero stati lontani dai clichés volgari che in parte si era aspettata. Non c’era stata imposizione cieca né arbitrarietà da subire. Dago aveva ascoltato ogni sua esitazione, ogni fremito nella voce durante le loro conversazioni notturne, mentre lei aveva imparato a offrire i propri limiti come doni preziosi. Insieme avevano costruito qualcosa di unico, loro: lui decifrando il linguaggio segreto delle sue paure, lei consegnandogli le chiavi dei propri abissi. Non era stata conquista ma negoziazione. Ogni conversazione aveva scavato più a fondo, esplorando territori dove il controllo non si prende ma si riceve, dove il potere si dona invece di essere strappato. Era stata lei, alla fine, a supplicare che quella danza di parole diventasse carne e corde, sangue e comando. Lui aveva semplicemente accettato di essere il depositario della sua resa volontaria.
Mentre il ricordo della voce di Dago le vibrava dentro, nella testa, nella pancia, tra le cosce già umide, Giulia sorrise ripensando a quanto fossero stati lontani dai clichés che si era aspettata. Non c’era stata imposizione cieca. Ogni conversazione aveva scavato più profondo, esplorando territori dove il controllo non si prende ma si riceve. Lui aveva semplicemente accettato di essere il depositario della sua resa volontaria.
La porta si aprì senza suono. Nell’ombra, una voce, la sua voce, la raggiunse.
“Hai bisogno di un invito ufficiale per entrare?”
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Finalmente era arrivata al pianerottolo; aveva letto il nome sui vari campanelli fino a quando non aveva trovato quello senza nome. Aveva guardato la massiccia porta Il profumo del legno la inebriava come un narcotico. Lo accarezzò, immaginando pelle calda sotto le dita.
Chiuse gli occhi, fece un profondo respiro e suonò il campanello. Quasi immediatamente, in risposta al suo gesto, un breve ronzio fece scattare la serratura della porta, che si aprì appena. Rimase qualche secondo ad aspettare che qualcuno aprisse la porta, sentendosi leggermente delusa perché lui non era venuto ad aprirle. Sorrise lasciando andare quel pensiero: non aveva fatto tutta quella strada per un incontro romantico.
Il pensiero la riportava a quel pomeriggio di due mesi prima, quando un click involontario aveva fatto crollare quarant’anni di certezze come un castello di carte al vento.
Giulia si guardava ogni mattina allo specchio con gli stessi occhi con cui la vedevano gli altri: una quarantenne dall’aspetto studiatamente ordinario che nascondeva curve generose sotto camicette abbottonate fino al collo, come se la stoffa potesse soffocare desideri che non osava riconoscere. Solo le sue mani tradivano una vanità segreta: affusolate, curate maniacalmente, con smalto sempre impeccabile che stonava con il resto del suo aspetto dimesso. L’unica ribellione che si concedeva in un mondo dove tutto doveva apparire rispettabile. Si muoveva con grazia inconsapevole, come una danzatrice che aveva dimenticato di essere osservata, ma quelle mani erano la sua confessione silenziosa: unghie perfette che accarezzavano distrattamente i bordi dei fogli quando rifletteva, dita che tracciavano geometrie invisibili nell’aria mentre parlava.
La sua vita procedeva su binari tracciati da altri. Aveva sposato Marco, il “bravo ragazzo” che sua madre aveva sempre elogiato, scivolando in un matrimonio fatto di routine e silenzi. Il sesso era diventato un capitolo prevedibile della loro storia: lui sopra, lei sotto, qualche sporadico preliminare, mai oltre i confini dell’ordinario. Forse era anche per questo che, nonostante i tentativi, non era mai arrivato un figlio.
Le sue giornate si susseguivano identiche: la colazione condivisa in silenzio, prima di andare in ufficio. Dietro la scrivania dell’ufficio di contabilità, Giulia era un’equazione perfettamente bilanciata: entrate, uscite, profitti, perdite. Ogni numero trovava il suo posto nelle celle rassicuranti dei fogli Excel. Ma quando la notte scioglieva le sue difese, scopriva di possedere un’intelligenza diversa, più viscerale e pericolosa. La stessa mente che dominava i bilanci aziendali iniziò a scrutare i propri desideri con la curiosità di un entomologo che studia specie rare. Ogni fantasia veniva esaminata, soppesata, catalogata non più in fredde categorie contabili, ma come gemme preziose da nascondere in scrigni segreti. La fame cresceva proporzionalmente alla comprensione, e Giulia si ritrovava a desiderare non solo il piacere, ma anche la propria capacità di analizzarlo, di possederlo con la mente prima ancora che con il corpo.
I libri erano la sua morfina quotidiana. Da romanzi dove l’amore agonizzava in sospiri educati era scivolata verso parole che parlavano di carne come sacramento profano. Il tablet nascondeva un bordello di carta dove donne si arrendevano come regine conquistate. Ogni pagina risvegliava una fame che il suo ventre riconosceva prima della mente.
Era attraverso quelle pagine che aveva capito di non essere sola nel desiderare qualcosa di più grande del sesso educato del sabato sera. Esistevano donne che osavano chiedere quello che volevano, che trasformavano il proprio corpo in strumento di conquista invece che in prigione di pudori ereditati.
Solo Anna esisteva a colori in quel mondo di sfumature grigie. Era lei il primo squarcio nel velo della rispettabilità. Mentre Giulia lucidava il vuoto della sua esistenza, l’amica collezionava avventure che sapevano di carne libera. “Mi ha scopata contro il muro dell’ascensore,” confessava Anna versando vino come fosse sacramento, “e io gli ho graffiato la schiena supplicandolo di non fermarsi mai.”
Il corpo di Giulia tradiva ogni parola: capezzoli che reagivano, cosce che si stringevano cercando una pressione fantasma. Quelle confessioni erano spiragli su un universo dove le donne prendevano il piacere a morsi invece di mendicarlo in ginocchio. Anna le aveva insegnato che esistevano femmine capaci di trasformare la propria carne in arma di conquista.
Abituata a gestire ogni aspetto della sua vita, dal budget familiare alle faccende domestiche che Marco ‘non aveva tempo’ per aiutarla, Giulia aveva sviluppato un controllo quasi maniacale sulla sua quotidianità. Eppure, proprio questo bisogno ossessivo di controllo rendeva ancora più vertiginosa l’idea di lasciarlo andare, di affidarlo a qualcun altro. Come un elastico troppo teso, qualcosa dentro di lei stava per spezzarsi, liberando una donna che nemmeno lei sapeva di essere.
Un click involontario la condusse oltre il velo delle certezze. Bondage, dominazione, sottomissione: parole che risuonavano nella sua carne come echi di una melodia ancestrale. Ogni termine accendeva sinapsi che sua madre aveva tentato di anestetizzare con il catechismo.
Il suo corpo imparava mentre la mente resisteva ancora. I capezzoli che si indurivano sotto la camicetta austera, l’umidità tra le cosce, le dita che tremavano sulla tastiera non solo per eccitazione ma per la vertigine della scoperta. Quando Marco suonò il campanello, Giulia aveva le guance in fiamme e l’intimo fradicio.
Creò un profilo segreto, “O_Submissive”, dove la moglie perfetta moriva ogni notte in post confessati al buio. Mentre su Facebook condivideva ricette innocenti, il suo alter ego digitale sussurrava desideri che non osava pronunciare nemmeno allo specchio. Fu attraverso quelle confessioni notturne che lui la trovò.
Un vecchio lupo del BDSM la prese sotto la sua ala. Le aveva scritto di aver riconosciuto in lei l’innocenza pericolosa di chi cerca senza sapere cosa. “Cosa cerchi davvero, oltre il velo dell’emozione?” Una domanda che la tenne sveglia per ore, aprendo abissi che non sapeva di possedere.
Nelle conversazioni notturne le insegnò la grammatica del desiderio: sottomissione versus cedimento, dominazione versus prepotenza. Sotto la sua guida scoprì che arrendersi era l’unica vittoria che le interessasse davvero. Quando la ritenne pronta, la spinse verso la pratica: “Scrivi una lista dei tuoi limiti e desideri. Non per me, ma per vedere chi sei davvero.” Quella lista divenne il suo specchio più sincero.
Ancora una volta il mentore era stato in grado di farle raccontare le fantasie che maggiormente premevano nella sua testa e nelle sue mutande. Ci erano voluti giorni e diverse versioni per arrivare a pubblicare il seguente annuncio:
“Buongiorno, io ho una fantasia… vorrei essere legata ad un tavolo, masturbata, sculacciata a piacimento dell’altra persona, senza fare sesso, a meno di una mia esplicita richiesta. Non so se esista una pratica simile, ma vorrei trovare qualcuno in grado di soddisfare questa mia fantasia.”
Avevano scremato le prime risposte idiote, selezionato una ristretta rosa di candidati e fatto un’accurata verifica tra quello che dichiaravano, promettevano ed erano realmente i vari personaggi, fino ad avere selezionato questo signore. Una decina di anni di differenza, un’estrazione sociale completamente diversa, culturalmente due mondi quasi opposti. Eppure…
Eppure, la sua voce aveva una qualità che penetrava più profondamente di qualsiasi carezza fisica. Quando parlava, le parole non si limitavano a raggiungere le sue orecchie: scivolavano sotto la pelle, si insinuavano nelle pieghe nascoste dei suoi pensieri, toccavano nervi che nemmeno lei sapeva di possedere. Ma era anche il modo in cui sceglieva le parole che la incantava. Dago non parlava come gli altri uomini che aveva conosciuto. Il suo lessico attingeva a territori che Marco non aveva mai esplorato: citava Foucault quando le spiegava le dinamiche del potere, evocava Bataille quando descriveva il confine tra sacro e profano, sussurrava versi di Verlaine quando voleva farla arrossire attraverso il telefono. Era come essere corteggiata da un professore di letteratura erotica che conosceva tutti i segreti del corpo e dell’anima.
Sapeva decifrare ogni sua esitazione come se fossero segnali su una mappa emotiva che solo lui possedeva. Non era il dominatore rozzo dei suoi peggiori timori, quello che prende senza chiedere. Era qualcosa di più raffinato e quindi più pericoloso: uno scultore di anime che sapeva dove e quando applicare pressione per farla fiorire.
Il mentore l’aveva affiancata ancora per quel periodo che viene definito ‘vetting’, un processo di screening approfondito del potenziale partner per garantire sicurezza, compatibilità e comprensione reciproca prima di impegnarsi in qualsiasi attività. Un passaggio cruciale per identificare potenziali segnali d’allarme, stabilire confini chiari e costruire solide basi di fiducia e rispetto.
Lui aveva apprezzato e rispettato questa fase che non molti mettono in pratica e le aveva raccontato molte cose di sé. Gli studi classici, la famiglia borghese benestante, un lavoro che gli permetteva di viaggiare e togliersi parecchi sfizi, il costante bisogno di tenere la mente occupata, la scoperta del BDSM durante una trasferta di lavoro in Germania e la conseguente separazione dalla moglie.
Quello che era iniziato come curiosità si trasformò rapidamente in ossessione. Nelle settimane che seguirono, Giulia si ritrovò a controllare Telegram ogni ora, in attesa dei suoi messaggi. Stava ancora sulla difensiva, consultava spesso il suo mentore, ma qualcosa dentro di lei si stava arrendendo. Dago, questo il nick che le aveva concesso di usare, cercava di capire meglio chi avesse di fronte, se davvero fosse interessata a qualcosa di reale o se fosse solo curiosità.
Da semplici telefonate e chiacchierate era riuscito a passare al livello in cui poteva iniziare a chiederle delle cose, metterla alla prova. Il suo potere non si manifestava attraverso imposizioni, ma attraverso una cortesia che disarmava completamente Giulia. “Ti dispiacerebbe toglierti le mutande per me, per piacere?” le aveva chiesto una sera, e quella richiesta gentile l’aveva eccitata più di qualsiasi comando brutale. Era riuscito a farla masturbare al telefono con lui, ma sembrava non arrivare mai il giorno in cui realizzare quello che lei aveva proposto nell’annuncio
Al limite della pazienza aveva forzato la mano: lui avrebbe accettato le regole e i limiti imposti da Giulia unicamente se lei avesse accettato di presentarsi indossando quello che lui le avrebbe ordinato, anzi, indossando quello che lui le avrebbe fatto ricevere, e fissato una data. Giulia aveva tentennato e aveva cercato di avere più informazioni, cercando di capire cosa lui avesse in mente, finché lui non aveva chiuso la discussione in modo deciso. “Ora io vado a letto. Tu pensaci su questa notte. Se entro domani a mezzogiorno non avrai accettato le mie condizioni puoi anche cancellare questo contatto!”
Aveva sbuffato, si era infilata a letto combattuta tra la curiosità di quello che lui le avrebbe inviato e l’istinto ribelle che si rifiutava di ubbidire.
Aveva passato ore a rotolarsi nel letto, abbracciata al cuscino. Quando per sbaglio scivolava nel sonno, immediatamente si materializzavano immagini e sogni: quell’uomo, di cui aveva udito solo la voce e visto un paio di foto, invadeva i suoi pensieri e stuzzicava le sue fantasie. Avvertiva la sua figa pulsare e bagnarsi, bagnarsi come mai prima. In preda ad una disposizione d’animo che non aveva mai provato prima si era sfilata gli slip e masturbata più volte fino a quando era scivolata, senza accorgersene, in un sonno senza sogni e senza mutande.
Per tutta la mattina era stato in uno stato di confusione emotiva nuovo e piacevole per lei, quasi fosse stata febbricitante. Le emozioni si muovevano dal cervello allo stomaco, dalla pelle ad altre parti estremamente sensibili del suo corpo. Non aveva mai sentito i capezzoli così sensibili e reattivi. Aveva un costante fremito tra le cosce e nello stomaco.
Improvvisamente si rese conto che erano passate le undici e che il tempo stava per scadere.
Le emozioni si trasformarono in panico, una forma di paura irrefrenabile ed esagerata. Con mani tremanti afferrò il cellulare e iniziò a scrivere la sua risposta sul contatto Telegram di Dago: “Va bene, Va bene, se tu mi prometti di rispettare i limiti che ho messo nell’annuncio e che abbiamo discusso, io mi impegno a indossare quello che mi manderai e a fissare una data.”
Appena inviato il messaggio la tensione sembrava allentarsi, modificarsi, come se si fosse passati dalla paura, dall’agitazione alla curiosità. Ora le era comparso anche un sorriso ad illuminarle il viso.
Il telefono vibrò in quel modo particolare che lei aveva assegnato solo a lui. Un vocale. Il cuore accelerò di nuovo mentre lo stomaco si contraeva. Aveva guardato attorno, i colleghi, come se tutti sapessero che stava iniziando una tresca extraconiugale.
Con mano tremante aveva avvicinato il cellulare all’orecchio e fatto partire il messaggio: “Non mi basta, voglio sentirti dire che mi ubbidirai e farai esattamente tutto, ripeto, tutto quello che IO – il tono della voce era cambiato, improvvisamente, come a sottolineare quella parola, quelle due lettere – ti ordinerò di fare, voglio un vocale, voglio ascoltare la tua voce – una breve sospensione – ti restano meno di 20 minuti!”
Salivazione azzerata, palpitazioni al massimo, ossigenazione quasi assente. Mai prima di quel momento si era sentita così. Quella voce, calma e profonda, sicura, decisa, inflessibile, autoritaria senza essere eccessivamente prepotente, sembrava sapere come toccare i suoi nervi e le sue emozioni, come un abile pianista sapeva quali tasti e come premerli per ottenere un certo risultato.
Ancora una volta lasciò che il suo sguardo perlustrasse l’ufficio per poi alzarsi e prendere la direzione del bagno dove avrebbe registrato il vocale che avrebbe suggellato la propria resa.
Giulia appoggiò delicatamente, timorosa, la mano alla porta e lentamente la aprì senza muovere un passo. Il profumo del legno della porta si mescolava ora agli incensi accesi per creare atmosfera. Il palo santo dominava quella danza olfattiva, il suo aroma intenso e sacro che contrastava con la profanità delle sue intenzioni. Candele tracciavano un sentiero lungo il corridoio come lucciole addomesticate, la loro luce tremolante che creava ombre danzanti sulle pareti, trasformando uno spazio ordinario in un tempio di promesse sussurrate.
La pelle le formicolava, ipersensibile, registrando ogni minima variazione della temperatura mentre l’aria tiepida dell’appartamento le accarezzava il viso. Il battito del suo cuore sembrava scandire il tempo tra due vite: quella di fuori, fatta di routine e maschere sociali, e quella che stava per iniziare, al di là di quella soglia. Percepiva una forza magnetica attirarla dentro, mentre i piedi sembravano ancorati al pavimento da catene invisibili, il corpo diviso tra desiderio e timore come un ago magnetico tra due poli opposti.
Fu allora che sentì la voce. Quella voce che per settimane aveva popolato le sue fantasie, aveva fatto vibrare il suo telefono con messaggi proibiti su Telegram, aveva guidato le sue dita verso piaceri solitari nelle ore più buie, mentre suo marito dormiva ignaro nella stanza accanto. “Hai bisogno di un invito ufficiale per entrare?” Calma. Calda. Profonda. Come whisky versato su ghiaccio, bruciava e confortava allo stesso tempo. Era la stessa voce che l’aveva condotta fin lì attraverso conversazioni e messaggi notturni, eppure era diversa, più vicina, più pericolosa, soprattutto vera e reale, e le venne naturale ripensare a qualche settimana prima.
Aveva atteso qualche giorno l’arrivo del pacco, continuando e approfondendo la relazione virtuale con lui. Dago, riusciva ad alternare momenti di cura e attenzione, in cui si informava sui gusti, sullo stato emotivo e sulle preferenze di Giulia, a momenti in cui le ordinava di fare qualcosa. Azioni che la mettevano in uno stato particolare, di imbarazzo e di euforia.
Lentamente si insinuò nella sua vita, cominciando ad influenzare il modo in cui si doveva vestire per andare in ufficio, suggerendole di curare di più i particolari: gonne, scarpe con un po’ di tacco, trucco più curato. Gradualmente, passò a ordinarle azioni sempre più audaci. Si cominciò con gesti semplici, come togliersi gli slip nei luoghi più ordinari, l’ufficio, un ristorante, un caffè, per poi passare a richieste più intime. Aveva iniziato a ordinarle di effettuare delle pratiche come masturbarsi sia a casa che in luoghi pubblici come nei bagni dei bar o dell’ufficio. Oppure scegliere oggetti ordinari da usare per i loro giochi.
L’aveva mandata a fare la spesa facendole scegliere degli oggetti di uso comune per masturbarsi. Lei aveva preso la classica carota, una bottiglia di birra e un utensile da cucina che aveva un manico di una dimensione e una forma interessante. Quello che la sorprendeva era come lui le faceva vedere il modo di tutti i giorni in modo diverso, con occhi diversi.
Quel giorno lui l’aveva fatta masturbare moltissime volte. nemmeno da adolescente, quando aveva scoperto la bellezza del darsi piacere da sola, lo aveva mai fatto così tanto. L’ultima volta di quel giorno l’aveva dovuta fare stando al telefono con lui, mentre sfregava la propria intimità, il proprio clitoride sul bracciolo del divano sussurrando: “Ecco il mio orgasmo per lei, Signore!” Il tono della propria voce, in quel momento, le era echeggiato per giorni nella mente.
Per lei la masturbazione era sempre stata un atto segreto, da fare chiusa nella sua cameretta al buio o sotto la doccia; quindi, questo farlo a comando e condividendo persino il momento del piacere stava cambiando lentamente la sua visione dell’intimità.
Poi finalmente era arrivato il pacco. Fortunatamente, in uno dei supermercati che frequentava vi era un locker per le consegne, quindi, con la scusa di andare a fare la spesa, era andata a ritirarlo. Aveva nascosto il tutto fino al momento in cui era stata finalmente sola, poi aveva eseguito quanto lui le aveva ordinato. Aveva preparato sul letto tutto quello che aveva ricevuto, dovendo ammettere che Dago aveva buon gusto.
Continuando ad eseguire gli ordini, si era spogliata completamente, fermandosi un istante davanti allo specchio.
Si era guardata e aveva trattenuto il respiro. Quarant’anni di autocritica si dissolsero in quell’istante di nudità vulnerabile. Il suo corpo le si rivelava come un territorio mai veramente esplorato: le spalle morbide che scendevano verso seni pieni, generosi, che aveva sempre nascosto sotto camicette anonime come fossero colpe da espiare. I capezzoli, ora turgidi nell’aria fresca della camera, tradivano un’eccitazione che nemmeno lei voleva ammettere.
Le sue mani si posarono sui fianchi rotondi, quelle curve che sua madre aveva sempre definito “problematiche” e che Marco ignorava come dettagli scomodi di un progetto sbagliato. Ma sotto lo sguardo immaginario di Dago, quelle rotondità diventavano promesse di piacere, geografia di una sensualità che stava finalmente imparando a riconoscere. La pancia morbida, i segni discreti del tempo, le cosce che si toccavano dolcemente. Tutto quello che aveva sempre considerato imperfezione ora le sembrava incredibilmente, sfacciatamente femminile.
I capelli castani le cadevano liberi sulle spalle, incorniciando un viso dove gli occhi marroni finalmente osavano sostenersi. Le sue mani, le dita affusolate e curate che rappresentavano la sua unica vanità confessata, accarezzarono lentamente la propria pelle come se la stessero scoprendo per la prima volta. Era la donna che si era sempre nascosta sotto strati di rispettabilità borghese, finalmente nuda e finalmente viva.
Per la prima volta da anni, si concesse un sorriso di autentica complicità con la propria immagine, poi aveva indossato il ridotto intimo con reggiseno a balconcino, infilato la guepière e i collant in tinta. Solo allora aveva aperto la scatola di scarpe, trovandoci un particolare paio di décolleté variopinte con tacco dodici. Nel calzarle, era rimasta sorpresa di quanto le stessero perfettamente. A quel punto, aveva preso il telefono e, usando Telegram, gli aveva mandato una foto. “Signore, sembra tutto perfetto fino ad adesso, grazie.”
Infine, aveva infilato il vestito rosa, morbido, che esaltava la sua figura curvy senza segnarla. Aveva scattato una seconda foto, aspettando la sua risposta. Era rimasta vestita ad aspettare che lui le rispondesse; il tempo trascorreva in modo molto più lento, o almeno questo è quello che sembrava a lei. Telegram mostrava che lui aveva visualizzato il messaggio, ma i minuti passavano senza risposta. Ogni secondo di silenzio era una tortura, un’anticipazione che le faceva stringere le cosce mentre immaginava i suoi occhi che la studiavano attraverso quelle foto. Finalmente arrivò la risposta: “Ora puoi aprire il pacchetto regalo che hai trovato. Aspetto che tu lo apra per darti il prossimo ordine!”
Giulia aprì con mani tremanti per l’emozione il pacchetto che era piuttosto pesante. Quello che trovò dentro non la sorprese più di tanto, almeno fino a quando non iniziò a leggere la lettera in allegato. Dago le aveva regalato un vibratore, uno di quelli con una forma che non aveva mai usato, chiamato rabbit, in grado di stimolare sia internamente ma anche il clitoride. La vera particolarità era che era uno di quei giocattoli di nuova generazione che era possibile controllare a distanza. La lettera, scritta a mano, conteneva le esatte istruzioni per scaricare l’app e collegarsi, permettendogli di prenderne il controllo. Non appena Giulia completò la connessione, il telefono squillò.
“Pronto…” La sua voce tradiva agitazione e il nervosismo di un’adolescente alla sua prima avventura proibita. Il cuore le batteva nel petto, le mani sudate stringevano il telefono. Ma quando sentì la voce di Dago, quella voce profonda, controllata, che sembrava scivolare lungo la sua spina dorsale come miele caldo, tutto il suo corpo rispose con un fremito di riconoscimento. Era la voce che dava vita le sue fantasie più segrete, che l’aveva guidata attraverso piaceri mai immaginati prima. “Ciao, ora che hai ricevuto il regalo voglio che tu faccia quello che ti sto per ordinare…”
“Si Signore…” furono le uniche parole che riuscì a pronunciare mentre la bocca si asciugava e un’altra parte iniziava a bagnarsi.
Giulia si sdraiò sul letto davanti allo specchio, il vibratore che scivolava dentro di lei come una promessa mantenuta. Il suo corpo aveva già imparato a tradire ogni telefonata di Dago – umidità costante che la costringeva a cambiarsi gli slip due volte al giorno, capezzoli che si indurivano al solo sentire la sua voce.
Lui orchestrava il suo piacere come desiderava. La voce che la guidava mentre cambiava vibrazioni e intensità secondo schemi imprevedibili, tenendola sul filo del rasoio tra controllo e abbandono. Quando pensava di conoscere il ritmo, lui cambiava tutto: accelerava fino a farla inarcare la schiena, poi rallentava lasciandola sospesa nel vuoto dell’attesa.
Il piacere cresceva, la figa che pulsava fame mentre lui la portava in una dimensione che non conosceva. La voce di Dago scivolava nell’orecchio, scendeva fino alla pancia, prendeva possesso di ogni fibra. Era completamente in suo potere, eppure mai si era sentita così libera. Quando finalmente le concesse di esplodere, il primo orgasmo fu solo l’inizio di una catena che la lasciò tremante e incredula.
“Tre orgasmi,” sussurrò alle lenzuola macchiate, “Anna aveva ragione su tutto.”
“Per oggi può bastare… metti via tutto e … fammi sapere quando potresti organizzarti per avere almeno un pomeriggio in cui potresti essere completamente a mia disposizione per farti realizzare il tuo sogno. Ci sentiamo domani.”
Giulia lo salutò con voce flebile ma rispettosa, il corpo che ancora pulsava di piacere, la mente che fluttuava in uno spazio tra realtà e fantasia. Si impose di alzarsi dal letto, anche se le gambe tremavano così tanto che dovette aggrapparsi al comodino. Si guardò allo specchio notando che stava sorridendo, un sorriso nuovo, che non aveva mai visto sul suo viso. Mise tutto via nella sua parte dell’armadio, nascondendo gli oggetti quanto bastava. Cambiò le lenzuola e, dopo una doccia, si diresse in cucina per preparare la cena per Marco, mentre la sua mente continuava a ripetere come un mantra “Tre orgasmi, ho avuto tre orgasmi… e io che non credevo ad Anna… non credevo fosse possibile.” Il suo corpo conservava ancora la memoria di quelle sensazioni, come onde che continuano a infrangersi sulla spiaggia molto dopo che la tempesta è passata.
Mentre quella voce le vibrava dentro, nella testa e nella pancia, Giulia sorrise ripensando a quanto fossero stati lontani dai clichés volgari che in parte si era aspettata. Non c’era stata imposizione cieca né arbitrarietà da subire. Dago aveva ascoltato ogni sua esitazione, ogni fremito nella voce durante le loro conversazioni notturne, mentre lei aveva imparato a offrire i propri limiti come doni preziosi. Insieme avevano costruito qualcosa di unico, loro: lui decifrando il linguaggio segreto delle sue paure, lei consegnandogli le chiavi dei propri abissi. Non era stata conquista ma negoziazione. Ogni conversazione aveva scavato più a fondo, esplorando territori dove il controllo non si prende ma si riceve, dove il potere si dona invece di essere strappato. Era stata lei, alla fine, a supplicare che quella danza di parole diventasse carne e corde, sangue e comando. Lui aveva semplicemente accettato di essere il depositario della sua resa volontaria.
Mentre il ricordo della voce di Dago le vibrava dentro, nella testa, nella pancia, tra le cosce già umide, Giulia sorrise ripensando a quanto fossero stati lontani dai clichés che si era aspettata. Non c’era stata imposizione cieca. Ogni conversazione aveva scavato più profondo, esplorando territori dove il controllo non si prende ma si riceve. Lui aveva semplicemente accettato di essere il depositario della sua resa volontaria.
La porta si aprì senza suono. Nell’ombra, una voce, la sua voce, la raggiunse.
“Hai bisogno di un invito ufficiale per entrare?”
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