L'appartamento segreto 4
di
Fuuka
genere
saffico
Il suono del suo gemito si spense, lasciando nella stanza un silenzio carico di elettricità. Mika giaceva sul tavolo, il suo corpo un bellissimo campo di battaglia dopo la resa. Il suo petto si alzava e si abbassava velocemente, la pelle lucida di sudore, i capelli color miele appiccicati alle tempie. Io ero lì, in piedi di fronte a lei, con la sua essenza ancora sulla mia mano e sulle mie labbra, sentendomi incredibilmente potente e al contempo piena di una tenerezza quasi dolorosa.
Feci un passo avanti, presi una t-shirt pulita da una sedia e la bagnai con un po' d'acqua da una bottiglietta. Con una delicatezza che non sapevo di possedere, cominciai a pulirla. Le passai il panno umido sulla fronte, sulle guance, sul collo, scendendo sul suo ventre tremante. Pulii la mia stessa mano e poi tornai a lei, pulendo l'interno delle sue cosce, raccogliendo le prove del suo piacere. Lei non disse una parola, limitandosi a seguirmi con i suoi occhi scuri, ora limpidi e vulnerabili, privi di qualsiasi malizia. In quel momento, nel silenzio di quel camerino sporco, si creò un'intimità più profonda di qualsiasi bacio.
Ci vestimmo lentamente, nello spazio angusto. Ogni movimento era carico di una nuova consapevolezza. Mentre mi infilavo le scarpe, la vidi allacciarsi le sue, e il semplice movimento della sua schiena che si curvava mi fece contrarre il basso ventre. Ci scambiammo uno sguardo nello specchio crepato appeso al muro e, per la prima volta, non vidi una sconosciuta curiosa, ma una complice.
Il viaggio di ritorno in treno fu surreale. La carrozza era quasi vuota, le luci al neon che sfrecciavano fuori dal finestrino dipingevano strisce di colore sui nostri visi. Ci sedemmo vicine, i nostri fianchi che si toccavano. Dopo qualche minuto, Mika appoggiò la testa sulla mia spalla, un gesto di totale abbandono. Le cinsi le spalle con un braccio, attirandola a me. La sua mano trovò la mia e le nostre dita si intrecciarono. Il mio cuore batteva forte. Pensai a Reina. Un lampo di colpa mi attraversò, così acuto da farmi mancare il fiato. Stavo tradendo la sua fiducia? O stavo semplicemente accettando l'invito che mi avevano tacitamente porto? Guardai il viso addormentato di Mika, così sereno contro la mia spalla, e la risposta mi fu chiara. Non stavo tradendo nessuno. Stavo solo, finalmente, iniziando a vivere.
Quando arrivammo all'appartamento, era buio e silenzioso. La porta della stanza di Reina era chiusa. Entrammo in punta di piedi, ma appena chiusi la porta d'ingresso alle nostre spalle, Mika si girò e mi baciò. Fu un bacio diverso da quello del camerino. Non c'era più la fame della scoperta, ma la certezza del possesso. Le sue labbra erano morbide e sicure, mi guidarono in un ballo lento e profondo che sapeva di promesse.
"Vieni," mi sussurrò, prendendomi per mano e guidandomi non verso la sua stanza, ma verso la mia.
Entrare nella mia camera con lei fu come varcare una soglia definitiva. Quello era il mio spazio, il mio rifugio pieno di libri, e ora stava per diventare il tempio del nostro desiderio. Appena la porta si chiuse, fu lei a prendere il controllo. Mi spinse delicatamente contro il muro, le sue mani che mi tenevano ferma per i polsi.
"Adesso tocca a te," mormorò, la sua voce roca. "Voglio assaggiarti. Voglio sapere che sapore hai quando vieni per me."
Mi spinse sul letto e si mise sopra di me. Iniziò a spogliarmi, lentamente, un indumento alla volta, i suoi occhi che non lasciavano mai i miei. Ogni pezzo di stoffa che cadeva era una barriera in meno. Quando fui completamente nuda, si prese un momento per guardarmi, i suoi occhi che percorrevano ogni centimetro della mia pelle come se volessero memorizzarlo. Poi scese, e iniziò a baciarmi. Partì dalle caviglie, risalendo lentamente, la sua lingua che disegnava cerchi di fuoco sulla mia pelle. I suoi capelli mi solleticavano il ventre, i suoi piercing occasionalmente sfioravano la mia pelle con un brivido freddo e metallico.
Quando arrivò tra le mie gambe, ero già persa. Si posizionò e mi guardò. "Sei bellissima, Aiko," disse. E poi, mi leccò. La sua lingua era agile, energica, quasi aggressiva. Non era delicata come avevo immaginato potesse essere quella di Reina; era esigente, famelica. Prima si concentrò sul mio clitoride, leccandolo e succhiandolo con un ritmo che mi fece subito inarcare la schiena. Sentivo i miei stessi succhi mischiarsi al sapore della sua bocca, un gusto inebriante. Poi, mentre la sua lingua non smetteva di tormentarmi, infilò due dita dentro di me. Le sue dita erano forti, sicure, e andarono a cercare subito il mio punto G, premendo e massaggiandolo con una perizia che mi fece gridare il suo nome.
Il piacere era troppo, troppo intenso. Ero sul punto di venire, ma lei se ne accorse e, incredibilmente, si fermò.
"Non ancora," ansimò, il viso arrossato. "Non da sola."
Si sfilò velocemente i vestiti, rimanendo nuda sopra di me. Prese la mia mano e la guidò sulla sua fica, bagnata e calda. "Toccami," mi ordinò. "Vieni con me."
Ci masturbammo a vicenda, i nostri corpi che si muovevano all'unisono. Io guardavo lei, la sua espressione di pura estasi, mentre le sue dita mi portavano sempre più in alto. Lei guardava me, godendo del mio piacere, spingendomi oltre ogni limite. Venimmo insieme, con un urlo soffocato contro le labbra dell'altra, i nostri corpi scossi dagli stessi spasmi, il mio orgasmo che esplodeva dentro di me mentre sentivo il suo corpo contrarsi contro la mia mano.
Ci accasciammo l'una sull'altra, esauste, sudate, i nostri cuori che battevano all'unisono contro i nostri petti. Mika si rannicchiò contro di me, la testa appoggiata sul mio seno. Mentre scivolava nel sonno, rimasi sveglia, ad accarezzarle i capelli. Guardai il soffitto della mia stanza, ora non più solo mia. Pensai a Reina, addormentata al di là del muro. Non provai colpa, ma un'eccitazione febbrile. Ero entrata nel loro mondo. E non volevo più uscirne.
Feci un passo avanti, presi una t-shirt pulita da una sedia e la bagnai con un po' d'acqua da una bottiglietta. Con una delicatezza che non sapevo di possedere, cominciai a pulirla. Le passai il panno umido sulla fronte, sulle guance, sul collo, scendendo sul suo ventre tremante. Pulii la mia stessa mano e poi tornai a lei, pulendo l'interno delle sue cosce, raccogliendo le prove del suo piacere. Lei non disse una parola, limitandosi a seguirmi con i suoi occhi scuri, ora limpidi e vulnerabili, privi di qualsiasi malizia. In quel momento, nel silenzio di quel camerino sporco, si creò un'intimità più profonda di qualsiasi bacio.
Ci vestimmo lentamente, nello spazio angusto. Ogni movimento era carico di una nuova consapevolezza. Mentre mi infilavo le scarpe, la vidi allacciarsi le sue, e il semplice movimento della sua schiena che si curvava mi fece contrarre il basso ventre. Ci scambiammo uno sguardo nello specchio crepato appeso al muro e, per la prima volta, non vidi una sconosciuta curiosa, ma una complice.
Il viaggio di ritorno in treno fu surreale. La carrozza era quasi vuota, le luci al neon che sfrecciavano fuori dal finestrino dipingevano strisce di colore sui nostri visi. Ci sedemmo vicine, i nostri fianchi che si toccavano. Dopo qualche minuto, Mika appoggiò la testa sulla mia spalla, un gesto di totale abbandono. Le cinsi le spalle con un braccio, attirandola a me. La sua mano trovò la mia e le nostre dita si intrecciarono. Il mio cuore batteva forte. Pensai a Reina. Un lampo di colpa mi attraversò, così acuto da farmi mancare il fiato. Stavo tradendo la sua fiducia? O stavo semplicemente accettando l'invito che mi avevano tacitamente porto? Guardai il viso addormentato di Mika, così sereno contro la mia spalla, e la risposta mi fu chiara. Non stavo tradendo nessuno. Stavo solo, finalmente, iniziando a vivere.
Quando arrivammo all'appartamento, era buio e silenzioso. La porta della stanza di Reina era chiusa. Entrammo in punta di piedi, ma appena chiusi la porta d'ingresso alle nostre spalle, Mika si girò e mi baciò. Fu un bacio diverso da quello del camerino. Non c'era più la fame della scoperta, ma la certezza del possesso. Le sue labbra erano morbide e sicure, mi guidarono in un ballo lento e profondo che sapeva di promesse.
"Vieni," mi sussurrò, prendendomi per mano e guidandomi non verso la sua stanza, ma verso la mia.
Entrare nella mia camera con lei fu come varcare una soglia definitiva. Quello era il mio spazio, il mio rifugio pieno di libri, e ora stava per diventare il tempio del nostro desiderio. Appena la porta si chiuse, fu lei a prendere il controllo. Mi spinse delicatamente contro il muro, le sue mani che mi tenevano ferma per i polsi.
"Adesso tocca a te," mormorò, la sua voce roca. "Voglio assaggiarti. Voglio sapere che sapore hai quando vieni per me."
Mi spinse sul letto e si mise sopra di me. Iniziò a spogliarmi, lentamente, un indumento alla volta, i suoi occhi che non lasciavano mai i miei. Ogni pezzo di stoffa che cadeva era una barriera in meno. Quando fui completamente nuda, si prese un momento per guardarmi, i suoi occhi che percorrevano ogni centimetro della mia pelle come se volessero memorizzarlo. Poi scese, e iniziò a baciarmi. Partì dalle caviglie, risalendo lentamente, la sua lingua che disegnava cerchi di fuoco sulla mia pelle. I suoi capelli mi solleticavano il ventre, i suoi piercing occasionalmente sfioravano la mia pelle con un brivido freddo e metallico.
Quando arrivò tra le mie gambe, ero già persa. Si posizionò e mi guardò. "Sei bellissima, Aiko," disse. E poi, mi leccò. La sua lingua era agile, energica, quasi aggressiva. Non era delicata come avevo immaginato potesse essere quella di Reina; era esigente, famelica. Prima si concentrò sul mio clitoride, leccandolo e succhiandolo con un ritmo che mi fece subito inarcare la schiena. Sentivo i miei stessi succhi mischiarsi al sapore della sua bocca, un gusto inebriante. Poi, mentre la sua lingua non smetteva di tormentarmi, infilò due dita dentro di me. Le sue dita erano forti, sicure, e andarono a cercare subito il mio punto G, premendo e massaggiandolo con una perizia che mi fece gridare il suo nome.
Il piacere era troppo, troppo intenso. Ero sul punto di venire, ma lei se ne accorse e, incredibilmente, si fermò.
"Non ancora," ansimò, il viso arrossato. "Non da sola."
Si sfilò velocemente i vestiti, rimanendo nuda sopra di me. Prese la mia mano e la guidò sulla sua fica, bagnata e calda. "Toccami," mi ordinò. "Vieni con me."
Ci masturbammo a vicenda, i nostri corpi che si muovevano all'unisono. Io guardavo lei, la sua espressione di pura estasi, mentre le sue dita mi portavano sempre più in alto. Lei guardava me, godendo del mio piacere, spingendomi oltre ogni limite. Venimmo insieme, con un urlo soffocato contro le labbra dell'altra, i nostri corpi scossi dagli stessi spasmi, il mio orgasmo che esplodeva dentro di me mentre sentivo il suo corpo contrarsi contro la mia mano.
Ci accasciammo l'una sull'altra, esauste, sudate, i nostri cuori che battevano all'unisono contro i nostri petti. Mika si rannicchiò contro di me, la testa appoggiata sul mio seno. Mentre scivolava nel sonno, rimasi sveglia, ad accarezzarle i capelli. Guardai il soffitto della mia stanza, ora non più solo mia. Pensai a Reina, addormentata al di là del muro. Non provai colpa, ma un'eccitazione febbrile. Ero entrata nel loro mondo. E non volevo più uscirne.
3
voti
voti
valutazione
7
7
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
La professoressa e l'allieva. Cap 2racconto sucessivo
La Professoressa e l’Allieva. Cap 3
Commenti dei lettori al racconto erotico