L'appartamento segreto Capitolo 1

di
genere
prime esperienze

Mi chiamo Aiko, ho ventun’anni, e la mia vita fino a oggi è stata una linea retta tracciata con il righello: casa, famiglia, e lo studio matto e disperatissimo della letteratura all'università. Sono una ragazza tranquilla, forse troppo. Una di quelle che si notano poco, con i capelli neri e lisci sempre in ordine e un'espressione seria che spesso viene scambiata per timidezza. Il trasferimento era una necessità, non un'avventura. Shinjuku era semplicemente più vicina al campus, e dividere le spese con delle sconosciute era l'unico modo per permettermi di vivere lì.
L'appartamento era esattamente come me lo aspettavo: anonimo. Un cubo di cemento al quarto piano di un palazzo identico a mille altri. Corridoi stretti, odore di disinfettante e un silenzio che sembrava provvisorio. Bussai alla porta con il cuore che batteva appena un po' più forte, l'unica concessione all'emozione della giornata.
La porta si aprì di scatto e fui investita da un'ondata di energia. "Sei Aiko, vero? Entra, entra!"
Davanti a me c'era Mika, ventidue anni di puro caos sorridente. Aveva i capelli corti, tinti di un rosa sbiadito che stava virando verso l'arancione, tenuti indietro da una fascia colorata. Indossava una salopette di jeans corta sopra una t-shirt di una band che non conoscevo, e le sue braccia erano adornate da una collezione di braccialetti di filo e perline. I suoi occhi scuri erano grandi, curiosi e pieni di una luce allegra. Era il tipo di persona che sembrava non stare mai ferma, nemmeno quando lo era.
"Vieni, ti faccio vedere la casa. È un buco, ma è il nostro buco!" mi disse, trascinandomi dentro per un braccio.
Mentre mi mostrava la mia stanza, spoglia e in attesa delle mie scatole, un'altra figura apparve sulla soglia. Se Mika era un'esplosione di colori, lei era una pennellata di inchiostro su carta di riso. Era Reina, ventiquattro anni. Alta, con una postura elegante che tradiva forse anni di danza, aveva lunghi capelli di un nero profondo, raccolti in una treccia morbida che le ricadeva su una spalla. La sua pelle era chiarissima, quasi traslucida. Indossava un semplice abito nero, lungo fino alle caviglie, che le scivolava addosso con grazia. Non sorrideva come Mika; il suo era un accenno, un piccolo sollevarsi dell'angolo della bocca, ma i suoi occhi, di un castano così scuro da sembrare nero, mi osservavano con una calma e un'intensità quasi magnetica.
"Piacere di conoscerti," disse, la sua voce bassa e musicale, un contrasto perfetto con quella squillante di Mika.
Dopo avermi mostrato la stanza, andammo in cucina. Cenammo con del ramen istantaneo arricchito con quello che trovammo in frigo, e facemmo due chiacchiere. Mika era un fiume in piena, mi raccontò della sua band, del suo lavoro part-time in un negozio di dischi, dei suoi sogni. Reina parlava meno, ma ogni sua parola era ponderata. Interveniva per prendere in giro Mika o per farmi domande precise sui miei studi, dimostrando un interesse genuino che mi sorprese.
Più tardi, nella mia stanza, mentre sistemavo le ultime cose, sentii dei suoni provenire dal corridoio. Delle risate soffocate, la voce di Mika, poi quella più bassa di Reina. La curiosità, un sentimento che di solito tengo a bada, ebbe la meglio. Uscii dalla mia stanza in punta di piedi. La porta della loro camera, quella in fondo al corridoio, era socchiusa. Un rettangolo di luce calda si proiettava sul pavimento.
Mi avvicinai, il cuore che mi batteva forte, sentendomi una spia. Accostai l'occhio alla fessura.
Erano sul letto. Reina era seduta con la schiena appoggiata alla testiera, Mika era tra le sue gambe, il viso rivolto verso di lei. Si stavano baciando. Non era un bacio casto; era un bacio lento, profondo, le mani di Mika che accarezzavano il viso di Reina, le dita di Reina che si intrecciavano tra i capelli rosa di Mika. Vidi Mika scendere a baciarle il collo, e Reina inclinare la testa all'indietro, un sospiro silenzioso che le schiudeva le labbra. Si muovevano insieme con un'intimità così profonda, così naturale, che mi sentii mancare il fiato.
Mi ritrassi di scatto, come se mi fossi scottata. Tornai nella mia stanza e chiusi la porta senza fare rumore. Mi appoggiai con la schiena contro il legno, il respiro corto. L'immagine di loro due, di quella passione così tenera e palpabile, mi si era stampata a fuoco dietro le palpebre.
Quella notte non riuscii a dormire. Fissavo il soffitto, pensando a loro, e a un mondo di possibilità e di desideri che non avevo mai nemmeno osato immaginare.
I primi giorni passarono in una sorta di normalità surreale. Trovammo un nostro equilibrio, un ritmo fatto di colazioni silenziose, di porte chiuse per studiare o lavorare, e di cene occasionali in cui la parlantina di Mika riempiva ogni spazio. Io mi stavo abituando alla loro presenza, al modo in cui la loro intimità aleggiava nell'aria come un profumo persistente, qualcosa a cui ci si abitua ma che non si smette mai di notare. Avevo relegato ciò che avevo visto a un segreto, un'immagine custodita in un angolo della mia mente.
Ma una notte, tutto cambiò di nuovo. Avevo fatto tardi sui libri, la testa pesante di teorie letterarie e di troppo caffè. Saranno state le due del mattino. Mi ero appena messa a letto, sprofondando nel cuscino, quando lo sentii. Un gemito, quasi soffocato, così basso che per un attimo pensai di averlo immaginato. Rimasi in ascolto, il respiro sospeso. E poi ne sentii un altro, più forte, inequivocabile.
Il mio cuore accelerò. Sapevo che non avrei dovuto, ma non riuscii a fermarmi. La curiosità era una forza fisica che mi tirò giù dal letto e mi spinse in corridoio. Come l'altra volta, la porta della loro stanza era socchiusa. Non capivo perché non la chiudessero mai. Era una dimenticanza? O una tacita, perversa, forma di invito?
Mi avvicinai, accostando di nuovo l'occhio alla fessura. La scena che vidi mi tolse il fiato.
Mika era nuda, ad eccezione di un reggiseno di pizzo nero, sdraiata sul letto con la schiena appoggiata a una montagna di cuscini. Aveva le gambe aperte e piegate, completamente abbandonate al piacere. Davanti a lei, inginocchiata sul letto, c'era Reina, anche lei nuda. La sua schiena elegante e longilinea era curva, la sua testa affondata tra le cosce di Mika. Le stava leccando la figa con una devozione e un'intensità che erano quasi spaventose. Una delle sue mani era immersa nella vagina di Mika, le dita che si muovevano con un ritmo profondo e sapiente, mentre l'altra mano, con una delicatezza incredibile, stava masturbando il suo clitoride.
Gemevano tutte e due. I gemiti di Mika erano acuti e spezzati, quelli di Reina più bassi e rochi, suoni che si intrecciavano in una melodia oscena. Le gambe di Mika tremavano leggermente, scosse da piccole contrazioni di piacere.
Non riuscii a sostenere la vista. Corsi in stanza, tutta arrossata in viso, il sangue che mi pulsava nelle orecchie. Mi infilai a letto, tirando le coperte fino al mento come una bambina, ma non servì a nulla. Le immagini mi tornarono alla mente, vivide, prepotenti. Il corpo di Mika, offerto e vulnerabile. Le mani e la bocca di Reina, così esperte, così adoranti.
Senza quasi volerlo, la mia mano scivolò sotto il pigiama e poi sotto gli slip. Iniziai a masturbarmi, prima sfiorando il clitoride, che era già gonfio e sensibile. Poi, spinta da un bisogno che non potevo più controllare, misi due dita dentro la mia vagina depilata. Era fradicia. Le immagini nella mia testa si fecero più intense, e con loro il mio piacere. Arrivai fino al culmine in un'ondata di calore, e sentii le mie gambe tremare leggermente, proprio come quelle di Mika.
Mi accasciai sul cuscino, sudata e stremata, il respiro corto. Non ero più una spettatrice innocente. Quella notte, in segreto, avevo partecipato al loro piacere. E ne volevo ancora.

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2025-08-25
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