L'appartamento segreto. Capitolo 3

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genere
saffico

Un giorno, mentre eravamo in cucina, Mika ci invitò all'esibizione della sua piccola band. Era la bassista. Ammetto la mia ignoranza, per me il basso è una specie di chitarra elettrica, ma il modo in cui i suoi occhi si illuminavano parlandone era contagioso. Con mia sorpresa, Reina scosse la testa. «Ho un impegno, non posso venire,» disse con la sua solita calma, ma percepii una nota di dispiacere. Invece io, forse con un po' troppa fretta, risposi che sarei venuta volentieri. L'idea di vedere Mika nel suo mondo, senza l'ombra intensa e protettiva di Reina, mi piaceva. Era un'occasione.
Per la sera, decisi di vestirmi in modo semplice, leggero. Una gonna che arrivava appena sopra le ginocchia, abbastanza corta da essere stuzzicante ma abbastanza lunga da coprire le mie mutandine grigie. Un paio di sneakers basse con la suola piatta e una semplice maglietta bianca. Volevo essere comoda, sentirmi me stessa.
Il pub era esattamente come l'avevo immaginato: un locale anonimo in una periferia di Tokyo che non conoscevo, uno di quei posti che o conosci o non troverai mai. L'aria all'interno era densa di fumo e sudore, la musica mi colpì come un'onda fisica. Appena entrai, l'esibizione della band era già iniziata. E la vidi.
Sul piccolo palco, Mika era trasformata. Non era la mia coinquilina sorridente e caotica. Era una dea del rock in miniatura. Indossava calze a rete strappate, una gonna nera cortissima, delle scarpe viola con la suola alta che la slanciavano, e una maglietta bianca. Le sue unghie, dipinte di nero, si muovevano agili sulle corde del basso. Quando i suoi occhi incrociarono i miei tra la folla, un sorriso le illuminò il viso. E da quel momento, non mi tolse più lo sguardo di dosso. Suonava per me, ne ero certa. Ogni nota, ogni movimento sensuale del suo bacino, era un messaggio solo per me.
Finito il concerto, il mio telefono vibrò. Un messaggio da Mika: "Vieni in camerino tra 20 minuti".
Il camerino era una stanzetta angusta e disordinata. La trovai seduta su un tavolo traballante, che faceva dondolare le sue scarpe con la suola alta.
«Siete stati bravi,» le dissi, la voce un po' incerta. «Sei stata brava.»
Lei sorrise, uno sguardo di sfida negli occhi. «Quindi merito una ricompensa?» chiese, e con un movimento abile dei piedi, si sfilò le scarpe, lasciandole cadere a terra con un tonfo sordo.
Non avevo mai preso l'iniziativa prima. Ma quella sera, spinta da un coraggio che non sapevo di avere, mi avvicinai al tavolo, proprio di fronte a lei. Lei aprì le gambe, invitandomi a entrare nel suo spazio. E io la baciai. Fu un bacio affamato, esigente. Le nostre lingue si trovarono, si scontrarono, si studiarono. Aveva il sapore della birra e del sudore, un gusto elettrizzante, selvaggio. Sentii le sue mani stringermi i fianchi, attirandomi ancora più vicino.
Dopo un tempo che mi parve infinito, mi allontanai, senza fiato. Presi l'unica sedia della stanza e la misi davanti a lei, sedendomi. Le alzai la gonna. Le sfilai lentamente le calze a rete, un gesto quasi reverenziale. Poi, appoggiai il viso sul suo pube e cominciai a leccarle la figa sopra le sue mutandine nere. La mia testa era coperta dalla sua stessa gonna, da fuori si vedeva solo la silhouette dei miei capelli contro le sue cosce. Sentivo la sua figa pulsare sotto la mia lingua, il tessuto che si bagnava rapidamente. Lei ansimava, la testa rovesciata all'indietro.
Con una mano, scostai il tessuto nero. L'interno delle mutandine era fradicio, leggermente incollato alla sua pelle a causa dei suoi succhi. Liberai la sua fica e la mia bocca la trovò. Cominciai a leccarle il clitoride, poi le labbra, assaporandola in ogni sua parte, affondando il viso nella sua umidità. Il suo sapore era dolce e muschiato, mi riempiva la testa.
Poi, mentre la mia bocca non smetteva di tormentarla, infilai due dita dentro di lei. Erano completamente bagnate. Iniziai a muoverle con un ritmo incessante, profondo e veloce. La reazione di Mika fu esplosiva. Sentii le sue mani stringersi con forza sul bordo del tavolo di legno, le sue unghie nere che si conficcavano nella superficie morbida e di scarsa qualità. Il suo sguardo era rivolto verso l'alto, la schiena inarcata in una curva perfetta, mentre gemeva il mio nome, un suono basso e roco che era la più bella musica che avessi mai sentito.
Stavo perdendo il controllo, ma lei lo stava perdendo più di me. Le sue gambe cominciarono a tremare e, istintivamente, a chiudersi, un riflesso involontario per contenere l'onda di piacere che la stava travolgendo. Io, con le mani, cercavo di tenerle aperte, opponendo una resistenza gentile ma decisa alla sua, in una strana lotta tra il suo istinto e la mia volontà. Aveva degli spasmi incontrollabili, il suo corpo che si ribellava al piacere estremo che le stavo infliggendo.
Decisi di portarla fino in fondo. Mi misi in piedi, cambiando angolazione, e le infilai di nuovo le due dita dentro, questa volta cercando con decisione il suo punto G. Quando lo trovai, sentendolo gonfiarsi sotto i miei polpastrelli, la masturbai a non finire, con un ritmo incessante e martellante, senza darle tregua, senza lasciarla respirare.
Il suo corpo si tese come la corda di un arco. E poi si spezzò. Con un urlo acuto che si liberò nella piccola stanza, lei squirtò. Un getto caldo e abbondante mi bagnò la mano e il braccio. Travolta dalla forza del suo orgasmo, si lasciò andare completamente, sdraiandosi all'indietro sul tavolo. Cominciò a tremare dai piedi fino alla testa, scossa da spasmi violenti che la facevano sussultare.
La sua mano tremolante si portò sugli occhi, come a volersi nascondere dal mondo, da me. E poi, da sotto la sua mano, sentii una risata. Una risata isterica, quasi folle, un suono a metà tra il pianto e la gioia, la liberazione totale di ogni tensione. Dopo qualche secondo, la risata si placò in un singhiozzo. Tolse la mano dal viso. I suoi occhi, lucidi di lacrime e di piacere, mi fissarono.
«Sei stata fantastica, Aiko,» disse, la voce rotta ma sincera.
La guardai, sdraiata e distrutta dal piacere sul quel tavolo sporco, e provai un'ondata di tenerezza e di possesso così forte da farmi girare la testa. Quella sera non ero io al centro dei desideri, non ero io a ricevere, ma non mi importava. L'unica persona che mi importava, l'unica cosa che vedevo, era Mika. E averle dato quel piacere era più gratificante di qualsiasi orgasmo avessi mai provato.
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2025-08-26
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