Morbosa Corrispondenza – Capitolo 18
di
mari1980
genere
incesti
Mena
“Ciao zia,” proruppe Alessio, entrando in casa.
“Ciao tesoro. Vieni, entra. C’è un piccolo cambiamento da oggi.”
Mena si voltò, lasciandogli il tempo di osservare — e sì, lo faceva sempre — la dolce curva del suo seno sotto la maglia leggera.
“Da oggi Toni andrà a lavorare da tua madre,” disse Mena, posando un piatto sul tavolo. “Quindi... le ripetizioni le farai con me.”
Alessio alzò lo sguardo, un misto di sorpresa e panico negli occhi. “Con... te?”
“Sì. Non ti preoccupare, non ti mangio mica.” Rise, e la sua risata aveva quel suono basso e carezzevole che faceva vibrare l’aria. “Anzi... sarà anche più semplice.”
“Semplice, zia..?”
“Massì, dopo pranzo potrai sfogarti senza nessuno che ti disturbi.” Gli sorrise con dolcezza, inclinando appena il capo. “È già tutto pronto in camera mia.”
Lui annuì, abbassando lo sguardo. Un rossore acceso gli salì fino alle orecchie. “Va bene... grazie, zia.”
“Non c’è di che, tesoro.”
Mena gli versò dell’acqua, fingendo di ignorare lo sguardo che Alessio le lanciava, o meglio, cercava di non lanciare. Quel giorno aveva messo una t-shirt leggera, annodata sotto il seno, e il tessuto del reggiseno spuntava appena — una scelta assolutamente casuale.
Quant’era carino suo nipote. Era un ragazzo dall’aspetto tenero e disarmante, di quelli che ispirano immediata simpatia. I suoi capelli biondini, morbidi e tagliati a caschetto, gli incorniciavano il viso sorridente che ricordava quella di un angioletto.
Mena sorrise tra sé e sé. “Vuoi iniziare subito con Geografia? O preferisci un po’ di Storia?”
Lui deglutì. “Geografia va bene.”
Le piaceva quell’imbarazzo. Era tenero. Alessio aveva quell’aria da ragazzo educato, un po’ impacciato, così diverso dalla madre, Teodora, rigida come una tavola di marmo.
Mena lo osservava con affetto, cogliendo in quel visetto così composto una bellezza delicata, quasi eterea. Nulla lasciava intuire che dietro a quell’apparenza dolce si nascondesse un porcellino che lasciava tracce inequivocabili sulla biancheria femminile.
Ognuno ha i suoi segreti, pensò Mena.
Suo figlio Toni, a quell’età, era più discreto. O forse, pensò Mena mentre lo osservava sfogliare il libro al contrario, solo più furbo.
“Concentrati, Ale,” disse, toccandogli appena la mano. “Comincia pure a leggere il capitolo, tesoro,” disse lei con voce tranquilla, senza voltarsi. “Io finisco di apparecchiare. Dopo pranzo... avrai tempo per tutte le tue cosette.”
Il tono era quello affettuoso e disinvolto che Mena usava da sempre, ma c’era un accento morbido, quasi colpevole, sulla parola “cosette” che fece arrossire Alessio prima ancora di emettere un suono.
Dal punto in cui si trovava, Mena poteva osservare il riflesso di Alessio nel vetro della credenza. Era seduto composto, quasi rigido, ma ogni tanto il suo sguardo cadeva.
Non sul libro.
Ma su di lei. Sulle sue gambe tornite, ancora abbronzate e lisce, fasciate da una tutina scura.
Era sbagliato? Forse.
Ma quegli sguardi la facevano sentire ancora accesa. Ancora osservata. Ancora desiderabile.
E mentre Alessio si umettava le labbra nervosamente per continuare la lettura, Mena si accorse che anche il respiro, dentro di sé, era appena cambiato ritmo.
Mena si sedette infine di fronte a lui, incrociando lentamente le gambe. Le ginocchia levigate si sfiorarono sotto il tavolo, e per un attimo Alessio trattenne il fiato.
“E poi dopo,” aggiunse Mena, piegandosi leggermente verso di lui per sistemargli una ciocca, “potrai rilassarti. C’è tutto il pomeriggio. La camera è fresca, il letto è pronto, e so che... beh, ogni tanto serve.”
Alessio arrossì per l’ennesima volta. “Sì… lo so. Grazie, davvero.”
Il modo in cui lo disse, con voce sottile e quasi rotta, fece sorridere Mena. Quel rossore goffo e pieno di tensione la divertiva, la inteneriva.
E le riaccendeva, dentro, un’eco lontana.
Lia
La porta della camera si socchiuse piano, con un lieve cigolio appena udibile. La candida mano esitante fece capolino, seguita dal sorriso e dal volto pallido di Lia che stringeva un sacchetto bianco e verde, ancora umido di pioggia.
Suo padre era seduto sul bordo del letto con un libro in mano, le gambe distese e la schiena leggermente incurvata in avanti.
Indossava una felpa sportiva di cotone grigio, leggings blu per uomo gli coprivano appena le caviglie, e i suoi piedi si muovevano piano, accompagnando il ritmo dei suoi pensieri.
Alzò lo sguardo e le sorrise. I capelli, brizzolati, gli cadevano sulla fronte con un’aria quasi giovanile.
“Temevi avessi bevuto, vero?” Chiese lui con un mezzo sorriso, abbassando il libro.
”Eh..”
“Sono giorni che bevo solo acqua tonica. Che brutta fine, la mia!” Replicò lui.
Lia rise sottovoce, avvicinandosi con passi leggeri. “Non ti volevo disturbare: pensavo dormissi, malfidato!” Disse Lia, si fermò davanti a lui e gli porse un sacchetto.
“Ti ho preso due creme per le gambe. Una scalda i muscoli, l’altra li rinfresca e aiuta la circolazione. Vanno usate insieme, una dopo l’altra. Me lo ha spiegato bene la farmacista.”
Sergio prese i flaconi con delicatezza, quasi vergognandosi. “Sei un tesoro. Sempre un passo avanti a me.”
Allungò la mano e Lia gliela lasciò prendere, lasciandosi tirare piano verso di lui. La accolse tra le braccia con dolcezza paterna, la sua maglia profumava di bucato e della sua pelle e Lia vi poggiò la guancia, lasciandosi andare a quel calore familiare.
“Metterai quelle creme, papà?” Chiese, con un filo di voce che sembrava nascere direttamente dal petto.
Sergio annuì, sfiorandole i capelli biondi con le dita. “Le userò. Ma non faranno mai quello che fai tu, quando mi abbracci così.”
Continuò a stringerla con dolcezza, sussurrandole piano: “non ti merito, Lia. Ma ogni giorno ci provo, per te.”
“Lo so,” mormorò lei. E sorrise chiudendo gli occhi, due luminose pozze celesti. Si lasciò cullare da quella frase, semplice e piena come la voce di suo papà, poi, di colpo, un brivido le attraversò la schiena come uno spiffero gelido. Non avrebbe saputo dire il perché.
Ma rimase lì, appena sotto la pelle.
Alessio
Lo sguardo di Alessio si alzava, più spesso del dovuto, verso la porta socchiusa della cucina da dove filtravano i rumori gentili di stoviglie in movimento e l’odore rassicurante del pranzo in preparazione.
Ma non era la cucina né il cibo a tormentargli i pensieri. Era lei.
Sua zia Mena.
Il modo in cui si era chinata poco prima per aprire un cassetto, con quei pantaloni aderenti che sembravano disegnati sul corpo, il profilo generoso del seno intravisto sotto la maglia leggermente scollata. Il tessuto non riusciva contenere quelle morbide curve, accese, succose come frutti maturi.
Alessio deglutì. Sentiva il sangue pulsargli nelle tempie e in basso, nel basso ventre, un'agitazione che conosceva bene.
Avrebbe dovuto aspettare, è vero. Ma era più forte di lui: si alzò senza pensarci troppo, spinto da un impulso sottile e irresistibile. La porta della camera da letto della zia era appena socchiusa. Nessuno in vista.
Entrò.
Sul letto rifatto con cura, c’era un reggiseno leopardato, lasciato lì con apparente noncuranza. Lo stesso reggiseno che aveva intravisto più volte sotto le camicette leggere della zia. Il pensiero lo colpì come una scossa.
Alessio si avvicinò piano, come in trance. Sfiorò quel tessuto con la punta delle dita. Era ancora caldo, forse da poco tolto. Lo prese, lo sollevò, lo annusò piano. Quel profumo… era la zia. Non il suo profumo artificiale, ma quello vero. Intimo. Inconfondibile.
Si sbottonò rapidamente i pantaloni e iniziò a masturbarsi, piano. Il pisellotto gli sembrava bollente, palpitante di desiderio.
Il cuore gli batteva fortissimo quando la voce alle sue spalle lo fece trasalire.
“Alessio…”
Si voltò di scatto. Mena era sulla soglia.
“Ti avevo detto di fare prima i compiti, giusto?”
Alessio abbassò lo sguardo, vergognandosi profondamente. “Mi dispiace zia… non riuscivo a concentrarmi. Non riuscivo ad aspettare di finire i compiti…”
Mena si voltò appena, lo sguardo già perplesso. Annusò l’aria e arricciò il naso. “Eh, lo avevo notato. C’è qualcosa nell’aria… un certo fermento.”
Lui deglutì, incapace di rispondere. Il viso gli bruciava.
“Scusa..”
“Posso farti una domanda personale?” chiese lei, con una voce pacata, quasi materna.
“Sì…” mormorò lui.
“Tu sai cos’è l’igiene intima, vero?”
Alessio arrossì fino alle orecchie. “Non… non mi va di parlarne.”
Lei si avvicinò di qualche passo, senza aggressività.
“Con me puoi parlarne. Non c’è niente di male.”
“È che… a casa mia certe cose non si dicono. Mia madre… insomma…”
“Mia sorella non pensa a questi dettagli, giusto.” Disse lei con un sorriso ironico. “Capisco. Vieni con me.”
Alessio non capì bene perché, ma la seguì docilmente.
Lei lo portò in bagno, senza dire una parola.
Teodora
Come una forza della natura, suo nipote Toni stava potando i grossi, nerboruti rami dell’albicocco al centro del giardino.
Si muoveva tranquillo, i suoi pantaloncini lasciavano scoperte le gambe, tese come corde d’arco, mentre la maglietta – una di quelle leggere, ormai intrisa di sudore – gli aderiva perfettamente al petto. Ogni taglio con le cesoie era accompagnato da un movimento deciso, pieno di impeto giovanile.
Teodora lo guardava dalla veranda. Aveva una tazza di tè freddo accanto a sé e un libro aperto in grembo, ma non stava né bevendo né leggendo.
“Certo che ce ne vuole di forza per tagliare quei rami…” Pensò lei, spostando lo sguardo lentamente dalle braccia nude e tese del ragazzo al resto del corpo, coperto sì, ma solo parzialmente da quella maglietta che il sudore rendeva trasparente.
Toni fece un passo indietro, si chinò a raccogliere un ramo spezzato e il tessuto della maglia si tese sulla schiena, mostrando la schiena lucida di sudore. Teodora, senza accorgersene, trattenne il respiro.
“Forse… forse dovrebbe spogliarsi, poverino. Sta scoppiando. Voglio dire, sta morendo di caldo..”
Si aggiustò sulla sedia, che di colpo le sembrava troppo liscia, scomoda. Il caldo non aiutava, e il vestito grigio scuro che indossava – quello lungo, castigato– le sembrava soffocante, come plastica su un uovo di Pasqua, e improvvisamente ne percepì ogni cucitura, ogni rigidità.
“Ma cosa mi prende oggi…” Si disse, e intanto continuava a osservare.
Che bel nipote. Quei capelli spettinati, di un castano biondo, erano folti e lievemente ondulati come le spighe del grano al momento della..
“Va tutto bene, zia?” Chiese Toni, girandosi all’improvviso con un sorriso gentile, il viso lucido di sudore.
Lei sobbalzò, con un piccolo colpo di tosse che la portò e passarsi la lingua sulle labbra, nervosa.
“S-sì! Sì, certo! Bravo! Procedi pure, stai facendo… un ottimo lavoro, bravo.”
Toni annuì, sorridendo, poi si spostò accanto al vialetto, inginocchiato tra le aiuole, strappando con forza le erbacce nei punti più fitti.
Teodora stava ancora beandosi di quella scena, quando vide una figura familiare avvicinarsi dal fondo del corridoio.
Era suo figlio Luca.
Il passo incerto, le mani in tasca, lo sguardo che ondeggiava come se stesse misurando quanto gli convenisse avvicinarsi.
Sapeva, in fondo, che non era colpa di Luca. Era stato Alessio quella volta, a fare... quelle brutte cose con la sua biancheria. Ma tant’è. La punizione era piovuta su Luca, con una forza dovuta alla rabbia del momento. Quel dettaglio non faceva alcuna differenza.
Luca era comunque un piccolo depravato. Di certo, se non aveva fatto quella cosa, ne aveva pensate almeno cento peggiori. E ogni punizione… era stata semplicemente educazione preventiva. Una madre deve saper essere imparziale.
"Che stai leggendo?" Chiese Luca, salendo i gradini della veranda.
Le labbra di Teodora si piegarono in una smorfia. Distratta dal lavoro di Toni, non ricordava il titolo del libro. La copertina era girata.
"È un libro troppo complicato per te."
Luca non replicò. Si appoggiò con un braccio alla veranda, senza sedersi.
Lei sbuffò. "Che c’è adesso?"
Lui abbassò un attimo lo sguardo, poi guardò verso la finestra al piano di sopra. La camera di quella sciacquetta di sua figlia Lia.
"Mi chiedevo come sta Lia. Non risponde ai miei messaggi."
Teodora incrociò le braccia.
"Tua sorella sta studiando. Non va disturbata."
Luca inspirò piano. Annuì e disse: "un giorno… magari potrei passare a trovarla. Solo per salutarla."
Lei si voltò verso di lui, lo fissò come una zanzara sul braccio.
"Se proprio vuoi perdere tempo, prova piuttosto a tagliare un po’ di erbacce. Se tu fossi un vero UOMO, lo avresti già fatto."
Poi si voltò di nuovo verso il giardino, dove Toni continuava a lavorare, ignaro e così dolcemente dinamico.
Anche se, pensò Teodora, maltrattarle, quelle erbacce, calpestarle con forza, affondare il piede nel fango e macinarle… aveva qualcosa di rilassante.
Piacevole, quasi.
Alessio
“Togli i pantaloni e le mutande. Tranquillo, non hai nulla che non abbia già visto.”
Lui eseguì goffamente, imbarazzato.
“Siediti sul bidet, dai!”
Con grazia felina, lei si mise accanto a lui, in ginocchio, accanto al bidet.
“Ok, adesso ascolta bene. Ti spiego tutto, passo dopo passo. Sai, certe cose... vanno curate. Non è bello per una signorina sentire quell’odore così… penetrante.”
Alessio annuì, con il cuore in gola.
“Cominciamo insieme. Tu fai, io ti guido. Tranquillo.”, disse Mena, versandogli sulla mano un sapone al mango.
Il liquido era viscoso, profumato, con una consistenza setosa che si scioglieva subito sulla pelle.
“Usa sempre l’acqua tiepida, non troppo calda. E inizia dal pube.”
Alessio guardò il suo pube: la pelle bianca e liscia era ben visibile tra ciuffi radi e morbidi di peli color castano chiaro.
“Il pube raccoglie tanto sudore, anche se non sembra. Al momento hai pochi peli, ma quando cresceranno ti accorgerai che trattengono parecchi odori.” Il getto d’acqua sfiorò la pelle liscia di Alessio, facendolo sussultare.
“Va bene, adesso prova a insaponarti piano,” disse Mena con un sorriso incoraggiante. “Non c’è fretta. Parti dalla base.”
Era seduto sul bordo del bidet, le gambe lievemente aperte, mentre Mena, inginocchiata accanto a lui, continuava a parlargli con voce dolce.
Mena gli posò una mano calda sulla coscia. Il contatto gli diede un piccolo brivido. Era scalza, le dita dei piedi smaltate di un rosso discreto, e con quei pantaloncini di cotone che lasciavano scoperti i muscoli tonici delle cosce abbronzate.
Lei parlava con un tono pacato, premuroso, lo stesso che avrebbe usato per spiegare come lavare le mani a un bambino.
“Piano. La zona è sensibile, lo sai. Non sfregare, massaggia.”
Alessio seguiva i movimenti, incerto, cercando di capire se stava facendo bene.
“Dopo il pube, insapona l’asta. E poi, con calma, la parte sotto, dove ci sono i testicoli. Sempre con movimenti lenti. Mai sfregare.”
Alessio deglutì. Le dita seguivano l’asta, dalla radice fino al glande, che iniziava a pulsare leggermente sotto l’effetto del calore, della schiuma e dell’attenzione.
“E ora, la parte più importante,” disse lei abbassando un po’ la voce, quasi fosse un segreto.
“Zia.. Mi vergogno..”
“Coraggio signorino, dobbiamo mettere far prendere aria alla testolina del tuo pisello!”
Lui lo fece, rosso in volto, il cuore come un tamburo. Mena si chinò un po’ di più, sempre senza guardare direttamente, ma osservando il movimento con la coda dell’occhio.
“Tira indietro il prepuzio. Con calma, senza forzare. Sì, così…”
La voce della zia era un balsamo. “Hai il prepuzio lungo, carnoso..” Gli aveva detto così, e quella frase gli era esplosa nel petto come una confidenza oscena, eppure pronunciata con tale naturalezza da lasciarlo confuso.
Aveva la gola secca e gli occhi non sapevano più dove posarsi: sulle cosce toniche di Mena, dorate dall’abbronzatura, o sui suoi fianchi sinuosi che si muovevano appena a ogni passo, o forse sulla bocca, quella bocca piena, rosso ciliegia, che sembrava vicinissima a lui ogni volta che parlava piano.
Alessio la osservava di sfuggita, concentrandosi sulla curva del collo, sui capelli raccolti che lasciavano scoperte le orecchie e quella parte morbida tra mascella e spalla che sembrava fatta per essere sfiorata.
“Stai facendo bene, ma sei un po’ goffo. Lascia che ti aiuti col ritmo.”
Le sue dita si chiusero con gentilezza intorno al suo polso, guidando la sua mano in movimenti più armoniosi. “Non strofinare, accompagna. Pollice sopra, indice sotto. E muovi su e giù, ma lentamente. Non devi sfregare, solo accompagnare.”
Il tocco di Mena, anche se solo sul polso, lo fece sobbalzare dentro. Era troppo. Troppo vicino, troppo reale. Il cuore gli batteva in gola e un’ondata di calore gli invase il petto. Cercò di respirare lentamente, invano.
“Shhh… Non ti agitare. Guarda. Così.”
Lei lo osservava con uno sguardo premuroso.
“E adesso, tira indietro il prepuzio con delicatezza. Così. Bravissimo. Ecco, lì dentro è importante che sia pulito. Le piccole pieghe nascondono residui.”
La mano di Mena lasciò il suo polso, ma il suo calore restava lì, come un’impronta.
“Vedi? Lì sotto si accumula facilmente quella sostanza biancastra. È lo smegma. È naturale, il corpo la produce per proteggere, ma se non la lavi via ogni giorno, si indurisce, crea cattivo odore. E può dare fastidio. Anche a te. E… a chi ti sta vicino.”
Quando lei nominò con naturalezza il prepuzio, lo smegma, e persino “i cattivi odori”, Alessio si sentì colpito nel vivo. Ma non fu l’umiliazione a invaderlo, bensì l’eccitazione.
Pensò che la zia, con quella disinvoltura piena di premura, gli avesse offerto un varco. Una porta aperta verso un’intimità che nessuno prima gli aveva concesso. E in quella porta, lui desiderava entrare.
Alessio annuì, la schiuma tra le dita. “Zia, è per questo che hai arricciato il naso, prima…?”
“Mh-mh.” Mena sorrise, allungando una mano per sfiorargli il braccio in segno d’approvazione. “Ma adesso andrà meglio, vedrai. Basta essere costanti. Una volta al giorno, sempre con acqua tiepida e sapone delicato. E poi risciacqua bene.”
“Mi dispiace se ti ho infastidito con il cattivo odore..”
“Non devi dispiacerti. Imparare a conoscere il proprio corpo è importante. E le donne… beh, diciamo che apprezzano quando un ragazzo sa prendersi cura di sé.”
“Bene, così. Non devi stringere troppo. Lascia che sia la schiuma a fare il lavoro.”
Lei gli guidò nuovamente il polso per un momento, con naturalezza, posando le dita sul dorso della sua mano e correggendo il ritmo.
Il movimento della sua mano, guidata da quella di Mena, sembrava innocente in superficie. Un gesto pratico, educativo, quasi clinico.
Seduto sul bordo del bidet, Alessio aveva la sensazione che ogni secondo in cui lei gli accompagnava il polso durasse ore; era in uno stato che non riusciva a spiegare: a metà tra l’imbarazzo e l’estasi. Il suo corpo vibrava, leggero e teso allo stesso tempo.
Mena era accanto a lui, in ginocchio, calma, quasi assorta.
Smise di toccargli il polso, eppure lui ne sentiva la presenza in ogni centimetro di pelle.
“Ora il glande,” sussurrò lei. “Fallo con delicatezza. È la parte più sensibile, sai?”
Alessio avvertiva l’odore del sapone mischiarsi a quello del proprio corpo, sentiva l’umidità tra le dita e lo sfrigolio quasi impercettibile del liquido sul glande.
Le sue gambe si contraevano leggermente, per l’intensità di ciò che provava.
Alzò lo sguardo.
Mena lo stava guardando. I capelli castani le cadevano su una spalla, bagnati leggermente dal vapore. Il seno si muoveva dolcemente con ogni respiro. Alessio non riusciva a distogliere gli occhi da quella scollatura profonda. La canottiera le stava stretta sul seno che si sollevava e abbassava con respiri tranquilli.
Sotto la stoffa chiara, i contorni dei capezzoli erano visibili, e Alessio non poteva fare a meno di seguirli con gli occhi e ogni volta il tessuto della sua canottiera si tendeva sulle curve abbondanti del seno, mostrando le lentiggini sul décolleté.
Fu allora che l’erezione divenne evidente. L’asta si sollevò, dura, il glande umido e turgido che brillava sotto la luce calda del bagno. Lui provò a coprirsi d’istinto, ma Mena lo fermò con un sorriso.
“Non vergognarti, amore. È normale. È il corpo che reagisce. E poi… sei mio nipotino. Ripeto, non hai nulla che non abbia già visto!”
“Sai che sei davvero ben fatto?” disse a bassa voce, sfiorandogli la mano con la sua. “Davvero... non so se te lo sei mai guardato con attenzione, ma è proprio bello.”
Alessio deglutì, imbarazzato. Avvertì il rossore salirgli fino alle orecchie.
“Zia…” Provò a dire, evitando per un attimo il suo sguardo.
Mena però continuò, con un mezzo sorriso e tono sempre più affettuoso. “Hai un bastoncino proporzionato, pieno… elegante, perfino. Il glande è tondo, ben definito… e quel prepuzio carnoso, virile...”
Poi rise piano, con un’espressione giocosa. “Un giorno – se non lo ha già fatto – farai perdere la testa a qualcuna.”
Mena si chinò ancora di più, osservando quel pisellotto dritto e turgido con un misto di tenerezza e curiosità. “E guarda come si comporta adesso… così reattivo. È timido come te, ma basta una mia parola e si mette subito sull’attenti…”
Alessio sentì un brivido lungo la schiena. Sua zia gli stava spudoratamente fissando il cazzo, dopo averlo riempito di complimenti.”
“Vedi? Adesso la tua punta si scappella che è una meraviglia. Quando c’è il sapone giusto, non c’è testa di cazzo che resista!”
Poi rise, inclinando il capo di lato come faceva quando stava per dire qualcosa di ironico.
“Scusa, ho detto una parolaccia, Ale. Il tuo glande, intendevo.”
Alessio fece un mezzo sorriso, incapace di guardarla negli occhi. Il rossore gli colorò le guance. Ma lei, accorgendosi del suo imbarazzo, gli diede un colpetto con il gomito sul fianco.
“Dai, andiamo avanti con la pulizia!”
Continuarono. Mena gli fece insaponare bene i testicoli, lo scroto umido tra le mani, poi il perineo, quel punto nascosto che spesso Alessio trascurava. Si mosse con attenzione, lo guidò senza fretta.
Alessio non capiva più nulla. Il bagno si era fatto tiepido e ovattato, come sospeso nel tempo.
L’acqua scorreva lenta, il profumo di sapone e di Mena lo avvolgeva; Lei, dolcissima, inconsapevolmente crudele nella sua tenerezza, lo guardava di sottecchi e mormorava: “Così… Bravo. Adesso sei pulito davvero.”
Era il tono con cui si parla a un bambino che ha fatto qualcosa di importante per la prima volta. E forse era proprio quello a scombussolarlo. Quel contrasto tra la voce materna e il desiderio adulto che gli incendiava il basso ventre.
Alessio alzò gli occhi. Mena era lì, vicinissima, le labbra semiaperte, piene, rosse. Il vapore ne rendeva i contorni morbidi, quasi sognanti. Per un attimo pensò che lei potesse baciarlo da un momento all’altro. Che quel movimento lieve del mento in avanti, quella piega tenera delle labbra… fosse l’inizio di un bacio.
Le labbra della zia gli sembravano la cosa più bella e pericolosa del mondo. Così vicine alle sue, così umide, così vive.
Mena lo fissò con un’espressione di complicità profonda. Lo accarezzò appena sulla guancia, mentre lui continuava a lavarsi, un po’ più lentamente ora, quasi cullato. Ogni gesto diventava una carezza. Ogni carezza, un piccolo incendio.
“Ehi…” continuò Mena, ridendo piano. “Sei tutto rosso. L’acqua è troppo calda?”
Lui deglutì, in estasi. “Zia… sei troppo bella.”
Poi, la domanda di lei, sussurrata come una provocazione innocente:
“Hai mai baciato una ragazza?” Chiese lei con voce bassa, quasi divertita.
Alessio non rispose: guardò le labbra della zia, così vicine, rosse, carnose, lucide di umidità e calde, morbide come frutti maturi. Mena si avvicinò ancora, così che le sue labbra erano a pochi centimetri dalle sue.
Fu lì che il corpo di Alessio cedette.
Chiuse gli occhi, la schiena si inarcò, il respiro gli si spezzò in gola. Il piacere gli montò dentro come un’onda improvvisa, e non poté far altro che abbandonarsi a un orgasmo dirompente.
Il glande di Alessio, gonfio e paonazzo, tremava lievemente quando il primo fiotto di sperma esplose fuori, caldo e compatto, da quel minuscolo foro teso in cima. Il liquido seminale, bollente e denso, schizzò sule manopole del bidet, sporcandole di filamenti appiccicosi, iniziò a colare sul rubinetto e gocciolò nell’acqua sottostante.
“Ziaaaa!”
“Shhh… va tutto bene,” sussurrò lei.
Mena lo guardava, affascinata. I suoi occhi si posarono con tenerezza sul suo viso contratto, sui muscoli del ventre che tremavano, sulle gambe leggermente divaricate e tese.
Poi, quando notò le tracce dell’orgasmo sul bordo del bidet, sorrise con calore. Si avvicinò e gli accarezzò nuovamente la guancia.
“Un piccolo vulcano, Ale..”
Lui si coprì gli occhi per la vergogna, rosso fino alle orecchie.
“Scusami Zia… non volevo…”
Mena rise, ma con una risata tenera, calda.
“Amore … ma che tenero che sei. È successo. È normale, Alessio. Succede quando c’è tanta tensione. E il corpo… beh, il corpo reagisce. È la cosa più naturale del mondo.”
Gli si avvicinò, lo abbracciò da dietro, stringendolo, ancora fremente per l’orgasmo provato.
Rimasero così qualche minuto, stretti. Poi, su richiesta di lei, ancora un po’ stordito, Alessio si sciacquò con attenzione, finché non si sentì nuovamente pulito. Leggero. Calmo.
“Mi… mi dispiace…Zia..” Balbettò, con voce strozzata. “Non volevo… è stato… non lo so…”
Poi, il suono morbido della voce della zia.
“Alessio… va bene così.”
Lui alzò lo sguardo, ancora incredulo. Mena non sembrava turbata, né scandalizzata. Il suo volto era solo leggermente arrossato, ma i suoi occhi erano limpidi.
“È una reazione assolutamente naturale. A volte, quando sei molto sensibile… e sei già carico di tensione… può succedere. Anche senza volerlo. Anche solo con uno sfioramento, con una voce, con un pensiero. Non devi vergognarti.”
“Ho sporcato tutto..”
“Lo pulisco io, tranquillo. Nessun problema. È solo un po’ di sperma,” e, ridendo, aggiunse: “un po' tanto eh..” sussurrò, voltandosi verso di lui con un sopracciglio alzato. “Ma da quanto ti stavi trattenendo, scusa?”
Alessio abbassò subito gli occhi, portandosi una mano tra i capelli. “Eh...” sussurrò, cercando un punto qualsiasi del pavimento. “Da venerdì.”
Mena si voltò completamente, lo guardò con sorpresa teatrale e poi scoppiò a ridere.
“Da venerdì?! Ma siamo a lunedì, amore mio!”
“Lo so...” rispose lui, ormai arrossito fino alle orecchie.
“Mi vuoi dire che ti masturbi solo a casa mia?”
“È quasi impossibile farlo quando c’è mia madre in casa..”
“Povero nipotino mio, tenuto in gabbia fino al lunedì...” disse ridacchiando.
Alessio fece una smorfia imbarazzata, ma l’atteggiamento di Mena lo fece sentire a suo agio. Si sedette di nuovo sul bordo, ancora un po’ scombussolato, ma con il cuore più leggero.
“Dai, non prendermi in giro, zia...” mormorò.
Lei si avvicinò e lo abbracciò piano. Il contatto del suo corpo contro il suo fu tenero, caldo, e per lui incredibilmente rassicurante.
“Tranquillo… la prossima volta potrai farti un bel bidet prima. E magari anche dopo.”
Poi si staccò da lui e gli fece un occhiolino: “adesso che sei fresco e profumato,” disse con un sorriso che sembrava luce, “possiamo mangiare. Ma domani… prima finisci il pranzo e poi puoi fare visita al mio reggiseno. Intesi?”
“Va bene, zia, grazie!”
“Ma i compiti prima, eh?”
Alessio rise, senza fiato. E per la prima volta, da tanto tempo, non si sentì solo.
Lia
Dal corridoio, Lia udì un altro lamento, lungo, strozzato.
“Porc… queste maledette gambe…”
Le lamentele di suo padre le fecero stringere le labbra in un’espressione stanca. Uscì in silenzio dalla sua stanza e varcò la soglia della camera di lui. La luce calda della lampada da comodino disegnava ombre lunghe sul pavimento.
“Fammi indovinare,” disse, Lia appoggiandosi allo stipite con aria seccata. “Non hai nemmeno aperto le creme.”
Sergio era sdraiato sul letto, con una gamba piegata e l’altra distesa, la faccia leggermente contratta. I flaconi giacevano lì accanto, intatti. Lui si voltò appena, un sorriso colpevole sulle labbra.
“Volevo farlo, davvero. Ma speravo non servisse, visto che oggi ho camminato tranquillamente.”
“Non importa,” replicò Lia, avanzando nel silenzio della stanza e scosse la testa con un mezzo sorriso. “Togliti i leggings, va’. Facciamo prima.”
Sergio alzò lo sguardo, gli occhi azzurri pieni di imbarazzo e sussurrò. “Sicura? Non devi..”
“Dai su, non perdere tempo!” Sussurrò lei, divertita.
Sergio si sollevò piano, sfilandosi i leggings con lentezza.
Poi restò in boxer e canottiera. Le sue gambe, forti e compatte, conservavano una virilità silenziosa: muscoli maturi, pelle ruvida e un po’ secca, vene lievemente evidenti.
Lia le guardò un attimo in silenzio, accorgendosi di quanto fossero belle nella loro naturalezza virile.
Aprì il primo flacone. Una scia intensa di canfora si sprigionò subito, forte, quasi medicinale, ma familiare.
“Flector Hot. Ti farà bene. Ma pizzicherà un po’.”
Sergio fece una smorfia. “Già pizzica solo a sentirlo…”
Lia sedette accanto a lui e premette il palmo sulla coscia, iniziando a massaggiare con lentezza, le sue dita affondavano piano nella carne tesa del padre, disegnando movimenti ampi, regolari; sentiva chiaramente come la gamba si scaldasse sotto il tocco e il caldo partisse dalle ossa e risalisse verso l’epidermide.
“Scusa per prima… Te lo avevo promesso e mi sono comportato come un bambino. Scusami.” Il tono di Sergio era remissivo, sincero.
Il profumo balsamico della canfora riempiva l’aria, quasi un vapore invisibile.
“Non importa..”
Lia sentiva il calore filtrare anche attraverso i suoi polpastrelli. A ogni movimento, la pelle di Sergio diventava più viva, più calda. L’effetto della crema lo faceva fremere, come se qualcosa si stesse svegliando sottopelle.
“Brucia… ma in modo buono,” disse lui, con la fronte imperlata di sudore.
“È il sangue che ricomincia a girare. Sopporta un po’, poi passa.”
La mano di Lia viaggiava ora verso il polpaccio, dove le fibre muscolari erano più tese. Sotto le dita, sentiva la pelle reagire, diventare sensibile, quasi febbrile. Sergio si lasciava andare, il respiro diventato più lento, più profondo. Il contatto con la sua pelle le faceva sentire un’energia trattenuta, la lieve rimozione di uno strato di malessere del padre.
Dopo una decina di minuti, Lia si fermò, le dita un po’ affaticate, la fronte lucida.
“Fase due.”
“Ok..”
Prese il secondo tubetto. L’aroma mentolato fu immediato: fresco, pulito, con una nota erbacea più delicata. La crema scivolò tra le dita come un gel, fredda e lucida, Lia la stese sulla zona appena trattata e vide Sergio irrigidirsi.
“Fredda!” Sussurrò tra i denti, poi sgranò gli occhi.
“È il Polar Frost. Raffredda e calma. È come passare da un bagno turco a un tuffo a mare.”
La pelle di lui, ora rossa e sensibile, sembrava pulsare mentre il mentolo scivolava dentro i pori.
Lui restò immobile, lasciandosi attraversare dalla sensazione di ipnotico contrasto: un’alternanza di caldo interno e freddo esterno, una danza tra stimolo e sollievo.
Lia si concentrava sul ritmo del respiro di suo padre, lento e regolare. Il corpo sotto le sue mani era morbido, vivo e reagiva in modo visibile con versi di apprezzamento.
Quando finì, Lia si tirò indietro, accaldata, le mani brillanti di crema.
“Finito.”
Sergio aprì gli occhi mostrando una luce quieta, quasi infantile.
“Mi sento rinato. Gambe leggere. Vive. Tu sei incredibile.”
Lia sorrise, sfiorandosi una guancia, imbarazzata. “Solo un po’ di costanza e attenzione. Ti farebbe bene mettere le creme ogni giorno.”
“Sì, ma con te è tutta un’altra storia…” Mormorò lui, chiudendo gli occhi e affondando la testa sul cuscino.
“Buonanotte, papà..”
Lia si alzò in silenzio, gli sistemò una coperta sulle gambe.
“Buonanotte piccola mia.. Grazie.”
Uscì dalla stanza mentre lui già scivolava nel sonno, con il profumo del mentolo ancora nell’aria.
Tornata nella sua camera, si sedette sul letto e sospirò. Si sentiva elettrizzata, leggera.
Contenta di essere utile per qualcuno, si ritrovò a pensare che quel contatto avesse curato un po’ anche lei.
Anna
Quella sera il telefono di Anna vibrò.
Una foto.
Lia era lì, distesa in penombra; il corpo, a malapena coperto dalle lenzuola, sembrava scolpito nella luce morbida che accarezzava la pelle diafana, candida.
I seni, due lune piene nella notte calda, svettavano senza mostrarsi del tutto, ombreggiati appena, come accarezzati da dita invisibili.
“Ti penso, moretta”. Scrisse Lia.
Un’altra foto.
Le lenzuola chiare si erano arrese, lasciandola nuda con una grazia voluta, studiata, ma incredibilmente naturale — in quella posa eccitante, lasciando scivolare via le lenzuola apposta per Anna.
La pelle bianchissima delle esuberanti mammelle sembrava brillare sotto la luce tenue, i capelli biondi sparsi sul cuscino, le labbra socchiuse, lucide, come dopo un sussurro.
“Lo vedi che mi fai, Annina? Mandami una tua foto, ti prego.”
Anna abbassò gli occhi. Le sembrò un contrasto insopportabile: il desiderio di Lia, così vivo, e la sua amarezza, così inerte. Scrisse, secca: “Scusa, biondina. Non è giornata.”
Un attimo di silenzio. “Va bene, tranquilla. Che è successo?”
Anna si strinse le ginocchia al petto.
“Ho scoperto che mio padre si è fidanzato.”
“Ah… ok. Con chi?”
“Con Marta. Una sua collega.”
Ci fu una pausa. Poi Lia scrisse: “E… che c’è di male?”
Anna fece una smorfia, poi rispose: “un piccolo dettaglio. Quella donna è una schifosa. Volgare, sfrontata. Un’arrivista. È viscida con tutti, anche con Toni.”
“Ok… è sgradevole. Ma è una scelta di tuo padre, no?”
Anna sospirò.
“Sì. È la sua scelta.”
Un altro silenzio. Poi il messaggio che temeva.
“Anna… c’è altro?”
Le dita restarono immobili sullo schermo. Avrebbe potuto dire “no” e chiuderla lì. Ma invece lasciò il messaggio in sospeso, senza premere invio. Gli occhi persi nel buio.
La domanda di Lia sembrava ancora lì, sospesa come un respiro trattenuto.
E Anna non sapeva se fosse pronta a dargli voce.
Lia
Il rumore dello sciacquone proveniente dal bagno la riscosse: dopo il massaggio, suo padre doveva essere andato a fare un bisogno.
Incredula, Lia aggrottò la fronte e rilesse il messaggio di Anna tre volte: “Io penso che mio padre… sospetto che sia infatuato di me.”
No. Aveva capito male. Si tirò su a sedere, il lenzuolo a coprirle il seno abbondante. Il suo corpo, formoso e ancora teso dal desiderio rimasto sospeso, pareva irrigidirsi sotto l’urto delle parole scritte. Le sue cosce tremarono appena.
“Aspetta. Cosa? Anna, che stai dicendo?”
Il segnale “sta scrivendo…” del messaggio di Anna lampeggiava. Poi sparì. Poi riapparve.
“Quello che ho detto.”
Lia si morse il labbro. “Stiamo parlando di tuo padre Luigi? Infatuato di te?”
“Sì.”
“Perché lo pensi?”
Silenzio. Poi una risposta esitante.
“Non ho prove, se è quello che mi stai chiedendo. Ma non me lo sto inventando.”
“Parlamene. Cosa è successo?”
La risposta arrivò, lenta, dalla profondità dei labirinti della mente di Anna.
“L’ho vista.”
“Chi?”
“Marta. Era a casa nostra con mio padre.”
“E quindi?”
“Erano stati insieme, da poco. E lei aveva usato il mio profumo.”
Lia si immobilizzò. Deglutì. Le dita sospese a mezz’aria sulla tastiera.
“Può essere una coincidenza. O magari gliel’ha regalato…”
“No. Ha aperto i miei cassetti, ne sono certa. Aveva anche una forcina tra i capelli.”
“Una forcina?”
“Una mia forcina.”
“Ma sei sicura?”
“L’ho vista. Riconosco le mie cose. Quella schifosa di Marta va a letto con mio padre fingendo di essere me.”
Lia prese a mordicchiarsi un’unghia, inquieta. Conosceva di vista Luigi: un uomo garbato, stimato come medico, impeccabile, privo di calore in apparenza. Niente a che vedere con Anna, che al contrario irradiava una femminilità calda e vibrante: lei sapeva entrare in una stanza e catturare gli sguardi, con quella sua sicurezza naturale, il modo di porsi accattivante.
Un padre che si invaghisce di sua figlia? Spalancò gli occhi, un brivido familiare le salì lungo la schiena.
“Mi sembra assurdo. Forse era una forcina molto simile o della stessa marca..”
“Era la mia forcina. Dentro i suoi capelli. E sapeva che era mia. Che razza di donna fa questi giochi perversi col suo uomo?”
“Forse è solo una ladra. Le piacciono le tue cose ed è entrata nella tua stanza a rubare. Non è detto che sia tuo padre il problema.”
“Lo escludo, avresti dovuto vederli quella sera. Entrambi complici. Credimi.”
“Capisco il tuo turbamento, amore. Davvero. Ma magari sei stata suggestionata. È un momento delicato. Tuo padre che si fidanza dopo tanti anni da vedovo…”
“Stai dicendo che sono gelosa?”
Lia si allarmò, mordendosi le labbra. Aveva sbagliato approccio, cercando di minimizzare la cosa, evidentemente Anna era sconvolta. Non voleva litigare, quindi cercò di correre ai ripari.
“Assolutamente no. Ma forse è quello il gioco di Marta, provocarti e farti proiettare un’insicurezza.”
La risposta fu glaciale, immediata.
“Ne dubito. So cosa ho visto. E trovo assurdo che non mi creda nemmeno tu.”
Lia si irrigidì. Le guance cominciarono a bruciarle. Il suo petto si alzava e abbassava in modo irregolare.
“Ma sei sicura di non esserti sbagliata? La spiegazione più semplice è spesso quella giusta.”
“Cosa stai insinuando adesso? Pensi che abbia le allucinazioni?”
“Non ho insinuato nulla. È solo che fatico a crederti. Un padre pensa a proteggere sua figlia, non a sedurla, Anna. Dev’esserci un’altra spiegazione più ovvia.”
“E sarebbe?”
“Non lo so. Stai dicendo che tuo padre ti desidera. Capisci cosa stai dicendo, Anna? Permetti che abbia delle perplessità?”
“Ne sono certa. Gliel’ho letto negli occhi. Sì. Lo capisco benissimo.”
“Allora scusa se non mi basta un profumo e una forcina. No. Non posso crederci. Non posso immaginare un padre che…”
“Proprio tu parli, Lia?”
“Che intendi?” Lia fissava il telefono con un peso al centro del petto. Le dita tremavano un poco mentre scriveva. Sapeva dove Anna voleva andare a parare e sentiva un rosso velo di rabbia calare sui suoi occhi.
“Lo sai benissimo. Da quanto tempo tuo padre non si fa vivo? Sei mesi?””
“Sì..”
Per un momento, Lia pensò di confessarle la verità: suo padre viveva con lei di nascosto. Poi cambiò idea.
“Proprio a te viene tanto difficile capire che un genitore non sia necessariamente un santo, Lia?”
“Anna..”
“Vuoi sapere la verità?”
“Smettila, Anna. Vuoi litigare?”
“Tutte le maledette volte che l’ho incontrato, quel maiale di tuo padre Sergio mi ha puntualmente piantato gli occhi tra le tette o sul sedere. Ecco, te l’ho detto.”
“Cazzate..”
“È la verità. Tuo padre è un maniaco schifoso e non dovresti rimpiangerlo. Puoi escludere che avesse pensieri sporchi anche su di te?”
“Basta! Non hai il diritto di dire una cosa del genere. Stai straparlando, Anna.”
“E tu non hai il diritto di dubitare di me.”
“Se io ti dicessi che mio padre Sergio si eccita pensandomi, tu mi chiederesti delle prove, Anna. È normale. È grave. Non puoi lanciare una bomba così e pretendere che io annuisca.”
“Sai qual è la differenza? Che se tu me lo dicessi, io ti crederei.”
“Mio padre non è un santo, no. Ma non ho mai dubitato che volesse proteggermi.”
“Proteggerti? Questa è bella.”
“Forse non ricordi chi è mia madre, Anna; sai benissimo perché sono andata via di casa. Mi ha ricattata, ricordi?”
“Ma per favore. Tuo padre pensava solo a tradirla semmai, aveva un esercito di puttane. Lo sappiamo entrambe, non mentire con me. Perché lo difendi così tanto? Solo perché tua madre è anche peggio di lui?”
Una fitta. Lia sgranò gli occhi. Qualcosa si ruppe. Il sangue le salì alle orecchie, sentiva il sudore bagnarle le mani. Prese quel sangue e lo iniettò sulla tastiera.
“Secondo la tua logica, anche tua madre era una squallida troia. Come possiamo escluderlo? L’hai conosciuta? Che ne sai? È stata una fortuna che sia morta quand’eri piccola, giusto Anna?”
“Che schifo. Hai detto davvero questa cosa?”
“Perché è vero: non possiamo escluderlo, secondo la tua geniale logica.”
“E allora sai che ti dico?”
“Aspetta...”
Lia guardò lo schermo, la bocca semiaperta.
La schermata le impediva di rispondere ad Anna e riportava la scritta: “Sei stato bloccato.”
L’immagine del profilo era scomparsa. Dove prima c’era quella bellissima foto di Anna con le labbra rosse e gli occhi dolci, ora solo il grigio vuoto.
Avrebbe voluto spaccare qualcosa ma era troppo amareggiata.
Si addormentò così, con le lacrime calde che le rigavano il volto, i singhiozzi soffocati contro il cuscino, lo schermo del telefono ancora acceso, l’icona grigia che la fissava in silenzio.
“Ciao zia,” proruppe Alessio, entrando in casa.
“Ciao tesoro. Vieni, entra. C’è un piccolo cambiamento da oggi.”
Mena si voltò, lasciandogli il tempo di osservare — e sì, lo faceva sempre — la dolce curva del suo seno sotto la maglia leggera.
“Da oggi Toni andrà a lavorare da tua madre,” disse Mena, posando un piatto sul tavolo. “Quindi... le ripetizioni le farai con me.”
Alessio alzò lo sguardo, un misto di sorpresa e panico negli occhi. “Con... te?”
“Sì. Non ti preoccupare, non ti mangio mica.” Rise, e la sua risata aveva quel suono basso e carezzevole che faceva vibrare l’aria. “Anzi... sarà anche più semplice.”
“Semplice, zia..?”
“Massì, dopo pranzo potrai sfogarti senza nessuno che ti disturbi.” Gli sorrise con dolcezza, inclinando appena il capo. “È già tutto pronto in camera mia.”
Lui annuì, abbassando lo sguardo. Un rossore acceso gli salì fino alle orecchie. “Va bene... grazie, zia.”
“Non c’è di che, tesoro.”
Mena gli versò dell’acqua, fingendo di ignorare lo sguardo che Alessio le lanciava, o meglio, cercava di non lanciare. Quel giorno aveva messo una t-shirt leggera, annodata sotto il seno, e il tessuto del reggiseno spuntava appena — una scelta assolutamente casuale.
Quant’era carino suo nipote. Era un ragazzo dall’aspetto tenero e disarmante, di quelli che ispirano immediata simpatia. I suoi capelli biondini, morbidi e tagliati a caschetto, gli incorniciavano il viso sorridente che ricordava quella di un angioletto.
Mena sorrise tra sé e sé. “Vuoi iniziare subito con Geografia? O preferisci un po’ di Storia?”
Lui deglutì. “Geografia va bene.”
Le piaceva quell’imbarazzo. Era tenero. Alessio aveva quell’aria da ragazzo educato, un po’ impacciato, così diverso dalla madre, Teodora, rigida come una tavola di marmo.
Mena lo osservava con affetto, cogliendo in quel visetto così composto una bellezza delicata, quasi eterea. Nulla lasciava intuire che dietro a quell’apparenza dolce si nascondesse un porcellino che lasciava tracce inequivocabili sulla biancheria femminile.
Ognuno ha i suoi segreti, pensò Mena.
Suo figlio Toni, a quell’età, era più discreto. O forse, pensò Mena mentre lo osservava sfogliare il libro al contrario, solo più furbo.
“Concentrati, Ale,” disse, toccandogli appena la mano. “Comincia pure a leggere il capitolo, tesoro,” disse lei con voce tranquilla, senza voltarsi. “Io finisco di apparecchiare. Dopo pranzo... avrai tempo per tutte le tue cosette.”
Il tono era quello affettuoso e disinvolto che Mena usava da sempre, ma c’era un accento morbido, quasi colpevole, sulla parola “cosette” che fece arrossire Alessio prima ancora di emettere un suono.
Dal punto in cui si trovava, Mena poteva osservare il riflesso di Alessio nel vetro della credenza. Era seduto composto, quasi rigido, ma ogni tanto il suo sguardo cadeva.
Non sul libro.
Ma su di lei. Sulle sue gambe tornite, ancora abbronzate e lisce, fasciate da una tutina scura.
Era sbagliato? Forse.
Ma quegli sguardi la facevano sentire ancora accesa. Ancora osservata. Ancora desiderabile.
E mentre Alessio si umettava le labbra nervosamente per continuare la lettura, Mena si accorse che anche il respiro, dentro di sé, era appena cambiato ritmo.
Mena si sedette infine di fronte a lui, incrociando lentamente le gambe. Le ginocchia levigate si sfiorarono sotto il tavolo, e per un attimo Alessio trattenne il fiato.
“E poi dopo,” aggiunse Mena, piegandosi leggermente verso di lui per sistemargli una ciocca, “potrai rilassarti. C’è tutto il pomeriggio. La camera è fresca, il letto è pronto, e so che... beh, ogni tanto serve.”
Alessio arrossì per l’ennesima volta. “Sì… lo so. Grazie, davvero.”
Il modo in cui lo disse, con voce sottile e quasi rotta, fece sorridere Mena. Quel rossore goffo e pieno di tensione la divertiva, la inteneriva.
E le riaccendeva, dentro, un’eco lontana.
Lia
La porta della camera si socchiuse piano, con un lieve cigolio appena udibile. La candida mano esitante fece capolino, seguita dal sorriso e dal volto pallido di Lia che stringeva un sacchetto bianco e verde, ancora umido di pioggia.
Suo padre era seduto sul bordo del letto con un libro in mano, le gambe distese e la schiena leggermente incurvata in avanti.
Indossava una felpa sportiva di cotone grigio, leggings blu per uomo gli coprivano appena le caviglie, e i suoi piedi si muovevano piano, accompagnando il ritmo dei suoi pensieri.
Alzò lo sguardo e le sorrise. I capelli, brizzolati, gli cadevano sulla fronte con un’aria quasi giovanile.
“Temevi avessi bevuto, vero?” Chiese lui con un mezzo sorriso, abbassando il libro.
”Eh..”
“Sono giorni che bevo solo acqua tonica. Che brutta fine, la mia!” Replicò lui.
Lia rise sottovoce, avvicinandosi con passi leggeri. “Non ti volevo disturbare: pensavo dormissi, malfidato!” Disse Lia, si fermò davanti a lui e gli porse un sacchetto.
“Ti ho preso due creme per le gambe. Una scalda i muscoli, l’altra li rinfresca e aiuta la circolazione. Vanno usate insieme, una dopo l’altra. Me lo ha spiegato bene la farmacista.”
Sergio prese i flaconi con delicatezza, quasi vergognandosi. “Sei un tesoro. Sempre un passo avanti a me.”
Allungò la mano e Lia gliela lasciò prendere, lasciandosi tirare piano verso di lui. La accolse tra le braccia con dolcezza paterna, la sua maglia profumava di bucato e della sua pelle e Lia vi poggiò la guancia, lasciandosi andare a quel calore familiare.
“Metterai quelle creme, papà?” Chiese, con un filo di voce che sembrava nascere direttamente dal petto.
Sergio annuì, sfiorandole i capelli biondi con le dita. “Le userò. Ma non faranno mai quello che fai tu, quando mi abbracci così.”
Continuò a stringerla con dolcezza, sussurrandole piano: “non ti merito, Lia. Ma ogni giorno ci provo, per te.”
“Lo so,” mormorò lei. E sorrise chiudendo gli occhi, due luminose pozze celesti. Si lasciò cullare da quella frase, semplice e piena come la voce di suo papà, poi, di colpo, un brivido le attraversò la schiena come uno spiffero gelido. Non avrebbe saputo dire il perché.
Ma rimase lì, appena sotto la pelle.
Alessio
Lo sguardo di Alessio si alzava, più spesso del dovuto, verso la porta socchiusa della cucina da dove filtravano i rumori gentili di stoviglie in movimento e l’odore rassicurante del pranzo in preparazione.
Ma non era la cucina né il cibo a tormentargli i pensieri. Era lei.
Sua zia Mena.
Il modo in cui si era chinata poco prima per aprire un cassetto, con quei pantaloni aderenti che sembravano disegnati sul corpo, il profilo generoso del seno intravisto sotto la maglia leggermente scollata. Il tessuto non riusciva contenere quelle morbide curve, accese, succose come frutti maturi.
Alessio deglutì. Sentiva il sangue pulsargli nelle tempie e in basso, nel basso ventre, un'agitazione che conosceva bene.
Avrebbe dovuto aspettare, è vero. Ma era più forte di lui: si alzò senza pensarci troppo, spinto da un impulso sottile e irresistibile. La porta della camera da letto della zia era appena socchiusa. Nessuno in vista.
Entrò.
Sul letto rifatto con cura, c’era un reggiseno leopardato, lasciato lì con apparente noncuranza. Lo stesso reggiseno che aveva intravisto più volte sotto le camicette leggere della zia. Il pensiero lo colpì come una scossa.
Alessio si avvicinò piano, come in trance. Sfiorò quel tessuto con la punta delle dita. Era ancora caldo, forse da poco tolto. Lo prese, lo sollevò, lo annusò piano. Quel profumo… era la zia. Non il suo profumo artificiale, ma quello vero. Intimo. Inconfondibile.
Si sbottonò rapidamente i pantaloni e iniziò a masturbarsi, piano. Il pisellotto gli sembrava bollente, palpitante di desiderio.
Il cuore gli batteva fortissimo quando la voce alle sue spalle lo fece trasalire.
“Alessio…”
Si voltò di scatto. Mena era sulla soglia.
“Ti avevo detto di fare prima i compiti, giusto?”
Alessio abbassò lo sguardo, vergognandosi profondamente. “Mi dispiace zia… non riuscivo a concentrarmi. Non riuscivo ad aspettare di finire i compiti…”
Mena si voltò appena, lo sguardo già perplesso. Annusò l’aria e arricciò il naso. “Eh, lo avevo notato. C’è qualcosa nell’aria… un certo fermento.”
Lui deglutì, incapace di rispondere. Il viso gli bruciava.
“Scusa..”
“Posso farti una domanda personale?” chiese lei, con una voce pacata, quasi materna.
“Sì…” mormorò lui.
“Tu sai cos’è l’igiene intima, vero?”
Alessio arrossì fino alle orecchie. “Non… non mi va di parlarne.”
Lei si avvicinò di qualche passo, senza aggressività.
“Con me puoi parlarne. Non c’è niente di male.”
“È che… a casa mia certe cose non si dicono. Mia madre… insomma…”
“Mia sorella non pensa a questi dettagli, giusto.” Disse lei con un sorriso ironico. “Capisco. Vieni con me.”
Alessio non capì bene perché, ma la seguì docilmente.
Lei lo portò in bagno, senza dire una parola.
Teodora
Come una forza della natura, suo nipote Toni stava potando i grossi, nerboruti rami dell’albicocco al centro del giardino.
Si muoveva tranquillo, i suoi pantaloncini lasciavano scoperte le gambe, tese come corde d’arco, mentre la maglietta – una di quelle leggere, ormai intrisa di sudore – gli aderiva perfettamente al petto. Ogni taglio con le cesoie era accompagnato da un movimento deciso, pieno di impeto giovanile.
Teodora lo guardava dalla veranda. Aveva una tazza di tè freddo accanto a sé e un libro aperto in grembo, ma non stava né bevendo né leggendo.
“Certo che ce ne vuole di forza per tagliare quei rami…” Pensò lei, spostando lo sguardo lentamente dalle braccia nude e tese del ragazzo al resto del corpo, coperto sì, ma solo parzialmente da quella maglietta che il sudore rendeva trasparente.
Toni fece un passo indietro, si chinò a raccogliere un ramo spezzato e il tessuto della maglia si tese sulla schiena, mostrando la schiena lucida di sudore. Teodora, senza accorgersene, trattenne il respiro.
“Forse… forse dovrebbe spogliarsi, poverino. Sta scoppiando. Voglio dire, sta morendo di caldo..”
Si aggiustò sulla sedia, che di colpo le sembrava troppo liscia, scomoda. Il caldo non aiutava, e il vestito grigio scuro che indossava – quello lungo, castigato– le sembrava soffocante, come plastica su un uovo di Pasqua, e improvvisamente ne percepì ogni cucitura, ogni rigidità.
“Ma cosa mi prende oggi…” Si disse, e intanto continuava a osservare.
Che bel nipote. Quei capelli spettinati, di un castano biondo, erano folti e lievemente ondulati come le spighe del grano al momento della..
“Va tutto bene, zia?” Chiese Toni, girandosi all’improvviso con un sorriso gentile, il viso lucido di sudore.
Lei sobbalzò, con un piccolo colpo di tosse che la portò e passarsi la lingua sulle labbra, nervosa.
“S-sì! Sì, certo! Bravo! Procedi pure, stai facendo… un ottimo lavoro, bravo.”
Toni annuì, sorridendo, poi si spostò accanto al vialetto, inginocchiato tra le aiuole, strappando con forza le erbacce nei punti più fitti.
Teodora stava ancora beandosi di quella scena, quando vide una figura familiare avvicinarsi dal fondo del corridoio.
Era suo figlio Luca.
Il passo incerto, le mani in tasca, lo sguardo che ondeggiava come se stesse misurando quanto gli convenisse avvicinarsi.
Sapeva, in fondo, che non era colpa di Luca. Era stato Alessio quella volta, a fare... quelle brutte cose con la sua biancheria. Ma tant’è. La punizione era piovuta su Luca, con una forza dovuta alla rabbia del momento. Quel dettaglio non faceva alcuna differenza.
Luca era comunque un piccolo depravato. Di certo, se non aveva fatto quella cosa, ne aveva pensate almeno cento peggiori. E ogni punizione… era stata semplicemente educazione preventiva. Una madre deve saper essere imparziale.
"Che stai leggendo?" Chiese Luca, salendo i gradini della veranda.
Le labbra di Teodora si piegarono in una smorfia. Distratta dal lavoro di Toni, non ricordava il titolo del libro. La copertina era girata.
"È un libro troppo complicato per te."
Luca non replicò. Si appoggiò con un braccio alla veranda, senza sedersi.
Lei sbuffò. "Che c’è adesso?"
Lui abbassò un attimo lo sguardo, poi guardò verso la finestra al piano di sopra. La camera di quella sciacquetta di sua figlia Lia.
"Mi chiedevo come sta Lia. Non risponde ai miei messaggi."
Teodora incrociò le braccia.
"Tua sorella sta studiando. Non va disturbata."
Luca inspirò piano. Annuì e disse: "un giorno… magari potrei passare a trovarla. Solo per salutarla."
Lei si voltò verso di lui, lo fissò come una zanzara sul braccio.
"Se proprio vuoi perdere tempo, prova piuttosto a tagliare un po’ di erbacce. Se tu fossi un vero UOMO, lo avresti già fatto."
Poi si voltò di nuovo verso il giardino, dove Toni continuava a lavorare, ignaro e così dolcemente dinamico.
Anche se, pensò Teodora, maltrattarle, quelle erbacce, calpestarle con forza, affondare il piede nel fango e macinarle… aveva qualcosa di rilassante.
Piacevole, quasi.
Alessio
“Togli i pantaloni e le mutande. Tranquillo, non hai nulla che non abbia già visto.”
Lui eseguì goffamente, imbarazzato.
“Siediti sul bidet, dai!”
Con grazia felina, lei si mise accanto a lui, in ginocchio, accanto al bidet.
“Ok, adesso ascolta bene. Ti spiego tutto, passo dopo passo. Sai, certe cose... vanno curate. Non è bello per una signorina sentire quell’odore così… penetrante.”
Alessio annuì, con il cuore in gola.
“Cominciamo insieme. Tu fai, io ti guido. Tranquillo.”, disse Mena, versandogli sulla mano un sapone al mango.
Il liquido era viscoso, profumato, con una consistenza setosa che si scioglieva subito sulla pelle.
“Usa sempre l’acqua tiepida, non troppo calda. E inizia dal pube.”
Alessio guardò il suo pube: la pelle bianca e liscia era ben visibile tra ciuffi radi e morbidi di peli color castano chiaro.
“Il pube raccoglie tanto sudore, anche se non sembra. Al momento hai pochi peli, ma quando cresceranno ti accorgerai che trattengono parecchi odori.” Il getto d’acqua sfiorò la pelle liscia di Alessio, facendolo sussultare.
“Va bene, adesso prova a insaponarti piano,” disse Mena con un sorriso incoraggiante. “Non c’è fretta. Parti dalla base.”
Era seduto sul bordo del bidet, le gambe lievemente aperte, mentre Mena, inginocchiata accanto a lui, continuava a parlargli con voce dolce.
Mena gli posò una mano calda sulla coscia. Il contatto gli diede un piccolo brivido. Era scalza, le dita dei piedi smaltate di un rosso discreto, e con quei pantaloncini di cotone che lasciavano scoperti i muscoli tonici delle cosce abbronzate.
Lei parlava con un tono pacato, premuroso, lo stesso che avrebbe usato per spiegare come lavare le mani a un bambino.
“Piano. La zona è sensibile, lo sai. Non sfregare, massaggia.”
Alessio seguiva i movimenti, incerto, cercando di capire se stava facendo bene.
“Dopo il pube, insapona l’asta. E poi, con calma, la parte sotto, dove ci sono i testicoli. Sempre con movimenti lenti. Mai sfregare.”
Alessio deglutì. Le dita seguivano l’asta, dalla radice fino al glande, che iniziava a pulsare leggermente sotto l’effetto del calore, della schiuma e dell’attenzione.
“E ora, la parte più importante,” disse lei abbassando un po’ la voce, quasi fosse un segreto.
“Zia.. Mi vergogno..”
“Coraggio signorino, dobbiamo mettere far prendere aria alla testolina del tuo pisello!”
Lui lo fece, rosso in volto, il cuore come un tamburo. Mena si chinò un po’ di più, sempre senza guardare direttamente, ma osservando il movimento con la coda dell’occhio.
“Tira indietro il prepuzio. Con calma, senza forzare. Sì, così…”
La voce della zia era un balsamo. “Hai il prepuzio lungo, carnoso..” Gli aveva detto così, e quella frase gli era esplosa nel petto come una confidenza oscena, eppure pronunciata con tale naturalezza da lasciarlo confuso.
Aveva la gola secca e gli occhi non sapevano più dove posarsi: sulle cosce toniche di Mena, dorate dall’abbronzatura, o sui suoi fianchi sinuosi che si muovevano appena a ogni passo, o forse sulla bocca, quella bocca piena, rosso ciliegia, che sembrava vicinissima a lui ogni volta che parlava piano.
Alessio la osservava di sfuggita, concentrandosi sulla curva del collo, sui capelli raccolti che lasciavano scoperte le orecchie e quella parte morbida tra mascella e spalla che sembrava fatta per essere sfiorata.
“Stai facendo bene, ma sei un po’ goffo. Lascia che ti aiuti col ritmo.”
Le sue dita si chiusero con gentilezza intorno al suo polso, guidando la sua mano in movimenti più armoniosi. “Non strofinare, accompagna. Pollice sopra, indice sotto. E muovi su e giù, ma lentamente. Non devi sfregare, solo accompagnare.”
Il tocco di Mena, anche se solo sul polso, lo fece sobbalzare dentro. Era troppo. Troppo vicino, troppo reale. Il cuore gli batteva in gola e un’ondata di calore gli invase il petto. Cercò di respirare lentamente, invano.
“Shhh… Non ti agitare. Guarda. Così.”
Lei lo osservava con uno sguardo premuroso.
“E adesso, tira indietro il prepuzio con delicatezza. Così. Bravissimo. Ecco, lì dentro è importante che sia pulito. Le piccole pieghe nascondono residui.”
La mano di Mena lasciò il suo polso, ma il suo calore restava lì, come un’impronta.
“Vedi? Lì sotto si accumula facilmente quella sostanza biancastra. È lo smegma. È naturale, il corpo la produce per proteggere, ma se non la lavi via ogni giorno, si indurisce, crea cattivo odore. E può dare fastidio. Anche a te. E… a chi ti sta vicino.”
Quando lei nominò con naturalezza il prepuzio, lo smegma, e persino “i cattivi odori”, Alessio si sentì colpito nel vivo. Ma non fu l’umiliazione a invaderlo, bensì l’eccitazione.
Pensò che la zia, con quella disinvoltura piena di premura, gli avesse offerto un varco. Una porta aperta verso un’intimità che nessuno prima gli aveva concesso. E in quella porta, lui desiderava entrare.
Alessio annuì, la schiuma tra le dita. “Zia, è per questo che hai arricciato il naso, prima…?”
“Mh-mh.” Mena sorrise, allungando una mano per sfiorargli il braccio in segno d’approvazione. “Ma adesso andrà meglio, vedrai. Basta essere costanti. Una volta al giorno, sempre con acqua tiepida e sapone delicato. E poi risciacqua bene.”
“Mi dispiace se ti ho infastidito con il cattivo odore..”
“Non devi dispiacerti. Imparare a conoscere il proprio corpo è importante. E le donne… beh, diciamo che apprezzano quando un ragazzo sa prendersi cura di sé.”
“Bene, così. Non devi stringere troppo. Lascia che sia la schiuma a fare il lavoro.”
Lei gli guidò nuovamente il polso per un momento, con naturalezza, posando le dita sul dorso della sua mano e correggendo il ritmo.
Il movimento della sua mano, guidata da quella di Mena, sembrava innocente in superficie. Un gesto pratico, educativo, quasi clinico.
Seduto sul bordo del bidet, Alessio aveva la sensazione che ogni secondo in cui lei gli accompagnava il polso durasse ore; era in uno stato che non riusciva a spiegare: a metà tra l’imbarazzo e l’estasi. Il suo corpo vibrava, leggero e teso allo stesso tempo.
Mena era accanto a lui, in ginocchio, calma, quasi assorta.
Smise di toccargli il polso, eppure lui ne sentiva la presenza in ogni centimetro di pelle.
“Ora il glande,” sussurrò lei. “Fallo con delicatezza. È la parte più sensibile, sai?”
Alessio avvertiva l’odore del sapone mischiarsi a quello del proprio corpo, sentiva l’umidità tra le dita e lo sfrigolio quasi impercettibile del liquido sul glande.
Le sue gambe si contraevano leggermente, per l’intensità di ciò che provava.
Alzò lo sguardo.
Mena lo stava guardando. I capelli castani le cadevano su una spalla, bagnati leggermente dal vapore. Il seno si muoveva dolcemente con ogni respiro. Alessio non riusciva a distogliere gli occhi da quella scollatura profonda. La canottiera le stava stretta sul seno che si sollevava e abbassava con respiri tranquilli.
Sotto la stoffa chiara, i contorni dei capezzoli erano visibili, e Alessio non poteva fare a meno di seguirli con gli occhi e ogni volta il tessuto della sua canottiera si tendeva sulle curve abbondanti del seno, mostrando le lentiggini sul décolleté.
Fu allora che l’erezione divenne evidente. L’asta si sollevò, dura, il glande umido e turgido che brillava sotto la luce calda del bagno. Lui provò a coprirsi d’istinto, ma Mena lo fermò con un sorriso.
“Non vergognarti, amore. È normale. È il corpo che reagisce. E poi… sei mio nipotino. Ripeto, non hai nulla che non abbia già visto!”
“Sai che sei davvero ben fatto?” disse a bassa voce, sfiorandogli la mano con la sua. “Davvero... non so se te lo sei mai guardato con attenzione, ma è proprio bello.”
Alessio deglutì, imbarazzato. Avvertì il rossore salirgli fino alle orecchie.
“Zia…” Provò a dire, evitando per un attimo il suo sguardo.
Mena però continuò, con un mezzo sorriso e tono sempre più affettuoso. “Hai un bastoncino proporzionato, pieno… elegante, perfino. Il glande è tondo, ben definito… e quel prepuzio carnoso, virile...”
Poi rise piano, con un’espressione giocosa. “Un giorno – se non lo ha già fatto – farai perdere la testa a qualcuna.”
Mena si chinò ancora di più, osservando quel pisellotto dritto e turgido con un misto di tenerezza e curiosità. “E guarda come si comporta adesso… così reattivo. È timido come te, ma basta una mia parola e si mette subito sull’attenti…”
Alessio sentì un brivido lungo la schiena. Sua zia gli stava spudoratamente fissando il cazzo, dopo averlo riempito di complimenti.”
“Vedi? Adesso la tua punta si scappella che è una meraviglia. Quando c’è il sapone giusto, non c’è testa di cazzo che resista!”
Poi rise, inclinando il capo di lato come faceva quando stava per dire qualcosa di ironico.
“Scusa, ho detto una parolaccia, Ale. Il tuo glande, intendevo.”
Alessio fece un mezzo sorriso, incapace di guardarla negli occhi. Il rossore gli colorò le guance. Ma lei, accorgendosi del suo imbarazzo, gli diede un colpetto con il gomito sul fianco.
“Dai, andiamo avanti con la pulizia!”
Continuarono. Mena gli fece insaponare bene i testicoli, lo scroto umido tra le mani, poi il perineo, quel punto nascosto che spesso Alessio trascurava. Si mosse con attenzione, lo guidò senza fretta.
Alessio non capiva più nulla. Il bagno si era fatto tiepido e ovattato, come sospeso nel tempo.
L’acqua scorreva lenta, il profumo di sapone e di Mena lo avvolgeva; Lei, dolcissima, inconsapevolmente crudele nella sua tenerezza, lo guardava di sottecchi e mormorava: “Così… Bravo. Adesso sei pulito davvero.”
Era il tono con cui si parla a un bambino che ha fatto qualcosa di importante per la prima volta. E forse era proprio quello a scombussolarlo. Quel contrasto tra la voce materna e il desiderio adulto che gli incendiava il basso ventre.
Alessio alzò gli occhi. Mena era lì, vicinissima, le labbra semiaperte, piene, rosse. Il vapore ne rendeva i contorni morbidi, quasi sognanti. Per un attimo pensò che lei potesse baciarlo da un momento all’altro. Che quel movimento lieve del mento in avanti, quella piega tenera delle labbra… fosse l’inizio di un bacio.
Le labbra della zia gli sembravano la cosa più bella e pericolosa del mondo. Così vicine alle sue, così umide, così vive.
Mena lo fissò con un’espressione di complicità profonda. Lo accarezzò appena sulla guancia, mentre lui continuava a lavarsi, un po’ più lentamente ora, quasi cullato. Ogni gesto diventava una carezza. Ogni carezza, un piccolo incendio.
“Ehi…” continuò Mena, ridendo piano. “Sei tutto rosso. L’acqua è troppo calda?”
Lui deglutì, in estasi. “Zia… sei troppo bella.”
Poi, la domanda di lei, sussurrata come una provocazione innocente:
“Hai mai baciato una ragazza?” Chiese lei con voce bassa, quasi divertita.
Alessio non rispose: guardò le labbra della zia, così vicine, rosse, carnose, lucide di umidità e calde, morbide come frutti maturi. Mena si avvicinò ancora, così che le sue labbra erano a pochi centimetri dalle sue.
Fu lì che il corpo di Alessio cedette.
Chiuse gli occhi, la schiena si inarcò, il respiro gli si spezzò in gola. Il piacere gli montò dentro come un’onda improvvisa, e non poté far altro che abbandonarsi a un orgasmo dirompente.
Il glande di Alessio, gonfio e paonazzo, tremava lievemente quando il primo fiotto di sperma esplose fuori, caldo e compatto, da quel minuscolo foro teso in cima. Il liquido seminale, bollente e denso, schizzò sule manopole del bidet, sporcandole di filamenti appiccicosi, iniziò a colare sul rubinetto e gocciolò nell’acqua sottostante.
“Ziaaaa!”
“Shhh… va tutto bene,” sussurrò lei.
Mena lo guardava, affascinata. I suoi occhi si posarono con tenerezza sul suo viso contratto, sui muscoli del ventre che tremavano, sulle gambe leggermente divaricate e tese.
Poi, quando notò le tracce dell’orgasmo sul bordo del bidet, sorrise con calore. Si avvicinò e gli accarezzò nuovamente la guancia.
“Un piccolo vulcano, Ale..”
Lui si coprì gli occhi per la vergogna, rosso fino alle orecchie.
“Scusami Zia… non volevo…”
Mena rise, ma con una risata tenera, calda.
“Amore … ma che tenero che sei. È successo. È normale, Alessio. Succede quando c’è tanta tensione. E il corpo… beh, il corpo reagisce. È la cosa più naturale del mondo.”
Gli si avvicinò, lo abbracciò da dietro, stringendolo, ancora fremente per l’orgasmo provato.
Rimasero così qualche minuto, stretti. Poi, su richiesta di lei, ancora un po’ stordito, Alessio si sciacquò con attenzione, finché non si sentì nuovamente pulito. Leggero. Calmo.
“Mi… mi dispiace…Zia..” Balbettò, con voce strozzata. “Non volevo… è stato… non lo so…”
Poi, il suono morbido della voce della zia.
“Alessio… va bene così.”
Lui alzò lo sguardo, ancora incredulo. Mena non sembrava turbata, né scandalizzata. Il suo volto era solo leggermente arrossato, ma i suoi occhi erano limpidi.
“È una reazione assolutamente naturale. A volte, quando sei molto sensibile… e sei già carico di tensione… può succedere. Anche senza volerlo. Anche solo con uno sfioramento, con una voce, con un pensiero. Non devi vergognarti.”
“Ho sporcato tutto..”
“Lo pulisco io, tranquillo. Nessun problema. È solo un po’ di sperma,” e, ridendo, aggiunse: “un po' tanto eh..” sussurrò, voltandosi verso di lui con un sopracciglio alzato. “Ma da quanto ti stavi trattenendo, scusa?”
Alessio abbassò subito gli occhi, portandosi una mano tra i capelli. “Eh...” sussurrò, cercando un punto qualsiasi del pavimento. “Da venerdì.”
Mena si voltò completamente, lo guardò con sorpresa teatrale e poi scoppiò a ridere.
“Da venerdì?! Ma siamo a lunedì, amore mio!”
“Lo so...” rispose lui, ormai arrossito fino alle orecchie.
“Mi vuoi dire che ti masturbi solo a casa mia?”
“È quasi impossibile farlo quando c’è mia madre in casa..”
“Povero nipotino mio, tenuto in gabbia fino al lunedì...” disse ridacchiando.
Alessio fece una smorfia imbarazzata, ma l’atteggiamento di Mena lo fece sentire a suo agio. Si sedette di nuovo sul bordo, ancora un po’ scombussolato, ma con il cuore più leggero.
“Dai, non prendermi in giro, zia...” mormorò.
Lei si avvicinò e lo abbracciò piano. Il contatto del suo corpo contro il suo fu tenero, caldo, e per lui incredibilmente rassicurante.
“Tranquillo… la prossima volta potrai farti un bel bidet prima. E magari anche dopo.”
Poi si staccò da lui e gli fece un occhiolino: “adesso che sei fresco e profumato,” disse con un sorriso che sembrava luce, “possiamo mangiare. Ma domani… prima finisci il pranzo e poi puoi fare visita al mio reggiseno. Intesi?”
“Va bene, zia, grazie!”
“Ma i compiti prima, eh?”
Alessio rise, senza fiato. E per la prima volta, da tanto tempo, non si sentì solo.
Lia
Dal corridoio, Lia udì un altro lamento, lungo, strozzato.
“Porc… queste maledette gambe…”
Le lamentele di suo padre le fecero stringere le labbra in un’espressione stanca. Uscì in silenzio dalla sua stanza e varcò la soglia della camera di lui. La luce calda della lampada da comodino disegnava ombre lunghe sul pavimento.
“Fammi indovinare,” disse, Lia appoggiandosi allo stipite con aria seccata. “Non hai nemmeno aperto le creme.”
Sergio era sdraiato sul letto, con una gamba piegata e l’altra distesa, la faccia leggermente contratta. I flaconi giacevano lì accanto, intatti. Lui si voltò appena, un sorriso colpevole sulle labbra.
“Volevo farlo, davvero. Ma speravo non servisse, visto che oggi ho camminato tranquillamente.”
“Non importa,” replicò Lia, avanzando nel silenzio della stanza e scosse la testa con un mezzo sorriso. “Togliti i leggings, va’. Facciamo prima.”
Sergio alzò lo sguardo, gli occhi azzurri pieni di imbarazzo e sussurrò. “Sicura? Non devi..”
“Dai su, non perdere tempo!” Sussurrò lei, divertita.
Sergio si sollevò piano, sfilandosi i leggings con lentezza.
Poi restò in boxer e canottiera. Le sue gambe, forti e compatte, conservavano una virilità silenziosa: muscoli maturi, pelle ruvida e un po’ secca, vene lievemente evidenti.
Lia le guardò un attimo in silenzio, accorgendosi di quanto fossero belle nella loro naturalezza virile.
Aprì il primo flacone. Una scia intensa di canfora si sprigionò subito, forte, quasi medicinale, ma familiare.
“Flector Hot. Ti farà bene. Ma pizzicherà un po’.”
Sergio fece una smorfia. “Già pizzica solo a sentirlo…”
Lia sedette accanto a lui e premette il palmo sulla coscia, iniziando a massaggiare con lentezza, le sue dita affondavano piano nella carne tesa del padre, disegnando movimenti ampi, regolari; sentiva chiaramente come la gamba si scaldasse sotto il tocco e il caldo partisse dalle ossa e risalisse verso l’epidermide.
“Scusa per prima… Te lo avevo promesso e mi sono comportato come un bambino. Scusami.” Il tono di Sergio era remissivo, sincero.
Il profumo balsamico della canfora riempiva l’aria, quasi un vapore invisibile.
“Non importa..”
Lia sentiva il calore filtrare anche attraverso i suoi polpastrelli. A ogni movimento, la pelle di Sergio diventava più viva, più calda. L’effetto della crema lo faceva fremere, come se qualcosa si stesse svegliando sottopelle.
“Brucia… ma in modo buono,” disse lui, con la fronte imperlata di sudore.
“È il sangue che ricomincia a girare. Sopporta un po’, poi passa.”
La mano di Lia viaggiava ora verso il polpaccio, dove le fibre muscolari erano più tese. Sotto le dita, sentiva la pelle reagire, diventare sensibile, quasi febbrile. Sergio si lasciava andare, il respiro diventato più lento, più profondo. Il contatto con la sua pelle le faceva sentire un’energia trattenuta, la lieve rimozione di uno strato di malessere del padre.
Dopo una decina di minuti, Lia si fermò, le dita un po’ affaticate, la fronte lucida.
“Fase due.”
“Ok..”
Prese il secondo tubetto. L’aroma mentolato fu immediato: fresco, pulito, con una nota erbacea più delicata. La crema scivolò tra le dita come un gel, fredda e lucida, Lia la stese sulla zona appena trattata e vide Sergio irrigidirsi.
“Fredda!” Sussurrò tra i denti, poi sgranò gli occhi.
“È il Polar Frost. Raffredda e calma. È come passare da un bagno turco a un tuffo a mare.”
La pelle di lui, ora rossa e sensibile, sembrava pulsare mentre il mentolo scivolava dentro i pori.
Lui restò immobile, lasciandosi attraversare dalla sensazione di ipnotico contrasto: un’alternanza di caldo interno e freddo esterno, una danza tra stimolo e sollievo.
Lia si concentrava sul ritmo del respiro di suo padre, lento e regolare. Il corpo sotto le sue mani era morbido, vivo e reagiva in modo visibile con versi di apprezzamento.
Quando finì, Lia si tirò indietro, accaldata, le mani brillanti di crema.
“Finito.”
Sergio aprì gli occhi mostrando una luce quieta, quasi infantile.
“Mi sento rinato. Gambe leggere. Vive. Tu sei incredibile.”
Lia sorrise, sfiorandosi una guancia, imbarazzata. “Solo un po’ di costanza e attenzione. Ti farebbe bene mettere le creme ogni giorno.”
“Sì, ma con te è tutta un’altra storia…” Mormorò lui, chiudendo gli occhi e affondando la testa sul cuscino.
“Buonanotte, papà..”
Lia si alzò in silenzio, gli sistemò una coperta sulle gambe.
“Buonanotte piccola mia.. Grazie.”
Uscì dalla stanza mentre lui già scivolava nel sonno, con il profumo del mentolo ancora nell’aria.
Tornata nella sua camera, si sedette sul letto e sospirò. Si sentiva elettrizzata, leggera.
Contenta di essere utile per qualcuno, si ritrovò a pensare che quel contatto avesse curato un po’ anche lei.
Anna
Quella sera il telefono di Anna vibrò.
Una foto.
Lia era lì, distesa in penombra; il corpo, a malapena coperto dalle lenzuola, sembrava scolpito nella luce morbida che accarezzava la pelle diafana, candida.
I seni, due lune piene nella notte calda, svettavano senza mostrarsi del tutto, ombreggiati appena, come accarezzati da dita invisibili.
“Ti penso, moretta”. Scrisse Lia.
Un’altra foto.
Le lenzuola chiare si erano arrese, lasciandola nuda con una grazia voluta, studiata, ma incredibilmente naturale — in quella posa eccitante, lasciando scivolare via le lenzuola apposta per Anna.
La pelle bianchissima delle esuberanti mammelle sembrava brillare sotto la luce tenue, i capelli biondi sparsi sul cuscino, le labbra socchiuse, lucide, come dopo un sussurro.
“Lo vedi che mi fai, Annina? Mandami una tua foto, ti prego.”
Anna abbassò gli occhi. Le sembrò un contrasto insopportabile: il desiderio di Lia, così vivo, e la sua amarezza, così inerte. Scrisse, secca: “Scusa, biondina. Non è giornata.”
Un attimo di silenzio. “Va bene, tranquilla. Che è successo?”
Anna si strinse le ginocchia al petto.
“Ho scoperto che mio padre si è fidanzato.”
“Ah… ok. Con chi?”
“Con Marta. Una sua collega.”
Ci fu una pausa. Poi Lia scrisse: “E… che c’è di male?”
Anna fece una smorfia, poi rispose: “un piccolo dettaglio. Quella donna è una schifosa. Volgare, sfrontata. Un’arrivista. È viscida con tutti, anche con Toni.”
“Ok… è sgradevole. Ma è una scelta di tuo padre, no?”
Anna sospirò.
“Sì. È la sua scelta.”
Un altro silenzio. Poi il messaggio che temeva.
“Anna… c’è altro?”
Le dita restarono immobili sullo schermo. Avrebbe potuto dire “no” e chiuderla lì. Ma invece lasciò il messaggio in sospeso, senza premere invio. Gli occhi persi nel buio.
La domanda di Lia sembrava ancora lì, sospesa come un respiro trattenuto.
E Anna non sapeva se fosse pronta a dargli voce.
Lia
Il rumore dello sciacquone proveniente dal bagno la riscosse: dopo il massaggio, suo padre doveva essere andato a fare un bisogno.
Incredula, Lia aggrottò la fronte e rilesse il messaggio di Anna tre volte: “Io penso che mio padre… sospetto che sia infatuato di me.”
No. Aveva capito male. Si tirò su a sedere, il lenzuolo a coprirle il seno abbondante. Il suo corpo, formoso e ancora teso dal desiderio rimasto sospeso, pareva irrigidirsi sotto l’urto delle parole scritte. Le sue cosce tremarono appena.
“Aspetta. Cosa? Anna, che stai dicendo?”
Il segnale “sta scrivendo…” del messaggio di Anna lampeggiava. Poi sparì. Poi riapparve.
“Quello che ho detto.”
Lia si morse il labbro. “Stiamo parlando di tuo padre Luigi? Infatuato di te?”
“Sì.”
“Perché lo pensi?”
Silenzio. Poi una risposta esitante.
“Non ho prove, se è quello che mi stai chiedendo. Ma non me lo sto inventando.”
“Parlamene. Cosa è successo?”
La risposta arrivò, lenta, dalla profondità dei labirinti della mente di Anna.
“L’ho vista.”
“Chi?”
“Marta. Era a casa nostra con mio padre.”
“E quindi?”
“Erano stati insieme, da poco. E lei aveva usato il mio profumo.”
Lia si immobilizzò. Deglutì. Le dita sospese a mezz’aria sulla tastiera.
“Può essere una coincidenza. O magari gliel’ha regalato…”
“No. Ha aperto i miei cassetti, ne sono certa. Aveva anche una forcina tra i capelli.”
“Una forcina?”
“Una mia forcina.”
“Ma sei sicura?”
“L’ho vista. Riconosco le mie cose. Quella schifosa di Marta va a letto con mio padre fingendo di essere me.”
Lia prese a mordicchiarsi un’unghia, inquieta. Conosceva di vista Luigi: un uomo garbato, stimato come medico, impeccabile, privo di calore in apparenza. Niente a che vedere con Anna, che al contrario irradiava una femminilità calda e vibrante: lei sapeva entrare in una stanza e catturare gli sguardi, con quella sua sicurezza naturale, il modo di porsi accattivante.
Un padre che si invaghisce di sua figlia? Spalancò gli occhi, un brivido familiare le salì lungo la schiena.
“Mi sembra assurdo. Forse era una forcina molto simile o della stessa marca..”
“Era la mia forcina. Dentro i suoi capelli. E sapeva che era mia. Che razza di donna fa questi giochi perversi col suo uomo?”
“Forse è solo una ladra. Le piacciono le tue cose ed è entrata nella tua stanza a rubare. Non è detto che sia tuo padre il problema.”
“Lo escludo, avresti dovuto vederli quella sera. Entrambi complici. Credimi.”
“Capisco il tuo turbamento, amore. Davvero. Ma magari sei stata suggestionata. È un momento delicato. Tuo padre che si fidanza dopo tanti anni da vedovo…”
“Stai dicendo che sono gelosa?”
Lia si allarmò, mordendosi le labbra. Aveva sbagliato approccio, cercando di minimizzare la cosa, evidentemente Anna era sconvolta. Non voleva litigare, quindi cercò di correre ai ripari.
“Assolutamente no. Ma forse è quello il gioco di Marta, provocarti e farti proiettare un’insicurezza.”
La risposta fu glaciale, immediata.
“Ne dubito. So cosa ho visto. E trovo assurdo che non mi creda nemmeno tu.”
Lia si irrigidì. Le guance cominciarono a bruciarle. Il suo petto si alzava e abbassava in modo irregolare.
“Ma sei sicura di non esserti sbagliata? La spiegazione più semplice è spesso quella giusta.”
“Cosa stai insinuando adesso? Pensi che abbia le allucinazioni?”
“Non ho insinuato nulla. È solo che fatico a crederti. Un padre pensa a proteggere sua figlia, non a sedurla, Anna. Dev’esserci un’altra spiegazione più ovvia.”
“E sarebbe?”
“Non lo so. Stai dicendo che tuo padre ti desidera. Capisci cosa stai dicendo, Anna? Permetti che abbia delle perplessità?”
“Ne sono certa. Gliel’ho letto negli occhi. Sì. Lo capisco benissimo.”
“Allora scusa se non mi basta un profumo e una forcina. No. Non posso crederci. Non posso immaginare un padre che…”
“Proprio tu parli, Lia?”
“Che intendi?” Lia fissava il telefono con un peso al centro del petto. Le dita tremavano un poco mentre scriveva. Sapeva dove Anna voleva andare a parare e sentiva un rosso velo di rabbia calare sui suoi occhi.
“Lo sai benissimo. Da quanto tempo tuo padre non si fa vivo? Sei mesi?””
“Sì..”
Per un momento, Lia pensò di confessarle la verità: suo padre viveva con lei di nascosto. Poi cambiò idea.
“Proprio a te viene tanto difficile capire che un genitore non sia necessariamente un santo, Lia?”
“Anna..”
“Vuoi sapere la verità?”
“Smettila, Anna. Vuoi litigare?”
“Tutte le maledette volte che l’ho incontrato, quel maiale di tuo padre Sergio mi ha puntualmente piantato gli occhi tra le tette o sul sedere. Ecco, te l’ho detto.”
“Cazzate..”
“È la verità. Tuo padre è un maniaco schifoso e non dovresti rimpiangerlo. Puoi escludere che avesse pensieri sporchi anche su di te?”
“Basta! Non hai il diritto di dire una cosa del genere. Stai straparlando, Anna.”
“E tu non hai il diritto di dubitare di me.”
“Se io ti dicessi che mio padre Sergio si eccita pensandomi, tu mi chiederesti delle prove, Anna. È normale. È grave. Non puoi lanciare una bomba così e pretendere che io annuisca.”
“Sai qual è la differenza? Che se tu me lo dicessi, io ti crederei.”
“Mio padre non è un santo, no. Ma non ho mai dubitato che volesse proteggermi.”
“Proteggerti? Questa è bella.”
“Forse non ricordi chi è mia madre, Anna; sai benissimo perché sono andata via di casa. Mi ha ricattata, ricordi?”
“Ma per favore. Tuo padre pensava solo a tradirla semmai, aveva un esercito di puttane. Lo sappiamo entrambe, non mentire con me. Perché lo difendi così tanto? Solo perché tua madre è anche peggio di lui?”
Una fitta. Lia sgranò gli occhi. Qualcosa si ruppe. Il sangue le salì alle orecchie, sentiva il sudore bagnarle le mani. Prese quel sangue e lo iniettò sulla tastiera.
“Secondo la tua logica, anche tua madre era una squallida troia. Come possiamo escluderlo? L’hai conosciuta? Che ne sai? È stata una fortuna che sia morta quand’eri piccola, giusto Anna?”
“Che schifo. Hai detto davvero questa cosa?”
“Perché è vero: non possiamo escluderlo, secondo la tua geniale logica.”
“E allora sai che ti dico?”
“Aspetta...”
Lia guardò lo schermo, la bocca semiaperta.
La schermata le impediva di rispondere ad Anna e riportava la scritta: “Sei stato bloccato.”
L’immagine del profilo era scomparsa. Dove prima c’era quella bellissima foto di Anna con le labbra rosse e gli occhi dolci, ora solo il grigio vuoto.
Avrebbe voluto spaccare qualcosa ma era troppo amareggiata.
Si addormentò così, con le lacrime calde che le rigavano il volto, i singhiozzi soffocati contro il cuscino, lo schermo del telefono ancora acceso, l’icona grigia che la fissava in silenzio.
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