Morbosa Corrispondenza – Capitolo 19

di
genere
incesti

Toni
Mentre le labbra di Anna sfioravano le sue, Toni pensò che dopotutto non avesse senso rifugiarsi in fantasie pornografiche; poteva un sogno proibito competere con il calore di quella pelle viva, con quel corpo morbido, tonico sotto le dita?
Anna era lì, calda al suo tocco; Toni le accarezzava il collo con la bocca, mordendole piano l’orecchio mentre la sua mano scivolava sotto il soprabito per accarezzarle la curva delle cosce.
Sospirando, lei lo fermò controvoglia.
“Stai attento,” sussurrò lei, palesemente eccitata. “Mi rovini tutto il trucco.”
Toni ridacchiò, accarezzandole i lunghi capelli scuri. “A me piaci anche spettinata.”
Anna lo baciò piano, aprendo le labbra quel tanto che bastava per lasciarvi entrare la lingua. Il bacio era caldo, lento, bagnato e lei era bella, irresistibile. Ma non era Mena. Toni si trovò a pensare che la lingua di sua madre avrebbe avuto un altro sapore. Più deciso. Più forte. Più porco.
La bocca di Mamma lo perseguitava da settimane: morbida, sensuale con un taglio naturale che sembrava disegnato apposta per far impazzire un uomo.
Le labbra superiori curve, quelle inferiori piene, a volte lasciate un po’ aperte quando parlava o rideva, mostrando una lingua lenta e umida che si spostava sul bordo dei denti. Toni non poteva guardare sua madre senza pensare a quella bocca avvolta intorno al cazzo, la lingua saettante sull’asta dura.
Il membro di Toni si indurì all’istante, rigido come pietra, rivendicando spazio e attenzioni. La voleva. Ora. Senza preamboli.
Ma quando lui si fece più vorace, lei gli diede un colpetto malizioso sul petto.
“Piano... mi sbavi tutto il rossetto! Poi se ne accorgono…”
“E quindi?”
“Mmm…” sospirò lei, strusciandosi addosso a lui con finta innocenza, spingendo il sedere tondo contro la sua virilità evidente. Il sesso di Toni le premeva contro, dura e pulsante; rimase ferma un istante, assaporando la pressione, poi si voltò piano.
“Guarda cosa mi hai fatto,” disse lui. La forma della sua erezione era marcata, spudorata.
“Io volevo solo un bacio, amore. Sei tu che hai cominciato a provocarmi…”
Toni serrò la mascella. Le si avvicinò all’orecchio e, con un fremito nella voce, sussurrò:
“Inginocchiati dai…Non c’è nessuno…”
Anna sorrise. Poi gli diede una spinta con il sedere, ridacchiando.
“Mi sa che ti tocca aspettare,” disse, voltandosi. “Se restiamo ancora qui, rischio di perdere il mio turno per cantare.”
Fece una pausa, senza smettere di sorridere e gli sfiorò l’erezione con un buffetto leggero, provocante, che bastò a farlo sussultare. “Ricomponiti, sembri una tenda canadese. Ma se stasera farai il bravo…” aggiunse, ammiccando.
Toni sorrise, pregustando il post serata.
Non avevano più parlato di quella notte in cui Anna aveva visto Marta a casa sua con il padre, ma era chiaro quanto quella cosa la tormentasse.
Toni si chiedeva come facesse a non sfogarsi, a non mostrare la sua debolezza.
Anna era sempre perfetta e calma.
Ma anche il ghiaccio, se colpito nel punto giusto, si rompe.
E lui era pronto a starle vicino, a sostenerla...
E, non appena possibile, a farle piegare le ginocchia.

Marta
“Le iene vivono in gruppi matriarcali…” affermava la voce cavernosa del documentario, mentre sullo schermo si vedeva una iena aggirarsi tra le carcasse. “…e non esitano a sottrarre il cibo ai grandi predatori approfittando di un attimo di distrazione.”
Marta uscì dal bagno avvolta in un accappatoio bianco, umido di vapore. I capelli castani, scuri per l’acqua, le scendevano lungo il collo mentre si chinava a prendere l’asciugamano dal divano. Cominciò a tamponarseli con movimenti pigri, distratti, tenendo gli occhi incollati alla televisione.
Una iena si avvicinava di soppiatto a un leone steso accanto a una carcassa di zebra. La iena muoveva le zampe anteriori una alla volta, con fare furtivo. Ma poi, proprio quando stava per afferrare il pezzo di carne, emise quel suo tipico verso: un guaito che sembrava una risata nervosa e infantile.
Il leone alzò la testa di scatto. Girò il muso verso di lei e con un solo ruggito la ricacciò indietro, lasciandola a bocca asciutta.
Marta scoppiò in una risata calda, sincera. “Te lo meriti, scema…” mormorò divertita. “Quando si ruba non si ride. E non si improvvisa. Bisogna stare zitti ed essere pazienti.”
Scrollò le spalle, spense la televisione e si sistemò meglio l’accappatoio sulle gambe.
Stava tornando in bagno, ancora ridacchiando, quando sentì bussare alla porta.
Tre colpi secchi. Pausa. Altri due, più leggeri.
Si girò verso la porta con lo stesso mezzo sorriso della iena.
Poi andò ad aprire.

Toni
"Anna! Sei arrivata!" esclamò una donna magrissima dai capelli molto corti, stringendola in un abbraccio. "E lui deve essere Toni, giusto? Il famoso calciatore!"
"Piacere," disse Toni, abbozzando un sorriso cordiale.
La sala prove del teatro era piena di visi: una ragazza coi capelli fucsia, un tipo grassoccio con l’aria da orsacchiotto che rideva sempre, un tizio di mezza età col pizzetto e un codino improbabile.
Toni fece fatica a ricordare i loro nomi. Si sedette in disparte, osservando. Il gruppo sembrava affiatato, pieno di complicità e battutine incomprensibili sul canto.
“Allora, chi comincia?” Chiese l’orsacchiotto, tamburellando le dita con impazienza.
“La prima è lei,” rispose la tipa con i capelli cortissimi, accennando ad Anna.
“Si parte con la migliore,” commentò qualcuno, e tutti sorrisero.
"Jake è in ritardo."
Toni sollevò le sopracciglia. Jake. Anna gliene aveva parlato. Cantante e produttore famoso, con una brutta fama: ubriacone, drogato, inaffidabile. Non era chiaro se quella reputazione fosse reale o solo parte del personaggio.
Bastava nominarlo e l’atmosfera cambiava: il tono delle voci si abbassava, gli sguardi si facevano più attenti.
"Oh, eccolo!"
Proprio in quel momento, Jake aprì bruscamente la porta della sala.
Corporatura massiccia, spalle larghe e portamento grezzo, indossava una felpa oversize color sabbia, pantaloni larghi e un cappellino da baseball nero calato sugli occhi.
La barba rossiccia e poco curata, striata di bianco, incorniciava un viso tondo e deciso.
Le braccia, completamente tatuate, gesticolavano sempre.
“Bella raga!” Esclamò con accento del nord, trascinando le vocali. Salutò le donne con due baci sulle guance – un po’ troppo vicini alle labbra – e gli uomini con vigorose strette di mano.
Quando toccò a Toni, un odore intenso lo investì all’improvviso. Marijuana. Appena fumata. Toni trattenne il respiro per un attimo, cercando di non storcere la bocca.
“Cioè ho dormito due ore stanotte… ma ci sono, eh. Tutto molto bello.”
Ma quello che fece stringere lo stomaco a Toni fu la maniera in cui Anna si avvicinò a Jake. Gli schioccò un bacione sulla guancia, abbracciandolo con un entusiasmo e una confidenza che a lui non piacquero affatto.
“Raga, l’ultima sera a Milano è stata una bomba,” disse Jake, appoggiando il cappellino sul tavolo. “C’erano tipo cinquemila persone. Una roba che tremava tutto il palco. E giuro, una tipa mi ha tirato il reggiseno. Avevo il microfono in una mano e il push-up nell’altra.”
Scoppiarono tutti a ridere, Anna compresa. Toni vide le sue spalle sobbalzare mentre si copriva la bocca, divertita.
“Le donne erano delle belve, ve lo dico io!” Esclamò Jake, alzandosi in piedi per mimare la scena, sventolando un reggiseno invisibile.
Risero ancora più forte.
Toni strinse i pugni. Che banda di ruffiani.
Fece un passo avanti, pronto a riprendere la mano della sua fidanzata, ma Jake alzò la voce di nuovo.
“Allora? Chi mi fa venire i brividi oggi?”
"Oh, Anna, ora tocca a te."
"Sì, dai!" Fecero eco gli altri.
“Vai Regina, ti voglio sul palco!” Gridò Jake, calcando le “v” e tirando fuori questo soprannome ridicolo.
“Regina..?”
Anna sorrise, si voltò appena verso Toni, ma non disse nulla. Salì sul palco con un passo sicuro e si sfilò lentamente il soprabito.
Marta
Aprì la porta con calma, stringendosi l’accappatoio con una mano e inclinando appena la testa. Davanti a lei, Luigi. Occhi cerchiati, volto tirato da insonne.
“Marta…” disse subito, senza neppure salutarla. “Ho pensato a te tutta la notte. Non riuscivo a dormire. Mi hai lasciato…” esalò un mezzo rantolo, “solo.”
Marta lo guardò con uno stupore ironico, quasi bonario. “Hai preso qualcosa, Luigi? Sei sicuro di star bene?”
“Non scherzare…” sussurrò lui, un orfano in cerca d’un rifugio. “Io… voglio te. Voglio fare di nuovo quello che abbiamo fatto ieri. Quando leggevi il diario… quando…”
Si interruppe, esitante.
Marta rise piano, con una nota di compiacimento negli occhi scuri, e gli indicò l’uscio con un cenno del mento. “Sai com’è… Non ricordo di averti invitato a casa mia. Magari sto aspettando qualcuno. “
Luigi sgranò gli occhi, si agitò. “No, ti prego… ti prego Marta. Non giocare con me così. Non adesso.”
Marta si appoggiò allo stipite, sollevando appena un sopracciglio. Quel movimento fece aprire l’accappatoio sul petto: il seno massiccio, ancora umido e gonfio sotto la stoffa leggera, si intravide nettamente.
“Non adesso? Che è successo, adesso?” Chiese lei, civetta.
“Ti prego, Marta. Voglio rifarlo. Ancora.”
Lei lo fissò per qualche secondo, impassibile. Poi gli voltò le spalle ed entrò in casa senza invitarlo. Sapeva che l’avrebbe seguito. E infatti lo sentì dietro di sé, un cane randagio bisognoso di attenzioni.
“Sai com’è…” disse, mentre si sedette sul divano accavallando lentamente le gambe. L’accappatoio si sollevò, mostrando la gamba tornita. “…non mi pare d’averti invitato. Anzi, non mi pare nemmeno d’averti scritto. Ma magari sbaglio io, eh.”
Luigi si fermò nel mezzo del salotto, tremando.
“Ti prego… non prendermi in giro. Io non sto bene. Senza di te… non sto bene.”
“No?” Marta sorrise con malizia, aggiustandosi la scollatura mentre lasciava che l’accappatoio scivolasse lentamente, scoprendo metà del seno. “E pensare che, fino a pochi giorni fa, eri così… imperturbabile. Un primario tutto d’un pezzo.”
Lui crollò. In ginocchio. Le prese la mano.
“Ti supplico, ne ho bisogno.”
Una lacrima gli scivolò sulla guancia e Marta, soddisfatta, gli porse un fazzoletto. “Soffiati il naso, dai. Così sembri un vecchio depresso. Resta inginocchiato, lì. E, per l’amor di Dio, non mi sporcare il parquet nuovo con le tue lacrime.”
Lui rimase in silenzio, inginocchiato. Marta si alzò, lo sfiorò passando, lasciandogli addosso l’odore fresco e sensuale del suo shampoo e andò verso la scrivania.
“Stammi buono lì, eh? Devo sistemare un paio di cose al computer. Poi magari… ti darò una coccola. Ma solo se farai il bravo.”
Luigi annuì, ancora in ginocchio. Marta lo guardò da dietro lo schermo. Le labbra si incresparono in un sorriso pieno.
Il potere le pulsava tra le gambe.


Toni
Il gesto con cui Anna si tolse il soprabito era fluido, quasi danzato, e l’intera sala si zittì di colpo, trattenendo il fiato.
E sotto… cazzo, era mezza nuda.
Quel soprabito lungo gli aveva fatto credere che fosse vestita come si deve.
Sotto, indossava un top in pelle, di color blu notte, aderente, lucido, senza spalline e che abbracciava il seno pieno di Anna con una precisione oscena, lasciando nude le spalle.
I capelli le scivolavano lungo la schiena e una gonna, cortissima, celeste, fasciava i fianchi e lasciava scoperte le cosce.
Ai piedi, un paio di décolleté blu petrolio in vernice accompagnavano ogni passo con una sinuosità ipnotica.
Un corpo da passerella, da sogno, da fantasia sessuale.



Le prime note di “The Scientist” si sparsero nella sala, malinconiche, e poi arrivò la voce di Anna: calda, limpida, vellutata. La voce non si limitava a cantare – accarezzava, seduceva, penetrava sottopelle.
“Come up to meet you, tell ya I'm sorry
You don't know how lovely you are
I had to find you, tell ya I need you
Tell you I set you apart”
Un uomo del pubblico alzò lo sguardo dal cellulare, risvegliato da una trance. Una ragazza in terza fila si piegò in avanti, le labbra dischiuse.
“Che intensità.” Sussurrò qualcuno. “Che voce dolce, calda, profonda…” rispose un altro.
“Tell me your secrets and ask me your questions
Oh, let's go back to the start”
Jake non le toglieva gli occhi di dosso. A un certo punto fece un fischio basso e si girò verso il tipo col codino.
“Che fuoco. Che fame.”
Toni, fermo in fondo, li ascoltava. Il sangue gli pulsava alle tempie. Le mani serrate sulle ginocchia.
Jake si piegò verso l’orsacchiotto, con un ghigno che cercava di contenere.
“Senti che gola...”
Poi fece un gesto. Toni lo vide come al rallentatore: Jake con la mano fece un gesto lento, muovendola avanti e indietro in segno di apprezzamento, le dita a tracciare una “V” maliziosa.
“No one ever said it would be this hard
Oh, take me back to the start”
Poi, con un sorriso complice e senza abbassare la voce, fece il labiale:
“Che pezzo di figa.”
Sul palco, Anna piegava leggermente le ginocchia, la voce che ondeggiava con il corpo. Un respiro profondo prima di un acuto. Poi sollevò lo sguardo, diretto, al centro della platea.
“Tell me you love me… come back and haunt me…”
Jake scosse la testa, ipnotizzato. “Se continua così… Non rispondo più delle mie azioni. Giuro.”
Tutti gli altri erano rapiti dalla performance di Anna, ma a Toni non interessava. Le parole di quel lercio accattone gli rimbombavano nella testa.
Jake schioccò la lingua e concluse: “con quella voce, col talento che ha e con quel culo… può arrivare ovunque.”
“I was just guessing at numbers and figures
Pulling the puzzles apart
Questions of science, science and progress
Do not speak as loud as my heart”
Anna cantò le ultime strofe con una voce meravigliosamente intensa e fragile rispetto all'inizio, quasi in un sussurro struggente.
"Nobody said it was easy / No one ever said it would be this hard / Oh, take me back to the start"
La canzone finì.
Silenzio. Poi, come un’onda, un’ovazione. Qualcuno si alzò in piedi, altri battevano le mani, gridavano.
“Grandiosa! Divina! Regina!”
“Di-vi-na!”
“Regina, splendi!”
Un trionfo. Jake si sperticò in lodi viscide ed eccitate senza troppo ritegno.
Mentre tutti si riversavano in complimenti per Anna, Toni restava in disparte, immobile, in attesa solo di andarsene da lì con lei. Gli bruciava ammetterlo: quella non era stata una performance canora, ma uno spogliarello.
E lui era stato l’unico a non capirlo. L’unico stronzo che non aveva visto. Si sentì tradito. Umiliato. Non solo da lei. Ma da sé stesso. Perché c’era cascato. Ancora.

Luigi
“Cosa... fai, Marta?”
“Sto al pc, non si vede?” Rispose lei, senza voltarsi, con voce distratta e un sorrisetto che si rifletteva nello schermo.
Luigi si irrigidì, accucciato tra le gambe di Marta. Dal suo angolo sotto la scrivania, Luigi poteva vedere solo frammenti. L’incavo lucido dietro il ginocchio di Marta, il bordo dell’accappatoio che si era aperto appena mostrando un fianco morbido, color miele, levigato, vivo. Ogni tanto, una goccia d’acqua ancora si staccava dalla sua pelle per cadere sul parquet. Le gambe erano accavallate con una lentezza sensuale, e da quella prospettiva, la curva generosa della coscia faceva sembrare il resto del mondo sfocato.
Dallo schermo arrivavano gemiti sommessi, femminili, scanditi da un respiro affannato e liquido.
“È Anna?” chiese a bassa voce, come se temesse la risposta.
Marta non rispose. Continuò a cliccare con il mouse e il volume aumentò appena. Un sussurro afono, un colpo di lingua, un piccolo ansito.
Luigi deglutì. “Marta… è lei?”
Ancora silenzio.
“Ti prego, rispondi…” ripeté, questa volta con più urgenza, sporgendosi leggermente.
Fece per sollevarsi appena, con l’intento di sbirciare lo schermo. Ma subito sentì un suono netto, il “tzk tzk” della lingua contro il palato. Si bloccò.
Si girò del tutto verso di lui, lasciando che l’accappatoio si aprisse di lato, mostrando l’interno coscia nudo.
“Non ancora,” mormorò Marta, la voce bassa e colma di un’ironia strafottente. “Ti sto preparando una sorpresa, pupazzetto. Ma serve un po’ di tempo.”
Luigi annuì. Le mani tremavano.
“Posso… fare qualcosa per te?”
Lei lo guardò con uno sguardo languido e divertito. Poi abbassò la gamba e con naturalezza gli sfiorò la guancia con il piede nudo.
“Se il mio pupazzo vuole rendersi utile… può cominciare da qui.”
Lo guidò piano, con fermezza, finché il viso di Luigi non si posò contro la pianta del piede di Marta. Era profumato — bagnoschiuma fresco — ma non del tutto pulito. Aveva camminato per casa, a piedi nudi.
Allungò il piede sul suo viso, facendolo scivolare con la punta fino alla sua bocca.
Luigi esitò un istante. Solo uno. Poi abbassò lo sguardo, chinò il viso. E lo fece.
Le sue labbra si posarono sull’alluce destro. Lo baciò prima con timidezza, accarezzandone la punta con la bocca chiusa. Sentì sotto le labbra la curvatura perfetta dell’unghia, levigata, lucida, fredda di smalto, e il tepore vivo della carne appena sotto.
Poi aprì piano le labbra e lo accolse dentro, succhiandolo con lentezza. Un sapore leggermente salato gli si posò sul palato, misto all’aroma persistente del bagnoschiuma. Il contrasto lo fece fremere.
Marta socchiuse gli occhi. Il suo piede si mosse, impercettibilmente, spingendo appena più in profondità.
Allora Luigi passò al secondo dito. Lo baciò tre volte, scendendo piano lungo la falange: prima sul dorso, poi sulla base, infine nella cavità tra un dito e l’altro. Lì la pelle era più morbida, più sensibile, e leggermente più calda. Infilò la lingua in quel piccolo spazio e la mosse piano, assaporando quella lieve umidità intima. Leccò con precisione tra il secondo e il terzo dito, poi tra il terzo e il quarto.
Poi discese. Con la lingua tracciò una linea lenta dal dito verso il centro della pianta fino al tallone. Sentì il lieve sapore della pelle vissuta e lo assaporò.
Cosa stava facendo? Perché era lì?
S’arrestò sul tallone.
Lo leccò piano, ammorbidendo quel punto spesso con il calore della bocca. Lo lambì con la lingua, circolarmente, stuzzicando l’origine stessa del piacere di Marta.
La mente di Luigi si contorceva: medico, uomo stimato, piegato ai piedi di una donna che lo chiamava “pupazzo”.
Un tempo non si sarebbe lasciato calpestare così.
Un tempo, prima che cedesse lo sporco argine della sua ossessione per sua figlia. Prima che la marcia diga della sua perversione esplodesse e quella lussuria lo travolgesse.
Marta si sporse un poco in avanti, incuriosita, accarezzandogli i capelli.
“Stai davvero dando il meglio, pupazzo…” sussurrò, la voce incrinata da un fremito. “Ti piace, cagnolino? Ti piace?”
Luigi non rispose. Continuò a leccare: succhiava il mignolo con una tenerezza quasi infantile, leccava con movimenti lenti tra il secondo e il terzo dito, tornava a succhiare l’alluce con slancio quasi carnale.
Marta si stiracchiò sulla sedia con un sospiro lungo e appagato.
Quando sollevò la gamba e la poggiò sull’altra, accavallandole con lentezza teatrale, l’apertura dell’accappatoio si ampliò inevitabilmente. Il movimento sollevò il lato destro, lasciando scoperta quasi tutto l’inguine, e insieme spinse la stoffa sul busto a scivolare di lato. Il seno sinistro si fece immediatamente visibile: nudo, pesante, appena sollevato dal respiro. Il capezzolo era eretto, teso, nero dall’eccitazione e dalla leggera differenza di temperatura tra l’aria e la pelle umida.
Il seno destro, ancora parzialmente coperto, si intuiva nella curva che deformava il tessuto della spugna. Ma bastò che Marta si aggiustasse un poco, inclinando il busto verso di lui, per far cadere anche quel lembo.
Ora era completamente esposta. Le mammelle, generose e rotonde, si distendevano davanti a Luigi con una naturalezza scandalosa, senza alcun pudore. Oscillavano lievemente ogni volta che parlava, o rideva sottovoce del suo stato prosternato.
Luigi, ancora inginocchiato, non riusciva più a decidere dove posare lo sguardo: i piedi da adorare o quel seno nudo che gli incombeva.
Marta si piegò leggermente in avanti, un movimento lento, felino. I seni oscillarono liberamente, uno accanto all’altro, quasi sfiorandosi nel centro.
“Pupazzo… li hai guardati abbastanza?” sussurrò, con un sorrisetto ambiguo.
“Non ti distrarre. C’è ancora un piede, pupazzetto…” sussurrò, con un sorrisetto tagliente. “Non vorrai certo lasciarlo solo, vero?”
Luigi non rispose. Si chinò subito. Cominciò dal secondo piede con un nuovo bacio sull’alluce. Le sue labbra si aprirono subito, lo accolsero interamente. La lingua si mosse attorno con movimenti più ampi, più sciolti.
Anche stavolta non tralasciò nulla. Dopo l’alluce succhiò le falangi una per una, bagnandole tutte con la bocca fino a renderle lucide, brillanti.
Ogni tanto, sollevava lo sguardo verso di lei, ma Marta non diceva nulla. Lo fissava. Le pupille dilatate, il respiro più profondo.
Allora lui tornò al primo piede, leccando l’alluce già baciato, ma ora con più desiderio. La saliva si mescolava, i due piedi erano ora entrambi bagnati, segnati da decine di baci e leccate.
“Così ti voglio…” sussurrò lei, la voce rotta da un brivido. Si morse un labbro, trattenendo a stento un gemito di piacere quando Luigi ricominciò a suggere l’alluce smaltato.
“Bravino il mio pupazzetto… Se continui così, potrei anche mostrarti cos’è che sto preparando.”
Fu in quel maledetto momento che il telefono di Luigi iniziò a suonare.


Anna
La portiera dell’auto si chiuse con un tonfo secco. Anna si lasciò cadere sul sedile del passeggero, ancora col cuore che le rimbombava in petto. L’euforia dello spettacolo le scaldava la pelle, le dita tremavano appena. Si voltò verso Toni con un sorriso radioso.
“È andata. Hai visto? Il pubblico era entusiasta.”
Toni annuì debolmente.
Anna si sporse verso di lui, lo sfiorò con una mano sul collo.
“La canzone era per te...”
Si morse un angolo del labbro, giocosa.
“E ti avevo promesso qualcosa, ricordi?”
Non aspettava davvero un sì, sapeva quanto lui fosse eccitato; si abbassò leggermente sul sedile, accostandosi al suo bacino con naturalezza.
“Te lo sei meritato,” sussurrò. “Mettiamoci comodi, dai…”
Iniziò a slacciare il primo bottone dei pantaloni del fidanzato, guardandolo da vicino.
Era tutto lì, il post-concerto, la fame di emozioni, di calore.
Il bisogno di completare il rito.
Il grosso cazzo del suo fidanzato come sfogo di tutta quell’eccitazione, quella passione.
Decise che avrebbe ingoiato tutto quello sperma caldo (che Toni produceva sempre in quantità abbonanti), inondando quella stessa gola che poco fa aveva ottenuto quel successo.
“Dai…” gli sussurrò con un tono denso di eccitazione.
“Metti… mettimelo in bocca.”
Ma Toni si irrigidì di colpo. Le prese i polsi e la fece rialzare bruscamente.
Anna lo guardò, sorpresa, le mani sospese a mezz’altezza.
“Ma… te lo avevo promesso,” mormorò. “Prima dell’esibizione.”
Lui la fissava come se fosse un’estranea. “Esibizione? Intendi la tua lap dance?”
“Scusa?!” scattò lei.
“Hai visto come eri vestita? Mezza nuda, culo in mostra… Era un provino per uno strip club?”
Lei si raddrizzò, gli occhi lampeggianti. “Era un outfit elegante. Moderno. Sexy. Mi sentivo fiera. Non posso piacermi, adesso?”
“Sexy? Sembri una..” Si bloccò, poi sputò: “una puttana televisiva. E ora che hai capito come funziona quel mondo, ti ci stai buttando a capofitto.”
“Ma tu sei impazzito?!”
“Ti sei fatta guardare da tutti, hai fatto la gatta in calore su quel palco. E i tuoi amici del gruppo? Ridevano, commentavano il tuo culo come se fossi un pezzo di carne. Jake ti mangiava con gli occhi. Ma forse è quello che volevi, no? Se hai così tanta voglia, fallo subito. Vai da lui, succhiaglielo. Almeno così la tua esibizione avrà un finale coerente.”
Lo schiaffo partì dalla mano di Anna con un gesto fulmineo, pieno, diretto. Toni barcollò appena, sorpreso più dal gesto che dal dolore.
Il silenzio che seguì fu più violento dello schiaffo stesso.
“Non ti permettere!” Urlò lei, con gli occhi che le brillavano di lacrime trattenute. “Non ti azzardare mai più a parlarmi così.”
“Sei pazza…”
“Io voglio solo cantare. Cantare, capisci? Cantare e dimostrare che sono brava! C’è qualcosa di male nel sentirmi anche bella mentre lo faccio?! E anche se mi vesto così, non vuol dire che sia una puttana. Ci sono artiste bravissime che si mostrano e non c’è niente di sbagliato in questo. È parte del mestiere, Toni! Solo tu non lo capisci!”.
“Ti sei messa in testa una favola, Anna. Vuoi fare la diva? Lì fuori ti applaudiranno, ti scoperanno e poi ti lasceranno perdere. Ma chi credi di essere? Eh? Che ti passa per la testa?”
Lei sbottò: “mi passa per la testa che non voglio diventare la triste moglie di un calciatore mediocre che taglia l’erba come passatempo e si lamenta di tutto!”
Il colpo andò a segno. Toni sbiancò, poi fece per rispondere, ma lei scese dall’auto e iniziò a camminare via, a testa alta, il passo alterato dalla rabbia.
“Sì, vattene pure!” Gridò Toni dal finestrino, la voce rabbiosa.
“Sei così ingenua che nemmeno tuo padre viene a sentirti cantare!”
Anna si fermò per un istante, come se fosse inciampata. Non si voltò, ma il respiro le si mozzò in gola.
Poi, lentamente, con dita tremanti, afferrò lo smartphone e chiamò un taxi che arrivò quasi subito.
A bordo del taxi, un pensiero le trafisse la mente come uno spillo sottile: su un punto, quel deficiente di Toni aveva affondato il colpo.
Suo padre non era mai venuto a sentirla cantare.
Mai.
E all’improvviso, la domanda che cercava di ignorare da tempo le esplose dentro: Perché?


Luigi
“È per te?”
Luigi esitò. Un messaggio. Anna.
La schermata brillava ancora, crudele.
“Mostramelo.”
“È solo...”
“Ti ho detto di mostrarmelo, pupazzo.”
La voce si era fatta piatta, fredda, senza alzare il volume. Bastò quello a piegarlo.
Le porse il telefono con le mani tremanti. Lei lo prese e si stiracchiò appena sulla sedia, lasciando intravedere l’inizio del seno, tondo e ancora umido, che si muoveva lento sotto il tessuto leggero dell’accappatoio.
“Vediamo un po’... che dice la principessina?”
Marta lesse ad alta voce, calcando con gusto:
“Papà, dove sei finito? Ho litigato con Toni. E mi dispiace che tu non sia venuto a sentirmi cantare oggi. Pensavo contasse per te. A teatro ti cercavo.”
Un attimo di silenzio. Poi, la risata: bassa, sporca, di gola, quasi maschile.
“Povera stella, il suo teatrino vuoto. Si offende perché non le hai fatto da fan club. Lo sai cosa le serve davvero, alla tua figlioletta?”
Si piegò su di lui e gli sfiorò il lobo con le labbra umide.
“Un microfono grosso così.” fece un gesto esplicito con la mano, allargando le dita con beffarda oscenità. “Da farle passare la voglia di fare piagnistei. È questo che Toni non capisce. Avrà pure la materia prima ma gli manca il carattere, non è in grado di sottometterla, la puledrina. Ci penserai tu, papino?”
Sbottò in un’altra risata, più forte.
Luigi la fissava, ferito e confuso.
“Per favore, ridammi il telefono...”
Marta si divertì a far finta di lanciarlo, poi trattenne il gesto, come si trattasse di un cane a cui si nega l’osso, e infine glielo porse lentamente. Lui lo afferrò con mani insicure e cercò di digitare qualcosa di vago, un messaggio interlocutorio, ma…
“No, no, no.”
Marta si schiarì la voce.
“Adesso scrivi quello che ti dico io, pupazzo.”
“È mia figlia… ti prego, non posso…”
Scosse la testa.
“Scrivi, pupazzetto.”
“Marta, ti prego…”
Lei si sistemò meglio sulla sedia, aprendo oscenamente le gambe, lasciando intravedere la fica carnosa e liscia. Gli lanciò uno sguardo carico di compiacimento e iniziò a dettare.
Intanto le mani di Marta scivolarono giù, dalle spalle di Luigi alla nuca, e poi al petto. Le dita gli aprirono la camicia con lenti strappi di bottone, uno alla volta.
“Su, scrivi” gli ordinò con voce più dolce, mentre gli accarezzava il petto nudo, disegnando ghirigori sulla pelle con le unghie. “Scrivi che eri con me. La tua fidanzata. Che non avevi tempo. E che non te ne frega niente della sua passione da liceale isterica.”
Luigi abbassò lo sguardo, iniziò a digitare:
“Ieri non sono venuto perché ero impegnato con la mia fidanzata, Marta.”
“Bravo.” Gli passò la lingua dietro l’orecchio, sfiorandogli l’inguine con la punta delle dita, ancora sopra il tessuto. “Ora rendilo più… asettico. Così sembra più vero.”
Gli premette i seni sulla schiena, con una lentezza sfiancante, poi dettò:
“Mi spiace tu abbia preso sul personale la mia assenza, ma ci sono priorità diverse ora.”
“No, aspetta...” sussurrò Marta con un mezzo gemito. Gli morsicò piano il lobo. “Non scrivere mi spiace, pupazzo. Scrivi: non era una priorità.”
Cancellò il messaggio e, con le mani che tremavano sotto le carezze calde e crudeli della donna, digitò:
“Ieri non sono venuto perché ero impegnato con la mia fidanzata, Marta. Ho poco tempo per il resto.”
Tac tac tac. Le dita battevano lente. Luigi aveva la nausea.
“Oh, adesso sì che sembri un medico che si è stancato di una paziente frignona.” Marta si abbassò alle sue spalle, il seno caldo contro le scapole, le mani ormai sulla cintura dei pantaloni.
“Concludi. Qualcosa di elegante, ma gelido.”
“Per favore…”
“Zitto. Scrivi, pupazzo.”
Tac. Tac. Ogni lettera sembrava sputargli addosso disprezzo.
“Scrivi: ti auguro ogni soddisfazione sul palco, se saprai meritarla. Per il resto, preferisco concentrarmi sulla mia relazione attuale.”
Marta si morse il labbro, compiaciuta e con le dita gli pizzicò piano un capezzolo.
“Perfetto. Invia, bravo.”
Luigi obbedì. Il messaggio partì. E con esso, qualcosa dentro di lui si spezzò definitivamente.
“Non rispondere più. Nemmeno una riga. Capito?”
Luigi annuì, distrutto.
Marta si voltò verso di lui, con calma.
Si adagiò sulla sedia come una regina pigra, la gamba destra accavallata con lentezza studiata, facendo scivolare l’accappatoio ancora un po’ più su, rivelando in tutta la sua eccitazione una vulva lucida di umori appiccicosi.
Luigi la guardava, ipnotizzato. Le ginocchia gli dolevano sul parquet, ma non osava spostarsi.
“Hai scritto il messaggino, pupazzo,” sussurrò lei, “e io ti avevo promesso una ricompensa.”
Allungò la mano, gli accarezzò i capelli con le unghie smaltate di rosso sangue, poi lo prese per la nuca, dolcemente ma con fermezza, guidandogli il volto verso di sé. Non disse nulla.
E poi spinse piano. Decisa.
Luigi si lasciò andare, la fronte che sfiorava la sua pelle calda, l’odore aspro del miele selvatico che gli invadeva le narici. Lei aprì le gambe, sollevando il bacino quel tanto che bastava, e il tessuto dell’accappatoio scivolò da un lato, lasciando in bella mostra la vagina liscia, depilata con cura. Sembrava grondare lussuria.
“Sbrigati, dai. Fammi godere, da bravo pupazzo.” Disse ridendo piano, mentre le dita gli tenevano ancora ferma la testa.
Luigi si chinò, umiliato e bramoso, consumato dal desiderio e da quella sottomissione.
Il legno del pavimento sotto le ginocchia gli pareva gelido, ma tra le gambe di Marta c’era calore e l’odore della sua fica: caldo, intimo, vagamente muschiato.
L’accappatoio si era ormai aperto del tutto, mostrandogli la vulva depilata come un’albicocca matura, socchiusa e calda per l’eccitazione; Luigi avvicinò le labbra tremanti su di essa, dandole la prima leccata esitante e incerta sulla fessura.
E sopra di lui, Marta chiuse gli occhi. Soddisfatta.
Luigi avvertì quel sapore forte di fica calda e vogliosa, trasalendo quando le labbra si aprirono morbide sotto la sua bocca, lisce come seta, senza un ostacolo.
Era inutile prendersi in giro, Luigi sapeva che quella fica gli riportava alla mente Anna, depilata fin da piccola.
L’erezione arrivò inattesa, intensa, scomoda. Non è per Marta e lo sa. È Anna che gli si insinuava nella carne a tormentarlo e ne provò vergogna, fantasma erotico e crudele.
Quando vide il suo corpo fremere di piacere, Luigi si chinò su di lei e le avvolse la clitoride tra le labbra, succhiandola con fervore, come se quel piacere potesse salvarlo dalla vertigine del proprio abisso.
Marta ansimò mentre il suo corpo si irrigidiva, poi gridò di piacere, preda di un orgasmo eccezionale, mentre un fiotto di liquido caldo sgorgava piano dalla fica, un piccolo ruscello di piacere acidulo.
Nei succhi di quel frutto maturo, Luigi trovò la verità più amara: non avrebbe mai avuto il coraggio di tornare indietro.
Lei, ancora accaldata e soddisfatta, si lisciò una ciocca di capelli sudata e sorrise, ancora assaporando gli ultimi tremori del piacere. Le dita gli scivolarono tra i capelli in un gesto affettuoso, distratto.
Dopo essersi portata la mano sulle grandi labbra, si chinò su Luigi e gli infilò due dita sporche del suo piacere in bocca, con un gesto lento e compiaciuto. “Bravo il mio cagnolino”, sussurrò, mentre lui le succhiava le dita.
Poi si alzò lentamente, facendogli segno di prendere il suo posto. Luigi, ancora con le dita di Marta in bocca, si spostò titubante, mentre lei gli accarezzava l’inguine con una carezza leggera ma decisa.
“Te la sei meritata, pupazzo,” sussurrò, ancora ansimante. “Una ricompensa per la tua diligenza.”
Si alzò togliendogli le dita dalla bocca e gli fece un cenno con il mento verso la sedia.
“Siediti lì. Al mio posto.”
Luigi, ancora inginocchiato, esitò. Ma quando lei fece un passo indietro, lui obbedì. Si sollevò piano, tremando lievemente e si sedette davanti allo schermo.

Anna
Era ormai evidente. Tutte le persone che amava l’avevano delusa.
“Mi spiace tu abbia preso sul personale la mia assenza, ma ci sono priorità diverse ora. Ieri non sono venuto perché ero impegnato con la mia fidanzata, Marta. Ho poco tempo per il resto.
Ti auguro ogni soddisfazione sul palco, se saprai meritarla. Per il resto, preferisco concentrarmi sulla mia relazione attuale.”
Lesse e rilesse le parole di suo padre, incredula. Parole fredde, chirurgiche, infastidite. Come se liquidasse un’estranea petulante.
Spense il telefono con un gesto secco, le lacrime pronte. Un nodo bruciante, le stringeva la gola.
Suo padre si era fatto abbindolare da quella fetida troia come un qualsiasi adolescente arrapato.
Anna sorrise, amara, ripensando a tutti i ragazzi che aveva sedotto per gioco — lasciati lì, col cazzo duro e lo sguardo perso, senza nemmeno un bacio. Ma almeno loro erano ingenui, inesperti.
Quello era suo padre. E aveva rinnegato tutto per una donna che ne assecondava le fantasie incestuose per tornaconto.
Aveva voltato le spalle a sua figlia.
E, peggio ancora, aveva sepolto anche il ricordo di mamma.
Lia era stata l’unica a cui Anna aveva avuto il coraggio di confessare quella passione proibita del padre.
L’unica in cui aveva sperato.
E invece… non le aveva creduto.
In preda a quel vuoto, Anna si era aggrappata alla scelta più prevedibile. Toni. Il porto sicuro, un nuovo inizio.
Ma, anche lì, aveva sbagliato.
Era sempre lo stesso imbecille: geloso e rigido come quel cetriolone che aveva tra le gambe. Amava un’idea di lei che non esisteva più.
Forse, pensò, era il momento di smettere di aspettarsi qualcosa dagli altri.
L’unica persona che non l’avrebbe mai tradita era proprio sé stessa.
E la sua voce.
Era l’unica cosa che non si era spezzata.
Un’ultima fitta le attraversò il petto. Lia.
Chiuse gli occhi. Si lasciò cullare dal rollio del taxi mentre la sua mente vagava.
Le luci della città si riflettevano sull’asfalto come rozzi giochi d’ombra.

Luigi
Il cuore gli batteva forte, non sapeva bene cosa aspettarsi.
Marta, alle sue spalle, lo accarezzò sulla spalla, poi gli sfiorò capezzoli, che si indurirono subito. Lui sussultò, ma non protestò. Non ne aveva la forza. Poi le sue dita discesero lungo il petto fino all’inguine, un tocco lento e sfrontato.
Marta si chinò su di lui, l’ampio seno gli sfiorò la nuca. La voce gli colò nell’orecchio, miele velenoso:
“Guarda pure, pupazzo…”
Il laptop era acceso. Immagini, finestre, video. All’inizio non capì. Poi, in una clip, quel corpo. Quel viso.
Anna.
Rimase senza fiato.
“Riconosci qualcuno?”
Il video si apriva con Anna in piedi davanti alla camera, illuminata dal basso. Indossava solo un costume da nuoto nero, intero, tagliato alto sui fianchi. Lentamente, senza fretta, lo fece scivolare giù dalle spalle, lungo il ventre, poi oltre i fianchi fino ai piedi, restando nuda.
Si sdraiò sulle lenzuola bianche, il corpo sottile e bagnato, i capelli sciolti. Le gambe si aprirono, lasciando insinuare le dita nella sua piccola intimità.
Non doveva avere ancora sedici anni all’epoca del video.
Luigi deglutì, la gola arida. “Che… cos’è questa roba?”
“Un video che ho trovato,” sibilò Marta, mentre la sua mano gli sbottonò i pantaloni con gesti sicuri, esperti, e senza attendere risposta gli abbassò lo slip. Il suo sesso era già totalmente eretto, caldo, pulsante.
“Oh, ma guarda qui… Ti piace, vero?“
Lo prese in mano e lo accarezzò lentamente. Le dita si chiusero attorno all’asta, stringendolo con ritmo crescente, mentre l’altra mano gli massaggiava lo scroto.
Luigi gemeva a denti stretti. Gli occhi ancora puntati sullo schermo, dove Anna muoveva lentamente le dita tra le labbra del sesso lucido e aperto, già visibilmente bagnato.
“Guarda com’è bella…” sussurrò Marta. “Da quanto tempo desideravi vederla toccarsi, eh? Da quando la guardavi al mare e sentivi il sangue salire mentre leccava il ghiacciolo. Da quando dormiva in mutandine trasparenti sul divano… Guarda come si tocca. Guarda che bocca ha… sembra nata per succhiare…”
Sullo schermo, la bocca socchiusa della ragazza si apriva in una "O" tremante, mentre il bacino iniziava a muoversi in cerca di frizione e la clitoride brillava sotto le dita, gonfio, rosa, tormentato da piccoli tocchi circolari, lenti, poi via via più veloci, più precisi, più crudeli.
Con la sinistra Anna si accarezzava un piccolo seno, stringendosi il capezzolo con gesti circolari e con la destra si apriva dolcemente, e poi affondava il medio e l’anulare nella propria carne con una morbida pressione che la faceva fremere.
“Hai mai pensato di succhiarle quei capezzoli? Così piccoli che ti starebbero in bocca tutti e due…” E Marta, sadicamente compiaciuta, continua a massaggiare quel grosso attrezzo, godendosi il potere che ha su di lui.
“Sei una puttana..”
Marta accelerò il ritmo della masturbazione, e Luigi sentì il prepuzio scorrere con facilità sul glande, lubrificato dai suoi stessi umori prespermatici. La mano avvolgeva il membro, saliva e scendeva con forza crescente. Le dita lo accarezzavano appena sotto il glande, poi lo stringevano di nuovo.
“ Guarda com’è liscia… nessun pelo. Una fichetta da liceale, da scopare forte mentre ti implora di rallentare. Una piccola ostrica che si apre da sola… la vuoi, vero? Vuoi infilarle la lingua dentro, assaggiarla fino a farla urlare…”
“Mio Dio.. Anna... Che hai fatto…”
Il video non aveva audio, però era evidente che sua figlia stesse emettendo piccoli gemiti spezzati; poi ruotò sul fianco, portando una gamba sopra l’altra, mentre le dita scivolarono più in basso, tra le pieghe dell’ano, che accarezzò con la punta del dito medio.
“Ma tu fai il bravo papà con lei…” lo provocò ancora lei, mettendosi a cavalcioni su di lui, “la proteggi… mentre sogni di aprirle quelle chiappette e spingerglielo tutto dentro.”
Marta abbassò una mano per dirigere il cazzone dentro di lei, riuscendovi senza sforzo. Lo prese dentro di sé, lentamente. Era talmente lubrificata che lo accolse dentro senza sforzo. Il suo sesso caldo, inzuppato, inghiottì il cazzo di Luigi in un attimo, sentendo il grosso tronco di carne pomparla dentro.
Marta prese a cavalcarlo con lentezza crudele, alternando profondi affondi vischiosi a piccoli cerchi col bacino, facendo tremare ogni nervo del suo amante.
Il seno, ormai completamente sfuggito dall’accappatoio, si muoveva gonfio sopra di lui, oscillando a ogni affondo.
“Dai leccale”, ordinò eccitata Marta, mentre lui tuffò le labbra su quelle areole scure e quei capezzoli tesi.
Il suo membro la stava stantuffando senza sosta, grosso e granitico, mentre lui si lasciava andare al turbinio di dirompenti sensazioni che la travolgevano, in balìa dell’eccitamento più devastante che avesse mai provato.
“Guarda lo schermo, dai…” sussurrò lei, dominandolo con movimenti più profondi, bagnati, quasi selvaggi delle sue natiche larghe e rotonde che si abbattevano contro il suo bacino.
Poi, nel mezzo di un movimento lento e profondo, quando sentiva il suo corpo contrarsi sotto di lei, Marta gli sussurrò all’orecchio:
“Ti piace, eh? Questo gioco che ti manda fuori di testa…”
Un altro affondo.
“Potresti averlo ogni giorno. Ogni notte.”
La voce si fece un sibilo. “Lo vuoi, vero?”
Luigi non rispose subito. Aveva il volto contratto, teso, perso tra il piacere e l’angoscia.
“Dimmi che lo vuoi, pupazzo.”
“Marta…” gemette lui, come implorando una tregua, ma lei aumentò il ritmo, affondando con più forza.
“Dimmelo,” insistette, il respiro caldo contro la sua guancia. “Dimmelo ora.”
Sopraffatto, con un rantolo soffocato, Luigi ansimò:
“Sì… lo voglio… lo voglio…”
“È lei che vuoi, vero?” ansimò Marta, mentre sentiva il suo cazzo pulsarle dentro. “Allora vieni… vieni pensando a lei…”
Stravolto, chiuse gli occhi e urlò: “Anna!”
Luigi esplose, eruttando copiosamente schizzi di sperma biancastro nella fica di Marta, per niente sorpresa di essere inondata da una quantità incredibile di seme denso e incandescente.
Il video si concluse quando Anna arrivò al culmine. La giovane non gridò: si inarcò tutta in avanti, come se un fuoco le attraversasse la spina dorsale, e il suo viso si tese in un’espressione purissima di piacere e abbandono.
Il sorriso di Marta fu feroce. E mentre lui si abbandonava dentro di lei, tremando, lei lo seguì subito dopo, gemendo contro il suo collo, il piacere che le scuoteva il ventre, le cosce, i muscoli vaginali ben stretti attorno al cazzo del dottore.
Poi, ancora dentro di lui, gli sussurrò piano:
“Sei mio. Per sempre.”

Marta
Rimase sopra di lui ancora qualche istante, assaporando la sua resa. Lo guardava con occhi eccitati, ma dentro di sé rideva.
"Fessacchiotto," pensò, accarezzandogli una tempia sudata.
Lo aveva sempre detto e lo avrebbe ripetuto all’infinito: chi nasce sotto il segno dello scorpione è un povero illuso.
Luigi non aveva nemmeno capito che quello fosse un fotomontaggio.
Il video di Anna… Figuriamoci. Le era costato trovare una prostituta giovanissima e bella, somigliante ad Anna, disposta a fare uno spettacolino per un misterioso cliente facoltoso. Il resto era merito di qualche ritocchino digitale.
Il tocco di classe? La tuta da nuoto identica a quella di Anna.
Marta aveva fatto i compitini.
Ci aveva messo settimane a trovare il profilo giusto da cui prenderle le pose, ad aggiustare luci, dettagli, movimenti. Ma ne era valsa la pena. Luigi aveva abboccato come un adolescente in calore.
Spense lo schermo del computer. Non serviva più.
“Riposa, amore mio,” mormorò. Lui non rispose. Aveva gli occhi chiusi. Esausto. In pugno.
Si voltò verso la porta del bagno, ma passando vide lo smartphone di Luigi, poggiato sul comodino. Vibrava. Un'altra notifica. Poi un’altra.
Messaggi da Anna.
Scorse velocemente le anteprime.
“Rispondimi, papà.”
“Che fine hai fatto?”
“Tutto bene?”
Marta sorrise, obliqua.
“Piccola ingenua.” Sussurrò.
Scartò tutti i messaggi, facendo apparire la doppia spunta blu. Così sembrava che Luigi li avesse letti. E ignorati.
“Povera gattina offesa, qualcuno dovrà portarti in gattile se continui a essere così intrattabile.” Disse sorridendo tra sé.
Appena dentro il bagno, si guardò allo specchio, si leccò le labbra e si passò una mano sulla vagina soffice.
Ancora calda. Ancora piena.
Aprì l’acqua, il vapore iniziò a salire.
“Chissà,” si disse mentre si insaponava, “magari diventerò mamma…”
E rise.
La risata bassa, roca, di una iena sazia.
Per il momento.

Lia
Quando Lia riemerse dalle tenebre, tutto era ovattato. La testa pulsava, aveva un sapore metallico sulla lingua e lo stomaco in rivolta. Sentì qualcosa premere contro la sua guancia: il bracciolo del divano, ruvido. La coperta che si era tirata addosso la notte prima puzzava di vomito.
Poi vide suo padre.
Sergio era seduto sulla poltrona accanto, gambe accavallate, un bicchiere di acqua tonica tra le dita e l’aria strafottente.
“Bella sbronza, signorina moralista, complimenti” disse sornione, “dove sono finite tutte quelle lezioncine del tipo: non puoi continuare così, a fare la vita che fai. Devi smettere di bere, bla bla bla! eh?”
Lia si girò di lato e chiuse gli occhi. Un lampo di nausea la colpì come uno schiaffo. Non rispose.
Lui si alzò, camminò lento verso il mobile del soggiorno, aprì l’anta inferiore. Ne tirò fuori una bottiglia mezza vuota di vodka, gliela porse con un ghigno.
“Tanto vale finirla. Almeno stavolta fatti una sbronza decente.”
Lei lo guardò con un misto di disgusto e disperazione, poi si alzò di scatto, preda di un impulso irrefrenabile. Corse in bagno, si inginocchiò davanti al water e vomitò.
Il suo viso, riflesso nello specchio, sembrava quello di un'altra. Gli occhi gonfi, il mascara che le colava sulle guance.
Si sentì stupida, piccola.
Fece una doccia calda, cercando di lavare via l’odore di alcol della sera prima e l’immagine di Anna che smetteva di scriverle, bloccandola su tutti i social.
Il suo seno prosperoso si sollevava e abbassava lentamente, mentre l’acqua calda colava tra le curve della pancia, dei fianchi generosi, delle cosce tornite e lucide.
Chiuse l’acqua solo quando la pelle, bianchissima, era ormai arrossata.
Nel silenzio del corridoio, si infilò una maglietta larga e dei leggings neri elasticizzati.
Quando tornò in soggiorno, Sergio era ancora seduto sul divano e le porse un bicchiere pieno di un liquido verdognolo.
“Bevi. Fidati. È la mia pozione magica: limone, miele, zenzero, bicarbonato e… un goccio di succo di cetriolo.”
Lei lo fissò, sollevando appena un sopracciglio.
“Fa schifo,” mormorò. Ma bevve.
Poi, con tono neutro, Sergio chiese:
“Valeva la pena ubriacarsi per lui? Il tuo ex fidanzato, immagino.”
Lia non lo guardò. “Che ne sai?”
“Non ti sei mai sbronzata in vita tua. Doveva essere successo qualcosa.”
Abbassò lo sguardo nel bicchiere vuoto, le dita ancora strette sul vetro. Esitò un secondo. Poi lo disse:
“Era una ragazza.”
Sergio sollevò un sopracciglio, interessato.
“Eh, allora è diverso,” disse, ironico. “Le ragazze… alla tua età… fanno male. Hai preso da me più di quanto pensi.” Sorrise, facendole l’occhiolino.
Si sistemò meglio sul divano, allungando un braccio sullo schienale.
“Ne ho conosciute due, una volta. Stavano insieme, sì. Tutte e due lesbiche convintissime. Una era una femminista convinta. Capelli corti. Aggressiva, rissosa. Si era fatta due mesi di carcere per una manifestazione violenta. Piccola, bionda, tutta dolcezza e pelle profumata, sembrava fatta di panna montata. Due opposti perfetti.”
Fece una pausa teatrale, sorseggiando la sua acqua tonica.
“Mi guardavano storto all’inizio. Sai, il maschio, il privilegio, la virilità tossica… tutte quelle belle parole. Ma poi… boh. La carne è debole. E a letto, la teoria conta poco. Ci si spoglia e si vede che succede.”
Lia sospirò, scrollò la testa.
“Hai seri problemi con l’autostima. Te ne avanza.”
Sergio le lanciò un’occhiata di sfida, divertito.
“Alla fine, cara mia, il caro vecchio testosterone vince sempre. È la biologia.”
Fece una battuta oscena, poi un’altra. Lia non rise. Fissava un punto nel vuoto.
Sergio, per una volta, lo notò. Si fece più serio.
“Sei lesbica?”
Lia si strinse nelle spalle.
“Non lo so. Forse ero solo… affascinata da lei. Mi ci sono persa.”
Sospirò, affondando la schiena nel divano, gli occhi persi nel vuoto.
“Lei era...”
Lia si fermò, cercando le parole. Si massaggiava le tempie con due dita fredde, come se volesse spremersi un ricordo che scottava ancora.
“Bella?”
“Bellissima. Ma non è quello. Era... aveva qualcosa che ti faceva girare la testa. Ti guardava come se sapesse tutto di te, e poi cambiava faccia nel giro di un secondo. Prima distante, poi ti parlava come se fossi l’unica persona al mondo. Ci sapeva fare. Con tutti.”
Fece una pausa.
“Con gli uomini era imbattibile. Si muoveva, parlava, rideva con un controllo che sembrava naturale. Ti dava l’illusione che fosse facile. Io la odiavo, certe volte.”
Sergio la fissava.
“Invidiosa?”
“Un po’. Sì.”
“Ma non era solo quello. Era sveglia. Lucida. Quando parlava, la ascoltavi. Era sicura di sé in un modo che non avevo mai visto. Aveva le sue idee, e non le metteva in discussione. Mai.”
“E avete litigato per questo?”
“Più o meno.”
“Che idee?”
Lia abbassò lo sguardo, lanciando via la risposta con un gesto della mano.
“Lascia stare. Niente di importante...” Concluse Lia. Non ne avrebbe mai parlato con suo padre, figuriamoci.
Sergio non chiese nulla, per fortuna.
“Prova a riposare, teppistella. Ne riparliamo stasera.”


Teodora
Il sole picchiava dritto sulle foglie del glicine che si arrampicava irregolare lungo il vecchio gazebo. Toni, in canottiera sudata e jeans impolverati, era in piedi su una scala traballante, cesoie in mano, a potare rami secchi con la solita foga.
“Hai litigato con la tua bella, vero?” chiese Teodora, senza distogliere lo sguardo dal sedere del nipote.
Toni fece un mezzo sorriso amaro, tagliando via un rametto con troppa energia.
“Ieri sera. Ha cantato davanti a tutti vestita... o meglio svestita. Dovevi vedere come la fissavano.”
Teodora sibilò con un tono secco. “Che esibizionista. Eccessiva, poi. Non fa per te, è indecente. Te lo dico io.”
“Dice di voler solo cantare...”
“Come no…”
Gli occhi di Teodora indugiarono sul punto in cui la maglietta aderiva al torace, sulle gocce che scivolavano lungo la schiena e sparivano sotto l’elastico dei jeans.
“Un giorno diventerò ricco e potente. E allora nessun cantante, ruffiano o produttore potrà farmi sentire una nullità.” Disse lui, senza guardarla.
Teodora sorrise. Aprì la borsa e tirò fuori il portafogli nero, quello con la fibbia dorata a forma di croce. L'aprì con calma, trovando ciò che cercava: un rotolino spesso di banconote, stretto da un elastico.
Con passo lento, si avvicinò alla scala. Toni era ancora in alto, il respiro pesante per la fatica.
“Te li sei meritati, nipotino,” sussurrò, e mentre parlava infilò la mano nella tasca anteriore dei suoi jeans.
Le sue dita, calde e tozze, toccarono prima il denim teso, poi scivolarono dentro, sentendo l’umidità del tessuto e, più sotto, il calore vivo del suo inguine. Il rotolo di banconote si sistemò nella tasca, ma Teodora non ritrasse subito la mano. Si fermò un istante in più, lasciando che le nocche sfiorassero, come per sbaglio, quello che le sembrò un altro notevole “rotolino”, stretto nell’abbraccio del pantalone.
Un brivido la attraversò.
Toni si raddrizzò un poco sulla scala, poi scese lentamente, asciugandosi il sudore con l’avambraccio.
Si infilò la mano in tasca con un gesto curioso, tastando il rotolino, poi lo vide.
“Ma… è tantissimo,” mormorò. “Questo è quasi un mese intero di lavoro.”
Lei gli lanciò uno sguardo fermo, un mezzo sorriso sulle labbra struccate. “E allora? Se vuoi diventare ricco, tanto vale cominciare da subito.”
Toni scese lentamente dalla scala e in un balzo le fu di fronte; poi le aprì le braccia e la strinse forte.
“Tu mi capisci davvero, Zia… Grazie.” Mormorò contro il suo collo, la voce profonda, sfiorandole la pelle del collo con le labbra.
Un bacio lento, appena accennato, che si fermò all’incavo morbido della spalla. Umido, caldo, giovane.
Teodora ebbe un tremito dalla nuca che scese dritto fino al basso ventre. Le mani gli scivolarono lungo la schiena, si fecero più strette, più pressanti. Un calore liquido si diffuse tra le sue cosce, sgorgando senza ritegno dalla sua fessura.
Non si aspettava di sentire di nuovo un desiderio così immediato, così fisico. Era scandaloso, inopportuno.
Però…
“Ti sei meritato ogni centesimo,” sussurrò, trattenendo il fiato.
Teodora si scostò appena, ma solo quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi. Le dita ancora posate sul fianco di Toni.
“Ogni settimana ti darò una piccola… mancetta,” disse con un mezzo sorriso. “Così potrai mettere qualcosa da parte. Per il tuo sogno.”
“Davvero? Grazie, Zia. Non so che dire.”
“Non dirlo a nessuno, Toni. È il nostro segreto.”
Il giovane annuì, sentendosi avvolto da quella complicità ambigua, materna.
Quando lui finì di lavorare e la salutò affettuosamente per poi tornare a casa, Teodora restò lì, immobile.
Sentiva ancora il suo profumo e il calore del suo corpo sulle mani.
Appena varcata la soglia del bagno, si guardò nello specchio, la pelle arrossata. Poi abbassò lo sguardo alle mutande fradice che le aderivano addosso.
Le tolse lentamente, guardandole con disgusto.
Il tessuto nero era visibilmente zuppo, sporco, colmo di un succo malefico.
Lo sapeva. Lo sentiva ancora tra le cosce. Quelle mutande ne erano intrise.
Le portò involontariamente al naso, sfiorandole appena e subito un’ondata di vergogna le attraversò il corpo come un ceffone.

“Signore perdonami…” sussurrò.
E aprì il secchio della biancheria.
Poi scartò l’idea e le gettò direttamente nel cestino dell’immondizia.
Non andavano lavate, erano corrotte.
Fece il segno della croce e si infilò a letto, sperando che quel paio di jeans gonfio e irresistibile non la perseguitasse nei sogni.

Lia
La sera, dopo l’ennesimo bibitone, Lia sembrò essersi ripresa dalla sbornia, anche se quel velo di malinconia non accennava ad andarsene.
“È ora del massaggio,” disse, apparendo accanto al divano.
Sergio, sdraiato con le gambe sollevate su un cuscino, la guardò con un’espressione dubbiosa. “Ma piantala. Non ti sei ancora ripresa dalla sbronza.”
“Sto benissimo,” ribatté lei.
Portò il tappetino in mezzo al soggiorno, posizionandolo con cura. Sergio si sedette a fatica, mugugnando, mentre lei tirava fuori i flaconi di Flector Hot e di Polar Frost.
Cominciò a lavorare il muscolo con movimenti circolari, dosando la pressione. Il Flector si scioglieva sulla pelle, rilasciando un calore graduale che penetrava in profondità.
Rimasero in silenzio per qualche minuto.
Poi, come se volesse distrarla (o stanarla) Sergio parlò.
“Sai qual è il problema con le ragazze come la tua ex? Quelle lì non vogliono nessuno davvero. Vogliono solo il potere. Vederti strisciare. Implorare. Vogliono che tu le insegua, per il puro gusto di essere inseguite.”
Lia non smise di massaggiare. Il suo viso non tradiva nulla, ma i polpastrelli rallentarono un attimo, quasi impercettibilmente.
“Parli come se la conoscessi.”
“Non serve conoscerle. Le ho viste passare tutta la vita. Quelle così… ti fanno credere che le stai scegliendo. Ma sono loro a comandare. E tu a cascarci.”
Lei abbassò lo sguardo, passandogli il gel freddo sulle ginocchia. Il Polar Frost pizzicava sulla pelle già calda, creando un contrasto che lo fece rabbrividire.
“Una come la tua ex, alla mia età, me la sarei tenuta un’estate. Vergine possibilmente. Almeno all’inizio.”
Scoppiò a ridere, battendosi una coscia con la mano. Il gel ancora non si era asciugato, e il gesto lo fece gemere per il freddo.
“Che schifo, papà!” disse Lia, ma le sfuggì un mezzo sorriso.
“Eh, ma ridi. Lo sai che ho ragione.”
Lei si spostò dietro di lui, sedendosi sulle sue ginocchia. I suoi seni — grossi, sodi — gli sfiorarono la schiena quando si chinò a massaggiargli le spalle.
“Mi ha fatto credere di essere speciale,” disse Lia, piano, mentre affondava i pollici tra le scapole. “Che mi vedeva per quello che sono. Ma forse non voleva vedermi. Voleva solo qualcuno che le desse ragione.”
Lia massaggiava lentamente, con movimenti ampi e continui, quasi ipnotici. Le creme si fondevano con il calore della pelle, scivolose e profumate, un misto di mentolo e agrumi che saturava l’aria.
Sergio annuì, serio per un attimo.
“Quelle lì non vogliono nessuno davvero. Vogliono essere adorate. Vogliono sentirsi invincibili.”
Lei lo pizzicò sul collo.
“Sei insopportabile.”
“Sì. Ma ho ragione.”
Lei abbassò lo sguardo, passandogli la crema con più lentezza.
“Io ho sempre amato quelle che volevano solo divertirsi, senza tanti giochi di potere” disse Sergio, con un sorriso storto e lo sguardo che si perdeva altrove.
Lia alzò un sopracciglio, asciutta. “Le puttane, vorrai dire.”
Sergio fece una smorfia ironica, ma non si scompose. “Donne espansive, direi. Con le idee chiare su cosa vogliono. E su quanto vale il loro tempo.”
Lia non rispose. Le sue mani tornarono ai polpacci. Sotto le dita sentiva la tensione sciogliersi a poco a poco, mentre sentiva il respiro di lui farsi più profondo. Ogni fremito, ogni rilassamento sotto i polpastrelli le restituiva una vibrazione, un’eco silenziosa che le si infilava sotto pelle.
Poi chiese, sottovoce:
“Sei mai stato innamorato?”
Sergio stiracchiò le labbra in una smorfia pensierosa, quasi infastidita dalla domanda. “No.” Silenzio.
Poi: “O meglio. L’unico amore che non m’ha mai fregato... sono stati i miei figli.” Lia lo guardò sorpresa. Lui si girò verso di lei, più serio, lo sguardo pulito per un istante.
“Be’, tranne i tuoi fratelli. Ma quelli non li conto. Finti uomini. Sai quant’è triste avere figli maschi che sono scemi come la loro madre?”
“Lo sai che non mi piace che parli di così dei miei fratelli…”
Si voltò a guardarla.
“Tu sei l’unica che mi somiglia. Nel sangue, nell’istinto. Sei la mia preferita, Lia.”
Lei smise di massaggiare. Restò lì, le mani ferme sulle gambe di lui, a sentire le proprie braccia tremare leggermente. Non era stanchezza.
“Quindi… in un certo senso, ho amato solo te,” disse lui, quasi con leggerezza.
Lia lo fissò, sorpresa. Lui distolse lo sguardo subito dopo, come a scusarsi per quella debolezza.
Poi, ovviamente, rovinò tutto con una battuta.
“Ma non montarti la testa. Sei stronza anche tu, eh. Solo che sei più giovane. E più carina.”
Lia gli lanciò un cuscino.
“Idiota!”
Ma rise. Per davvero. E in fondo, molto in fondo, qualcosa in lei si rammendava.
Una parte di lei si sentì finalmente meno stupida. E un’altra parte, più profonda, si scoprì simile a quel padre sbagliato: falene attratte dalla luce, incapaci di resistere a ciò che le consuma.
scritto il
2025-07-14
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