Il profumo dell'assenzio ...

di
genere
tradimenti

"Il profumo dell'assenzio"

Era un tardo pomeriggio di maggio, quando l’aria tiepida portava con sé odori di fiori e vento. Lei aveva sistemato il piccolo salotto con cura — candele accese, il tagliere colmo di formaggi morbidi e frutta matura, e due calici sottili, già pronti per l’assenzio che lui avrebbe portato.

Lui, il suo omeopata personale, una decina d'anni più di me, arrivò puntuale. Alto, con un portamento sobrio, quasi antico, portava con sé la sua solita valigetta di cuoio, e una bottiglietta verde smeraldo. Si salutarono con un abbraccio che durò un istante più del necessario. Non era la prima volta che si vedevano così, lontano dallo studio, ma ogni incontro lasciava un retrogusto sospeso, un silenzio pieno di significati.

Sedettero vicini, più del necessario, e parlarono a lungo. Di piante, di rimedi, di stagioni. Lei rideva, giocando con il bordo del bicchiere, mentre lui la osservava, come si studia una pianta rara che si apre solo sotto la luce giusta.

Poi, lui si alzò, e tirò fuori dalla valigetta un piccolo flacone ambrato.

— “Per la tensione — disse — solo qualche goccia.”

Lei non rispose, ma allungò il polso. Lui glielo prese con lentezza, quasi in un rito. Le sue dita sfiorarono la pelle, mentre contava il battito, più lento del normale. O forse no. Forse era il suo che accelerava.

Le gocce caddero, una ad una, lei le lecco' con le sue labbra umide in silenzio, mantenendo lo sguardo fisso nel suo. L’aria si fece più densa, e tutto intorno parve rallentare.

Si alzò con lentezza. Senza parlare, gli si avvicinò. Le mani si incontrarono a metà strada. Non fu un bacio, non subito. Solo un tocco, un’esplorazione cauta. Il bicchiere rimase mezzo pieno, e le candele stavano consumandosi lentamente.

Il cielo era diventato viola oltre le tende leggere, e nel silenzio della casa si udivano solo i suoni più piccoli: il fruscio di un tessuto, un respiro trattenuto, il leggero tintinnio del ghiaccio sciolto nel bicchiere dimenticato.

Lui posò la bottiglietta sul tavolino, come se contenesse qualcosa di sacro. Lei era lì, in piedi di fronte a lui, avvolta da una vestaglia di lino che sembrava rispondere al suo corpo come una seconda pelle. Le luci basse ne disegnavano i contorni con pudore, ma senza finzione. Le sue mani, lente, tornarono a cercare la pelle. Prima il collo, con la scusa di sentire ancora il battito. Poi le spalle, che liberò appena, come per sciogliere una tensione che lei non aveva mai saputo di portare. Nessuna parola. Solo la disciplina di un gesto preciso, misurato, come chi esegue una cura che ha studiato a lungo, ma mai osato praticare.

Lei si lasciò guidare, sedendo sul divano come chi accoglie un trattamento esclusivo, ma in cuor suo sapeva che quel confine era stato oltrepassato al primo tocco. Lui le sfilò la vestaglia dalle braccia come un terapeuta attento a non rompere l'incanto. Restò un attimo a guardarla, come per assicurarsi che non fosse troppo.

Ma non era troppo. Era il tempo giusto. Lei lo sapeva. Lui lo sapeva.

Le sue labbra sfiorarono la pelle come un impacco tiepido. Dove toccava, lei sembrava sciogliersi, e il corpo rispondeva con una calma nuova, antica. Le mani si muovevano ora senza più esitazioni, ma sempre con quel rispetto austero, come chi sa di entrare in un tempio.

Il momento fu lungo, come un respiro trattenuto. Nessuna fretta, solo lo scorrere naturale del desiderio che si fa presenza, che si fa corpo. L’aperitivo non venne mai davvero bevuto, ma rimase lì, testimone silenzioso di qualcosa che non era più solo un incontro tra due persone, ma un rituale.

Quando tutto fu compiuto, si sedettero di nuovo, vicini, le spalle che si sfioravano appena. Guardavano il buio oltre le finestre, in silenzio, come dopo una rivelazione.

Poi lui si alzò, sistemò la bottiglietta nella valigetta, le fece un piccolo cenno col capo, e uscì in giardino, aspettava... Lei rimase ferma, con un sorriso appena accennato e la pelle ancora calda.
L’assenzio, intanto, aveva lasciato il suo profumo ovunque.

Fuori il cielo si era fatto scuro, e l’odore dell’asfalto tiepido saliva dalle strade come un richiamo. Tu Rientravi a casa con passo tranquillo, senza fretta, le chiavi tra le dita come sempre, il pensiero ancora vago, in sospensione tra il giorno finito e la promessa di una sera semplice.

Apristi la porta e tutto sembrava normale. Le luci basse, il profumo del rosmarino nell’aria, il suono lontano di un disco jazz che girava piano. Ma c’era qualcosa in più, un silenzio diverso. Non un’assenza… ma un’attenzione.

Ti avvicinasti senza fare rumore. Il corridoio sembrava più lungo del solito. E quando arrivasti alla soglia del salotto, li vedesti.

Lei era lì, distesa, i capelli sciolti sulla spalla, il respiro profondo. Lui rientrato, si era avvolto sopra di lei, non con impeto, ma con quella lentezza che conosci bene: quella fatta di ascolto, di studio, di rispetto. I loro corpi si cercavano con dolcezza, come se parlassero una lingua segreta, e ogni movimento era parte di un dialogo antico.

Non dissero nulla. Lei ti vide, ma non si spaventò. Ti guardò negli occhi, e in quello sguardo non c’era colpa. Solo una domanda muta: accetti ciò che vedi?

E tu, stranamente, non provasti rabbia. Nessuna gelosia bruciante. Solo un silenzio denso, come una porta che si apre su un paesaggio inaspettato. Ti sentivi spettatore e parte. Come se tutto, in fondo, avesse una logica che sfuggiva alla morale ma non alla verità.

Ti sedesti. Non te ne andasti, non alzasti la voce. Restasti lì, immobile, come se quel momento appartenesse anche a te, in un modo che non avresti saputo spiegare.

Il tempo si fermò per qualche istante. Poi lui si voltò, ti guardò con un cenno lieve, e continuò a prendersi cura di lei come prima. Non per sfida, ma per fedeltà a un gesto iniziato e ormai inevitabile.

E tu restasti, accanto, testimone silenzioso di una scena che non chiedeva consenso, ma presenza.

La stanza era quieta. Solo il ticchettio lontano dell’orologio, il crepitio sottile di una candela ormai al termine. Lei era distesa sul divano, le gambe raccolte appena, i fianchi che si muovevano con lentezza sotto il corpo di lui. Nessuna parola, solo il ritmo profondo e misurato dei corpi che si univano, come una danza silenziosa, scandita dalla fiducia e dal desiderio.

Lui la guardava negli occhi mentre si muoveva dentro di lei, con quell’attenzione intensa, quasi devota, che lo aveva sempre distinto. Il suo volto era teso, ma non crudele. Era l’immagine di un uomo che sapeva dove si trovava e perché era lì. Le sue mani la tenevano con rispetto, ma senza esitazione. Lei, sotto di lui, non era abbandonata: era parte viva di quel rito. Era presente, desiderosa, spalancata alla pienezza del momento.

Il respiro si fece più veloce. Il suo corpo tremò appena, poi si irrigidì. Lo sentì arrivare dentro di lei con un ultimo affondo profondo, colmo, trattenuto per un attimo lunghissimo… e poi rilasciato. Un gemito basso, quasi un ringraziamento, riempì l’aria.

Rimasero fermi così, uniti, bagnati in silenzio. Poi lui si ritirò lentamente, si alzò, si ricompose con calma. Nessuna parola fu pronunciata. Nessun bisogno.

Lei lo guardò andare via, nudo di ogni vergogna. La porta si richiuse dietro di lui con un suono leggero, definitivo.

Rimaser il profumo denso e vivido di ciò che era appena successo. Lei era ancora lì, nuda, segnata dal piacere appena vissuto. Non cercò di coprirsi. Ti guardò negli occhi.

Non c’era sfida. Solo un’offerta muta.

Ti avvicinasti. Il suo corpo era ancora caldo, ancora aperto. Potevi sentirlo. Non parlaste. Le tue mani sfiorarono la sua pelle, non per possederla, ma per riceverla. Lei si girò verso di te, con lentezza. E si sdraiò, questa volta di fianco, pronta ad accoglierti, in un gesto che era quasi una preghiera.

E tu, senza parole, senza rabbia, ti unisti a lei. Non per riprenderti qualcosa, ma per unirti a ciò che era già stato.

Quella notte, l’amore che faceste fu diverso. Aveva il sapore del perdono, della fiducia, della carne che sa essere più della carne. Lei ti apparteneva di nuovo. Ma non per dovere. Per scelta.

E tu lo sentisti, nel modo in cui il suo corpo ti accolse. Senza peso. Senza ombre.

Solo voi due, nel silenzio.

Il giorno dopo"

La luce del mattino entrava dalla finestra con discrezione. Era quella luce morbida delle prime ore, che non giudica, non interroga, ma accarezza.

Lei dormiva ancora. Il lenzuolo le copriva metà del corpo, l’altro lato era scoperto, e la curva della schiena sembrava disegnata dalla notte stessa. Tu eri sveglio da un po’. Seduto accanto al letto, con il viso tra le mani, ascoltavi il respiro lento di chi, accanto a te, aveva vissuto qualcosa di forte. Non contro di te, ma anche senza di te.

Eppure eri lì. Non in disparte. Al centro, adesso.

Ti alzasti e andasti in cucina. Preparami il caffè, pensasti, e lo facesti con quei gesti lenti e precisi che si usano dopo le notti dense. Il rumore del cucchiaino nella tazza fu il primo segnale che svegliò qualcosa anche in lei.

Quando arrivò nella stanza, si era solo infilata la camicia da notte, quella sottile, che non copriva nulla di ciò che ormai conoscevi bene. Ma quella mattina, la sua nudità era diversa. Non aveva bisogno di essere notata. Era lì, naturale. Come il fatto che stesse accanto a te.

Vi sedeste al tavolo, in silenzio. Nessuna domanda. Nessun “perché”. Solo sguardi.

Fu lei a rompere per prima quella quiete:

— «Non volevo… tradirti.»
Tu la guardasti. Non con durezza. Ma con una calma che veniva da più lontano.
— «Non mi hai tradito. Hai vissuto qualcosa. E io… c’ero. Alla fine, c’ero.»

Lei abbassò lo sguardo, poi si alzò e venne verso di te. Ti si sedette sulle gambe, con la naturalezza di chi sa che il perdono non è chiesto, ma ricevuto. Ti sfiorò il volto con la mano, e tu le baciasti il polso, là dove avevi immaginato che lui l’avesse toccata per sentire il battito.

— «Sei ancora mia?» le sussurrasti.

Lei non rispose. Si limitò a stringerti. Forte.

E bastò.

Perché certe notti non si dimenticano, è vero. Ma diventano parte della storia. E quella mattina, voi due ne stavate scrivendo un nuovo capitolo. Più profondo. Più vostro.

Fuori, il vento del giorno nuovo cominciava a muovere le tende.
Dentro, il silenzio era quello di chi ha amato, ha visto tutto… e ha deciso di restare.

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2025-05-21
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