La Discesa

di
genere
tradimenti

Il portone si chiude con un suono metallico alle mie spalle. Le scarpe lucide battono sul marciapiede bagnato, mentre il sole ancora sonnecchia tra i palazzi. Lei, mia moglie, è alla finestra, le tende socchiuse. Mi osserva andar via. Sempre nello stesso modo, sempre con quel sorriso enigmatico. Io non domando. Non voglio sapere.

Alle 8:47, lei prende la metropolitana linea D, direzione sud. Indossa un trench chiaro, sotto il quale ha scelto un abito leggero, privo di reggiseno. Un piccolo vezzo, una sfida personale. Nessuno lo sospetterebbe. Nessuno, tranne loro.

Scende a una fermata dimenticata dai turisti, dove i muri portano ancora i segni delle piogge acide e dei graffi notturni. Cammina con passo deciso, tacchi sottili che risuonano tra i vicoli malfamati. Il negozio è lì, discreto, tra una bottega di kebab e un bazar di oggetti rubati al tempo.

Appena entra, il tempo si ferma. Il profumo dell'incenso copre quello dell'umido. I tessuti pendono dal soffitto come sipari di un teatro segreto. E dietro il banco, come ogni martedì, ci sono loro.

Youssef, il più anziano, la guarda come si osserva un’opera d’arte. Karim, giovane e spavaldo, le sorride con l’arroganza di chi ha già vinto. Nabil, silenzioso, le si avvicina come un animale in caccia.

Le mani di Youssef sfiorano il bordo del suo trench, mentre Karim chiude a chiave la porta. Nessuna parola. Nessun bisogno. Lei lascia che le dita viaggino sulle sue tette sotto l’abito, i capezzoli già tesi sotto il cotone sottile. Nabil le slaccia la cintura, il trench scivola a terra come una pelle che non serve più.

Quando si inginocchia tra i rotoli di seta grezza, lo fa con naturalezza. Ha imparato. Ha scoperto il piacere dell’umiliazione scelta, del desiderio che la attraversa solo quando non appartiene a nessuno.

Karim è il primo a tirare giù la cerniera. Lei apre le labbra, lentamente, con rispetto e con brama. I suoi occhi restano fissi su quelli di Youssef, che si tocca sopra i pantaloni, duro, pronto a prendere il suo turno. Nabil, nel frattempo, le accarezza i fianchi, le dita scendono, trovano l’umidità calda e pronta tra le cosce.

Lì, sul pavimento sporco di un retrobottega, lei è viva.

Il ticchettio dell’orologio sopra il bancone si è fermato da tempo. Ma qui dentro il tempo non conta più.
Lei è inginocchiata davanti a Karim, le labbra che scorrono lente lungo il suo sesso ormai completamente eretto. Lo accoglie con naturalezza, profondamente, come se fosse una parte del proprio respiro. Non geme, non parla: si concentra. Le mani lo afferrano alla base mentre lo sguardo resta rivolto verso l’alto, pieno di devozione, di fame, di quel piacere che solo chi si è abbandonato del tutto può provare.

Dietro di lei, Nabil si è spogliato in silenzio. Il suo corpo è asciutto, marcato da anni di strada e di lavoro. Si inginocchia anche lui, ma alle sue spalle. Le apre le gambe, lente, senza forzare. Lei le allarga con un gesto fluido, mentre continua a succhiare Karim con passione crescente. Le dita di Nabil la esplorano, affondano con naturalezza, trovano una voragine calda e pronta, già colante di desiderio.

«C’est une putain aujourd’hui…» mormora Youssef in arabo, osservando la scena. Lui non si scompone: resta seduto, i pantaloni sbottonati, il sesso in mano. Guarda, comanda, aspetta.

Nabil non aspetta più. La prende lì, in ginocchio, con un colpo secco, violento. Lei si inarca, ma non smette di leccare Karim. Anzi, si spinge ancora più in fondo, quasi a soffocare. I colpi dietro si fanno più forti, le mani le stringono i fianchi con forza. I suoi gemiti ora sono strozzati, mescolati al suono umido della bocca che lavora sul sesso dell’altro.

Il trench è a terra. Il suo abito è tirato sopra i fianchi. I capelli sciolti le scendono davanti al volto, sudati, scomposti. Ma non c’è vergogna. C’è solo voglia. Animale. Cruda.

Youssef si alza. Si avvicina. Le prende il viso tra le mani e le schiaffeggia dolcemente una guancia. «Maintenant tu vas me sucer aussi…»
Lei annuisce. Con la bocca ancora piena.

Karim si ritira. Il viso di lei è bagnato, sporco della sua saliva, rovente. Youssef le prende la testa con entrambe le mani e la guida, più brutale, più dominante. Lei lo ingoia con la stessa fame, senza paura, come se ne avesse bisogno per respirare.

Dietro, Nabil geme. Spinge ancora due volte, poi si ferma. Esplode dentro di lei, le viene dentro senza chiedere. Lei lo sente, lo accoglie, lo incassa. Sospira.

Poi si volta e si tocca quel liquido benedetto. Non ha finito.

Il retrobottega è ora pieno del profumo dolciastro del sesso. L’aria è densa, quasi irrespirabile. Lei è nuda. I vestiti sono sparsi in terra come pelle morta. Le cosce segnate dalle dita, il collo arrossato dai morsi. Ma lei ride. Ride piano, come una donna sazia e viva.

Karim si è seduto sul bancone. Il sesso ancora semi-eretto, le mani dietro la testa.
«T’as vu comme elle avale tout ? Une vraie salope.»
«C’est pas une femme, c’est un putain de rêve…» aggiunge Nabil, che si passa una sigaretta.
Youssef la prende per i capelli e la solleva. Lei è ancora ansimante, con le gambe tremanti. Le sputa in bocca.
«Dis-le, chienne. Dis que t’aimes ça.»
Lei lo guarda, il viso bagnato, gli occhi brillanti.
«Oui… j’aime ça… j’suis une putain… une vraie salope. Et mon mari est un gros porc de cocu…»

Nel frattempo, io sono alla mia scrivania. Davanti a me, i piani di un nuovo centro congressi. Un collega parla, ma la mia mente è altrove. Un’immagine fissa mi ossessiona: lei, inginocchiata, che geme con tre uomini attorno, sporca e fiera.
So tutto.E non muovo un dito.
Perché qualcosa dentro me si nutre di quella visione.
Perché forse, nel profondo, io sono quello che lei dice:
un maiale cornuto, che sorride mentre sua moglie viene devastata da sconosciuti.

E ogni volta che torno a casa e la trovo in cucina, pulita, profumata, come se nulla fosse... sento l’odore degli altri uomini sulla sua pelle. E lo accetto. Lo voglio.

Intanto nel negozio, la scena si riaccende.

Youssef la fa stendere sopra un vecchio rotolo di velluto blu. Le allarga le gambe.
«Maintenant, je vais te prendre lentement… comme une petite pute de luxe…»
Il suo sesso la penetra con lentezza, ma con profondità devastante. Lei inarca la schiena, afferra i bordi del tavolo, geme con un suono animale.
«Oui… prends-moi… déchire-moi… je suis à vous… toute à vous…»
Karim si avvicina. Le prende un capezzolo in bocca. Lo morde.
Nabil si inginocchia ancora una volta e le lecca l’interno coscia, tra le gocce calde che continuano a colare.
Lei perde ogni controllo.
Le sue urla si confondono con il rumore di un tram che passa in strada. L’orgasmo la investe in onde, scuote il suo corpo come una frusta invisibile. Non uno. Non due. Tre, forse quattro. Svanisce sotto i colpi lenti e profondi di Youssef, che la inchioda mentre lei si contorce come in preda a un esorcismo carnale.

«Je meurs… je meurs de plaisir…» geme con la voce rotta.

Youssef la riempie in un ultimo colpo, ansimando a denti stretti.
Lei resta lì, svuotata, tremante, con lo sguardo perso e la pancia piena del loro latte.
E sorride. Il sorriso di una donna rinata.

Il portone si richiude alle sue spalle alle 16:12.
L’ascensore è lento, come sempre. Quando entra in casa, tutto è in ordine. Lei posa le chiavi con un gesto meccanico, poi va dritta in bagno. L’acqua della doccia inizia a scorrere, calda, continua, ma incapace di lavare via ciò che porta dentro.

Io torno alle 18:23. Il mio odore di ufficio, la mia giacca impeccabile. La casa è silenziosa, ma profuma. Non di pulito. Di lei. Di un corpo che ha vissuto troppo in poche ore.
La trovo in cucina, in vestaglia di lino, i capelli ancora umidi. Mi guarda come se nulla fosse, ma negli occhi c’è un tremolio sottile. Quello che io riconosco.
Mi avvicino. Le metto una mano sulla vita.
Lei si volta. Sorride. E poi, con una voce lenta, bassa, quasi crudele:
«Vuoi sapere dove me l’hanno messo oggi?»

Io deglutisco. Non rispondo. Ma lei sa che il mio silenzio è un “sì”.

«Karim mi ha preso in bocca per primo… l’aveva già duro sotto i jeans. Grosso. Più del solito. Me lo sono fatta scivolare in gola mentre Youssef mi guardava e si toccava. Lì, davanti a tutti.»
Mi sento impazzire dentro. Il desiderio, la gelosia, l’umiliazione dolce.
«E poi Nabil mi ha tirata sul tavolo. Me l’ha messo tutto… senza dirlo, senza chiedere. Forte. Mi ha piegata, sai? Con la faccia contro un rotolo di seta bordeaux. E l’altro dietro che mi teneva i capelli e mi diceva ‘t’es à nous maintenant’.»

La guardo. Lei si sfila piano la vestaglia. Il suo corpo è ancora segnato. Morsi, dita, rosso tra le cosce.

«Youssef è venuto dentro. Tutto. Non si è nemmeno messo il preservativo sai? Mi ha solo alzato le gambe e me l’ha infilato piano, ma profondo. Mentre Karim mi sussurrava che sei un maiale e un cornuto di marito. Et j’ai dit ‘oui’.»

Le bacio la pancia. Lascio che il mio viso si posi lì, tra l’ombelico e il suo ventre. Sento ancora il calore di quei corpi. Sento l’odore, il sapore dell’abisso in cui è scesa.
E io… la amo. Ancora di più.
di
scritto il
2025-05-21
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