Diario Sessuale – La Vacanza 04

di
genere
prime esperienze

Capitolo 4 – La cena degli sguardi

Avevo ancora il suo sapore tra le labbra.
Mi leccavo piano, come per allungare l’effetto. Ma il vero sapore… era più in basso.
Tra le cosce. Dove colava. Dove pulsava.

Ero nuda.
Completamente.
Mi ero spogliata al telo, prima di andare ai bagni. Nessuno aveva detto nulla. Nessuno aveva guardato davvero.

Ma io lo sapevo: "ero diventata visibile".

Il corpo portava i segni. La pelle arrossata, la sabbia attaccata al sudore, il sesso gonfio e lucido.
Camminavo scalza, tra la sabbia ancora calda e le assi di legno che conducevano alle strutture. Ogni passo faceva oscillare il seno, ogni passo faceva scivolare una goccia in più tra le cosce.

Non avevo più difese. Solo pelle. E odore.
Il suo.
Il mio.

Uscita dai bagni, mi infilai tra le dune, cercando l’ombra dei pini. Volevo allungare il rientro.
Volevo... "essere vista".
"O seguita".

La pineta mi accolse con il suo respiro fresco. Odore di resina, di aghi secchi, di terra umida. E dentro di me, qualcosa ribolliva.

"Se qualcuno mi trova così…"
"Se mi guarda… se mi prende…"

Poi lo sentii.

Un rumore. Lieve. Ma vicino.
Mi fermai.

Mi voltai.
Nulla. Solo luce a strisce, alberi e silenzio.
Feci due passi tra i tronchi, il cuore che batteva nelle tempie. Il sesso ancora aperto, il liquido che scendeva.
Mi sentivo esibita. Animale.

Un respiro. Dietro di me.

Non feci in tempo a girarmi.

Due mani. Forti. Calde. Mi presero dai fianchi.
Un corpo si incollò al mio. Pelle contro pelle.
Il suo cazzo duro premette contro il mio culo nudo. Era già bagnato. O lo divenne in quell’istante.

Mi spinse contro un tronco. Il legno ruvido mi graffiò la pancia.
Non urlai.
Le mani tese contro la corteccia. Le gambe che tremavano. Il respiro spezzato.

Il suo ventre si strofinava sul mio bacino. Sentivo i peli, sentivo il suo odore.
Sentivo il cazzo strusciare tra le mie natiche, caldo, pieno, vivo.

"Sta per penetrarmi…"
"È nudo…"
"Mi ha trovata così. E ora mi prende."

Aprii appena le gambe. Per istinto.
Lui premette.
La cappella sfiorò le mie labbra. Le mie labbra "bagnate del seme di un altro".

E si fermò.

Rimase così. Un respiro lungo. Un mugolio basso.
Poi si staccò.
Nessuna parola. Nessun volto. Solo la scia calda lasciata sul mio culo, e il vuoto dell’assenza immediata.

Svanì tra gli alberi.

Io rimasi lì.
Nuda.
Piegata in avanti. Il ventre graffiato. Il sesso pulsante.

"Lo volevo…"
"L’ho lasciato fare…"
"E ora… sono ancora più aperta."

Mi voltai.
Niente.

Solo l’odore di pino. E il mio.
Che ormai… si sentiva da lontano.

Il respiro mi si era spezzato.
Non camminavo più.
Stavo.
Al centro della pineta.
Nuda. Marchiata. Vista.

Il sesso mi colava lungo l’interno coscia.
Una goccia si era fermata sul ginocchio.
Poi era scesa ancora.
Il capezzolo destro vibrava ad ogni battito del cuore.

Mi voltai.

Tra i tronchi… lui.
Un uomo. Nudo. Alto. Il cazzo duro nella mano.
Mi guardava. Non si nascondeva.
Si masturbava piano. Ma con decisione.
Per me.

"Sto diventando il suo porno.
E mi piace."

Portai la mano tra le cosce.
Sfiorai il clitoride.
Sentii il corpo rispondere subito.
Le gambe si aprirono.
Il ventre si tese.

Lui continuava. Gli occhi fissi sui miei seni, sul mio gesto.
Lo guardavo mentre si masturbava.
Mentre aspettava.
Mentre… stava per venire.

Poi… un contatto. Dietro.

Una mano.
Vera.
Un’altra.

Mi sfiorò l’interno coscia.
Salì.
Entrò.

Due dita.
Umide. Forti. Decise.
Mi spinsero verso l’alto.
Mi aprirono di nuovo.
Mi presero.

Mi piegai in avanti.
Le mani contro un tronco.
Il sesso spalancato.
Il respiro strappato.

L’uomo davanti venne.
Lo vidi schizzare.
Tre fiotti.
Il seme sul terreno, tra gli aghi secchi.
Un gemito breve. Animale. Caldo.

Io venni subito dopo.
Le dita dentro.
L’odore intorno.
Il cazzo dell’altro ancora visibile, teso, segnato.
Il mio corpo che tremava tra due sguardi.
Uno fisico. Uno mentale.

Venni. Senza voce.
Ma con ogni fibra del mio corpo.

Poi… silenzio.

La mano sparì.
Le dita uscirono.
Ma lui… quello davanti… no.
Restò lì.
Mi guardava. Nudo. Calmo.
Il seme ancora sulla mano.
Gli occhi profondi. Senza fretta.

Restò.
Finché non mi sollevai.
Finché non chiusi le gambe.
Finché non abbassai lo sguardo.

Poi si voltò.
E sparì nella pineta.
Senza dire una parola.
Lasciandomi il peso del suo sguardo.
Nel sesso.
E nella gola.

La sabbia si incolla alla pelle come un secondo odore.
Cammino nuda, lenta, con le gambe che portano ancora dentro il segno di ciò che è stato.
Il sesso è umido, lucido, gonfio.
Ogni passo è una goccia che scivola.
Ogni sguardo… una carezza.

Elisa è sul telo.
Nuda. Bella. Tranquilla.
Mi vede.
E mi stava già guardando da prima.

––Hai cambiato idea sulla spiaggia?

Le sue parole arrivano morbide. Ma tagliano.
Le rispondo con un cenno. Quasi un sorriso.
Quello di chi non dice no. Ma non sa dire sì.

––Sei diversa da stamattina.

Mi siedo accanto.
La sua pelle scalda la mia.
Non ci tocchiamo. Ma lo faremo.
È nell’aria.

––Ti ha lasciato qualcosa addosso. Si sente.

Abbasso lo sguardo.
E quando lo rialzo… i suoi occhi sono già dentro i miei.

Lei si alza.
Scrolla la sabbia dai fianchi.
Mi tende la mano.

––Vieni. L’acqua ci guarda meno di loro.

Camminiamo nude fino al mare.
Ogni passo, uno sguardo.
Ogni ondeggiare del sedere, un invito.

L’acqua è fresca.
Ci avvolge.
Ci stringe.

Elisa si avvicina.
La sua spalla sfiora la mia.
Poi la mano cerca la mia sott’acqua.
Le dita si intrecciano.
Ma poi si staccano.

Si infilano tra le mie cosce.
Piano.
Una carezza.
Poi una pressione.

Le sue dita mi sfiorano il sesso.
Aperto. Umido. Reattivo.
Si muove appena.
E lo sento.
Lo sento tutto.

Lei mi guarda.
Non si ferma.
Il pollice sfiora il clitoride.
Appena. Ma abbastanza.

––Così… ci guardano di più.

Alzo lo sguardo.
Clara è sulla riva.
Pareo leggero, seno nudo, capelli raccolti.
Ci guarda.
Non ride.
Non parla.
Aspetta.

Elisa si avvicina ancora.
I suoi capezzoli sfiorano il mio braccio.
Poi il viso si avvicina.
Le sue labbra toccano le mie.
Un bacio. Corto.
Ma vero.
Umido. Salato.
Le sue labbra tremano appena contro le mie.
Poi si stacca.

––Adesso sì che ti vedono.

Io non rispondo.
Ma il mio corpo sì.
Un brivido.
Un impulso.
Una voglia.

Di essere guardata.
E presa.
Anche da lei.

L’acqua era scesa. E intorno a me… tutto sembrava trattenere il fiato.

Clara si stava avvicinando. Nuda. Con passo lento.
Ogni goccia che le colava dal ventre sembrava cadere con una intenzione precisa.
La sua pelle era dorata dal sole, liscia, tesa. I seni pieni oscillavano lievemente, mentre il pube scuro, non depilato, sembrava accettare lo sguardo senza alcun pudore.

I suoi capezzoli erano duri.
Il suo sguardo… ancora di più.

––Stupenda così. Tutta bagnata.

La sua voce mi arrivò morbida, ma graffiante.
Era un complimento. O forse un avvertimento.
Non sapevo cosa rispondere. Non volevo.
Il cuore batteva. Sotto.
Nel punto in cui ero ancora sporca. Ancora presa.

Clara mi girò attorno, entrando in acqua.
Ora era dietro di me.
Poi accanto.
Il suo fianco sfiorò il mio.
Una carezza lenta e nuda. Umida.

Elisa ci guardava a pochi passi. Sorriso ambiguo.
Occhi fissi. Come se stesse osservando un rituale che conosceva da tempo.

––Ti sta bene la pelle salata, Betta.

––Gliel’ho detto io – intervenne Elisa, – che oggi non sarebbe stata più la stessa.

La voce mi fece arrossire. Non per vergogna. Perché era vera.
Perché Clara la capì.
Perché la stava già usando.

Attorno, gli uomini ci osservavano.
Non di nascosto.
Alcuni fingevano di nuotare. Altri restavano fermi, in piedi, col membro rilassato ma visibile.
Altri ancora… erano già duri.
La loro eccitazione esposta, come la mia nudità.

––Ci vedono – mormorai.

––È il motivo per cui siamo qui – rispose Clara, con un sorriso lento, senza pietà.

Poi si chinò.
Un gesto semplice. Per raccogliere l’acqua.
Ma mentre lo faceva… le sue dita sfiorarono la mia coscia.
Piano.
Come per caso.
Ma salirono troppo in alto.

Mi passò la mano sul ventre.
Poi la lasciò lì. Un istante.
Nel punto esatto da cui mi sentivo ancora colare.

Mi voltai.
Ci fissammo.

––Vieni da noi stasera – disse piano. – A cena.

Fece un passo indietro.
Poi voltò le spalle.
E tornò verso Elisa, che l’attendeva.

Io restai lì.
Con il sesso che pulsava sotto l’acqua.
Gli occhi degli uomini ancora su di me.
E il tocco di Clara… che non se ne andava.

Mi chinai per prendere l’asciugamano.
Il sole aveva scaldato la sabbia sotto le ginocchia.
Mi sentii ancora colare tra le cosce.

Rimasi piegata.
In quella posizione… tutto il mio corpo era offerto.
E fu lì che lo sentii.

Guido.

L’ombra grande. L’odore forte.
Pelle scaldata dal sole. Sudore maschile.
E poi… il respiro. Sulla mia schiena nuda. Lento. Sicuro.

Il suo cazzo mi sfiorò.
Tra le chiappe.
Pesante. Gonfio. Vivo. Mi colpì una volta. Poi restò lì, in mezzo. Premuto contro il mio culo.

Mi bagnai ancora. Di più. Attorno, gli uomini. Seduti. Stesi. In piedi. Guardavano.

Uno aveva le mani sul ventre, ma il cazzo era già in erezione.
Un altro si stava toccando piano, mentre fingeva di osservare il mare.
Un terzo… mi fissava con la bocca socchiusa.

––Ti stai lasciando guardare troppo, piccola.

La voce di Guido era bassa. Ruvida. Mi prese per la nuca. Mi spinse in avanti, piano. Ma deciso. Non mi opposi.

Con l’altra mano, mi accarezzò la natica.
Poi mi aprì. Due dita. Dirette. Entrarono.
Mi presero. Il mio respiro si spezzò.

––Così. Così ti voglio.
––Con lo sperma di un altro ancora addosso.
––E con la figa che chiede il mio.

Mi toccava come se fossi già sua.
Come se non servisse parlare.

Io… non parlai. Solo il corpo rispose. Mi strinsi sulle sue dita.
Il ventre si tese. Il capezzolo sinistro si indurì all’improvviso.

Ma nessuno venne a fermarlo. Perché nessuno… sembrava accorgersene. Guardai verso l’acqua. Clara ed Elisa. Vicine. Stavano ridendo. Una battuta. Un gesto. Una spinta. Ridevano tra donne che si conoscono. Forse troppo.

––Stasera capirai meglio – mormorò Guido, all’orecchio.

Poi sfilò le dita. Me le fece scorrere lungo la natica. Lasciò una scia calda e umida. Si alzò.
E si allontanò. Nudo. Gonfio. Tranquillo.

Io rimasi piegata. Il cuore in gola. Il sesso ancora aperto. E un sospetto… sottile. Che si sarebbe fatto strada. Più tardi.

Raccolsi la borsa. La sabbia mi graffiava le ginocchia, le natiche ancora umide, le cosce aperte. Il sesso pulsava, ancora aperto, ancora segnato. Lo sentivo colare. Caldo. Vivo. Mi passai una mano tra le gambe: lucida. Mi tremò il polso. Rimisi il bikini: quello striminzito bianco, i laccetti stretti, le cuciture arricciate che non coprivano nulla. Il tessuto si incollò subito alla pelle bagnata, risalì tra le chiappe. La fessura del sesso restò disegnata, visibile. I capezzoli si contrapposero al triangolino sottile, duri, sensibili. Sopra, infilai il copricostume semi trasparente: ampio, bianco, leggero. Scivolò sulle spalle come una tenda inutile. Si vedeva tutto. Il segno del cloro sul seno, l’ombra umida tra le cosce, la macchia che mi colava ancora dal centro.

Attraversai la passerella. Il legno caldo sotto i piedi. Dietro, voci. Risate. Occhi. Davanti, la zona mista. Il campeggio vivo. Corpi coperti. Gente vestita. E io... così. Gli uomini mi vedevano. Uno si bloccò a metà parola. Un altro fingendo di scrollarsi la sabbia, alzò gli occhi e li fermò sul mio inguine. Le magliette. Gli sguardi. Le bocche che si chiudevano di colpo. Ogni passo faceva ondeggiare il vestito. Ogni passo lasciava scorrere qualcosa tra le gambe. Sapevo cosa si vedeva. Sapevo cosa si sentiva.

Il mio corpo emanava odore. Odore di maschio, di sale, di me. Mi accarezzai il collo. Sentivo le dita di Guido ancora nella carne. L’umido di Elisa tra le cosce. Il respiro mio che ancora si rompeva.

Arrivai alla HU House. Entrai. Chiusi. Silenzio. Mi tolsi il copricostume. Poi il bikini. Gocce sulla pelle, sulle ginocchia. Mi guardai allo specchio. Seno segnato, capezzoli ancora tesi. Il ventre graffiato, la linea rossa che saliva fino all’anca. Il sesso: gonfio, scuro, lucido. Non mi lavai. Non toccai l’acqua. "Voglio che resti. Ogni goccia. Ogni odore. Ogni impronta."

Presi il vestito bianco. Plissettato. Leggero. Senza maniche. Lo infilai piano. Mi aderì subito. Lasciò intravedere ogni curva. Ogni macchia. Ogni intenzione. Il seno senza reggiseno. Il triangolo scuro senza slip. La pelle… già pronta.

Mi sistemai i capelli. Pinza a fiore. Collanina dorata. Braccialetti leggeri. Mi guardai. Ero perfetta. In rovina. Pronta per la cena. E per tutto il resto.

Scivolai fuori dalla HU House con il vestito bianco addosso come un segreto. Leggero, plissettato, senza maniche, senza nulla sotto. Ogni passo era un’esposizione. La stoffa sfiorava i capezzoli tesi, il triangolo del pube – quella sottile linea scura della mia landing strip – si disegnava sotto il tessuto, appena inumidito. Era bastato il primo passo all’aria aperta perché il mio odore salisse: un misto di pelle salata, umore maschile e quel mio profumo strano, caldo, denso, dolce come biscotti appena sfornati. Avevo la pelle che sapeva di miele e di sesso. E ogni uomo… lo percepiva.

Attraversai il vialetto ghiaioso. L’aria sapeva di pini e carne cotta. La piazzetta del campeggio era piena. Tavolini, luci sospese tra i pini, bambini che correvano in costume. E sguardi. Tanti. Che cadevano su di me. Che mi seguivano. Il vestito aderiva all’interno coscia, tra le gambe la macchia si era allargata. Lo sapevo. Lo sentivo. Era mia. E non solo.

Mi fermai un istante. Un ragazzo stava fotografando i tavoli. Reflex al collo. Alzò l’obiettivo verso di me. Clic. Non protestai. Lo guardai. Lui mi mostrò lo schermo. La foto era sfuocata, controluce, ma si vedeva: il pube, la linea scura, la striscia centrale. La mia apertura sotto la stoffa bianca. Non disse nulla. E io… continuai a camminare. Un po’ più bagnata.

Poi lo vidi. Appoggiato a una colonna. Alto. Spalle larghe. Occhi di ghiaccio. Il nordico. Mi fissava. Non mi mangiava con gli occhi. Mi calcolava. Mi valutava. I suoi occhi erano freddi. Ma il membro, tra le cosce, iniziava a sollevarsi. Lentamente. Senza fretta. Non abbassò mai lo sguardo. Lo lasciò lì. Su di me. Sulla mia pancia. Poi sulle gambe. Poi tra le gambe. Sotto il vestito.

Sentii il mio odore risalire al petto. Mi pizzicò i capezzoli. Un battito mi partì dal sesso e mi salì fino alla gola. Non gli sorrisi. Ma non mi voltai. Continuai. Con la sensazione che tutti sapessero. Che non ero lavata. Che il mio sesso era ancora lucido di dita. Che la pelle tra le gambe lasciava scie. E che se si fossero avvicinati, avrebbero sentito anche loro quel profumo dolce e sporco, quel biscotto bagnato, quell’invito caldo tra le cosce.
Il vestito si muoveva col mio passo. Il mio corpo… si mostrava da solo. E io… stavo arrivando.

Mi sedetti. Il vestito si alzò sulle cosce. La stoffa bagnata si appoggiò al sesso, come una seconda pelle già satura di odore. Il tavolo era rotondo, basso, ruvido. Clara alla mia destra, gambe accavallate, la camicia aperta, il seno visibile, lucido d’olio. Elisa alla sinistra, capelli umidi, il vestito appiccicato alla pelle come una carezza. Il mio profumo si alzò subito: caldo, dolce, animale. Miele, sudore, biscotto sporco.

Due ragazzi a pochi metri parlavano piano. Uno sussurrò qualcosa all’orecchio dell’altro. L’altro rise.
––Ce l’ha bagnato. Guardagli la piega.
Lo disse piano. Ma lo sentii. Tutto il corpo me lo confermò: i capezzoli si irrigidirono, il sesso si gonfiò sotto la stoffa sottile. Non mi voltai. Ma il battito mi colpì alle tempie. Clara incrociò lo sguardo dei due. Non disse nulla. Sorrise. Lenta. Come se avesse riconosciuto qualcosa.

––Hai visto il tipo al chiosco?
––Quello con la maglia nera?
––Guardava tra le gambe come se volesse infilarci la lingua.

Ridevano. Io no. Sentivo le cosce calde. La pressione salire. Clara poggiò la mano sul tavolo. Poi sulla mia coscia. Le dita scesero lentamente. Il pollice seguì la linea interna, risalì. La punta dell’anulare toccò il bordo del vestito. Un gesto che sembrava un caso. Non lo era. Le sue dita si insinuarono appena sotto la stoffa. Sfiorarono la pelle nuda. Il clitoride rispose subito.

Elisa parlava di cocktail. Di un cameriere sbadato. Rideva. Non ci guardava. O forse sì.

Poi passò lui. Il tatuato. Torace nudo, addominali disegnati, l’odore denso di mare, sudore e dopobarba. Si chinò dietro di me, come se raccogliesse qualcosa. Il fiato sulla mia nuca. Il tono basso.

––Hai un profumo che sa di voglia.

La pelle del collo mi si accese. Non ebbi il coraggio di voltarmi. Ma lo seguii con lo sguardo mentre si allontanava. Sentii l’odore che lasciava dietro di sé. Un odore maschile. Forte. Guido arrivò nello stesso momento. Camminava lento. Nudo sotto una camicia aperta. Lo vide. Lo seguì con gli occhi. Poi si voltò verso di me. Un mezzo sorriso, tagliente. Uno sguardo che diceva: lo hai fatto eccitare. Ma sei mia.

Clara mi strinse la coscia con le unghie. Forte. Le lasciò incavate nella pelle. Poi si voltò verso Elisa.
––Dicevi della mozzarella?

Come se nulla fosse. Ma le unghie restavano lì. Premute. A ricordarmi che sotto il tavolo… stavo colando.

Guido si sedette accanto a me. Il rumore della sedia fu breve, profondo, come il suo modo di occupare lo spazio. Non parlò. Il suo braccio passò dietro allo schienale, lento, possente. Non mi toccò. Ma il calore arrivò subito. Il suo odore lo precedeva: pelle scottata dal sole, pettorali pelosi sotto la camicia aperta, il sudore secco di un corpo adulto che non si copre, non si nasconde. Mi colpì in pieno. Mi entrò nelle narici. Lo riconobbi tra mille. Era l’odore di prima. Ma più denso. Più profondo. Ero io che lo sentivo così, oppure ero cambiata io?

Il suo ginocchio toccò il mio. Non si mosse più. Solido. Caldo. Vivo. La sua pelle era ruvida. Raschiava leggermente la mia. Ma non era disagio. Era dominio. Il mio sesso si irrigidì sotto il vestito. Mi strinsi. Il tessuto scivolò tra le cosce. La macchia si aprì di nuovo. Il pube si appiattì. La striscia nuda si schiacciò contro la stoffa.

Guido non mi guardava in faccia. Guardava il collo. Il profilo della clavicola. Il segno appena rosso lasciato dal graffio. Guardava il seno, fermo sotto la stoffa bianca, che vibrava al mio respiro. Guardava il ventre. Poi il punto preciso dove il vestito si appiccicava all’inguine. Non c’era bisogno di altro. Lo sapeva. E io lo sapevo che lui lo stava sentendo. Che tutti i miei odori erano ancora lì sotto.

Clara notò il movimento del suo ginocchio che premeva contro la mia coscia. Gli lanciò uno sguardo, breve. Poi bevve. Un sorso lungo. Elisa parlava ancora di un episodio buffo alla reception. Rideva. Ma io non sentivo nulla. Solo la pressione. Solo la pelle. Solo il mio corpo che si modificava con la sua presenza.

Guido si versò da bere. Usò la mano destra. Lenta. Grossa. I peli scuri fino al polso. Il braccio si muoveva lento, senza fretta. Ma sapeva esattamente dove versare. E mentre lo faceva, mi guardava. In silenzio. Come si guarda qualcosa che è già stata presa. Ma non ancora finita.

Io ero lì. Seduta. Le gambe nude. Il sesso bagnato. La pelle che tremava sotto la stoffa. E l’odore del mio corpo che si mescolava al suo, tra il legno del tavolo e l’aria della sera.

Guido non parlò. Ma mi fece inclinare col ginocchio. Mi fece scivolare il fianco. Mi posizionò. Il mio bacino era in avanti. Il pube teso contro la stoffa. Il vestito seguiva ogni curva. Il mio odore saliva, piano, ma costante.

Clara sorrise. Elisa no.

E io… ero già in pasto a lui. Con tutto il corpo. Con tutto l’odore. E con tutto quello che non avevo ancora detto a nessuno.

I piatti arrivarono insieme, caldi, pieni di vapore. Il profumo di mozzarella fusa, basilico, pomodoro cotto. Bicchieri pieni, posate che tintinnavano. Un brusio di fondo, bambini che correvano, sedie che strisciavano sul pavimento. Ma io sentivo solo una cosa: il mio corpo. Ogni cellula vibrava. La pelle sudava sotto il vestito. Non per il caldo. Ma per l’attesa.

Il tessuto si era incollato al pube. Il bordo interno era bagnato. Lo sentivo. La mia landing strip, tagliata con cura, si era appiattita sotto la pressione umida. Le grandi labbra si toccavano, ma pulsavano. Il liquido continuava a colare, lento, inarrestabile. Aveva già macchiato la stoffa. Una chiazza scura tra le cosce. Ero seduta. Le gambe accavallate. Ma bastava muoverle di un millimetro perché il clitoride si svegliasse.

Clara mi porse il pane. La sua mano si avvicinò alla mia. Mi toccò il dorso. Un secondo in più del necessario. Poi mi versò dell’acqua. La caraffa gelata appannò il bicchiere. Il suo gomito sfiorò il mio seno. Pieno. Vivo. Sensibile. Non si scusò. Non si ritrasse. Mi guardò negli occhi. Lenti. Fermi. Poi tornò a parlare con Elisa.

––Hai assaggiato il cous cous?
––Sì, ma non mi convince.
––Forse perché non l’hai mangiato dal piatto giusto.

Elisa rise. Ma la sua voce era diversa. Non disattenta. Solo… trattenuta. Le pupille si erano strette. Guardava Clara. Poi me. Poi il bicchiere. Poi il mio vestito. Lo sapeva. O lo stava capendo.

Guido tagliava lentamente. Coltello e forchetta grandi tra le mani pelose. I polsi forti. Ogni taglio sembrava misurato. Ma la sua gamba premeva contro la mia. Sempre. Costante. E ogni tanto… aumentava la pressione. Non diceva nulla. Non faceva nulla. Solo… c’era. E questo bastava a far vibrare il mio ventre.

Mi mossi appena. Il tessuto scivolò. La macchia si aprì. Una goccia mi scese lungo l’interno coscia. Calda. Lenta. La trattenni con la gamba opposta. Sentii la pelle incollarsi. Il mio respiro si fece corto.

Clara si sporse verso Elisa. Le sussurrò qualcosa. Io non sentii le parole. Ma sentii il suo braccio che mi sfiorava la spalla. La sua coscia che spingeva piano sulla mia. E sotto il tavolo… la sua mano si muoveva di nuovo. Le dita si poggiarono sopra il ginocchio. Poi si chiusero. Leggermente. Ma con le unghie.

Mi pizzicò la pelle. Non forte. Ma abbastanza da segnare. Le sentii affondare. Mi tremò il fianco.

Il ragazzo con la macchina fotografica era ancora lì. A tre tavoli. Seduto. Silenzioso. Con la reflex sulle ginocchia. Non stava più parlando. Non stava più ridendo. Solo… guardava. Dritto. Verso il tavolo. Verso me. Il mio profilo. Le gambe. Il seno. Il viso. Le mani sotto il tavolo.

Il vino aveva lasciato un velo sulle labbra. Lo sentivo. Un sapore amarognolo, morbido. Lo passai con la lingua. Poi respirai forte. E mi accorsi che stavo ansimando piano. Come se fossi a metà di qualcosa. Ma non era iniziato ancora nulla.

Guido alzò lo sguardo. Mi fissò per un istante. Non sorrise. Solo... approvò. Come si guarda qualcosa che già appartiene. Poi guardò Clara. Un cenno minimo. E Clara smise di toccarmi.

Ma il mio corpo continuava a vibrare. Il clitoride teso. Il ventre duro. Le cosce bagnate. La pelle aperta. Ogni fibra pronta. Ogni respiro già pronto a gemere. Ma per ora... trattenuto.

La cena era iniziata. Ma io... non avevo ancora messo nulla in bocca. Solo l’odore del mio desiderio. Che saliva. Che restava. Che chiedeva.
scritto il
2025-04-10
1 . 3 K
visite
2 2
voti
valutazione
7.4
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.