Diario Sessuale – La Vacanza 03

di
genere
prime esperienze

Capitolo 3 – La prima volta

Mi alzai lentamente dal telo, come se il corpo avesse deciso prima di me. Le mani sfiorarono la stoffa stesa sulla sabbia, poi scivolarono lungo le cosce nude per liberarle da qualche granello. Elisa era lì accanto, sdraiata sul fianco, con le cuffiette nelle orecchie e il viso rivolto verso il mare. Il suo seno nudo si sollevava a ogni respiro, lento, indifferente.

Mi chinai appena verso di lei.

––Vado a lavarmi un attimo.

Non si mosse. Neppure un cenno. Forse dormiva. O forse faceva finta. Ma io… io non avevo bisogno di una risposta.

Il cuore martellava, e la pelle era troppo calda, come se trattenesse qualcosa da troppo tempo. Mi mossi senza prendere nulla. Né pareo, né asciugamano, né costume. Lasciai tutto lì, come se non mi appartenesse più. Camminai nuda, con le braccia che oscillavano piano lungo i fianchi, le scapole che si muovevano sotto la luce obliqua del pomeriggio.

Ogni passo affondava nella sabbia calda, che mi si incollava ai talloni, alle caviglie, tra le dita dei piedi. Sotto la pianta, piccoli sassolini massaggiavano nervi che non pensavo nemmeno di avere. L’aria sapeva di sale, di alghe, di pelle scottata e di qualcosa di più denso… un odore maschile, vago, che mi inseguiva anche se non c’era nessuno vicino.

Sentivo gli occhi addosso. Di chi? Non lo sapevo. Ma il ventre si fece più teso. E tra le gambe… una scivolata impercettibile. Non era solo sudore. Era umidità di dentro. E lo sapevo.

Ogni muscolo delle cosce rispondeva con un piccolo tremore, come se volessero chiudersi e invece restassero aperte. Le punte dei capezzoli pizzicavano nell’aria. La schiena si inarcava da sola. Non c’era fretta. Ma il bisogno era chiaro.

Non stavo andando a lavarmi. Non davvero. Stavo andando verso lo sguardo. Quello che mi aveva attraversata, senza toccarmi. Quello che mi aveva bagnata.

E anche se non lo vedevo… sapevo che era vicino. Che mi stava aspettando.

O forse… mi stava già seguendo.

Il primo sguardo mi colpì all’anca. Era basso, insistente. Proveniva da un uomo seduto poco lontano, le gambe larghe, il busto abbronzato, il sesso molle che riposava tra le cosce villose. Fingendo di guardare il mare, mi stava attraversando con gli occhi. Non distolsi lo sguardo. Ma le gambe… le gambe si fecero più morbide. Il passo cambiò. Iniziai a muovermi come se la sabbia mi accarezzasse da sotto. Più lenta. Più ampia.

Un secondo sguardo arrivò da dietro un telo steso tra due pali. Una mano maschile si mosse per sistemarlo, e un volto comparve nell’ombra. Occhi grigi. Immobili. Mi fissava. Non come si fissa una ragazza. Ma come si osserva una preda che si offre.

Il respiro si spezzò. Il seno si sollevò all’improvviso, come se avesse bisogno di più aria. I capezzoli si strinsero. Sentii la pelle delle braccia pizzicare. Camminavo ancora, ma i miei fianchi cominciarono a oscillare di più. Come se si sciogliessero. Come se volessero disegnare cerchi nell’aria.

Ogni passo diventava un’offerta. Il tallone affondava, la punta scivolava avanti, sollevando la sabbia. E mentre il bacino si muoveva, le cosce si aprivano impercettibilmente, spinte da una forza che non veniva dalla testa.

Il terzo sguardo non lo vidi. Ma lo sentii sul sesso. Un calore improvviso, quasi pungente, tra le labbra intime. Come se qualcuno avesse posato lì lo sguardo e avesse premuto. Il clitoride rispose con una scossa. E io... io aprii appena la bocca. Il mento si sollevò. Le spalle si abbassarono. Il corpo si arrese a quella tensione.

“Mi stanno guardando.”
“Mi vogliono.”
“E io li voglio.”

Superai un uomo che stava in piedi con un asciugamano in mano. Fingeva di asciugarsi. Ma il suo sguardo era puntato tra le mie natiche. Lo percepii scivolare lungo la schiena, fermarsi un attimo sulla curva morbida del sedere, poi insinuarsi tra le cosce. Il mio passo rallentò da solo. L’anca destra si alzò di più. E le dita dei piedi si piegarono, affondando.

Il sesso pulsava. Sentivo le piccole labbra gonfie, aperte, umide. Camminare nuda in mezzo a quegli uomini mi faceva colare. Letteralmente. Ogni passo lasciava una scia liquida tra le gambe. E quella sensazione mi accendeva di più.

Il rettangolo chiaro dei bagni apparve come una soglia. La struttura in cemento, grezza e lucida d’umidità, si stagliava oltre le dune. C’era un piccolo corridoio laterale, ombroso, con una porta aperta. Lì... l’aria sembrava più ferma. Più spessa.

Mi fermai un istante all’ingresso. La luce cambiava. Il suono del mare spariva. Restava solo il battito. E il bisogno.

Poi entrai.

Appena varcata la soglia del corridoio posteriore, l’aria cambiò. Era più densa. Più calda. Sapeva di acqua stagnante, pelle bagnata, cloro, urina, sperma secco. E sotto… un odore più animale, più vero. Di uomini nudi. Di corpi che si erano toccati lì.

Le pareti in piastrelle grezze riflettevano la luce come pelle umida. Il pavimento scivoloso, ruvido sotto i piedi nudi, lasciava trasalire piccoli brividi ogni volta che trovavo un punto più freddo. Camminai piano, le braccia rilassate lungo i fianchi, il respiro che si faceva più basso. I seni ondeggiavano ad ogni passo, pesanti, tesi. I capezzoli ormai duri come sassolini.

Una doccia gocciolava in fondo, il getto spezzato ticchettava sul cemento con ritmo irregolare. Scelsi quella. La più lontana. La più nascosta. Una nicchia seminascosta da una tenda consumata e trasparente, che non proteggeva nulla.

Entrai. E senza pensarci, alzai il braccio, afferrai la manopola. Il metallo era gelido. Aprii l’acqua. Calda. Invasiva. Mi colpì di schiena, piena, come una mano decisa. Chiusi gli occhi. Il primo getto schiaffeggiò la pelle tra le scapole, poi scivolò lungo la colonna vertebrale, passando tra le natiche, raccogliendo sabbia e sudore, liquido e voglia.

Le mani iniziarono a muoversi. Prima lente. Poi più precise. Iniziai dal collo. Le dita sfiorarono le clavicole, risalirono dietro le orecchie, poi scesero. Il petto ansimava. Le mani si aprirono, passarono sopra i seni, li strinsero appena. Li sentii pesanti, pieni, tesi. I capezzoli pizzicavano, imploravano attenzioni che ancora non davo.

Il ventre vibrava. Le dita tremarono un istante, poi scesero. Superarono l’ombelico. Arrivarono al pube. Sabbia. Calore. Viscidume. Ma non solo dell’acqua.

Era mia. L’umidità. Mia. E sua. Di quello sguardo che ancora mi attraversava, anche se non c’era.

Aprii le gambe. Le ginocchia leggermente flesse, i piedi ben piantati. Sollevai il viso verso il soffitto. Il getto cambiò direzione. Mi colpì tra le gambe. Preciso. Martellante. Lì dove pulsava tutto.

Il suono dell’acqua contro la carne era diverso. Più cupo. Più profondo. Le piccole labbra si aprirono da sole. Il clitoride era lì, gonfio, sporgente. Lo accarezzai con due dita. Subito. Un colpo di calore salì dalla pancia al petto. Gemei. A bassa voce. Ma mi sentii tutta vibrare.

La mano scivolò di nuovo. Più a fondo. Cercava un punto. Lo trovò. Un fremito. Un’apertura. Iniziai a massaggiarmi con il palmo. Rotondo. Continuo. Sentii le cosce irrigidirsi. Le punte dei piedi si piegarono. Il bacino iniziò a spingere contro la mano.

Appoggiai l’altra sulla parete. Le dita scivolarono tra le fughe nere delle piastrelle, su un muschio freddo, viscido. Il contrasto mi fece rabbrividire. E mi eccitò ancora di più.

Il primo spasmo mi sorprese. Le gambe vacillarono. Il respiro si bloccò in gola. Eppure… non volevo fermarmi. Stavo tremando.

Stavo per venire. Da sola. In piedi. In quel bagno sporco. Dove altri mi avrebbero potuta vedere. Dove forse qualcuno mi stava già vedendo.

Fu allora che lo sentii.

Un fruscio. Un’ombra.

Il rumore dell’acqua non era più solo mio.

Mi voltai lentamente.

Era lì.

Appoggiato alla parete opposta. Nudo. Immobile. Come un animale che aspetta. La luce fioca delle docce si rifrangeva sull’umidità delle piastrelle, disegnando linee tremolanti sul suo petto villoso. I suoi occhi erano fermi. Scuri. Penetranti. Come lame di silenzio.

Leonardo.

Il nome ancora non lo conoscevo. Ma il corpo, sì. L’avevo sentito addosso già dalla spiaggia, dallo sguardo. Mi aveva aperta senza toccarmi. Ora… era lì. Reale. A pochi metri da me. E mi stava guardando.

Nuda. Gocciolante. Con le gambe ancora aperte. Con la mano che non avevo ancora tolto dal sesso.

Il suo respiro era profondo, controllato. Il mio, invece, si spezzava a ogni battito. Sentii le tempie pulsare. Le guance bollenti. Le orecchie ronzavano. Il cuore martellava contro lo sterno, come se volesse uscire.

Il suo sguardo scese. Sulla mia mano. Sulle dita bagnate. Sul pube rosso, aperto, lucido. E io… mi sentii scoperta. Violata dallo sguardo. Inondata da un’imbarazzo così potente da far tremare le ginocchia.

Avrei voluto scappare. Nascondermi. Chiudere le gambe. Coprirmi.

Ma il corpo… non ubbidiva.

Anzi. Si tese di più. Il bacino ruotò appena in avanti, come per offrirsi meglio. Le dita si muovevano ancora, lente, umide. Il clitoride sembrava impazzito. Toccato solo dallo sguardo. Sentii il liquido scendere. Più denso. Più caldo.

Una scossa mi attraversò la pancia. Poi il petto. Poi la gola.

Venni.

Mi esplose dentro come una frustata invisibile. Le cosce si contrassero. I glutei si strinsero. Un gemito mi sfuggì dalle labbra, involontario. Alto. Rotto.

Mi stavo lasciando andare. Davanti a lui.

Il sesso pulsava. Le pareti interne si strinsero a vuoto. Il respiro diventò rantolo. Un’altra ondata mi travolse, più bassa, più profonda. Le gambe cedettero. Mi aggrappai alla parete bagnata con una mano. La schiena inarcata. Il seno proteso. Gli occhi chiusi.

E lui… lui non si mosse.

Restava lì, appoggiato. A guardarmi. Come se mi stesse studiando. Come se stesse aspettando che il mio corpo si svuotasse da solo. Che lo invocasse.

Quando riaprii gli occhi, lui era davanti a me.

Non l’avevo sentito muoversi. Era comparso. Come un predatore silenzioso. Ero ancora ansimante. Nuda. Aperta. Con le cosce umide e la pelle segnata dall’orgasmo.

L’odore del suo corpo mi investì. Di metallo, cuoio e cloro. Un odore adulto. Virile. Totale. La sua pelle brillava. Il suo sesso… era duro. Lungo. Appena mosso dal battito. Sembrava vibrare da solo.

Lui non parlò.

Mi prese le ginocchia. Una, poi l’altra. E me le aprì con decisione.

Restai lì. Senza fiato. Esposta. Umiliata. Vibrante.

E terribilmente bagnata.

Le sue mani erano calde. Forti. Irrimediabilmente adulte.

Le sentii afferrarmi l’interno delle cosce con calma spietata. I pollici premettero appena, aprendomi ancora, spingendo verso l’esterno quella vergogna lucida che già colava. Il pavimento era freddo sotto i piedi, ma il mio sesso bruciava. Vibrava come se avesse vita propria. E lui… lo stava guardando. Come si guarda qualcosa che si è aspettato troppo a lungo.

Mi prese il mento. Il pollice sfiorò l’angolo della bocca. La sua pelle sapeva di mare secco e metallo. La barba mi punse il viso mentre si avvicinava. Le labbra si sfiorarono senza toccarsi. Poi parlò.

– Respira.

La sua voce era bassa. Calda. Decisa. E bastò quel comando per farmi tremare. Le ginocchia si piegarono appena, ma lui mi tenne in piedi. Una mano scese. Sotto. Tra le cosce.

Le sue dita mi toccarono.

Due.

Dirette.

Entrarono tra le pieghe con una lentezza impossibile. Scivolarono dentro. Non forzate. Non violente. Ma presenti. Premute. Vere. Il pollice si posò sopra il clitoride. Lo strinse. Lo girò. Lo fece suo.

Il mio respiro si spezzò in un sussulto.

Un colpo di caldo mi esplose nel petto. La testa si rovesciò all’indietro. La bocca si aprì. Le mani cercarono di afferrargli le braccia. Ma non serviva. Lui già mi teneva. Già mi guidava.

Le sue dita si mossero dentro di me con una precisione che non avevo mai conosciuto. Curvavano. Cercavano. Sfioravano i punti che io stessa non sapevo esistessero. Ogni pressione era un comando. Ogni scivolata, una promessa.

Mi fece ansimare. Poi gemere. Poi… piangere di piacere.

Mi vergognai. Ma non smisi.

Sentivo il liquido colarmi lungo l’interno delle cosce. Sentivo l’odore del mio sesso mescolarsi al suo. Un odore animale. Denso. Come se qualcosa dentro di me si stesse rompendo per diventare altro. Più caldo. Più profondo.

Il clitoride era teso, dolente. Le dita lo lavoravano come se sapessero che volevo cedere. E io… stavo cedendo. Tutta.

Quando spinse le dita più a fondo, il mio corpo reagì da solo. Il bacino si abbassò. La schiena si inarcò. Mi aprii. Come se volessi inglobarlo. Come se lo stessi aspettando da sempre.

Lui non mi guardava più negli occhi. Guardava lì. Il sesso. Le dita che affondavano. Le labbra gonfie che lo accoglievano. Il piacere che mi stava facendo perdere.

E io… non ero più una ragazza.

Ero una fessura spalancata. Vibrante. Un luogo da abitare.

Mi lasciò solo per un istante.

Le dita scivolarono via come se si staccassero a malincuore. Ma il vuoto che lasciarono… fu più potente del piacere. Restai lì, in piedi, con le cosce tremanti, il sesso pulsante, le labbra intime spalancate e lucide. Sentivo l’aria infilarsi tra le pieghe, accarezzarmi dove fino a un attimo prima c’era lui.

Poi si abbassò.

Lo fece con lentezza. Con sicurezza. Un ginocchio alla volta, come se stesse inginocchiandosi davanti a qualcosa che gli spettava da sempre. Il suo sguardo restava fisso sul mio ventre. Il respiro si fece più forte. Lo sentii addosso. Caldo. Sulle cosce. Sul pube. Sull’apertura. Un fiato denso. Di cloro, di pelle, di uomo.

Mi appoggiai alla parete, la testa indietro. Le mani cercarono sostegno sul muro bagnato. Le dita scivolarono, le ginocchia si piegarono, ma non caddi. Il corpo vibrava.

Poi accadde.

La sua lingua.

Calda. Umida. Lunga. Diretta.

Mi toccò in pieno. Dal basso verso l’alto. Un solo colpo. Lento. Profondo. Il fiato mi si spezzò in gola. Sentii la punta spingere tra le labbra intime, poi salire. Premere. Fermarsi sul clitoride. Un cerchio. Un altro. E poi… l’affondo.

Mi penetrò con la bocca. Con la lingua. Con tutta la fame che aveva. E io… mi aprii.

Le gambe si allargarono di più. Il bacino gli andò incontro. Il sesso pulsava, gonfio, esposto. Le cosce tremavano. Sentivo il mio sapore colare sulla sua bocca, sul suo mento. E lui lo prendeva tutto. Lo beveva.

La sua bocca si strinse su di me. Mi succhiava. Mi leccava. Mi mangiava. Non con violenza. Ma con precisione. Con padronanza. Come se il mio piacere fosse suo. E dovesse guidarlo. Condurlo dove voleva.

Mi fece venire. La prima volta. Un colpo di lingua secco, sul punto esatto. Il corpo si piegò. Un sussulto mi strappò l’addome. La schiena si inarcò. Il fiato uscì spezzato. Un gemito alto. Poi il vuoto.

Ma lui non si fermò.

Continuò. A leccarmi. A succhiarmi. A spingere la lingua dentro.

La seconda volta mi arrivò senza difese. Più profonda. Più lenta. Un’ondata calda. Le mani mi si aprirono sulle piastrelle. La testa girò. Il sesso gocciolava. Sentivo il suo viso affondato in mezzo alle mie cosce. Il suo naso che mi schiacciava contro la parete. Le sue labbra che mi risucchiavano via.

Poi sentii il mento toccarmi l’ano. Lì. Con lentezza. Un solo passaggio. Ma bastò. Una scossa mi attraversò tutta.

Le sue mani mi tenevano spalancata. Mi apriva. Come si apre un frutto maturo. Senza chiedere. Senza parlare.

E io… non volevo più chiudermi.

Quando si rialzò, lo fece senza fretta. Come se avesse tutto il tempo. Come se sapesse che quel momento… non l’avrei mai dimenticato.

Gocciolava. Il viso, la barba, il petto. Ogni goccia sembrava raccolta da me, colata dal mio sesso, risalita lungo la sua bocca. Le sue spalle si allargarono davanti ai miei occhi, enormi. E in mezzo… il suo sesso.

Eretto. Teso. Lungo. Sporgeva in avanti come un animale vivo. Le vene in rilievo. La cappella gonfia, liscia, leggermente scura. Respirava.

Lo guardai. Ipnotizzata.

Il cuore batteva così forte che temevo potesse sentirlo. Ma le mani si mossero da sole. Lentamente. Incerte. Tremanti.

Lo sfiorai con la punta delle dita. Era caldo. Vivo. Duro. Ma con quella cedevolezza carnale che faceva paura. Eccitante. Sporca. Ineluttabile.

Chiusi la mano intorno all’asta. Sentii il sangue scorrere sotto la pelle. Ogni pulsazione era una risposta. Un ordine. Iniziai a masturbarlo lentamente. Su e giù. Guardandolo. Studiandolo. La pelle saliva, poi scivolava giù, lasciando scoperta la cappella lucida. Un filo di liquido trasparente apparve. Ne sentii l’odore. Forte. Maschile. Animale.

Leonardo mi prese il polso. Con calma. Ma con forza. Mi fece stringere di più. Mi guidò. Mi fece sentire che quel gesto… lo stava già possedendo. E io… lo seguii.

Poi mi guardò. In silenzio. Come se stesse valutando se ero pronta.

Ma non chiese.

Mi afferrò per i fianchi.

E in un solo gesto deciso, mi sollevò.

Mi ritrovai appesa a lui. Le mani sulle sue spalle. Le cosce aperte. Il sesso… ancora umido. Ancora gonfio. Appoggiato contro il suo. Lo sentii strusciare sulle labbra intime. Poi posizionarsi. Poi premere.

Un secondo.

Uno solo.

E mi entrò dentro.

Tutto.

Fino in fondo.

Un colpo pieno. Un affondo caldo. Una pressione che si spalancava dall’interno. Sentii le pareti vaginali cedere. Adattarsi. Stringerlo. Non era dolore. Non era dolcezza. Era invasione. Era conquista.

E non c’era nessun preservativo. Nessun filtro. Era pelle. Carne. Liquido. Calore diretto. Nudo contro nudo.

E in quell’istante capii.

Capii che quello… era il vero primo ingresso. Non la penetrazione impacciata e goffa dell’estate prima, in una cameretta chiusa, con il mio ex che tremava più di me, con me che fingevo di godere per fargli piacere. No. Quello… non era stato nulla.

Questo invece… mi stava aprendo davvero.

Il sesso di Leonardo era troppo grande. Troppo profondo. Troppo… giusto.

Il corpo si adattava da solo. Il ventre si tendeva. I seni premevano contro il suo torace. La testa si rovesciava all’indietro. E dentro… lo sentivo. Ogni millimetro. Ogni spinta. Ogni battito.

––Dio…

Fu tutto quello che riuscii a sussurrare.

Lui si fermò. Un attimo. Dentro di me. Mi guardò.

E poi spinse ancora.

Spinse ancora. Più lento. Più profondo.

E il mio corpo si aprì. Ma non bastava.

Sentii ogni fibra tirarsi. Ogni parete interna allargarsi. La punta del suo sesso premeva dentro di me come un ariete. Non era dolore. Era tensione. Un’onda che si spingeva contro una porta socchiusa, costringendola a spalancarsi.

––Respira.

Lo disse vicino alla mia bocca, ma non mi stava guardando negli occhi. Fissava dove ci stavamo unendo. Dove il suo sesso si fondeva con il mio, centimetro dopo centimetro.

E io… non riuscivo più a respirare davvero.

Ero bagnata. Fradicia. Eppure sentivo l’attrito. Sentivo la pelle tirarsi. Le pareti che stringevano. Il mio sesso lottava per contenerlo. Era troppo. Troppo spesso. Troppo vero.

Le mani mi si chiusero sulle sue spalle. Mi aggrappai a lui come se il corpo non reggesse più. Ma lui mi teneva. Una presa solida sui fianchi. Un possesso.

Affondò ancora.

La pelle della sua cappella strusciava contro le pareti interne con una lentezza spietata. La sentivo espandere lo spazio dentro di me. Ogni millimetro era una conquista. Ogni affondo mi apriva di più. Il bacino mi si piegava in avanti. Il ventre si tendeva. I seni sfioravano il suo petto, che era ruvido, caldo, coperto da gocce di sudore e acqua.

––Sei stretta…

Il suo respiro si fece roco. Mi spinse ancora. E ancora. Fino in fondo.

Fu in quel momento che capii.

Non avevo mai provato nulla di simile. Non con il mio ex. Non con nessuno. Quella che avevo chiamato prima volta… era stata un gioco. Un atto. Questo invece… mi stava cambiando.

Mi stava formattando. Da dentro.

Mi stava prendendo.

Il suo sesso arrivò fino al fondo. Il pube si schiacciò contro il mio. I testicoli premettero contro le mie natiche. Era dentro. Tutto. E io… ero piena. Ricolma. Stordita.

Il mio corpo tremava.

Non riuscivo a parlare. A pensare. Solo a sentire.

E lui… iniziò a muoversi.

Non uscì. Spinse. Ruotò appena il bacino. Poi tornò indietro. Lentamente. Il glande sfregò contro ogni centimetro. Ogni nervo. Ogni punto che mi faceva sussultare. Sentii le labbra intime trascinarsi dietro di lui. Come risucchiate. E poi… un altro affondo.

Più forte.

––Così. Ti apri. Così.

Le sue parole mi entrarono nelle ossa.

I colpi si fecero più lunghi. Più profondi. Ogni spinta affondava come se cercasse un posto che non avevo mai mostrato a nessuno. Le mani di lui mi reggevano come un oggetto. Come qualcosa che aveva deciso di usare.

Mi stava modellando.

E io godevo. Sempre di più.

Sentivo l’orgasmo montare da sotto. Non da sopra. Non solo dal clitoride. Ma dal fondo. Dalla pancia. Dall’utero. Come una radice che si allargava.

Le gambe mi si irrigidirono. Le braccia mi tremavano.

Venni. Ancora.

Mi strinsi a lui mentre il piacere mi tagliava in due.

E lui… continuava.

Non aveva finito.

Non voleva finire.

Mi stava scopando sul serio.

Non con dolcezza. Non con esitazione. Con possesso. Con fame trattenuta. Con la certezza di sapere che stava facendo qualcosa che mi avrebbe cambiata per sempre.

Ero sollevata da terra. Le gambe mi cingevano la vita, i talloni premevano sulla sua schiena. Il mio sesso, ormai aperto e fradicio, sbatteva contro il suo ventre a ogni colpo. Le sue mani mi stringevano sotto il sedere, affondando nella carne come artigli. Il suo sesso mi penetrava da sotto, in pieno, risalendo con forza, come se volesse passare oltre.

Ogni affondo era più profondo. Mi sentivo risalire con lui, come sospesa tra dolore e piacere. Le pareti interne ormai non resistevano più: si modellavano, lo stringevano, lo reclamavano.

––Sì… così…

Le parole mi sfuggivano in un respiro. Le gambe mi tremavano, i muscoli dell’addome si contraevano da soli. I capezzoli durissimi sfioravano il suo petto villoso. Il clitoride, schiacciato e bagnato, esplodeva a ogni affondo. Il corpo non era più mio. Era in lui.

Un altro orgasmo. E un altro. Uno sopra l’altro.

Mi aprivo sempre di più. Mi lasciavo allargare. Riplasmare. L’utero sembrava rispondere ai suoi colpi. Ero sua. Non solo il corpo. Ma tutto. Il battito. Il fiato. Il gemito. La voce.

––Non fermarti…

La mia testa affondò contro la sua spalla. Le mani stringevano le sue scapole, con forza. La bocca socchiusa, calda, tremante.

Sentii che stava per venire.

Il suo sesso si gonfiò. Batté con più forza. Il bacino si tese. I colpi si fecero più lenti ma più profondi. Il suo respiro cambiò. E io… io lo sentii. Dentro. Nel basso ventre. Come se mi stesse per inondare.

E parlai. Non per fermarlo. Ma per dirlo.

––Non prendo la pillola…

Glielo sussurrai sul collo, tremando. Non come avvertimento. Ma come confessione. E subito dopo… mi pentii di averlo detto.

Lui gemette. Trattenne l’ultimo affondo.

E si sfilò.

Il mio sesso si aprì un’ultima volta, lento, dilatato. Le labbra intime restarono gonfie, lucide, pulsanti. La striscia sottile di peli era bagnata, piegata da tutto quel piacere. La pelle del basso ventre bruciava. E in quel momento, con un gemito profondo…

Venne.

Il primo getto caldo mi colpì in piena pancia, scivolando sotto l’ombelico. Il secondo schizzò dritto sulla strisciolina nera di peli, bagnandola. Il terzo esplose sulle labbra intime, spalancate e tese, mescolandosi ai miei umori, colando lungo la piega del sesso ancora aperto.

Restai lì. Appesa a lui. Il corpo tremava. Il respiro spezzato. Il ventre macchiato.

E mentre lo sperma colava sulla mia pelle, lo guardai. Con le guance in fiamme. Il clitoride ancora duro. Il cuore che non rallentava.

Mi accorsi che… lo volevo dentro.

Ma non dissi nulla.

Mi limitai a respirare. A sentire il liquido caldo tra le cosce. A rimanere ferma.

Macchiata. Tesa. Appartenuta.

Restammo così. Lui in piedi. Io… sospesa.

Le gambe ancora molli, il sesso spalancato e colante, il ventre segnato da strisce bianche e dense che scivolavano lungo la pelle. Lo sperma di Leonardo si mischiava ai miei umori, al sudore, all’acqua della doccia. E nonostante tutto… mi sentivo ancora vuota. Come se la parte più calda, più vera, me l’avesse solo promessa.

Mi appoggiò delicatamente alla parete. I piedi nudi trovarono il pavimento. Ma il corpo non si reggeva. Le cosce tremavano. Le ginocchia cedettero. Le braccia mi scivolarono lungo i fianchi.

Lui mi tenne. Con una sola mano.

Mi fissò. Mi prese il mento con due dita, ruvide, forti. Quelle stesse dita che pochi minuti prima mi avevano aperta, mi avevano fatto godere, mi avevano riempita. La sua pelle odorava di me.

– Mi chiamo Leonardo.

La voce era bassa. Calda. Fisica. Mi entrò nel petto più delle sue dita.

Lo guardai. Il cuore scoppiava. Le guance bruciavano. Sentivo lo sperma tirare sulla pancia, sulla striscia sottile di peli, tra le labbra intime. Mi pizzicava. Ma… mi piaceva.

––Elisabetta.

La voce mi uscì quasi tremante. Come se dicendo il mio nome stessi dicendo sì.

Lui annuì appena. Poi si chinò, raccolse il telefono da una sacca posata a terra. Lo sbloccò. Me lo porse. Gli diedi il mio numero, le dita ancora umide, appiccicose. Le gocce bianche sulle cosce mi facevano stringere involontariamente le gambe.

Quando riprese il telefono, parlò ancora.

– Ti scrivo io.

Si voltò. Calmo. Come se nulla fosse successo. Ma lo era successo. Eccome. E io… lo sentivo ovunque. Sul ventre. Sulle cosce. Dentro il petto. Tra le gambe.

Fece due passi. Poi si fermò. Non si voltò. Ma parlò.

– Sei mia, da adesso.

E sparì.

Rimasi sola.

Nuda. Con la pelle calda. Le labbra intime ancora aperte. Il clitoride gonfio. Le ginocchia segnate dalla fatica. Il ventre disegnato dai suoi fiotti.

Abbassai lo sguardo.

Lo sperma era lì. Denso. Lucido. Sul ventre, tra la piega del pube. Una goccia ancora pulsava tra le grandi labbra. Il suo odore mi invase le narici. Forte. Virile. Animale. Mescolato al mio.

Mi passai lentamente due dita sul ventre. Ne raccolsi un filo. Lo guardai. Colava lento. Tirava. Bagnava le punte. Infilai le dita tra le labbra.

Leccai.

Curiosità. Istinto. Istintiva. Inconfessabile.

Il sapore era strano. Salato. Viscoso. Ma… vero. Vivo.

Mi piacque. Non perché fosse buono. Ma perché… era lui.

Mi chinai. Lasciai che un’altra goccia colasse tra le pieghe del sesso. La sentii penetrare piano. Senza forza. Solo peso.

Mi accarezzai il basso ventre. Respirai. Piano.

Il corpo era ancora suo. E non volevo riprenderlo.

Rimasi lì. Aperta. Macchiata. Segnata.

Appartenuta.
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2025-04-09
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