I capezzoli dicevano tutto di me (2)

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prime esperienze

AVVERTENZA - PER UNA PIENA COMPRENSIONE BISOGNA AVER LETTO LA PRIMA PARTE - E PER SEGUIRE NELLA TERZA PARTE BISOGNA AVER LETTO QUESTA SECONDA PARTE

Qualche settimana dopo volle assolutamente che gli facessi conoscere la mia camera, fu quasi inquietante perché apertamente romantico ("Così immagino dove sei quando non siamo insieme") e insistette perché questa conoscenza avvenisse una mattina che avevamo scioperato, così casa mia sarebbe stata assolutamente vuota, come lo era stata la sua quel famoso pomeriggio. Non appena fummo dentro, senza dire niente, mi si mise di dietro e si incollò a me, stringendomi con entrambe le braccia: con una mano corse a tastarmi il pube, con l'altra a palpeggiarmi le tette. Nemmeno a dirlo, i capezzoli mi si erano inturgiditi già appena mi aveva fatto la proposta (dentro di me ero certo che sarebbe finita come poi effettivamente finì), lungo la strada mi si erano sfregati quasi in maniera dolorosa contro la maglietta, in ascensore erano diventati due ciliegie appuntite che, al contatto con le sue mani, parvero quasi voler esplodere, scoppiargli tra le dita.
Ma la cosa più incredibile la sentii dietro di me, precisamente al centro del fondoschiena: era durissimo già prima di cominciare. E a proposito di ricominciare, provai in effetti a fare la femminuccia timida e restia a fare, anzi ripetere certe cose troppo sconce.
"Giovanni - dissi tentando invano di staccarmi dalla sua presa decisa - per favore, non ricominciamo...".
Lo sentii sorridere alle mie spalle.
"Sei proprio una ragazzina - rispose allontanandomi da sé quanto bastava per farmi girare verso di lui - e anche un tantino mignotta. Ecco perché non mi fa impressione fare certe cose con te".
Abbassai istintivamente gli occhi: ero consapevole che il nostro rapporto era in sé strano, quasi innaturale, ma io gli stavo mostrando il mio aspetto esclusivamente femminile, i capelli sempre lunghi, gli occhiali (per me odiosi) e però un visetto quadrato ma quasi angelico. Era come se da quel pomeriggio della nostra prima pomiciata fosse cambiato qualcosa dentro di me, persino le mie forme più che evidenti non mi pesavano più, anzi la consapevolezza di avere culo rotondo e seno piccolo, ma sodo e consistente mi regalava un senso di appagamento, quasi quanto le mani con cui lui continuava a toccarmi dappertutto, soprattutto minne e sedere, mi facevano stare bene, mi davano quella che si chiama - lo capii grazie a lui - sensazione di benessere, di star bene, in una parola sola il piacere.
"Cosa dovrebbe farti impressione, scusa?", chiesi comunque un tantino risentito.
Tornò a sorridere, quando lo faceva a distanza ravvicinata era proprio bono.
"Questo", sussurrò incollando le labbra alle mie: istintivamente aprii lievemente la bocca, chiusi gli occhi e lasciai che la sua lingua facesse quel che voleva della mia, succhiandola e lambendomi labbra e guance. Avvertii un tuffo al cuore: mi si era drizzato l'uccellino. Sentii il suo ancora più duro, che picchiava stridendo contro il mio. Baciarlo di nuovo non mi sembrò affatto innaturale e buttandogli le braccia al collo appiccicai i miei seni generosi, per età e sesso, al suo torace muscoloso, continuando a slinguettare con lui per un tempo che mi sembrò finito. Niente da dire: ero innamorato perso, meglio dire innamorata persa perché con lui mi sentivo assolutamente etero.
"Dai, fammi vedere la tua camera". Ce lo portai tenendolo per mano, era piccola ed essenziale, la più grande toccava alle mie sorelle. Avevo alle pareti poster di John Lennon, del Guerin sportivo, di Che Guevara ma anche di Turbo, giornaletto piuttosto equivoco. Un armadio occupava tutta una parete, la scrivania stava sotto la finestra. Lui andò ad abbassare un poco la serranda: la semioscurità poteva essere un'ottima complice. Un tappeto morbido e peloso univa il tavolo al letto, che era a una piazza e mezza.
"Staremo comodi", commentò spingendomi in avanti. Precipitai a faccia in giù, mi ritrovai quasi alla pecorina, lui subito appiccicato dietro.
"No, dai, fermiamoci per favore".
Lo sentii ridere ancora, in un nulla mi sfilò la maglietta, mi lasciò di nuovo seminuda, poi si spogliò anche lui, mi fece mettere supina e mi si buttò addosso. Avvertii l'umido della sua lingua su un capezzolo, me lo circondò avvolgendolo e succhiandolo. Provai una sensazione di tuffo al cuore come se dovessi svenire da un momento all'altro.
"Ti piace il mio seno?", gli chiesi sottovoce, tenendogli la testa pressata su una minna.
"Da morire", sospirò lui e mi ciucciò per una buona manciata di minuti, non riuscivo a reagire, a muovere un muscolo. Solo uno cresceva ancora per durezza, senza che io lo volessi, fra le mie cosce: lui lo tastò, di nuovo un sorriso compiaciuto gli si disegnò sul viso da Gianburrasca.
"Si direbbe che il servizio ti stia piacendo" e mentre finiva di dirlo lasciò rovinare per terra le orribili e puzzolenti scarpe da ginnastica, si slacciò la cintura e me lo ritrovai in un istante solo con calze bianche e mutande rosse, gonfio a dismisura all'altezza del pube per via dell'eccitazione.
"Cazzo!", mi scappò di dire e in due secondi scippò le scarpe anche a me, cercò di strapparmi pure i jeans ma opposi resistenza e nella lotta furiosa che ne seguì mi ritrovai il suo arnese sotto il naso.
Fu un istante, non so dire esattamente come andò, se gli misi le mani addosso io o se fu lui ad attirarmi verso di sé, se fui io o lui a scostare l'elastico delle mutande, sta di fatto che mi ritrovai tra bocca e naso con quel coso odoroso, grosso e innervato, nudo, duro ma curvato verso il basso, ancora incappucciato, non riuscii a non aprire le labbra e subito mi ritrovai dentro un palo lungo e salato, lo spinse con foga e glielo presi tutto in bocca, mi toccò le tonsille e mi strappò un mezzo conato, lo estrasse subito e mi accarezzò la testa. Il movimento brusco e violento mi aveva fatto spuntare le lacrime.
"E' il primo che fai?", sussurrò comprensivo.
Lo guardai dal basso in alto ma con aria assassina.
"Per chi mi hai preso? Per uno che fa pompini al primo che passa? - reagii di brutto, mi aveva fatto incazzare. Decisi di stenderlo metaforicamente, finalmente volevo prevalere io nella lotta, non usando le mani ma le parole -. Io ti amo, coglione, come fai a non capirlo?".
Rimase interdetto, non se lo aspettava. Mi carezzò una guancia, trovò le lacrime, forse ora piangevo pure di delusione e di rabbia.
"Va bene, amore. Adesso impara a fare i pompini e succhiamelo".
Rimase in piedi, mi accarezzò la testa, mi passò una mano tra i capelli, sentii le sue dita sulla cute del capo. Non sapevo che fare, gli dissi solo una parola.
"Porco".
Era probabilmente quello che aspettava per dare il via alle danze: se lo prese in mano, mi prese una mano e me la portò sulla sua asta, mi guidò nel movimento e in un paio di avanti e indietro, lentamente, si scappucciò scoprendo un prepuzio violaceo, grosso, col buchetto grande.
"Dai, non essere timida", disse con tono suadente e me lo appoggiò alle labbra. Tirai fuori una puntina di lingua, non riuscivo sinceramente a lasciarmi andare, mi sembrava (ed era) il punto di non ritorno, nella confusione ormonale di quel tempo lo trovavo ancora "una cosa che non si fa". Lui, vedendo la lingua un po' fuori dalla bocca, spinse il pisello contro di me, facendomi assaporare, per la prima volta senza traumi, il sapore di maschio: pipì, sale, sporco, sperma. Soprattutto sapeva molto di sperma.
"Ma... ti sei segato stamattina?".
Vidi il suo sguardo che, dall'alto, si faceva sornione, divertito.
"E certo: non faccio che tirarmi seghe, dall'altro giorno, pensando a te".
Furono le parole che mi sciolsero definitivamente.
"Cazzo, anch'io... - e mi tuffai sul suo uccello - ma io non dall'altro giorno, da sempre, mi masturbo pensando a te".
La sua cappella grossa, durissima, mi penetrò sbattendo sul palato, diventò padrona della mia bocca spalancata, mi schizzò le goccioline saporite della pre-eiaculazione, non sapevo come fare ma imparai velocemente, lo tirai fuori, leccai il prepuzio e di nuovo me lo infilai, andò dritto, ma più lentamente, fino in gola, lo scostai rapidamente ma tenendolo dentro di me come se avessi una fica, le grandi e piccole labbra anziché le labbra vere e proprie. Intanto lo menavo, avanti e indietro, su e giù, sentivo dai suoi mugolii che gli stava piacendo, mi sentii per la prima volta padrona e lui sottomesso.
"Sei brava, una gran porca".
I complimenti e gli insulti mi gasavano, accelerai il movimento e contemporaneamente il lavoro di bocca, istintivamente gli presi i coglioni in mano, iniziai a mungerli, li strizzai un po'.
"Aaaah! - gli scappò un gridolino - ma sei veramente una gran troia" e accelerò anche lui il movimento del bacino, andava avanti e indietro dentro di me, tenendomi la testa con entrambe le mani e d'un tratto lo sentii aumentare i decibel, "troia, troia, puttana..." e iniziò a vomitare qualcosa di caldo, caldissimo, a fiotti, dentro la mia bocca, sapeva di latte di mandorla appena munto, ma il latte di mandorla non si munge, esce solo da cazzi meravigliosi come il suo, "vengo amore, vengo, vengo", continuava a dire schiacciandomi la testa sul suo palo, in modo che non pensassi nemmeno di togliermelo dalla bocca, la situazione mi stava facendo perdere la testa, sentii anche io una pressione salirmi dal pube, stavo venendo anche io, mugolai qualcosa sempre col suo cazzo in bocca, mentre lui urlava al punto che pensai che sarebbero corsi i vicini e d'un tratto si spense, rallentò i movimenti fino a fermarsi. Avevo l'inguine allagato, mutandine e pantaloni per la seconda volta insozzati ma soprattutto la bocca piena del suo seme, in parte lo avevo ingoiato, in parte lo avevo trattenuto non sapendo che fare. Lui estrasse il pisello, se lo prese in mano, ancora duro, scappucciato, gocciolante. Alcune goccioline precipitarono, bianche e tiepide, su un mio capezzolo appuntito, grosso, enorme. Sentii il suo sguardo su di me, compiaciuto, appassionato, estatico ma anche severo.
"Sei una vacca".
di
scritto il
2023-11-24
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