Dove ho trovato questo coraggio?
di
Evablu
genere
gay
"Sto venendo...".
La sua voce è ansante, flebile, un mugolio di piacere misto a sofferenza. E' un qualcosa di normale, naturale, in quello che stiamo facendo, ma mi spiazza lo stesso. Mi accosto ancora di più a lui, sussurro, quasi: "Smetto?". La risposta è uno sguardo muto, severo, un sopracciglio che si inarca interrogativo, come per dire ma che cazzo stai dicendo?
"Rallenta", mi consiglia. Riduco il ritmo, la mia mano che fa scivolare su e giù il suo cazzone frena, indugia, lui inspira, si rilassa.
"Così va bene?", chiedo piano. Annuisce, disteso accanto a me, prende fiato; nel suo letto a una piazza e mezza, entrambi distesi su due cuscinoni che ci fanno stare mezzi coricati e mezzi seduti, riesco a percepire ogni suo minimo movimento. Come ci siamo finiti, su quel letto, in un caldo pomeriggio d'estate in cui dovevamo finire il programma di latino per preparare la maturità ormai imminente, non saprei. Più ancora non so come il suo uccello sia finito, nudo, nella mia mano destra, che da qualche minuto lo sta menando in maniera quasi professionale, ritmica e lenta, senza farlo eiaculare subito. Ora però forse è arrivato il momento ma né io né lui vogliamo che avvenga così presto, sinceramente non so dove io abbia trovato il coraggio di infilare la mano sotto l'elastico dei suoi pantaloncini, prima, e poi - dopo qualche bollente carezza al profilo rigido del suo sesso, ancora intrappolato nelle mutandine - anche sotto l'elastico degli slip, fino a impugnare la sua carne viva, soda, pulsante, a tenerla tra il palmo e le dita.
Non abbiamo parlato, in quei momenti, non parliamo mai quando succede: nessun commento nemmeno dopo, non è imbarazzo ma rispetto, protezione di un fatto che rimane tra di noi, chiuso, circoscritto, più di un segreto: è qualcosa di nostro, di vero, autentico e di valore, che ci appartiene ed è originale, creato da me e da lui. Gliel'ho impugnato e ho cominciato a farlo, così come lui, in uno dei caldi pomeriggi che avevano preceduto quello, più intenso, che stavamo vivendo, mi aveva preso l'uccellino, senza spogliarmi e, indovinatone il profilo sotto jeans e mutandine, aveva cominciato a farmi, finché non ero venuto, sporcandomi tutto di un liquido caldo, denso, intenso come il sentimento che io provavo per lui. E che probabilmente, anzi di certo, lui ricambiava. Solo che non ne parlavamo.
Quel pomeriggio eravamo stanchi e accaldati, eravamo soli a casa, erano le tre e lui aveva proposto di stenderci sul suo letto, si era tolto la maglietta, fa caldo, aveva mormorato e così anch'io me l'ero tolta, scoprendo le mie forme morbide che tanto attizzavano i miei coetanei, visto che eravamo una classe solo maschile e che il mio visetto efebico e i capelli lunghi mi rendevano in tutto simile a una ragazza. Lui aveva cominciato a pizzicarmi i capezzoli, poi i seni tondi e sodi e il sedere grosso come quello delle femmine vere, infine mi aveva messo una mano tra le cosce e mi aveva trovato sensibile alle sue carezze, ma poi, improvvisamente spazientito dal mio rimanere immobile, mi aveva rudemente preso un polso e mi aveva guidato la mano sul suo coso, il doppio del mio, come dimensioni.
Una volta in ballo avevo cominciato a ballare, lo avevo accarezzato con voluttà, avevo sbirciato il suo viso e lo avevo trovato con gli occhi chiusi, rilassato, compiaciuto e a quel punto non avevo resistito, era stato un attimo, la manina si era insinuata agile e lesta sotto gli indumenti, il tocco della sua pelle, del suo pelo mi aveva fatto balzare il cuore in gola, tachicardia a trecento battiti, poi lo avevo preso in mano, lo avevo sentito rispondere, stagliarsi elastico e duro, senza dire niente ma come se se lo aspettasse, aveva fatto scivolare giù pantaloncini e slip, era rimasto nudo e io avevo iniziato a masturbarlo con ritmo, con dolcezza, con sottomessa dedizione, facendo attenzione alle sue reazioni, con la mano libera gli avevo accarezzato i coglioni grossi, ruvidi e pelosi, con la mano che gli teneva il cazzo avevo tirato giù la pelle, scoprendogli prima il prepuzio e poi il glande.
In quei momenti capii di amarlo, amarlo alla follia: avevo gettato via la maschera, ora ero nuda, sì, NUDA di fronte a lui, volevo solo che lui godesse del mio amore. E in effetti quel momento stava arrivando.
"Vengo...", torna infatti a dire ansimando. "Accelera... un poco".
"Sì", dico compiaciuto o compiaciuta, mi è sempre piaciuto parlare di me al femminile. Accelero ma mi sta venendo un altro desiderio che sento irrefrenabile, gli guardo il cazzo e vedo la sua cappella che si copre e si scopre, menata dalla mia manina sottile e delicata, gli guardo il cazzo e me ne sento irresistibilmente attratta.
"Amore... sto venendo... adesso sì...".
Non so come ma mi tuffo, mi ritrovo con il suo glande che si fa strada tra le mie labbra spalancate, l'asta del suo cazzo che affonda nella mia bocca proprio mentre il primo potente schizzo caldo fuoriesce dalla punta del suo membro, un gemito accompagna il suo godimento esagerato, una quantità enorme di sperma che si riversa nella mia gola, la succhio mentre lui, che ha capito tutto, mi ha preso la testa e me la sta schiacciando sul suo uccellone, me lo sento pulsare in gola, vomita seme su seme, mi allaga e io lo mando giù, gode nella mia bocca, lo sento ululare e meno male che siamo soli a casa. Continua a venire per trenta secondi, un minuto, non so dirlo, e anche dopo che ha esaurito la spinta mi tiene per i capelli, me li accarezza, ma vuole ammosciarsi nella mia bocca, anche se gli resta duro ancora a lungo. Io, senza riuscire a gemere, a emettere mugolii, sono venuta di nuovo nelle mutandine: succhiargli il cazzo mentre stava venendo mi ha intrigato troppo e mi eccita paurosamente anche tenerlo in bocca e sentire ancora il sapore del suo piacere, il latte di mandorla caldo appena munto, munto dalla mia lingua e dalle mie labbra di pompinara professionista, anche se sono proprio all'inizio della carriera, è la prima volta che faccio un pompino e volevo con forza farlo proprio a lui.
Quando allenta la presa mi stacco da lui, mi risollevo e anch'io mi stendo sul cuscino accanto a lui.
Ho una chiazza larga, calda e umida sui pantaloncini, all'altezza del pube, sono senza fiato per averglielo tenuto in bocca, lui è sfiatato per l'eiaculazione abbondante. Del suo sperma che mi è rimasto in bocca non so che fare, non voglio alzarmi dal letto e correre in bagno, mi va di restare accanto a lui in questi momenti. Ingoio anche questo. Lo fisso, lui si gira verso di me, vorrebbe dirmi qualcosa, lo so già, finocchio, frocio, troia, puttanella, ma non parla. Mi stendo sul doppio cuscino, gli guardo il cazzo che s'è ammosciato ma è sempre imponente, sembra un mezzo serpente poggiato sul ventre piatto e che gli arriva quasi all'ombelico, è del tutto scappucciato, si è denudato dentro la mia bocca, qualche goccino di sperma lo deposita ancora sulla sua carne.
Lui non me lo dice ma io mi sento molto puttana e anche orgogliosa di quel che ho fatto, ma soprattutto mi sento innamorata persa. Non so come reagirà, cosa farà, se dirà qualcosa. Non si ricompone, resta nudo, questa è intimità vera. Chiudo gli occhi e mi lascio andare, mi rilasso, ho le braccia distese lungo il corpo, forse cado addormentata ma dura pochissimo, sento la sua mano che mi cerca, mi sfiora, mi prende un seno - è grosso, mi sta bene la prima, forse la seconda misura - mi palpeggia e subito mi si drizzano i capezzoli, tutti e due, lui li accarezza, li pizzica di nuovo, poi li lascia, la sua mano scende, percorre il braccio più vicino a lui, trova la mia mano, la tocca, la prende, la stringe, le sue dita si intrecciano alle mie e restiamo lì, muti e distesi fissando il soffitto, sognando come due innamorati veri.
La sua voce è ansante, flebile, un mugolio di piacere misto a sofferenza. E' un qualcosa di normale, naturale, in quello che stiamo facendo, ma mi spiazza lo stesso. Mi accosto ancora di più a lui, sussurro, quasi: "Smetto?". La risposta è uno sguardo muto, severo, un sopracciglio che si inarca interrogativo, come per dire ma che cazzo stai dicendo?
"Rallenta", mi consiglia. Riduco il ritmo, la mia mano che fa scivolare su e giù il suo cazzone frena, indugia, lui inspira, si rilassa.
"Così va bene?", chiedo piano. Annuisce, disteso accanto a me, prende fiato; nel suo letto a una piazza e mezza, entrambi distesi su due cuscinoni che ci fanno stare mezzi coricati e mezzi seduti, riesco a percepire ogni suo minimo movimento. Come ci siamo finiti, su quel letto, in un caldo pomeriggio d'estate in cui dovevamo finire il programma di latino per preparare la maturità ormai imminente, non saprei. Più ancora non so come il suo uccello sia finito, nudo, nella mia mano destra, che da qualche minuto lo sta menando in maniera quasi professionale, ritmica e lenta, senza farlo eiaculare subito. Ora però forse è arrivato il momento ma né io né lui vogliamo che avvenga così presto, sinceramente non so dove io abbia trovato il coraggio di infilare la mano sotto l'elastico dei suoi pantaloncini, prima, e poi - dopo qualche bollente carezza al profilo rigido del suo sesso, ancora intrappolato nelle mutandine - anche sotto l'elastico degli slip, fino a impugnare la sua carne viva, soda, pulsante, a tenerla tra il palmo e le dita.
Non abbiamo parlato, in quei momenti, non parliamo mai quando succede: nessun commento nemmeno dopo, non è imbarazzo ma rispetto, protezione di un fatto che rimane tra di noi, chiuso, circoscritto, più di un segreto: è qualcosa di nostro, di vero, autentico e di valore, che ci appartiene ed è originale, creato da me e da lui. Gliel'ho impugnato e ho cominciato a farlo, così come lui, in uno dei caldi pomeriggi che avevano preceduto quello, più intenso, che stavamo vivendo, mi aveva preso l'uccellino, senza spogliarmi e, indovinatone il profilo sotto jeans e mutandine, aveva cominciato a farmi, finché non ero venuto, sporcandomi tutto di un liquido caldo, denso, intenso come il sentimento che io provavo per lui. E che probabilmente, anzi di certo, lui ricambiava. Solo che non ne parlavamo.
Quel pomeriggio eravamo stanchi e accaldati, eravamo soli a casa, erano le tre e lui aveva proposto di stenderci sul suo letto, si era tolto la maglietta, fa caldo, aveva mormorato e così anch'io me l'ero tolta, scoprendo le mie forme morbide che tanto attizzavano i miei coetanei, visto che eravamo una classe solo maschile e che il mio visetto efebico e i capelli lunghi mi rendevano in tutto simile a una ragazza. Lui aveva cominciato a pizzicarmi i capezzoli, poi i seni tondi e sodi e il sedere grosso come quello delle femmine vere, infine mi aveva messo una mano tra le cosce e mi aveva trovato sensibile alle sue carezze, ma poi, improvvisamente spazientito dal mio rimanere immobile, mi aveva rudemente preso un polso e mi aveva guidato la mano sul suo coso, il doppio del mio, come dimensioni.
Una volta in ballo avevo cominciato a ballare, lo avevo accarezzato con voluttà, avevo sbirciato il suo viso e lo avevo trovato con gli occhi chiusi, rilassato, compiaciuto e a quel punto non avevo resistito, era stato un attimo, la manina si era insinuata agile e lesta sotto gli indumenti, il tocco della sua pelle, del suo pelo mi aveva fatto balzare il cuore in gola, tachicardia a trecento battiti, poi lo avevo preso in mano, lo avevo sentito rispondere, stagliarsi elastico e duro, senza dire niente ma come se se lo aspettasse, aveva fatto scivolare giù pantaloncini e slip, era rimasto nudo e io avevo iniziato a masturbarlo con ritmo, con dolcezza, con sottomessa dedizione, facendo attenzione alle sue reazioni, con la mano libera gli avevo accarezzato i coglioni grossi, ruvidi e pelosi, con la mano che gli teneva il cazzo avevo tirato giù la pelle, scoprendogli prima il prepuzio e poi il glande.
In quei momenti capii di amarlo, amarlo alla follia: avevo gettato via la maschera, ora ero nuda, sì, NUDA di fronte a lui, volevo solo che lui godesse del mio amore. E in effetti quel momento stava arrivando.
"Vengo...", torna infatti a dire ansimando. "Accelera... un poco".
"Sì", dico compiaciuto o compiaciuta, mi è sempre piaciuto parlare di me al femminile. Accelero ma mi sta venendo un altro desiderio che sento irrefrenabile, gli guardo il cazzo e vedo la sua cappella che si copre e si scopre, menata dalla mia manina sottile e delicata, gli guardo il cazzo e me ne sento irresistibilmente attratta.
"Amore... sto venendo... adesso sì...".
Non so come ma mi tuffo, mi ritrovo con il suo glande che si fa strada tra le mie labbra spalancate, l'asta del suo cazzo che affonda nella mia bocca proprio mentre il primo potente schizzo caldo fuoriesce dalla punta del suo membro, un gemito accompagna il suo godimento esagerato, una quantità enorme di sperma che si riversa nella mia gola, la succhio mentre lui, che ha capito tutto, mi ha preso la testa e me la sta schiacciando sul suo uccellone, me lo sento pulsare in gola, vomita seme su seme, mi allaga e io lo mando giù, gode nella mia bocca, lo sento ululare e meno male che siamo soli a casa. Continua a venire per trenta secondi, un minuto, non so dirlo, e anche dopo che ha esaurito la spinta mi tiene per i capelli, me li accarezza, ma vuole ammosciarsi nella mia bocca, anche se gli resta duro ancora a lungo. Io, senza riuscire a gemere, a emettere mugolii, sono venuta di nuovo nelle mutandine: succhiargli il cazzo mentre stava venendo mi ha intrigato troppo e mi eccita paurosamente anche tenerlo in bocca e sentire ancora il sapore del suo piacere, il latte di mandorla caldo appena munto, munto dalla mia lingua e dalle mie labbra di pompinara professionista, anche se sono proprio all'inizio della carriera, è la prima volta che faccio un pompino e volevo con forza farlo proprio a lui.
Quando allenta la presa mi stacco da lui, mi risollevo e anch'io mi stendo sul cuscino accanto a lui.
Ho una chiazza larga, calda e umida sui pantaloncini, all'altezza del pube, sono senza fiato per averglielo tenuto in bocca, lui è sfiatato per l'eiaculazione abbondante. Del suo sperma che mi è rimasto in bocca non so che fare, non voglio alzarmi dal letto e correre in bagno, mi va di restare accanto a lui in questi momenti. Ingoio anche questo. Lo fisso, lui si gira verso di me, vorrebbe dirmi qualcosa, lo so già, finocchio, frocio, troia, puttanella, ma non parla. Mi stendo sul doppio cuscino, gli guardo il cazzo che s'è ammosciato ma è sempre imponente, sembra un mezzo serpente poggiato sul ventre piatto e che gli arriva quasi all'ombelico, è del tutto scappucciato, si è denudato dentro la mia bocca, qualche goccino di sperma lo deposita ancora sulla sua carne.
Lui non me lo dice ma io mi sento molto puttana e anche orgogliosa di quel che ho fatto, ma soprattutto mi sento innamorata persa. Non so come reagirà, cosa farà, se dirà qualcosa. Non si ricompone, resta nudo, questa è intimità vera. Chiudo gli occhi e mi lascio andare, mi rilasso, ho le braccia distese lungo il corpo, forse cado addormentata ma dura pochissimo, sento la sua mano che mi cerca, mi sfiora, mi prende un seno - è grosso, mi sta bene la prima, forse la seconda misura - mi palpeggia e subito mi si drizzano i capezzoli, tutti e due, lui li accarezza, li pizzica di nuovo, poi li lascia, la sua mano scende, percorre il braccio più vicino a lui, trova la mia mano, la tocca, la prende, la stringe, le sue dita si intrecciano alle mie e restiamo lì, muti e distesi fissando il soffitto, sognando come due innamorati veri.
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