Nietzche e Francesco Nuti

di
genere
sentimentali

Sotto potrebbe starci un esercizio per basso elettrico. Papà mi ha proposto qualcosa degli Stooges: troppo secchi, meglio i Prozac. C’è la linea melodica inferiore di AcidoAcida che mi bussa dentro tutte le volte che finiamo distesi su un letto.
Invece ci sono solo le parole di Anna. Anzi, la Manfredotti ed è già tanto chiamarla per cognome. Ad essere sbrigativi, quella di storia&filosofia per quasi tutti o la maiala-con-la-merda-intorno dopo l’interrogazione quando tutto il cosmo –tu per primo, sa che sei una capra.
E’ bastato un attimo per intendere chi fosse, l’appello del primo giorno. In ordine alfabetico l’elenco studenti inizia dal sottoscritto e mi è stato chiesto chi fossi, di presentarmi, insomma. Ho pensato cosa dire e che in fondo mica eravamo da Amadeus: “Annunziata Pietro, presente”, devo avere farfugliato.
“E il nostro presidente della Repubblica, come si chiama?” è stata la richiesta seguente.
“Questa la so, Sergio Mattarella”.
“E mi spieghi, Annunziata, perché lui usa prima il nome e poi il cognome e tu no?”.
Nient’altro, nessuna cazziata, nessun urlo-di-munch, nessun dramma. Con lei è così: butti un sasso in uno stagno, si fa il buco tra la ranina e poi si richiude.
“Nietzche parla della morte di Dio e, così, per intendersi, non è questione di andare al cimitero e vedere se la foto sulla lapide è la sua o quella di un sosia”. Fa una pausa e magari qualcosa passa dentro le teste disabitate della V°C, anche solo per osmosi. “Queste sono le dispute che fanno i credenti e i non credenti. La domanda è chi c’ha dato la spugna per cancellarlo ed ora che la lavagna è vuota ognuno può scrivere la sua di filastrocche?”.
Da dietro l’obiettivo inquadra una quindicina di schiene ed i relativi gomiti appoggiati sui banchi. Svariati tatuaggi germogliano su spalle e bicipiti. Ci sono pure i miei e qui a destra anche Isabella con i suoi lobi traforati all’eccesso. Solo Filippo sta a braccia conserte, la testa gli pende di lato.
Lo zoom si apre e c’è Anna, di fronte. L’avete mai vista una profia, molto profia, che si siede sulla cattedra a gambe accavallate? Ha due kg di libro sulle ginocchia e spiega un tale dal nome molto facile da dire e molto difficile da scrivere. Il libro è lì tipo lo spartito per Von Karajan, sta lì, sì ma non lo apre mai. Gli basta la voce e pare uscita da un film di Almodovar. Le cosce sbucano dalla gonna e sono piene ma l’occhio lì non ci casca. E neanche sul resto della figura, credo.
Donato dice che gli starebbe bene un metro di minchia bella dura, così la farebbe finita con quelle idiozie su chittemuort, che lei lì deve averci una fissa di quelle brutte e la medicina è sempre e solo quella.
Sulle manie credo abbia ragione e di storto di sicuro non ha solo le gambe. Chissà, invece, se sapesse che il metro di minchia di cui ha urgenza la Manfredotti è il mio: cascherebbe a terra esanime o resisterebbe al crash?
Meglio stare acquattati, vivere clandestini. Va a finire che m’infamano, che sono strano anch’io che vado con una strana. Anzi, con una vecchia e strana che nell’intervallo legge libri da sola. E poi c’è Isabella, la fida: non le ho ancora rotto l’imene ma, così, le spaccherei il cuore.
La verità è che Anna è una cosa bella ed io non so come si fa con le cose belle.
Da davanti, invece, l’obiettivo riprende la stessa quindicina, i volti, stavolta. Marilena sopra un paio di zatteroni e Marzio che disegna caricature sull’Abbagnano. Ci sono anch’io con i miei capelli da indio, tanto naso e poca carne e a sinistra adesso Isabella che prende appunti. Spesso si gira e mi sorride.
Quindicina più docente: una gonna nera appoggiata sulla cattedra, camicetta bianca ed altre parole: “Chi me la racconta la sua di filastrocche, ci aiuta Nietzsche a musicarla. Qualcuno crede ancora ai supereroi?”.
“Io e Marco siamo andati al Pride, c’entra qualcosa, prof, che dice?” propone il Berni, detto Draculo, con un certo gusto per la sillabazione fatta a modo: dra-cu-lo.
“Bravo, Berni, questo è il punto: il nostro Federico Guglielmo è questo che ci racconta che non c’è più nulla di stabile, niente a cui appoggiarsi. Le foto con i maschietti in blu e le femminucce in rosa, quelle robe lì, insomma. Ragionateci sopra, dice Zaia”.
“Dicono che era nazi, è vero?”, qualcuno sibila da dietro ma sono già le 13.00.

Sono le 14.00 e ora ci sono io dietro ad Anna. Come ci sono finito? Potrei dire che sono Marlon Brando a Parigi e che il caso c’ha messo sulla medesima strada o anche il contrario, se volete. In realtà un compleanno di classe allargato, uno svuotino che gira, sciocchi che ridono beati e qualcuno che si bacia.
E’ successo a me. Io lucido e pivello, lei fatta e svelta.
Fino a quindici giorni fa ero vergine. Fino ad un’ora fa Isabella voleva sapere che aveva da dirmi la Manfredotti. Eravamo lì davanti al portone, uno scalino e un tacco più alto di lei. Agitava le mani, la profia come parlasse con un sordomuto.
Adesso è qua davanti a me e mugola da dieci minuti. Non gesticola più, ce li ha appoggiati sul materasso, i gomiti ed anche le ginocchia. Fanno da puntello e intanto ondeggia sotto i miei colpi di cazzo. Rantola cupa, è stonata, nasale ed è l’ultima nota del gemito quella che mi spacca. Si sente solo in quell’istante che sono andato giù bello profondo. Fin lì non c’ero ancora stato.
Dopo piange, lo fa spesso. La prima volta mi sono spaventato, non le so gestire le lacrime. Adesso lascio fare: scarica qualcosa, un errore di sistema, chissà un pentamino difettato del Tetris e poi ritrova il suo decoro.
All’uscita dal bagno butto l’occhio in camera. Ai piedi del letto sono rimasti un paio di mutande della Billabong e un perizoma blu, così com’è arricciato fa impressione da tanto è mini. Già solo a vederlo mi si torce qualcosa dentro.
Non è aria, però. Anna e il suo contegno asburgico li trovo già ricomposti dentro un maglioncino grigio a collo alto. Sono sulla via del congedo, basta un bacio sul dorso della mano: “Ciao, caro. A presto” e non c’è diritto di replica.
La logica del gioco è questa. Mi deve bastare così. Altro non è previsto.
“Ciao, Anna” e dire il nome è una piccola vittoria, tipo la prima volta che a sei anni ho attraversato via Padova da solo.

“Bella, Antonio. Sono Pietro, com’è? .. senti, ci becchiamo a Cimmiano .. che ore sono, adesso .. va bene dopo le cinque? E’ tutt’oggi che mi picchia in testa questo giro di basso”. Glielo solfeggio meglio di Flea e mando tutto in un vocale. Non consegnato, segnala la app. C’è sempre un po’ d’ansia nella singola spunta, il dubbio che sia successo qualcosa di terribile, l’isolamento dal mondo dei vivi. Peggio con Anna. Neanche ce l’ho il suo numero. E’ come la pioggia, ogni tanto viene giù e poi basta.
Sono le 16.30 e al parchetto di via Calabria nessuno s’è ancora fatto vivo. Il tempo passa intanto che dondolo i piedi e seguo la traiettoria delle nuvole. Regolare arriva un treno della metro annunciato dall’altoparlante. Qualcuno si ferma lì dentro la stazione senza motivo apparente. Sta seduto sulla panchina per minuti interi per poi andarsene.
Antonio e la sua aria finto ronciosa arrivano alle 17 spaccate e ripartono per l’ottantunesima volta i discorsi sulla nostra band da mettere su. Ha già scovato il nome: Wonder-Wheel e il logo dall’intro dei Guerrieri-della-Notte e c’è da ammettere che la trovata è di gran classe: sfondo buio e i filamenti fucsia della ruota panoramica.
Il mio riff di basso lo proviamo in una session su due piedi, lì: fuori Jamgle e le note corrono quando s’attacca Antonio a dare un po’ di sostanza sonora con la sua cazzo di Gibson virtuale.
Non ci fila proprio nessuno, solo l’aereo davanti al Maxwell è testimone dell’evento. I 5 alti si sprecano e i sogni di gloria sgorgano facili.
“Mio cugino sono anni che la mena che le ovaie femminili vanno in zona rossa quando sentono che qualcuno vuole fondare un gruppo” butta lì, Antonio in versione azzannatore seriale.
“Tuo cugino ha fatto il liceo insieme a Berlusconi?”.
“Ti diverti a stroncarmi la carriera, vero, nichilista del cazzo? Senti gli applausi del fandom, un mare di fighe che agitano i telefonini e strillano wonder-wheel. Sbavano un selfie e un cuore nella diretta twitch. Greggi di teenagers e anche le relative mommy. Senti che monta” e mima il surfista sull’onda.
Intanto che pizzico qualche nota butto lì la mia proposta di spartizione dell’impero: “Te ti prendi le figlie, io le genitrici, affare fatto, frate?”.
“Che scherzi davvero, la teen c’ha il set culo&tette ancora nuovi ed anche se mi presento su una Clio del 2006 va bene uguale. Anzi, c’ha ancora voglia di spompinarti mentre guidi” e mima il gesto del giving-head.
“99% è una puttanella che lo prende in bocca a tutti”.
“Seeeeeee, la milf è impiegata nel reame della smagliatura in offerta speciale e va a finire che ti stalkerizza dalla gelosia”.
“Basta così, mommy-Pietro e daughter-Antonio, pulito”.
Giro una demo di 30 secondi col pezzo nuovo e Antonio la spara in orbita a tutti i suoi contatti, comprese ex spasimanti e defunti. L’hashtag #ilmondonuovo è un dirigibile verso la stratosfera.
La mando ad Isabella ma ci metto un istante di troppo a pestare invio. Vorrei mandarlo ad Anna ma non so come.

La risposta di Isabella arriva quasi istantanea ed è adorante: “It’s great”. So gestire la complessità, mi ripeto fino ai tornelli della metro ma è solo scenografia. La domanda fissa è cosa mi sta impedendo di invadergli la bocca con la lingua, ad Anna, naturalmente. Isabella in tre mesi di ship forse una volta sono riuscito a toccargli le tette. Anna, in una settimana, è possibile l’abbia già messa incinta tre volte. Ma è certo che non è tutta qua, la questione.
Ding, nuova notifica wapp: è Marilena, quella degli zatteroni e mi gira la foto di Costanza, una deliziosa secondina del Linguistico. Ci deve essere della ruggine inter-loro, il commento è astioso: CiBiCiErre, cresci-bene-che-ripasso. Segue una mitragliata di emoji: clessidra, divieto-di-accesso, margheritina, bebè-in-culla, pulcino-dentro-uovo e in coda il veleno: l’età legale per scopare siamo sicuri ce l’ha?
Ho un principio di sudorazione alle mani quando mi viene in mente che Anna sarà più grande di mamma e ha di certo più del doppio dei miei anni. CiBiCiErre, me lo sento tatuato sul culo e poi un fottio di parole che mi scalciano in testa, tipo: patato, maschietto, novellino, malmaturo, sbarbato, ragazzino, cucciolo, toy-boy, bambolotto e robe così.
Troppo robe nella zucca. Non pensare, Pietro, che non ce l’hai l’equipaggiamento. Ci vorrebbe un mese in Siberia per congelarmi la capoccia.
Piazzo alcuni respiri lunghi, solo dal naso. Fare epochè, proviamola ‘sta giargianata: svuotare la mente, mettere fra parentesi le cose, guardare il mondo dall’alto e via tutto l’armamentario di quei suini degli scettici. Visto, Pietro, che serve a qualcosa la filosofia, dico fra me e me
A Turro sale una morettina con gli occhiali a specchio. Mi si siede di fianco e pompa Annalisa a tutto volume. Ha le cuffiette wireless ma si sente limpido: “Ho visto lei che bacia .. ma chi baci tu”. I miei propositi hanno la consistenza della carta velina.

7.15, da sotto le coperte sto googlando sull’oroscopo per l’ultimo mercoledì di Marzo.
Quello della Gazzetta dello Sport è velenoso ma all’argomento sesso un sorriso lo strappa sempre. Oggi ai pesciolini predice: “ .. un ardor suino bisognoso di più alternative .. ” e la foto della Pennetta, la tennista è lì a certificare di che stiamo parlando.
In un altro momento mi ci sarei usurato le pupille sulla Flavia in risposta al servizio. Probabile avrei postato la foto sulla mia bacheca in attesa di una sventagliata di like di qualche birro di mia conoscenza.
Ma stamani non è che surfo solo per farmi una ghignata gratis. Chissà, attendo un segno dal cielo.
E a proposito di segni darei una letta anche a quello di Anna ma non so quando è nata e non intendo solo il giorno preciso ma anche l’anno. Merda, non so neanche quanti anni abbia la tipa con cui mi capita di fare sesso.
7.50, sono sul vespino e so ancora di dentifricio. Il tragitto per l’Istituto da qualche tempo l’ho allungato con un giringiro su via Assab. Lo so che non c’è mai da fidarsi del percorso breve, della retta fra due punti e di quelle robe lì da geometria di primo anno. Al numero 9 in-alto-in-alto la tapparella del bagno è mezza alzata. E’ casa di Anna e quello è il segnale: oggi via libera.

Come si sa nei rapporti interpersonali la prima impressione è quella che conta. Ecco, nelle coppie vale lo stesso con la prima scopata. E’ funzionato così pure per noi anche se poi manca il resto della coppia. Detto in altre parole non so se ho l’esclusiva, della sua passera e fino a quando.
Fintanto che me la da, però, di fronte a questo dato di fatto il resto conta meno di zero.
L’uscio di maison Manfredotti si chiude e da su un ambiente arioso. C’è uno scaffale che occupa una parete intera, sarà 3 x 1,5 almeno e custodisce libri, saranno millemila, più della Sormani. L’ho fatta la piccola fantasia d’irrompere qua dentro come un matto, prenderla, Anna contro la libreria e far crollare tutta la mercanzia, tipo il terremoto in Emilia con le forme di grana. La prima volta che ho messo piede qua dentro devo aver fatto finta di darci un occhio a quella tonnellata di ragionamenti stampati. In verità ero allippato totale e avrei scavato il tunnel della Metro4 piuttosto che reggere il face-to-face.
Anche adesso c’è un ghiaccio che la voce non riesce subito a rompere: qualche nuvoletta grigia galleggia qua e là. Tempo un attimo e un click scatta, tipo uno scrocchio di nocche e ci si rampa addosso. M’infila i polpastrelli sotto la maglietta e dopo il muso intero e lecca: pelle, sudore, tatuaggi, nei, capezzoli. La taglia M si tende e dallo scollo sbuca la chioma nero ossido di Anna. Alla base c’è una traccia di ricrescita.
Poi s’inizia a fare sul serio. Fossimo sul ring, toccherebbe all’arbitro: seconds out, fight.
Il sottoscritto coricato, Anna a 4 zampe sul letto. Io col cazzo di fuori, Anna a bocca aperta. Questo alle 15.30 circa. Poco dopo, 2 o 3 minuti pressappoco, tempo di un round, insomma, io a cazzo sgonfio e Anna a bocca farcita di sborra. Tossisce ma è roba di un attimo.
L’arbitro suddetto dichiarerebbe Manfredotti vincitrice per knock-out tecnico dopo il conteggio. Pietro resta giù al tappeto, venuto&svenuto e sarebbe riduttivo dire con in faccia l’espressione da bimbo down. Anna gli si stringe alle anche come fosse una naufraga. Singhiozza, tira su col naso e, questa volta, ride. Difficile intendere se a spregio –che cazzone oppure complice –il mio cazzone.
Quando resuscito esibisce un’espressione chiaramente divertita e mi fa: “Sei rosso, Pietro, rosso come le branchie del pesce fresco”.
“Te sei pallida come la spiaggia a Rosignano Solvay”.
Cristo che figa, mi verrebbe da dire ma non lo trovo il termine giusto: donna, non c’ho il fegato di pronunciarla, è roba da coppie fatte e finite; mignotta ci vuole un figlio di puttana e se poi mi sbatte fuori di casa con le Superga in mano; bella va a finire che scappa lei in preda al panico e allora, per oggi, basta lì, Pietro.
Me ne sto zitto e quieto nella mia parte di diciannovenne che non sa bene cosa gli sia cascato addosso.

La ripresa inquadra il ventre di Anna, lì dove c’è il cespuglietto di pelo. Le dita sfiorano l’ombelico e risalgono sino alle tette. Le prende fra i palmi, come fossero pagnottelle da forno.
“Posso farla franca con qualsiasi cosa tranne che con le grinze della pelle. Se chiudo gli occhi riesco ad immaginarmi alla tua età. 19 anni, merda, pelle liscia, tette furbe, perfetta dopo la mia prima scopata”. Ha qualcosa di Giusy Ferreri nella voce, Anna quando tira fuori la vita, un che di granuloso: “Darei qualsiasi cosa per poter perdere la mia verginità ancora una volta. Non è che ho sentito chissà cosa, qui, in mezzo alle gambe, credimi ma c’era l’adrenalina e lo sapevo che era successo qualcosa di straordinario. Qualcosa di terrificante che il cuore mi batteva come una pazza”.
Respira dal naso e guarda il soffitto: “Adesso le mie tette sembrano sode solo quando mi metti a pecora”. Si pianta un dito sul capezzolo: “Dopo traballano come un budino molle”.
D’un tratto alza tono e sopracciglio, come gli fosse spuntata una grande idea: “Senti .. perché non ti scopi le ragazze della tua età?”.
Mi scappa una risata muta. Mi dice che si fa sedurre facile dagli uomini che ridono alle sue battute e allora eccone un’altra, di risate mute.
Agita l’indice: “Verresti in un baleno, Isabella ti farebbe venire un sacco di volte, mica scherzo, sai”.
Prende una ciocca di pelo nero sintetico dal comodino e me l’appiccica sotto il naso: “Sai a chi somigli, adesso? A quel tipo col nome difficile che spiegavo l’altro giorno. Lo sapevi che c’è anche Hello Kitty con i baffoni da Nietzche?”
“Meno male, pensavo a Hitler”
“Hai capito che intendeva? Una cosa, l’altra tanto è tutto uguale, non credi? Poi tiri l’acqua, e tutto se ne va”.
Obietto: “Sì, il Berni compra la vaselina in farmacia senza nessun imbarazzo. Pensavo anche che l’allievo si bomba la docente ma non può pubblicarla dopo una storia su Insta, no?”.
Sospira. Il sospiro è di quelli profondi, in prossimità della resa. “Già” e riprende il monologo: “Lo so che non mi resta tanto tempo, ne ho 51, oramai. Boh, 4 o 5 anni al massimo. Gli studenti tipo te stanno iniziando a trattarmi come una vecchia vacca. Qualcuno una volta disse, e, cazzo, se aveva ragione, che la donna è una passera circondata dal grasso. In termini strettamente filosofici un vuoto con intorno qualcosa di umido”. Quando gli ho raccontato di Antonio che sostiene che le mommy non sono mai un investimento a lungo termine ha fatto una smorfia, una specie di sorriso a metà.
Prima di proseguire mi porta la mano sul ventre, lì dove i peli del sottoscritto iniziano ad arricciarsi e mi carezza le dita: “Questa passera ha visto un sacco di cazzi. Visti e provati. La mia bocca ne ha succhiati un tot ed ho pure ingoiato. Anche il mio culo ha avuto degli spasimanti. Mi hanno leccato da capo a piedi e poi aperta in due. E’ anche accaduto che mi sia innamorata, capito Annunziata?”.
Si batte il polpastrello sul ventre: “Tre figli, anche loro sono usciti da qui. E adesso devo correre, lavorare ed insegnare e voi cinici, spensierati, incuranti .. ” sbatte un po’ le palpebre “adesso sei in cima al mondo, ragazzo mio. Posso sbocchinarti all’infinito e so che poi ce ne sarà ancora”.
Quando s’infila l’avambraccio dietro la testa il seno spunta pieno. Un po’ alla volta spariscono tutti i colori, uno a uno: via il rosa pallido della pelle, poi se ne vanno la stimolazione del rosso e tutte le varianti del giallo. S’è asciugato tutto. Restano solo il nero della pupilla e del profilo, qualche curva, un tratto di matita ed una screziatura scura sotto il ventre e lì dentro, Anna.
Mi bacia e poi si struscia molle: “Non preoccuparti, lo so che ne hai tanta di roba ancora da darmi”.
Ributto la palla di là: “Pensavo d’essere stato un disastro”.
“Stai migliorando”.

A quel punto lì la cosa più facile sarebbe affondare dentro un mare di miele, affogarci proprio, come fosse il triangolo delle Bermude dei saccaridi e crepare di diabete. Oppure sbraitare, dire la mia. Strillare che ci sono anch’io, Pietro Annunziata, attaccato al mio dispenser di sborra.
“Cristo, quante sentenze sputi fuori, Anna: giovani, budini molli, rughe, HelloKitty-coi-baffi, un monte di minchiate hai sparato, come quando appoggi il culo sulla cattedra. Io dico solo che ti scoperei a nastro, va bene? Anzi e segnatelo che la tua fica è il primo posto al mondo dove chiederei asilo politico, altro che la Curva Nord a San Siro”. Naturalmente le parole sono rimaste giù in gola, dentro una nuvoletta da fumetti, quella colle bollicine. Antonio sostiene che non ce l’ho la vocazione del persuasore. E diceva bene quel tale dei Promessi Sposi che s’è studiato qualche anno fa: se uno una cosa non ce l’ha, mica può darsela.
Mi alzo, scappo in bagno e torno a letto con un pettine, è il mio basso personale, i rebbi le corde. Ho visto un tipo in un videoclip che dentro un armadio faceva così: è roba di papà, di decinaia d’anni fa, uno con i capelli da istrice ma m’è piaciuto. Simulo l’accordatura, è il mio soundeheck.
Non è che so bene dove sto andando a parare.
“Te la posso dedicare un canzone, Anna?” è quello che mi esce dalla bocca. Niente Prozac, però.
Sgrana gli occhi e corruga la fronte. Puntualizzo che è una canzone d’amore, ma d’amore-d’amore.
Attacco così: “Alta .. bella .. bionda” eppoi tutto di fila: “ .. altabellabioooonda”.
“Hey, questa non sono io, è un’altra” protesta subito ma non mi lascio distrarre. Proseguo liscio: “Occhi .. celesti” e lì apro il gas: “Pupp’a pera, tu hai le pupp’a pera, pera, pera, pera”. Ci do dentro forte con ‘sta pera-pera-pera che Francesco Nuti è orgoglioso di me.
Gli rubo un sorriso, di quelli che vedi che il dentista ha fatto un bel lavoro. Punta il gomito e appoggia il mento sul palmo della mano. E’ tutta occhi morbidi, Anna intanto che stendo le note: do-la-re-sol. L’accordo è basico e fingo di farli vibrare i rebbi del pettine.
Continuo, ancora bello baritonale: “Morbosa, oh scivolosa .. mela deliziosa”. Sento che sono un missile dentro la parte: “Oh puntatora, oh sesso-sessosa-sosa-sosa .. tu sei ososa”.
Viene il ritornello e tocca alzare di nuovo i giri: “Pupp’a pera, tu hai le pupp’a pera, pera, pera, pera”.
La canzone andrebbe avanti ancora con perle tipo ignuda-cruda ma la mia interpretazione si arresta alla conclusione della seconda strofa. Son lì a gambe incrociate che cerco di prolungare il mio momento di gloria ma Anna mi toglie la parola. Prova a mettermi una mano sulla bocca. Resisto con voce e strumento anche se mi garba che ci diamo al contatto fisico: “Cos’è, ti brucia il culo che non t’ho fatto le tette alte e sode tipo Sirenetta?”.
Simula stizza mentre mi mette le mani addosso: “Brutto furfante, adesso te le do io .. ”
La minaccia muore subito in una guerra di lingue.
Zitti tutti e due. Siamo pari, adesso. Pace.
Me la tiro sopra e il pistolino lo infilo dentro quel vuoto umido. Li intorno c’è la professoressa Manfredotti.
Da lì in basso ho quasi uno stordimento a guardarla, quella bellezza fosca. Come ci fosse qualcosa da pulire, passi lo straccio e lo screzio rimane. Ce n’è di capelli grigi, pelle smollata qua e là, un bel po’ di rughe ma Anna e le sue tette mi sono proprio entrate dentro.
Sale dalle narici fin alle fibre più interne e fa l’effetto di certa roba ma un effetto diverso, un effetto un sacco più, più, più .. e li devo chiedere time-out, non so come dirlo con parole mie, mi spiace e va sempre a finire che m’incasino col vocabolario. Sento solo un gran liscio e che si scorre bene, senza fatica. Il resto, dicevo, conta meno di zero.
Intanto che glielo do penso fra me e me che a volte si perdono dei gran mesi e anni ad inseguire idiozie fino a quando poi le cose prendono a marciare da sole. Cerco l’estate tutto l’anno e d’improvviso eccola qua, mi pare dicesse uno che canta e c’aveva ragione in pieno.
Passa il tempo di un altro round o due ma non vengo, stavolta. Il mio l’ho già dato. E allora, per oggi, basta lì, Pietro.
di
scritto il
2023-08-11
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